ArteNet bacheca
Mostre, brevi viaggi d'arte, articoli, poesie, racconti, un po' di musica e qualche approfondimento
STUDIO - Disegno a matita di Davide BONAZZI
nel sito COOP FOR WORDS è stato pubblicato
un fumetto di Davide Bonazzi
« LUCA MANNI - RACCONTI 2 | LIBRI E ARTICOLI IN ARTENET » |
LUCA MANNI - RACCONTI 3
Post n°69 pubblicato il 10 Gennaio 2010 da Margherita281028
Il bastone a cui si aggrappa per non cadere Appeso a una sigaretta guardo distratto il paese fuori dalla finestra. Il campanile dell'unica chiesa svetta imponente fra i tetti scuri e fa a gara col sole per arrivare più in alto. Giù nel fresco della sagrestia don Pietro prepara la messa del pomeriggio con il rigore che gli è proprio. Lo conosco bene quel vecchio prete, ha nutrito lo spirito di tutti noi giovani adulti di oggi fin da quando eravamo in fasce, e continua a farlo tuttora coi bambini e i ragazzi. Lo trasferirono in paese poco prima che io nascessi; arrivava dalla città, dove si diceva fosse stato beccato a fornicare (il termine che usa mia madre) con una puttana di quattordici anni, poco dopo averla battezzata tra le smorfie dei benpensanti. Ma nonostante lo scandalo iniziale i pettegolezzi nel corso degli anni sono scemati, adagiandosi al suolo come foglie secche dopo la tempesta. Fin da piccolo mi sono chiesto perché, se andare con le puttane è una pratica così diffusa, è generalmente ritenuto, a seconda dei casi, tra lo sconveniente/riprovevole e il sacrilego/disgustoso: mi hanno sempre fatto credere (o me ne sono convinto da solo?) che sia la società a stabilire cos'è giusto e cos'è sbagliato, che la normalità sia data da quanto un certo comportamento è diffuso e che la Legge (civile o morale) dovrebbe assecondare l'evoluzione di questi comportamenti dandole ordine e coerenza. Ora tutte le certezze che mia madre ha cercato di trasmettermi si trasformano in dubbi e domande, forse perché lei stessa non era sempre convinta di quello che mi diceva, forse perché quando voleva comunicarmi un'importante regola di vita la sua voce assumeva un tono innaturale, ostentatamente serio, che io percepivo inconsciamente. Devotissima cattolica mia madre quanto ateo materialista io, in fondo le differenze tra noi sono meno di quelle che si potrebbe pensare: entrambi sentiamo la terra tremare sotto i piedi, portiamo dentro la pancia l'eterno conflitto tra istinto e intelletto, siamo umorali e imprevedibili. Solo che io so di non avere e di non volere punti di riferimento, che mi parrebbero costruzioni fittizie per prendermi in giro, mentre lei ne ha bisogno come dell'aria. La chiesa e dio sono il bastone a cui si aggrappa per non cadere durante i terremoti della coscienza, e in fondo ne è consapevole anche lei, e le va bene così, è la soluzione meno dolorosa ai tormenti della vita. Fin dai tempi del catechismo ho trovato la dottrina cattolica ipocrita e incoerente, erano troppe le "eccezioni alla regola", troppe le incongruenze con la parola di Cristo, che a mio avviso predicava tutt'altro. Durante le lezioni davo segni di insofferenza sempre più evidenti finché si è deciso di non mandarmici più, non prima di avermi comunicato e cresimato, "che se un giorno cambiasse idea"... Ha contribuito in parte alla mia precoce presa di posizione contro l'autorità ecclesiastica la vicenda di don Pietro, appresa da compagni di scuola e confermata poi da mia madre anni dopo. Sono stato molto colpito dalla questione e ricordo di averci riflettuto per delle nottate intere. Ero piccolo e cose di questo genere colpivano di brutto la mia immaginazione, rimuginavo: "Un prete non si può sposare perché la famiglia toglierebbe tempo alla sua attività di servo del signore, ma perché non può neanche fare sesso così, ogni tanto? Forse perché il sesso fuori dal matrimonio è proibito.. dev'essere così.. oppure perché è già sposato con dio, come dice la nonna, e quindi farlo con qualcun altro sarebbe adulterio... e tutti gli altri preti del mondo che sono anche loro sposati con dio? Non sono