Creato da alfasica il 21/11/2005

UNDATED BAR

racconti isterici, criminali e patologiche storie

 

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I

Post n°126 pubblicato il 02 Novembre 2006 da alfasica

IL METRONOTTE

I miei occhi restavano su quella scarpa consunta, seguendo le venature del pavimento l’avevano catturata involontariamente e adesso non riuscivano più a liberarsene. Era una scarpa inconsueta che restava alla mia fantasia come un presentimento sgradito sussurrando qualcosa dal margine della mia vuota fissità. La nottata sulla strada mi aveva sfinito e faticavo a distinguere le parole, se di parole voleva trattare la sua minacciosa insistenza. Non so dire lei chi fosse, penso di aver tenuto la testa china per tutto il tempo che il mio sogno ha potuto offrire; a un certo punto mi parve anche di perdere l’orientazione delle mie stesse braccia, con un senso di pesantezza sulla nuca che non mi permetteva una posizione nemmeno mediamente dignitosa continuavo a muoverle misuratamente, a tratti e senza motivo cercavo di creare un ritmo di flessione il più possibile costante. Una volta scivolato da quella sedia  ho solo cercato di  scaldarmi, il che avveniva lentamente a causa della stoffa grezza con cui era fatta la mia divisa; l’umidità dell’asfalto invernale continuava a passare dal cuoio pulsante delle suole e senza la voglia di guardare la gente che sentivo riempire la stanza di calore respiravo l’aria come si può fare da un cubo di piombo. Ad ogni nuova entrata sentivo la porta scorrere sul legno e le pareti trattenere sottili quel solido vaporoso. Al locale non avevo fatto molta attenzione. Una porta forse di legno che ho varcato velocemente, ampie vetrate su una parete. Là dentro la luce era incapace di rischiarare l’esistenza di persone che anche solo quella scarpa era sufficiente a confermarmi e d’altronde non aveva per me alcuna importanza conoscere un luogo in cui non avrei sostato più che un paio di minuti. Eppure quelle vetrate che  avrebbero dovuto estendersi per buona parte del perimetro del locale avevano la funzione di lasciar passare quel primo sole mattutino ed illuminare il piccolo ambiente, perché non doveva essere stata una stanza molto grande. Il tacco sottile iniziava a muoversi, pareva affaticato dal mantenere il peso impostogli dalla donna, che tra gli scricchiolii e tra le orbite barcollanti dovesse  lasciare un suo tremante messaggio inciso nel pavimento. 

 
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