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Post n°26 pubblicato il 03 Dicembre 2005 da alfasica
Piedi a rovescia Stanotte lui mi aspetta Prendo un martini Bianco liscio Non so se ci vado Questo locale è vuoto Si può fumare senza aspettare che chiudano le serrande Proibizionismo e guerra Scrollo la cenere in una ciotola di ceramica laccata blu Il tacco mi scivola dallo sgabello Dondolo mollemente la gamba L’accavallo sull’altra Ora dovrebbe stare ferma per un altro po La gonna mi comprime la carne Chissà se in città mettono il coprifuoco Camminare per le strade deserte L’umidità che entra dalla lana del cappotto Raffredda la camicetta Il rumore dei tacchi che ti segue Sordo rumore tra i ciotoli Morbida tra le pietre Nemmeno un soffio d’aria Suona il mio pensiero veloce e fermo Pensiero dei pensieri bianco e cavo Quando sono tutti assieme ronzare flebile e dritto Pace che il cuore assale animale Mi sento un po’ disturbata stanotte Con lui non si mostrano debolezze Lui non lo vuole Io non lo voglio Non serve Prendo la chiave magnetica dalla portineria Il letto è amplio La doccia L’acqua scroscia da dietro alla porta Da dietro la finestra Al di là delle pareti La pioggia Una diga nel fiume che non si ferma La sua onda e il mio scorrere immobile Sono un oggetto tra gli oggetti E’ delirio di onnipotenza cercare una soluzione Un paio di scarpe sulla moquette Una borsa disfatta Non sa che io ci sono Seduta silenziosa al buio Un lume rosso di sigaretta Un odore acre di tabacco Stanotte Chopin e la luna E il cielo che si appoggia sui miei capelli Sulla mia volontà Trivellata cava d’argento Vite pagate da Dio Si aggirano nel cuore della pietra Minatori con falci e dinamite Non possiedono nulla per non essere posseduti Essere un vecchio Imbarcarsi in una nave merci Con un soffio d’Ercole sulle mani Melograni d’ottobre e Novecento colto Giorni anni di rose ormai mature tra dita Dall’Olimpo cadono fiori che puzzano morte Sul letto in cotone Affondata Ancora un bacio l’universale mesce E il respiro divide le salive Calde acque amniotiche Sugli ombrelli della città Stivali in pozze sporche indicano le direzioni Mi scusi signora, non l’avevo vista Con l’ombrello non si vede nulla Mi scrollo la spalla dal contatto improvviso Sgradevole senso dell’altro Quando riguardo la strada sono nel posto sbagliato Non so che ore siano Il cielo d’autunno è grigio tutto il giorno Continuo a camminare Non dovevo andare in nessun posto Nessuno mi sta aspettando Quando sarò stanca mi fermerò Il ritmo dell’orologio Dieci secondi ogni minuto Dodici volte cinque minuti ogni ora Sei volte dieci minuti ogni ora Un quarto di ora Un quarto di ora Un quarto di ora Un quarto di ora Ventiquattro ore che si inseguono Ogni giorno Tutti i giorni L’orologio ticchetta nelle teste Con i muri e i vicoli che da secoli nello stesso giorno ci deridono Mi chiedo dove cazzo corrono Perché cazzo raggiungono il tempo Lo inghiottono famelici di arrivare alla sua fine Perché il tempo per voi ha una fine E io lenta nel passaggio Ferma da secoli tra i vostri passi Sfuggo agli occhi come un alone Ho deciso di vivere un giorno solo Come i muri e i vicoli Come il mio posacenere pieno di sigarette Vicino al portatile aperto Non ho fretta di arrivare alla fine Mi puoi ascoltare nella pausa di una voce Tra un battito di mani a teatro Mi puoi vedere piegata sul tuo viso prima di chiudere gli occhi Mi puoi vedere se cammini osservando il corso di luce sull’asfalto Mi puoi vedere quando ti siedi in silenzio nella tua stanza Sono nella prima e ultima pagina di ogni libro, bianca attaccata al cartoncino Sono registrata in ogni concerto, sospesa tra il play e l’overture Sono qua ora tra le lettere e intorno alle lettere Le mie mani sui tasti stanno per fermarsi E il vostro sguardo scorrerà nel labirinto alfabetico Per cercarmi un’ultima volta. |
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