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Incantesimo da film

Post n°374 pubblicato il 24 Giugno 2008 da sampiero_p
 

Non è facile innamorarsi.

Si sa che occorre del tempo per stabilire se si tratta di vero amore o di semplice infatuazione.

 Le distinzioni in quest'impervia materia sono d'obbligo.

La realtà è un conto, il virtuale un altro.

Sebbene anche nell'universo telematico non possano escludersi possibilità variegate, che danno luogo  ad incontri veri, che confermano le impressioni tratte dallo schermo, non mancano le delusioni e le provvisorie frequentazioni, che si risolvono in una bolla di sapone.

A me è capitato di stringere, tramite il web, vere amicizie.

 Ma per innamorarsi anche virtualmente ci vuole ben altro.

 Almeno un film, non dico tanto.

La storia interpretata da una bella donna, seducente e persuasiva nell'interpretazione.

 Gli sguardi e le movenze giuste. L'atteggiarsi delle labbra.

Sono elementi indispensabili perché l'immaginario venga colpito dal dardo dell'angioletto.

 

Era dai tempi di Audrey Hepburn, che non provavo qualcosa di simile a quello che ho sentito (sentito, sì) sgorgare dentro di me alla vista del film "Un cuore d'inverno".

Si trattava di un replay televisivo, e di una donna veramente bella in una delle vesti principali, di un'attrice intravista prima di sfuggita, che, nell'occasione, ho potuto ammirare in tutto il suo splendore.

C'è da tener conto che Adreuy la conobbi nell'infanzia, in pellicole in bianco e nero.

Emmanuelle Béart, quella a cui mi riferisco nella fattispecie, è molto più giovane ed ha mille colori che incantano.

 E' figlia d'arte, ma soprattutto una meravigliosa creatura.

 

In questa storia improbabile del regista francese Patrice Laconte, viene conquistata da un uomo arido ed algido, incapace di reazioni normalissime in chi avesse gli ormoni, oltre che il cervello ed il cuore, al proprio posto.

Costui si muove come un robot, senz'apprezzare nulla al di fuori del proprio lavoro d'antiquario e di realizzatore di violini di pregevole fattura.

Egli è reificato. S'inserisce nell'oggetto prodotto, fino a farne un involucro per la propria anima.

Ma come si fa a vivere così? Eppure capita.

Lei la Béart, che incarna una dolcissima musicista, colma di sentimenti, idee, fantasie ed  ardori non ricambiati, è l'immagine stessa dell'amore: complicato, tormentato, inesauribile fonte di vita e di malinconia, dolore e passione.

Si rimane senza parole davanti ai suoi occhi grandi ed espressivi, al  corpo elegante e perfetto nelle sue forme armoniche e sensuali.

Come si fa a rimanere freddi?

Si è al cospetto di un essere pensante, palpitante, il quale  meriterebbe ben altra sorte, che non l'indifferenza e l'allontanamento ad opera di questo banalissimo artigiano-antiquario, dallo sguardo un po' ebete, mentre la osserva come se avesse di fronte non una dea, ma la corda spezzata di uno strumento mal riuscito ed inutilizzabile.

La vicenda cinematografica si conclude, com'era prevedibile, amaramente, ma il profumo femminile rimane sospeso nell'aria e soffonde l'animo.

 Se non è amore, è innamoramento allo stato puro, nascente, originario, primigenio, selvatico, istintivo. 

Forse è solo infatuazione. Probabilmente sì, ma densa di sviluppi insperati in un'epoca lubrica e volgare come quella presente.    

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Emmanuelle? Peut-etre.

 
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