Post n°134 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da alfasica
SOPHIA Ogni giorno penso agli uomini destarsi dal sonno e affollare le strade, ogni giorno la gente si scontra sul viale dell’Undated Bar. Qualcuno ha il feroce passo del tempo, qualcuno stanco della sua corsa apre la porta ed entra senza accorgersene. Si potrebbe dimenticare ogni cosa e si potrebbe rimanere dentro per sempre. Perchè Undeted è il malinconico riposo, la grande vetrata da cui puoi osservarti morire. Ogni giorno tra i tavoli parlo al vostro orecchio per sussurrare qualcosa dal margine della vuota fissità, voi state fermi su quelle vecchie sedie mentre l'ultima goccia di tempo sta finendo. E proprio il tuo tempo che vedo finire mentre guardi le mani afferrare il bicchiere. Puoi schiarire il wisky con placidi sogni ma ogni sorso sarà glassa sulla tua lingua, sarà come riposare tra dolci sabbie mobili e sentire il respiro melenso scivolarti in gola. Quando la tua gola sarà piena arriverò improvviso, le mie parole saranno veloci come un’idea e il tuo desiderio non potrà essere più convincente del mio inganno. Quando uscirai dall'Unteded nuovamente camminanerai in strada con la consapevolezza che il dialogo tra gli uomini non è necessario, e non ti sarà più necessaria l’esperienza della storia per comprendere lo stato di vacuo esserci. Accetterai una blanda sopravvivenza. Il tuo annichilimento volontario supererà il tempo, la gente che si affanna all’appuntamento finale e il sacrificio che costruisce questa immensa macchina senza scopo. Ti sentirai libero nell’untume del tuo pomeriggio. Sentirai il tempo accelerare e decelerare seguendo i suoi percorsi di galassia in collera e non si accorgerà di quanto siano ridicole per te le sue potenti ellissi, potrebbe consumarti prima della fine di questo fiato ma compirebbe nient’altro che una rabbia sciocca perché tu non conti più nulla. Decidi pensando che nessuno conta qualcosa se non a volte per se stesso, hai visto da te quanti gesti inutili muoveva la nostra camerierina, fedele e sollecita come l’automa della propria ignoranza. E’ il suo sogno ciò che ora non puoi vedere. Non ricordo quando tutto è iniziato ma da quando lei ha deciso di sottrarsi da questo immolasi quotidiano ha vissuto solo per il mio respiro, ora non ha cosa più importante che ascoltare il gonfiarsi dei propri polmoni seduta all'Undeted. Può succedere a chiunque, la mente si affolla spesso di inutilità. A questi incanti dell’abitudine ci si può attaccare facilmente come solo un microbo farebbe con il suo organismo, poi lentamente non si diventa altro che un pizzicore al limite della propria testa. E’ da li che ora ti sto parlando, non hai sentito la pelle e i capelli attillarsi come buccia al cranio? E' li che adesso vivo. Ora sei nell'Undeted anche tu, dopo queste parole ti vorresti alzare per tornare in strada come sospinto da uno spiffero d’aria ma rimarrai stretto al tavolo, come inebriato da un’infezione esotica per fremere ancora al mio sussurro. |
Post n°132 pubblicato il 05 Marzo 2007 da alfasica
L'ETICHETTATORE Il controllo è diventato fondamentale. E' la valvola che misura la perenne apertura al mondo che è la vita. Da anni cercavo di sottrarmi agli inutili impegni formali a cui comunemente si è costretti, ma la mia assenza avrebbe comportato l' abbandono del corpo a quelle ripide acque del fiume che è la quotidianità e anche solo per un primario istinto di difesa sentivo il dovere di essere il più possibile presente a me stesso. Ma nell’odio a me connaturato per tutto ciò che è azione e decisione il mio organismo entrò nel giro di qualche anno in una soave condizione di torpore. Il mio stato di passività divenne l'abituale pratica della repressione che mi condusse velocemente ad una nuova naturalità. L'esordio fu per me miserabile, ricordo di avere guardato l'ora e di essermi nuovamente chinato sulla macchina etichettatrice