Creato da fedelecarlo il 27/11/2007

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Musica Napoletana DOCG

 

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Napoli va in Europa (1400-1500)

storia

Ricordiamoci (e spulciamo di nuovo, se occorre) il precedente post relativo al '300 per meglio comprendere questa parte di Storia della Musica Napoletana che va dal '400 al '500.
Importanti innovazioni verranno nel '400 quando per volere del Re Alfonso di Aragona il dialetto fu promosso come lingua del Regno e le ballate, i sonetti, gli strambotti, i madrigali, le frottole si cominciarono a scrivere in napoletano. La frottola, in particolare, che era un tipo di canzone già conosciuta in tutta l'Italia, nella nostra regione nella seconda metà del '400 sostituì la ballata, così come lo strambotto sostituì il sonetto. Il madrigale invece, che a distanza di due secoli sfocerà nel melodramma, apparteneva alla cultura dei musicisti classici, mentre i meno classici apprezzavano un genere nuovo: la villanella, che, di lì a poco, invaderà l'Italia e l'Europa.
Questa composizione a una o più voci soppiantò tutte la preesistenti, perché ne era una “summa” più aggraziata e divertente. I signori fecero a gara per tenere a corte compositori di questo genere musicale, presto mutato dal popolo e abbellito in vari modi.
Alla Corte Aragonese di re Alfonso, si sente l'influenza della scuola musicale fiamminga più colta e polifonica. Con il suo canto popolare, Napoli porta in tutta l'Europa le villanelle napoletane e, con questo successo, il dialetto napoletano entra anche a corte per divertire nobili e plebei.
La Villanella diventò una malattia, una moda e prima di svilupparsi in altre forme (madrigale nel 1533) uscì dai confini del regno ed ebbe cultori, inventori ed esecutori i più disparati in ogni dove, ma sempre in napoletano. Orlando di Lasso, belga, venne alla corte dei Gonzaga e fu poi a Napoli dal marchese Battista d’Arria che lo nominò musicista domestico e scrisse 2000 villanelle, quasi tutte stampate a Venezia (!) Del Tufo espresse una grande Napoli di 200000 abitanti in centinaia di villanelle.

Baldassarre Donato, veneziano d’origine pubblicò nel 1550 un libro intero di queste composizioni tra cui la famosissima “No pulice”. Villanelle venivano composte ed eseguite a corte, ma non soltanto. Poeti di strada le portavano in giro tra il popolo restituendo in altre forme quel che al popolo avevano sottratto e preannunciando quel che accadrà più in grande dal 1837 in poi con lo scoppio della Piedigrotta canora.La città madre per la stampa della villanelle è Venezia. Nel 1541 fu pubblicato il primo CORPUS antologico. E i veneziani stessi (Wigliaret ad esempio) diffusero il maggior numero di villanelle.Fu Emil Vogel nel 1892 a pubblicare l’opera omnia. Ma dal seicento in poi questo genere si appannò, perse lo smalto sorgivo e istintivo, scomparve dai testi stampati. Gli ultimi a comporne furono i maestri della reale cappella di Napoli.La villanella è per temi, melodie, ironia, amore la vera forma iniziale della canzone napoletana
Con la caduta della Casa D'Aragona, bandito il dialetto napoletano e sostituito con lo spagnolo, sopravvisse il canto erompente dalla coscienza popolare che fiori sotto forma di "villanella".
La Villanella è la canzone popolare sovrana ed è la canzone popolare napoletana per antonomasia. Già il nome ci indica l’origine: contado, villaggi, Campania felix et ferax. La sua grandezza sta nella formula espressiva, divertente, ironica o ammiccante e gioiosa, nella sua ripetitività ossessiva, nel suo tempo mai noioso o fastidioso, nella autenticità “villana” dei sentimenti che mette in piazza.
Sottratta al popolo e riprodotta (nel modo più fedele all’originale) per i signori, la “villanella” fungeva da puro divertimento, rappresentava un momento di respiro e di distacco dalla pensosa serietà della politica e degli impegni mondani e di potere. E così da quel canto a tre voci (o una voce più due strumenti) che era nella sua origine agreste, questo componimento si arricchì di strumenti (liuto e arpa e poi cembalo e clavicembalo) fino a diventare perfino polifonica.
Con la Villanella si attua per la prima volta nella “storia della canzone napoletana” quel movimento dal basso all’alto che diventerà un leit-motiv nei secoli a venire, quasi a suggellare una identità culturale tra popolo, borghesia o nobiltà nel nome di Napoli.
Il popolo prende in giro, ironizza sui vizi dei “potenti” oppure si ridescrive nei nuovi inusitati panni cittadini, canta i nuovi mestieri, le relazioni, ma continua a riproporre l’amore, l’inganno, la ritrosia delle donne amate. 
IL CINQUECENTO -- Ultimi guizzi di vita per lo strambotto e la frottola in questo che fu il secolo d'oro per la canzone napoletana; e mentre il Madrigale è in gran voga, scoppia la moda della Villanella "affinata". I musicisti, in cerca di raffinatezze, ne scrivono moltissime a più voci così che possano essere presentate nelle Corti e tra i colti nobili, come vere e proprie opere d'arte. Fu talmente amata che varcò anche i confini d‘Italia; infatti venne dovunque imitata e stampata con la denominazione di   "Villanella alla Napolitana" , come una vera e propria denominazione di origine controllata (DOC) dei nostri giorni. Fra gli altri: Giovan Battista Basile, Giulio Cesare Cortese, Filippo Sgruttendio, Velardiniello, Sbruffapappa hanno lasciato molti componimenti o frammenti di versi scritti per questa forma musicale.
Mi piace ricordare anche qualche compositore; Andrea Falconieri, Giovanni Del Giovane, Francesco Lambardi, Gian Domenico Montella, Antonio Scandello, Donato Antonio Spano,  e molti altri.
Moltissimi i fogli volanti (le primigenie Copielle) purtroppo andati perduti. Molto importanti erano le esibizioni dei cantanti nelle feste popolari (nei giorni di San Giovanni a Mare e Santa Caterina a Formiello), oppure in quelle familiari. Particolarmente impegnativo era il mese di Maggio poiché i napoletani gareggiavano in serenate e mattinate, balli, pranzi, cene e canzoni; queste celebrazioni si ispiravano alle più antiche Maggiolate Fiorentine (il Majo). La prima "villanella" a stampa è del 1537, la famosa "Voccuccia de ' no pierzeco apreturo":l'ultima è del 1652.
***Passaro Bernaldino detto Velardiniello (1400-1500) primo grande poeta in lingua napoletana ”Voccuccia de no pierzeco apreturo, Mussillo da na fico lattarola, S'io t'aggio sola dinto de quist'uorto”, ecc., ecc***

