Creato da stratagemmo il 02/04/2007

Tra le foglie

Racconti e ali di gabbiano segate a metà

 

 

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Post N° 64

Post n°64 pubblicato il 09 Agosto 2008 da stratagemmo
 

CRONCA DELLA BATTAGLIA DEL MONTE MEJI

Parte Uno- Il demone di ghiaccio

La bruma ricopriva a chiazze l’erba rugiadosa del mattino, fino alla cima della collina, dove i gelidi occhi della ragazza accovacciata, balzavano in cerca di vendetta.
Di fronte a loro, lame di luce penetravano il varco tra il monte Meji e le alture del Fu-han perdendosi nel pallido cielo, mentre i neri uccelli da carcassa si radunavano seguendo traiettorie circolari, poche decine di braccia al di sopra della valle.
Laggiù, due eserciti con le stesse divise e le stesse bandiere erano schierati l’uno contro l’altro.
La lancia del monaco pellegrino brillava alla luce del sole ad un paio di metri dalla ragazzina, e le preghiere ed i nomi dei budda che vi erano legati, sussultavano al vento e alle preghiere dei soldati.
Un nome veniva urlato da ambo le parti, e gli uomini, con gesti identici ed identiche parole, facevano pensare ad un solo esercito allo specchio.
“Amida!” urlavano, “Amida!”

Nessuno parve badare alla figura del monaco, che si stagliava nitidamente contro il cielo, nessuno parve vedere l’altra figura, acquattata tra l’erba alta, che tremava al vento come un cespuglio di …..
“Che odioso grido di battaglia!” sibilò.
“Non denigrare il nome di Amida.” le rispose Kyoun , -così amava farsi chiamare questo monaco- “È il nome del budda illuminato, del più caritatevole essere mai apparso su questo mondo”
“Se è così caritatevole come dici, monaco” chiese la ragazzina ficcandosi le unghie nelle mani sporche di cenere e di terra “cosa ci fa sulle bocche di quegli esseri immondi?”. Le sue iridi, un tempo azzurre, erano talmente chiare che a malapena si distinguevano dal fondo dell’occhio, e ricordavano un lago ghiacciato nel mezzo dell’inverno. Per un attimo guizzarono dalla scena sottostante al volto del monaco, e l’anima di Kyoun barcollò senza capire se v’era accusa, o solo curiosità.
“Amida era l’essere più compassionevole che sia mai vissuto su questo mondo. Egli aveva una compassione infinita per tutti gli esseri viventi, ed i suoi insegnamenti aiutarono molti uomini a procedere verso l’illuminazione. Quando fu sul punto di morire, circondato dal rispetto e dalla riconoscenza di centinaia di discepoli, egli fece un voto terribile.”
Fece una pausa, per osservare un uomo che stava uscendo dalla formazione del suo esercito, indirizzandosi verso il centro del campo di battaglia.
“Egli giurò che non sarebbe passato all’ultimo stadio… alla pace eterna… finché non avesse aiutato chiunque invocherà il suo nome, a salvarsi… Ma gli uomini spesso interpretano male questo gesto, e dicono che non importa quanti crimini commetti nella tua vita: se in punto di morte invochi il suo nome, non ne pagherai le conseguenze…”
“Sia maledetto quel nome!”
Kyoun stava forse per rispondere alla bestemmia, quando il soldato iniziò a parlare. Il vento, che soffiava nella loro direzione portò le sue parole.