quando notai una leggera perdita di tono nei colori , subito dopo sentii mancare quella generica capacità di comprensione che permette ad ogni uomo di compiere i gesti più banali e le mani attraversate da un tremito crudele davanti all'impossibiltà di trovare un senso all'oggetto che impugnavano. Lo lasciai sul banco come prima o dopo si lascia un pensiero enigmatico e per i momenti successivi mi trovai sazio tra le cose crude, tutto ciò per cui avevo da sempre lavorato aveva perso l'odore verso il quale bestialmente mi ero mosso fino ad allora. Ogni successivo gesto fu accompagnato da un vischioso disgusto. Ero già in strada quando morì l'ultimo impulso al desiderio, la vergogna irrigidiva i miei passi mentre scoprivo un nuovo senso di pudore per quella cieca voracità che fino ad allora aveva spinto con forza il mio corpo. Non voglio nascondervi quel primo ridicolo spavento e vi dico che quando per la prima volta arrivai all'Undated ero avulso da un infantile stato di terrore, era una condizione degna di derisione per chiunque. Prima di uscire dal magazzino avvelenai cinquantadue bottiglie di acqua con il diluente usato per il collante delle etichette e le smistai nelle casse. Come avrete forse intuito fu una reazione del tutto spontanea a quell'insolito scorrere del mio pensiero e se conosco un poco i segreti percorsi delle vostre anime so non dovreste farmene una gran colpa. Questo bar fu per me dunque il primo rifugio, convinto com'ero d'aver compiuto un'azione in qualche modo malvagia mi nascosi come si nascondono le cose meschine agli occhi. Di quelle bottiglie non seppi più nulla ma tutt'oggi continuo a sostare all'Undeted Bar per sottrarmi dal mondo e per sottrarre lui da me. Forse ai più potrò sembrare arido, ma oramai non sono più in grado di accettare alcun sentimento come comportamento valido e ogni azione materiale è indegna del mio intelletto. Questa nuova elevazione morale mi ha reso intollerante al contatto umano. E' quell’animale dalle fauci bramose che ancora vedo prevaricare tra la mia razza ed è da lui che voglio prendere le distanze, guardarlo è divenuto umiliante come gurdare in uno specchio e vedermi togliere le pulci con i denti. E' la privazione la sola arte a me sublime e in grado di dichiarare la suprema forza della mente sull’istinto bestiale. Stranamente per me è arrivato l’Uomo, la fredda logica è la mia unica dottrina e io stesso sono divenuto un dio. |
Post n°130 pubblicato il 09 Dicembre 2006 da alfasica
EZIO CALETTI La mia immagine riflessa era divenuta al pensiero ormai del tutto estranea, mi ero diviso da lei molto tempo prima dell’assasinio. Guardare me stesso era divenuto oramai come guardare chiunque altro perchè il mio essere individuo, la mia unicità di persona, si era perso insieme alla mediazione dei miei stati. Se ogni sentimento e ogni movimento dell’anima, ogni decisione e ogni mio gesto era sottoposto al rigido controllo delle persone che mi era capitato di conoscere, anzi credo anche di tutte le persone che non ebbi mai avuto la possibilità di incontrare, era a causa di quel tacito accordo da sempre esistito tra tutti i viventi, di quella voce silenziosa del Grande Essere che è l’umanità. Questa voce è un canto che crudelmente esclude ogni uomo incapace di desiderare la propria comunione. Nonostante ne prendessi apparentemente parte non ho mai realmente desiderato unirmici. Anzi è per me sempre stato molto difficoltoso abbandonarmi al loro flusso di intenti, era per me un vento che giorno dopo giorno sentivo mantenere diritto nell’aria il mio esile corpo. Come molti altri ho saputo camminavo verso un meccanismo di azioni vuote. Era il mattino, il mattino era il momento in cui questa mia insofferenza pareva più acuta. Nel tempo il risveglio era divenuto sempre più insopportabile fino a che il desiderio di non lasciare il mio letto lentamente divenne un perverso anelito al sonno