***Fra i tanti, il bravo poeta cantore detto Sbruffapappa, di cui ci resta la famosa villanella: “O Dio! che fosse ciàola e che bolasse a ssa fenestra a dirte na parola;
ma non che me mettisse a na gajola.” ecc., ecc.***

Nel 1500, quando indiscutibilmente il dialetto assurge a lingua, un congruo gruppo di professionisti poeti, avvocati, architetti di corte si cimenta in strambotti, frottole e ballate colte. Ma a Napoli più che altrove come si è detto, l’ “intellighentia” e la nobiltà avevano l’orecchio pronto a carpire le arie popolari che ormai da tempo avevano invaso la città , perché è in quest’epoca che comincia il grande inurbamento del contado.
Col 1502 comincia la dominazione spagnola, Napoli diventa vicereame, la lingua nazionale cambia, ma il dialetto paradossalmente si fortifica.
La serenata come si è detto è forma antichissima e per avere un' idea della sua diffusione basti sapere che nel 1221, Federico II  fu obbligato ad emanare una Assisa contro i Giullari per limitare i canti e gli intrattenimenti nelle ore notturne. I secoli tra il ‘300 ed il ‘800 videro grandiosi compositori e cantanti di questa ed altre forme di canzone, possiamo citare: Per il ‘500: Giosquin, Moral, Giacchetti, Adriani, Zerlin, Felippi, Orlandi e Cipriani.

Piazza Castello diventa il centro musicale di questa città, come la taverna del Cerriglio e lo scoglio di S. Leonardo al borgo di Chiaia dove poeti e musicisti si riunivano per comporre nuove villanelle che il popolo faceva sue e cantava per le strade e nelle feste popolari.
Altri poeti rapsòdi, spesso cantori oltre che abili musicisti, partecipavano a feste e balli popolari ed erano ricercati ed applauditi dappertutto. Essi sono: Giovanni della Carriola, Junno Cecale (detto anche Compà' Junno), Jacoviello, lo poeta Cola, Ciardullo (detto: lo poeta Vozza), Mucho, Mase, ecc.
Tradizione antichissima ha la Posteggia. Si potrebbe far risalire la sua origine al greco RAPSODO e, via via, ai latini JACULATORES, ai medioevali TROVIERI e MENESTRELLI. Essa è, insomma, l'erede degli antichi cantori girovaghi, che portavano dalla Corte e dal Castello i canti al popolo dei borghi e delle campagne e, viceversa, i canti del popolo portavano alla Città ed alla Corte": questa la bella sintesi di Sebastiano di Massa. Con l'andare del tempo questa forma di intrattenimento divenne un vero e proprio lavoro. Una bella nota di storico colore sulla posteggia può essere rappresentata dalla Corporazione riconosciuta dall'Eletto del Popolo nel 1569 che anticipava di secoli la nascita della  solidarietà corporativa. Infatti i musicisti "ambulanti" consociati potevano fruire di una indennità di malattia, premi di nuzialità e perfino il diritto di sepoltura a spese della Corporazione. Disponevano anche di una sede al Molo nelle adiacenze della chiesa di San Nicola alla Carità. I protagonisti, primi al mondo, riusciti in questa impossibile impresa, (che sarà negata ancora per lunghissimo tempo ai musicisti colti), furono: Masto Roggiero, Cumpà Junno,  Muchio, Mase, Ciullo(Giulio)‘o surrentino, Giovanni Leonardo Primavera detto Giallonardo dell'Arpa, Sbruffapappa il più geniale artista del tempo, lo Cecato de Potenza e molti altri. Rapportata ai tempi non è cosa da poco, anzi davvero eccezionale!!
A fine secolo comincia inesorabilmente il declino della canzone napoletana, determinato in buona parte anche dalla nascita di una nuova forma musicale che avrà grande sviluppo nel secolo a venire: il Melodramma.


 
 
 
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