gelosi gli uni degli altri?". Più avanti con l'età mi è sorto un senso di repulsione e di schifo, non nei confronti di don Pietro e della sua fornicazione ma verso la falsità di una dottrina che umilia, mortifica e nega la naturalità e le esigenze del corpo e, pur capendo e giustificando ampiamente l'atto impuro in sé, mi fa quasi rabbia che don Pietro stesso lo rinneghi e probabilmente se ne vergogni come di nient'altro nel nome di una costruzione artificiale di valori insulsi e contraddittori. Mentre i miei pensieri vagano così e si confondono con le spire del fumo uscendo galleggiando dalla finestra aperta, Anna esce dalla doccia e compare sulla soglia della mia stanza, un asciugamano legato intorno ai fianchi che la copre fino alle caviglie, la pelle umida e liscia e i capelli neri lunghi e ondulati che le scendono sulla schiena. E' una visione, più bella di quelle che i giochi della mente possono produrre nel sonno, il suo corpo e il sorriso beffardo esercitano un'attrazione irresistibile su chiunque se la trovi davanti o, allo stesso modo, invidia e odio nei traditi e nei delusi. Si stende di fianco a me, prende un fiammifero e una sigaretta dal mio pacchetto e comincia a fumare con gusto. Mi guarda e mi sorride senza una parola, in quegli occhi infiniti sono convinto di leggere il suo pensiero: "Sto bene con te e tu stai bene con me, forse mi ami, ma sai perfettamente che io sono di tutti e non sono di nessuno, sono dell'amore stesso e sono di chi mi dà amore, con uno sguardo svelto o un timido bacio, per un minuto o un'intera notte, con affetto e passione, senza legami esclusivi e senza rimorsi." La prima volta che l'ho vista è stato qualche anno fa, appena arrivata in paese, la sua luce mi ha folgorato come il sole che squarcia le nuvole e inonda la terra, la sua freschezza un bagno in un ruscello di montagna. Ci siamo conosciuti con una scusa banale e da allora mi stupisco ogni giorno di poter provare emozioni tanto travolgenti. Ho iniziato a non poter fare a meno di lei e a non avere altri pensieri al di fuori di "Con chi sarà adesso? Cosa starà facendo"? La cerco continuamente, spesso senza trovarla. Ogni tanto dopo aver fatto l'amore rimaniamo stesi sul letto, senza parlare, altre volte scherzando su sciocchezze o raccontandoci i nostri passati. E' stata costretta a trasferirsi qui perché una donna follemente gelosa la minacciava pesantemente rendendole la vita impossibile, continuando anche dopo che Anna aveva deciso di rompere i ponti col marito adultero. Non poteva denunciarla per non mandare nei casini lui e l'unico modo per sottrarsi a quella tortura era scappare. L'ultimo scherzetto che le ha tirato la folle è stato romperle tutti i vetri delle finestre di casa con delle pietre. Di conseguenza la scelta di cambiare aria. In realtà dice che non le ha pesato troppo lasciare la città perché dopo venticinque anni nello stesso posto con le stesse persone si era un po' stancata. Le è dispiaciuto solo lasciare sua madre, che non ha potuto seguirla per non perdere il discreto posto di lavoro che aveva da poco trovato. Qui sta bene, anche se percepisce chiaramente l'astio che molta gente prova per lei. Ormai ci è abituata dice, non le dà più fastidio. La accompagno a casa, il mio turno per oggi è finito. Passeggiamo abbracciati nell'asciutto pomeriggio tardo mentre comincia a soffiare una leggera brezza e il frinire dei grilli perde un poco vigore. Ancora per dieci minuti posso far finta che Anna sia la mia donna, immagino di poterla amare completamente e di condividere con lei ogni istante del giorno e della notte, di vivere sotto lo stesso tetto per il resto della vita... Il processo dura pochi giorni, un'eternità... Cerco di stare vicino ad Anna quanto posso, la qual cosa aiuta sicuramente più me che lei perché la paura di perderla è una certezza a cui non riesco e non voglio rassegnarmi, e in fondo è come se cercassi di assorbire ogni singolo istante che passo con lei per avere un po' di autonomia in più quando me