perenne. In verità non ho mai voluto rifiutare realmente la vita che era bella da vedersi, tantomeno ripudiare quella piccola esistenza che negli altri tanto disprezzavo. Oggi penso che fosse la mia logica incapacità a farne parte appieno a lasciarmi quella pungente percezione di inappartenenza. Nei pensieri comunque non riuscii a stringere tra le mani la trama di quei giorni fino al momento in cui non mi scontrai con un’esistenza scarna, fino a quando compresi quanto può essere pericoloso per un uomo il bagliore luciferino dell’intelletto. Toccai la carne viva con un indice. Quella mattina prima dell’ufficio passai all’Undeted e la vidi morta sul retro. Il corpo era stato riposto tra i sacchi della spazzatura, abbandonato nella plastica come si fa con una cara bestiola ormai da dimenticare. Del ritrovamento non dissi mai niente, anzi per tempo custodii nella mia memoria quell’immagine follemente armonica con gelosia. Sempre quel mattino a passi gelidi entrai dalla porta che dava sul traffico della strada e mi sedetti allo sgabello del bancone. Per ore fui attratto da un’intensa distrazione della mente per cui ogni movimento pare intimamente complice del suo stesso ricordo, fu allora che girandomi vidi per la prima volta il piccolo uomo che ancora oggi con la particolare discrezione che lo disegna mi cammina accanto. Quel neo nero di cronaca cambiò il mio destino tanto da sentire il bisogno di ringraziare la rara forma d’amore che lo generò con un sol colpo di pugnale. |
Post n°129 pubblicato il 27 Novembre 2006 da alfasica
SANTO IL CLOCHARD Finirei per stare qui ore se non mi decido ad afferrarle uno di quei gomiti appuntiti, muove passi piccoli veloci e si destreggia tra i tavoli senza vedere alcunchè. A me appare quasi bella ma non sono certo dei suoi lineamenti che sono così deboli da non capirsi, ciò che mi fissa a lei è piuttosto un’espressione; la sua immagine sembra contraddistinta da un accento di indifferenza che mi fa pensare a una specie di disgregamento dell’anima, forse è per questo che pare permeabile ad ogni contatto. Dico permeabile perché l’intero suo corpo è come una ferita attraversata dalle cose e l’indifferenza è in lei una forza che rimane come un profondo respiro. Quando passa vicino al mio tavolo le tocco la veste e non la fermo, se ne accorge ma senza curarsi di quel piccolo strappo scivola oltre il mio tavolo. La reazione che desideravo era proprio questa, che lei sapesse di me pur continuando a non notarmi. Giaccio sul piano apparecchiato senza aver avuto alcuna vera esistenza, capita a molti uomini di nascere senza uno scopo preciso, io ho avuto la fortuna di essermene accorto per tempo. Avevo da anni quel sentore che ad alcuni di voi come a me è stato dato di avvertire. E' l’emanazione del senso di inutilità che da tutte le cose circostanti arriva alle proprie azioni come un fumo alle narici, l’impotenza davanti alla consapevolezza che nulla in questo modo è possibile concludere ti cambia per sempre. Ho faticato a farmene una ragione, poi ho vagato senza meta. Ora mi piace vivere come se su questa terra esistessi solo o come dire se su questa terra fossi assorbito dalla moltitudine, una dispersione che annulla il senso di tutte le cose e che mi rende finalmente libero dall' infausto destino. Probabilmente non tutti capirete di ciò che sto parlando, per questo con voi non ho intenzione di insistere oltre. Vi dico solo che vedendo quella piccola cameriera ho avuto per la prima volta l’impressione di riconoscere come un qualcosa che mi appartiene, ma quel braccio non l’ho mai afferrato. Mi fermò una forma di timore, per persone come me farsi notare può diventare una leggerezza imperdonabile e per annullare in lei ogni forma di mio ricordo, che lascerebbe un segno indelebile della mia stupida esistenza, ho deciso di ucciderla alla chiusura. Sì, forse è bella ora che torna indietro con l’aria stanca, ha la