Creato da stratagemmo il 02/04/2007

Tra le foglie

Racconti e ali di gabbiano segate a metà

 

 

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Kiba

Post n°63 pubblicato il 27 Aprile 2008 da stratagemmo
 

Kiba uscì dalla room alle tre e trentatrè, e un attimo dopo uscì anche dalla stanza. Il pc era rimasto bianco e immobile per giorni. Soltanto il piccolo led aveva continuato a lampeggiare regolarmente. Praticamente l’unica lampada. Tutt’attorno vestiti sudati, sacchetti di patatine, lattine di coca e birra, e polvere. Ci aveva pensato, ma non avrebbe saputo dire qual era il momento esatto in cui la depressione l’aveva presa. Forse in un momento tra il sonno e la veglia, durante una colazione frettolosa e triste, che l’aveva spinta a riaccendere il computer di corsa. Se n’era accorta di essere dipendente, certo, anche se non avrebbe saputo dire da cosa. Dalle radiazioni che emanavano dallo schermo era l’unica risposta che le veniva in mente, ma non la soddisfaceva per niente. Cercò informazioni su Wikipedia, e vi trovò un quadro di Vincent Van Gogh “Sulla soglia dell’eternità”. C’era un vecchio seduto su una sedia che si teneva la testa tra le mani. Le capitò di pensare che anche lei si sentiva così. Vecchia, con la testa tra le mani e seduta. Erano secoli ormai che non usciva per fare una corsa, una passeggiata. Un giro in centro. Erano secoli che non usciva.
L’uomo è un animale sociale. Ha bisogno degli altri, per vivere. Ma c’era qualcuno dietro quello schermo. Forse. Persone, entità.
La tastiera, lo schermo, il mouse. Interfacce. Strumenti per mettersi in comunicazione con un sistema. Una volta il sistema era semplice. Un calcolatore. Gli davi un ordine, un imput, e lui rispondeva univocamente. Output. Due per due? Quattro. La radice di centoquarataquattro? Dodici. Adesso è tutto diverso. Al di là dello schermo c’è un mondo infinitamente più vasto del mondo reale. Nella testa di ogni persona collegata in rete vive un brulicante universo di idee, simboli, esperienze, interpretazioni, immagini, suoni. E tutti questi universi sono collegati tra loro, si compenetrano, esondano sulle parti dure della vita, traboccano dalle periferiche e ti inondano come uno tsunami, trascinandoti con loro. Ogni interfaccia ha il suo universo. L’universo delle tastiere, era stranamente rinchiuso in un universo più piccolo, quello materiale. Quello in cui al posto di tasti e click ci sono dita e occhi. Interfacce di un altro mondo. La cosa buffa è che le sensazioni del mondo duro, l’Hard World, per essere capite dal nostro essere devono essere ri-codificate in impulsi elettrici, trasmesse attraverso nervi e sinapsi al cervello, che li ritrasmette all’Io. Ma allora qual è la vera natura dell’essere? Un Soft compreso in un Hard che in ultimo ridiventa Soft e quindi Hard, forse all’infinito?
Comunque, Wikipedia diceva che la sua depressione non esisteva. Alla fine, le parve di capire da una lettura rapida, la depressione ha origini o genetiche o traumatiche. Kiba escluse subito le origini genetiche, perché si ricordava di un tempo in cui rideva. Escluse quelle traumatiche perché non le era capitato nulla. Da eoni. Non capitava mai nulla, e forse era solo quello il problema. Era successo tutto molto lentamente, senza traumi. Ogni giorno un po’ di più attaccata a quello schermo, ogni giorno un po’ più svogliata.
I sintomi c’erano tutti però.


1. Umore depresso per la maggior parte del giorno, come riportato dal soggetto
2. Marcata diminuzione di interesse o piacere per tutte (anedonia) o quasi tutte, le attività per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno.
3. Significativa perdita di peso in assenza di una dieta, o significativo aumento di peso o diminuzione o aumento dell’appetito quasi ogni giorno
4. Insonnia o ipersonnia quasi ogni giorno
5. Agitazione o rallentamento psicomotorio
6. Affacatibilità o mancanza di energia
7. Sentimenti di autosvalutazione o sentimenti eccessivi o inappropriati di colpa
8. Diminuzione della capacità di pensare o concentrarsi o difficoltà a prendere decisioni
9. Ricorrenti pensieri di morte, ricorrente ideazione suicida.” (Wikipedia)

Lei era per quelli di assenza- mancanza. Non si muoveva, non ne aveva voglia, eppure non ingrassava. Anzi. In fondo, nemmeno di mangiare ne aveva una gran voglia. Qualche patatina ogni tanto giusto per.
Poi erano passate le ore. I giorni no. I giorni non passavano mai. Al di là della finestra grande passavano luci e ombre, e vento e pioggia, ma i giorni, quelle foglie da calendario, non cadevano più. E alla fine, al di là della finestra piccola e luminosa non passarono più nick, né bot, né entità di alcun genere. Forse perché quella room in cui si era ritirata non la conosceva più nessuno, o quasi. Per qualcuno forse era un ricordo d’altri tempi, d’una community morta come le città fantasma della corsa all’oro. Quella room era diventata come la sua stanza.
Kiba era dentro a tutto. Dentro al Hard World e dentro il Soft, dentro la città, il palazzo, la stanza, dentro il letto, dentro il pc, dentro la room.
A Kiba venne voglia di uscire, verso mezzanotte. Restò comodamente a letto, senza essere né sveglia né addormentata, ad ascoltare quell’unica scintilla di desiderio che le era rimasta attraverso la nebbia. Ad aspettarla crescere. Verso l’una e venticinque sentì una specie di prurito percorrerle gli arti superiori, e mosse le dita.
Lentamente, si alzò, sfiorò il mouse e guardò la x bianca in campo rosso in alto a destra. Click.
Chiudere sessione. Non aspettò che lo schermo si spegnesse, ma sentì il rumore dello spegnimento di windows mentre usciva dalla porta di casa.
Uscì dal letto, dalla room, dalla stanza, dalla sessione, dall’appartamento, da internet, dal pianerottolo, dal pc. Entrò nell’ascensore per uscirne un attimo dopo. Era strano aver chiuso quasi tutto il Soft. Le restavano giusto i suoi pensieri, come uccelli in gabbia, come palline di gomma a rimbalzare in quei pochi centimetri tra le parietali del cranio, con un bisogno infinito di cielo. Del buio dell’universo tutto.
Connettersi con il tutto o non essere niente.
Uscì sul tetto del condominio, un bel terrazzo dove in un’altra vita era salita a prendere il colore della terra dal cielo.
Guardò verso il basso, e le sembrò che il perimetro della via deserta assomigliasse ad una grande porta; c’era persino un camion parcheggiato sulla sinistra a fare da maniglia.
Cosa c’era oltre la durezza del cemento? Il nulla? La Grande Rete?
Mentre volava, pensò soltanto al vento tra i capelli.

 
 
 
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