l'avranno portata via. La condanna di Anna colpisce più che lei stessa decine di "smidollati e maiali" come me, che perdono in un colpo solo un fantastico svago, una presenza importante, un'amica, un'amante e per molti una ragione di vita. Il carcere più vicino è proprio nella città che cinque anni fa ci ha regalato Anna, in realtà liberandosene come di un peso, e che adesso è costretta ad accoglierla sotto le inediti vesti di delinquente, almeno stando a quello che sostiene il giudice. Siamo tutti con lei, ognuno tristemente chiuso in se stesso, da chi dopo una notte le ha chiesto di sposarla a chi ha rinunciato a tutto pur di stare con lei, chi l'ha avuta centinaia di volte e chi non è mai riuscito a scrollarsi di dosso il timore reverenziale verso quella creatura divina, sognando di essere abbastanza audace da avvicinarla. Gli sbirri l'accompagnano sul treno e noi li seguiamo come un corteo funebre invadendo silenziosamente tre lunghi vagoni. Non ci si guarda in faccia per non dover scegliere un'espressione tra quella della complicità, facendo prevalere il sentimento che nasce dal dolore comune, o quella dura e ostile della rivalità tra bestie che convivono forzatamente nello stesso territorio ma che ambiscono a occuparlo da sole. Il viaggio non finisce mai, pur non durando più di un paio d'ore, l'aria è resa pesante dal caldo e dai respiri profondi e sofferti e dai pensieri plumbei che fluttuano sopra le nostre teste. Il mio desiderio di giustizia si è prima trasformato in voglia di vendicarmi verso quelle cagne che hanno organizzato il complotto poi, placati l'istinto e i nervi, hanno prevalso la rassegnazione e un cupo sconforto di fronte al corso degli eventi. Ora ho bisogno di metabolizzare la dipartita di Anna, di abituarmici, di farmene una ragione e credo che ce la farò. Forse mi farà addirittura bene perdere questo punto di riferimento, sarò costretto a trovare qualcosa o qualcun altro a cui dedicarmi interamente, e ciò mi farà crescere. L'esperienza di questi anni è stata straordinaria ma ormai era diventata come una droga a cui non avrei mai potuto rinunciare, mi soffocava e mi toglieva la lucidità per affrontare tutti gli altri aspetti della vita. Sì, forse è meglio così, eppure se provo a immaginare la mia vita senza di lei mi gira la testa e la disperazione si impossessa del mio cervello... Prendiamo il treno per tornare in paese, mentre don Pietro, sconvolto, non riesce a proferire parola, con la faccia affondata nelle mani, il respiro affannato che non si calma. Penso ad Anna, non l'ho neanche salutata, volevo stringerla un'ultima volta all'aria aperta, in carcere non sarà la stessa cosa. Già so che si romperà la magia che era strettamente legata ai nostri luoghi, a casa mia e alla sua, alle stradine del paese, alla piazza e alle sue panchine, ai giardini dietro la chiesa e al baretto in centro. Mi dà fastidio sentire che non riesco a dedicarmi completamente al pover'uomo che mi siede accanto, che sicuramente sta passando un momento molto peggiore del mio, ma la malinconia e l'ologramma di Anna nella mia mente mi trascinano da un'altra parte, sul sentiero dei ricordi e di quello che sarebbe potuto essere ancora e non sarà. Mi sento un egoista per non saper farmi coinvolgere del tutto dalla disgrazia di don Pietro ma l'empatia in questo momento non è la mia dote migliore. * Il racconto ha partecipato al concorso letterario "Una storia sbagliata" indetto dall'associazione "Carta dannata", con tema "Bocca di rosa" ed è stato pubblicato sul libro che raccoglie i migliori 20 racconti sui circa 200 pervenuti. |
il SITO di Davide BONAZZI,
un giovane disegnatore
TAG
CERCA IN QUESTO BLOG
CERCA IN QUESTO BLOG...
POESIE inserite in
AGOSTO 2009
I PARTE II PARTE
ALTRE POESIE
BRANI MUSICALI
inseriti in AGOSTO 2009
Inviato da: petula
il 26/01/2014 alle 09:22
Inviato da: yves
il 26/01/2014 alle 09:22
Inviato da: karine
il 26/01/2014 alle 09:21
Inviato da: Tessa
il 26/01/2014 alle 09:21
Inviato da: roger
il 26/01/2014 alle 09:20