pelle sottile e capelli fini raccolti con cura; noto che quando chiamata accorre immediatamente e si appunta gli ordini su un blocchetto scuro, distribuisce automaticamente i bicchieri senza più sentire il bisogno di guardare il viso di quei clienti. La osservo ed è piacevole ma ho già deciso di non ordinare nulla proprio per non subire da lei una negazione simile, i suoi modi paiono tanto severi da tramutarsi in colpa se assecondati e io di colpe non ne sento certo l’esigenza. Per il momento lascio che la sua immagine scorra rigida tra gli argini della stanza e la sala intera è come se procedesse al suo passo. |
Post n°128 pubblicato il 09 Novembre 2006 da alfasica
LA CAMERIERA Mi sono quasi abituata a quelle discrete presenze ma non riesco a trattenere per loro il senso di repulsione che provo scoprendole. Oramai sono divenute una presenza costante, anzi oserei direi che le cimici si sono elette a mio custode perché tutte sono così simili da potersi considerare come un unico essere e perché questo essere è ovunque ad osservarmi. Mi si direbbe pazza. Ma avverto costantemente il loro arrivo come fosse qualcosa di divino e mi è data la capacità di intendere tutti i loro precetti. Oramai sono per loro diventata come una servitrice e la volontà è come annullata nel loro pensiero. Alcune volte mi sento come un fantasma tra gli uomini, fatico a capire se io stessa sono ancora in vita. Ora per esempio con l’immobilità severa che quella cimice mantiene dalla giacchetta del professore mi si vuole ammonire, mostrare il misero stato umano; una minuscola macchia può arrivare a pesare come una pietra millenaria sulla spalla di un disgraziato come quello. Un uomo che con la sua cieca integrità ha finito con il ritrovare un figlio appeso alle tubature dell’acqua calda. Eppure è alla sua spalla che si mantiene aggrappata e dalla quale oggi ha scelto di parlarmi, questo non posso fare a meno di accettarlo. Certo non ho scelta, non sono mai stata una persona di cultura e non ho idee precise su come debbano andare veramente le cose. Non sono nemmeno molto brava a spiegare ciò che io stessa sono diventata attraverso queste parole. Quello che so è che grazie a loro ho la coscienza pulita e pare una fortuna per pochi nella nostra terra. Forse per questo motivo sono loro devota, da quando sono stata spinta verso la pratica omicida sento che tutto ciò che faccio rimarrà sempre nel giusto e per questo motivo anche non mi è dato di avere alcun vero problema morale. Ciò che faccio è permesso. Ma vi dico che non sono stupida, ho capito che non mi è stato ancora detto tutto. Alcune mattine sgomberando i tavoli mi fermo dietro alla schiena dell’Arganti e mi riprometto di trovare per quel uomo una parola che può sembrare consolatoria e poi di chiedergli anche qualcosa per me stessa, qualcosa di cui non sono ancora stata messa a conoscenza. Ma non so se riceverei una risposta. Oramai la sua vita si è fermata all’Undated, in quel tavolo sulla grande vetrata; in realtà anche ho timore di lui che pare egli stesso una grande cimice appoggiata al tavolo, così pronta a volare carponi verso la mia spalla. |
Post n°127 pubblicato il 07 Novembre 2006 da alfasica
IL PROFESSORE ARGANTI Anche solo per un momento vorrei riuscire a credere. Recentemente mi è capitato di osservare il volo di uno stormo di rondini. Ero seduto proprio a questo tavolo, guardavo la gente sfiorare il vetro chiusa nei primi cappotti invernali e godevo nel tepore del mio abituale caffè. Camminavano, parevano tutte sagome dannate così curve sulle proprie spalle e gli aliti caldi che passavano tra le mani fumose. E’ stato allora che, cercando di distogliere lo sguardo da quell’immagine per me in quel giorno grottesca, vidi uno stormo di uccelli puntinare il cielo sopra i tetti. Lasciai posata la mente su di loro per molto tempo. Mi scoprii morbosamente incuriosito da quella banale presenza, probabilmente rara in una stagione già così avanzata. Gli stormi in volo sono uno spettacolo tanto ordinario da non avermi mai permesso prima uno sguardo più curioso ed approfondito e mi trovai per minuti come ipnotizzato da quella danza geometrica, venni così assorbito dai loro schemi mutevoli da dimenticare persino gli orrendi pensieri che mi inseguivano da mesi. E’ stata in un’occasione così insignificante che mi parve di credere. A dire il vero ancora non ne sono completamente sicuro, perché fatico a capire il senso di quella grandezza che mi fu rinchiusa in un momento tanto piccolo. Restai perplesso. Anzi direi che da questa rivelazione inespressa mi sentii per tempo come mutilato. Quando riafferrai le abituali immagini, le sagome e la città, avvertii un senso come di sete. Feci l’azione più automatica e inutile, cercai con la mano la cameriera che senza parlare mi portò un nuovo bicchiere. Ancora oggi ripenso con imbarazzo a quel gesto ridicolo ma dopo una notte accompagnata dalle bottiglie di questo bar nemmeno un uomo come me può contare su se stesso; gli anni di letture colte e raziocinio vengono sommerse e sembrano gli inutili legni a cui si aggrappano i naufraghi per l’ultimo respiro. Così erano divenute per me le mie vecchie sicurezze. Fantasie che mi hanno sostenuto per anni e che d’improvviso hanno rivelato la loro vera inconsistenza. E’ in mattine come quelle che rimpiango di non aver saputo vivere più semplicemente, di non aver saputo vivere come il corpo che si è accasciato stanco sulla sedia accanto alla mia; tiene gli occhi al pavimento e non fa un sospiro, non guarda a nulla, non si cura di nulla e non vuole domandarsi più che quale sarà il prossimo colpo a lui inferto. |
Post n°126 pubblicato il 02 Novembre 2006 da alfasica
IL METRONOTTE I miei occhi restavano su quella scarpa consunta, seguendo le venature del pavimento l’avevano catturata involontariamente e adesso non riuscivano più a liberarsene. Era una scarpa inconsueta che restava alla mia fantasia come un presentimento sgradito sussurrando qualcosa dal margine della mia vuota fissità. La nottata sulla strada mi aveva sfinito e faticavo a distinguere le parole, se di parole voleva trattare la sua minacciosa insistenza. Non so dire lei chi fosse, penso di aver tenuto la testa china per tutto il tempo che il mio sogno ha potuto offrire; a un certo punto mi parve anche di perdere l’orientazione delle mie stesse braccia, con un senso di pesantezza sulla nuca che non mi permetteva una posizione nemmeno mediamente dignitosa continuavo a muoverle misuratamente, a tratti e senza motivo cercavo di creare un ritmo di flessione il più possibile costante. Una volta scivolato da quella sedia ho solo cercato di scaldarmi, il che avveniva lentamente a causa della stoffa grezza con cui era fatta la mia divisa; l’umidità dell’asfalto invernale continuava a passare dal cuoio pulsante delle suole e senza la voglia di guardare la gente che sentivo riempire la stanza di calore respiravo l’aria come si può fare da un cubo di piombo. Ad ogni nuova entrata sentivo la porta scorrere sul legno e le pareti trattenere sottili quel solido vaporoso. Al locale non avevo fatto molta attenzione. Una porta forse di legno che ho varcato velocemente, ampie vetrate su una parete. Là dentro la luce era incapace di rischiarare l’esistenza di persone che anche solo quella scarpa era sufficiente a confermarmi e d’altronde non aveva per me alcuna importanza conoscere un luogo in cui non avrei sostato più che un paio di minuti. Eppure quelle vetrate che avrebbero dovuto estendersi per buona parte del perimetro del locale avevano la funzione di lasciar passare quel primo sole mattutino ed illuminare il piccolo ambiente, perché non doveva essere stata una stanza molto grande. Il tacco sottile iniziava a muoversi, pareva affaticato dal mantenere il peso impostogli dalla donna, che tra gli scricchiolii e tra le orbite barcollanti dovesse lasciare un suo tremante messaggio inciso nel pavimento. |
Post n°124 pubblicato il 12 Ottobre 2006 da alfasica
“Ci sono alcuni luoghi sempre presenti alla nostra mente, altri che passano inosservati. Noi camminiamo davanti a queste entrate ogni giorno e ogni giorno i tre passi che ci separano dalla loro soglia vengono dimenticati”. __________________________________________________ UNDATED-BAR __________________________________________________
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Post n°120 pubblicato il 11 Agosto 2006 da alfasica
'Esegui con precisione gli ordini che non conosci' Lo spaventoso comandamento kafkiano per la marionetta reificata, i mr K. mossi dalla macchina superiore vengono passati da un ingranaggio all’altro attraverso il carillon di capitoli simbolo; sono lift messi di guardia ad un ascensore in continuo movimento, ospiti chiusi in un appartamento ad un’altezza inarrivabile, invitati detenuti, vittime costrette in scatole di vetro dentro cui nessuno guarda. E’ l’uomo senza mondo, fantoccio volontario senza possibilità di azione perché escluso, passivo ed agito quando cerca l’integrazione. Quello che Anders chiamerà dividuo è l’uomo costretto dal proprio stato di esserci all’unico ruolo a lui possibile, quello di lucido osservatore di un mondo fatto di logica estranea. La precisione chirurgica delle parole di Kafka lascia per giorni immagini solide e pietrificanti. |
Post n°119 pubblicato il 11 Agosto 2006 da alfasica
IL TRASPORTATORE D’AMBRA I polmoni dovevano trattenersi per qualche istante, la bocca si apriva appena quando il fumo rimaneva arrotolato tra le labbra; mentre alzava la testa le palpebre si rilassarono e sentì la carne salda a se. Il finestrino si abbassò di qualche centimetro, il raccoglitore dell’immondizia rimaneva fisso e frontale sul cofano rosso, tra la guarnizione del parabrezza. Guardò il cappello dell’autista, blu con lo stemma di metallo uscire dal poggiatesta; l’ora in formato digitale sul cruscotto. Gli incisivi strinsero la plastica cercando l’apertura tagliente, nervosamente, con la punta della lingua. Due tocchi umidi. Poi i denti si allentarono e lo sguardo cercò la carta ormai vacua, tiepida sulle mani. Il metallo frusciante divenne nero tra le dita e prese dal fondo nuovamente a vorticare quell'odore acido e dorato; dell’incandescente rincorsa si fece solo in tempo a vedere il vento greve riappoggiarsi in volute di sonno. Quando la città fu abbastanza calda e vuota il suo corpo fece un cenno alla guida, l'automobile tornò senza vita sulla strada principale. |
Post n°118 pubblicato il 15 Luglio 2006 da alfasica
Se hai qualcosa da dirmi, dimmelo dopo. Dimmi quello che hai in mente, ma fallo solo dopo il tramonto |
Post n°115 pubblicato il 03 Giugno 2006 da alfasica
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Post n°107 pubblicato il 06 Maggio 2006 da alfasica
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Post n°106 pubblicato il 04 Maggio 2006 da alfasica
"Una macchina celibe è un'immagine fantastica che trasforma l'amore in meccanica di morte" MACCHINA NELLA COLONIA PENALE E’ un congegno imponente profondamente infisso nel terreno e posizionato sull’orlo di una fossa non tanto profonda, sull’altro lato della fossa la terra scavata è ammucchiata in modo da formare un argine; il letto e l’incisore hanno la medesima circonferenza, assomigliano a cassettoni neri, l’incisore è fissato a circa due metri di altezza dal letto ed è fermato da quattro sbarre di ottone, tra i due cassoni è sospeso l’erpice a un nastro d’acciaio; c’è una scala a pioli per esaminare la parte superiore e la possibilità di strisciare sotto la macchina per delle riparazioni. Attivato da una manovella l’apparecchio lavorerà completamente da solo rimanendo in funzione dodici ore consecutive, sia il letto che l’incisore hanno una batteria elettrica autonoma, il letto per il proprio funzionamento e l’incisore per quello dell’erpice. Letto (o parte inferiore): è interamente cosparso di uno strato di ovatta ottenuta con una preparazione speciale su cui il condannato viene disteso supino e nudo, compreso di vari tipi di cinghie per fissare le mani, i piedi oppure il collo; la testata del letto ha un piccolo tampone di feltro facilmente regolabile in modo da penetrare esattamente nella bocca dell’uomo con lo scopo di impedire che urli o si morda la lingua, l’uomo è costretto a far entrare il feltro altrimenti la cinghia gli spezzerebbe il collo. Appena l’uomo viene fissato con le cinghie il letto entra in movimento, tremola compiendo piccoli e velocissimi spostamenti sia in senso ondulatorio che in senso sussultorio; i movimenti sono calcolati minuziosamente per avere una perfetta sincronia con quella dell’erpice. Incisore (o parte superiore): è l’ ingranaggio che regola il movimento dell’erpice quando viene combinato con il disegno previsto dalla condanna, il disegno si presenta come un labirinto di linee che si incrociano fittamente sulla carta tanto da creare difficoltà a riconoscere gli spazi bianchi e da risultare indecifrabile; la scritta vera e propria forma intorno al corpo solo una fascia esigua, il resto del corpo è riservato alle infiorettature, la complessità della scritta permette una morte lenta in un lasso di dodici ore. Una ruota dentata dell’incisore è stata affilata eccessivamente per cui stride quando è in moto creando difficoltà di comprensione. Erpice (o parte mediana): l’erpice corrisponde alla forma di un uomo, un erpice per il tronco, due per le gambe, per la testa un piccolo aculeo; tutto l’insieme si fissa unicamente su un punto oscillante. L’esecuzione effettiva della sentenza è affidata all’erpice. Quando l’uomo è disteso sul letto l’erpice si abbassa sul suo corpo in modo da toccarlo unicamente con le punte; l’erpice è costruito in vetro per permettere a tutti di controllare l’esecuzione della sentenza. Ci sono due tipi di aculei in diversi raggruppamenti, accanto a ogni ago lungo ce n’è uno corto, quello lungo incide mentre quello corto spruzza acqua per detergere il sangue e mantenere la scritta ben visibile; l’acqua insanguinata viene raccolta in piccole condutture, scorre poi in una conduttura principale il cui tubo di scarico sfocia nella fossa. L’erpice sembra operare in modo uniforme, vibrando conficca gli aculei nel corpo che a sua volta vibra essendo disposto sul letto. Condanna: l’erpice inizia a scrivere il primo tracciato sul dorso, una volta terminata la stesura srotola lo strato di ovatta e fa ruotare il corpo sul fianco per lasciare nuovo spazio all'incisione, nel frattempo le zone incise si dispongono sull’ovatta che per la sua speciale preparazione ferma subito il flusso del sangue e predispone a un ulteriore approfondimento della scritta; delle dentellature all’orlo dell’erpice strappano man mano che il corpo continua a girare l’ovatta dalle ferite e la gettano nella fossa. Per dodici ore l’erpice incide sempre più a fondo, dopo le prime sei ore il corpo viene girato anteriormente. Reazione: Nelle prime sei ore il condannato continua a vivere come in precedenza solo che deve sopportare acute sofferenze, dopo due ore gli viene tolto il feltro dalla bocca dato che non ha più forza per gridare, diventa silenzioso dopo la sesta ora. Comincia a decifrare la scritta tramite le sue ferite, gli occorrono le ultime sei ore per completare la comprensione della sentenza poi l’erpice lo trapassa da parte a parte e lo scaraventa nella fossa. Funzione: la macchina ha la funzione di incidere sul corpo il precetto violato, l’uomo non conosce la sentenza che lo riguarda e dovrà farne conoscenza sulla propria carne. Sul principio “la colpa è sempre fuori dubbio” l’uomo non saprà di essere condannato né gli viene lasciata la possibilità di difendersi.
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Post n°104 pubblicato il 02 Maggio 2006 da alfasica
Quando nel buio del pavimento la vidi lasciare dietro il suo corpo una sottile bava di luce tra la polvere della pietra cotta, scegliere la linea diagonale per abbreviare quella distanza imprevista, percorrere instancabile con la testa alta come un cieco incurante la traiettoria casuale, tagliando razionalmente il mattone contrarre in modo continuo il suo muscolo, sicura e rigida con nessun altra possibilità di movimento avanzare, orientandosi nel piano granuloso senza poter vedere oltre ai centimetri decidere un percorso, improvvisamente incurvarsi priva di alcuna esitazione nella scelta della direzione; allora capii che il proseguire nel cammino era il fine ultimo della sua vita. |
Post n°101 pubblicato il 25 Aprile 2006 da alfasica
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Post n°100 pubblicato il 24 Aprile 2006 da alfasica
L’ARRIVO MANCATO Entrò di sabato pomeriggio nella galleria con la mente vuota e riscaldata dal sole, pensò al breve buio tra quelle due porte di luce mentre una leggera variazione rese più salda la sua guida. Respirando immaginò di attraversare una calma superficie d’acqua quando l’oscura umidità si abbattè sul suo corpo; sentì un colpo, la pelle irrigidirsi impreparata e il freddo scendere sotto i suoi vestiti. Alzò la visiera. I suoi occhi mantenevano ancora strette le pupille troppo esposte alla luce, decise di prendere la macchia bianca dell’uscita come punto di riferimento. Continuò ad orientarsi così per alcuni minuti prima di accorgersi che il tempo trascorso sembrava non produrre risultati, avanzando l’uscita non pareva avvicinarsi ma rimanere ad una distanza costante. L’aria gelida iniziò a diventare insopportabile, la pelle si anestizzava lentamente. Una sensazione di disagio lo invase. Sentiva il petto ancora tiepido sul serbatoio, lo avvolse appoggiando tutto il peso del busto. La volta di cemento si prolungava e il rumore scivolava sulle pareti moltiplicando i giri di quell’unico motore. Quando cercò di capire lo spazio percorso dagli specchietti vide solo quella piatta liquidità nera. Sentì insopportabile la pressione del casco sulle tempie, la spugna che ne foderava l’interno aderire alla fronte, abbassò la visiera con un colpo deciso. Fu inutile accelerare mentre l’uscita diventava sempre più piccola e la luce al di là si spegneva. |
Post n°99 pubblicato il 18 Aprile 2006 da alfasica
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Post n°98 pubblicato il 18 Aprile 2006 da alfasica
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Post n°97 pubblicato il 18 Aprile 2006 da alfasica
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Inviato da: cassetta2
il 17/08/2021 alle 20:44
Inviato da: alfasica
il 04/12/2011 alle 14:07
Inviato da: dissolvenza2010
il 28/10/2011 alle 12:48
Inviato da: BENNIE
il 29/04/2009 alle 18:16
Inviato da: GUADALUPE
il 29/04/2009 alle 18:15