“Il mio nome è Yoshimasa! E non c’è nessuno, fra voi cani, che potrebbe sfidarmi! I miei antenati guidavano uomini in battaglia quando i vostri brucavano l’erba nei fossi! I miei avi hanno combattuto a fianco dell’imperatore contro gli antichi demoni mentre voi siete nati dalle bisce dei fossi! Non c’è nessuno tra di voi che sia abbastanza nobile per sfidare a duello nemmeno un mio servo!” Alle sue spalle un ottantina di uomini restavano immobili in silenzio.
I loro nemici erano di numero nettamente inferiore, sicuramente non arrivavano a cinquanta. Uno di loro venne avanti urlando:
“Nobile Yoshimasa! Quanta arroganza riuscite ad avere voi spocchiosi altolocati…! È l’unica cosa che si trasmette col sangue, di padre in figlio… dovrò stare attento a non bagnarmi quando ti squarterò, per non restare infetto…! Che diritto hai di insultarci così? Forse perché abbiamo disturbato qualche villaggio di stupidi contadini? Ci stavamo tenendo allenati alla guerra. Tu non hai mai saputo cosa sia la guerra, perché te ne sei stato a combatterla dietro alle mura di un palazzo, oppure te ne sei già dimenticato? Ovunque è morte e distruzione, e questo è il nostro lavoro! La morte è il nostro lavoro! Stavamo ammuffendo di fame e di noia, e siamo usciti a procurarci cibo e azione. Quando ti avrò tagliato la testa proporrò ai tuoi compagni di unirsi a noi, e se non sono dei perfetti idioti seguiranno il mio consiglio!”
I due erano finalmente l’uno di fronte all’altro. Rimasero in silenzio, fermi immobili, a studiarsi. Nessuno dei due aveva ancora estratto la spada. Cercavano entrambi di capire i punti di forza e le debolezze dell’avversario leggendogli negli occhi e sul viso la storia personale, le paure, la gloria. Dopo un tempo che sembrava infinito, finalmente si mossero contemporaneamente, estraendo la spada e avanzando.
Yoshimasa portava una lama lunga tre braccia, mentre il suo avversario una lama lunga solo due. L’arma del nobile era di una lunghezza davvero inusuale per un campo di battaglia. Infatti, non appena ebbe il nemico a portata, Yoshimasa lo sorprese con un rapido fendente, ferendolo alla fronte. Questi imprecò e si lanciò con furia contro il nobile, ma non riusciva ad avvicinarglisi abbastanza per poterlo colpire. Il sangue che gli colava dalla ferita alla fronte gli coprì gli occhi e Yoshimasa ne approfittò per tagliarlo lungo tutta la superficie del busto, dalla spalla sinistra al femore della gamba destra.
“Uno scarafaggio di meno” commentò la giovane.
I banditi non parvero impressionati da quella morte. Ma alle loro spalle sbucò all’improvviso un drappello di uomini che portavano lunghe lance. Erano passati inosservati, coperti dall’alto argine del canale che correva al loro fianco, mentre tutti erano distratti dal duello.
Yoshimasa fece segno ai suoi di avanzare: “Arrendetevi, e vi sarà riservata una morte rapida!”
Stretti tra due fronti, sentendosi ingannati, i fuorilegge si gettarono in avanti, furiosamente. Nella confusione della mischia, almeno qualcuno di loro avrebbe trovato una via di fuga. Yoshimasa si trovò ben presto a dover fare i conti con alcune furie decise ad ottener vendetta prima di morire. La sua arma più lunga gli dava un certo vantaggio, e certo aveva passato molti anni ad imparare le tecniche di spada con i maestri più famosi della provincia, ben pagati dal padre. Ma la sua spada era anche molto più pesante di quella dei suoi avversari, e si stancò molto in fretta. Per sua fortuna i suoi soldati lo superarono rapidamente e si chiusero davanti a lui come un muro, mettendolo in salvo. Intanto alcuni fuorilegge avevano tentato di fuggire arrampicandosi su per l’argine. Quando lo raggiunsero però, lo trovarono molto più scosceso e scivoloso di quanto si aspettassero. Quasi tutti gettarono a terra le spade per cercare appigli con le mani, mentre dietro di loro, il drappello di lancieri si avvicinava senza fretta. Giunti verso la metà della salita, trovarono che l’erba più sottile aveva radici meno profonde, e non reggeva il peso dell’arrampicata, ed i fuggitivi giunti più in alto cadevano, travolgevano i propri compagni che li seguivano.
Allora alcuni di loro si volsero dall’altra parte e si misero a correre su per la collina.
Uno di loro, coperto di sangue e fango, giunse a pochi passi dal monaco, e lo guardò sospettoso. Il monaco sorrise di rimando. Sentendosi preso in giro, il bandito si lanciò contro di lui con un urlo rauco e senza fiato.
“Grande e potente Haciman, dammi la forza” pregò il monaco. Poi, con un inaspettato quanto rapido guizzo della sua lancia, trafisse l’avversario stupefatto.
In suo aiuto accorsero alcuni suoi compagni che stavano scalando la collina. Il più vicino passò di fronte al cespuglio dove la ragazzina era nascosta. Lei saltò verso il cielo. I suoi capelli corvini si aprirono nel vento, mentre i suoi occhi senza colore si piantarono nel corpo del bandito come una lancia. Ai fuggitivi che salivano apparve l’immagine di uno Shinigami dalla pelle pallida, vestito di bianco, e dagli occhi di neve, che balzava dalla terra e scendeva dal cielo, e gelarono di terrore e di stupore. Il bandito rimase congelato dal terrore di quella visione. Davanti a lui vedeva lo spirito furioso di tutte le sue vittime, tornato per vendicarle. Tremò, e la lama gli cadde, mentre le unghie, e le dita dello shinigami gli entravano nel collo, e gli cercavano l’anima. Cadde all’indietro, mentre un alto fiotto di sangue si alzava verso il cielo. I suoi compagni urlarono. Alcuni gettarono le armi e si misero a correre scendendo dalla collina, verso le lance e le spade dei loro nemici che li attendevano più sotto. Molti, accecati dalla disperazione e dalla paura, caddero correndo a folle velocità per il piano scosceso e accidentato, e si ferirono mortalmente. Altri, tra i più coraggiosi, nella follia di quell’apparizione ritrovarono la calma per recuperare dignità e libertà. Estrassero dai luridi foderi lucide Wakizaki e si pugnalarono al cuore.

Lo spettacolo era invero molto curioso. La lama, per quanto tagliente infatti, è molto fragile. È dunque molto rischioso farla passare tra costola e costola per raggiungere il cuore. Rischierebbe di spezzarsi scontrandosi contro la gabbia toracica. Bisogna allora farla passare da sotto lo sterno, e spingerla con decisione verso l’alto, affinché trovi la strada verso il cuore passando attraverso organi molli. Essi diedero prova di grande coraggio portando a termine il gesto in maniera pressoché immediata. Due di loro però arrivati a metà strada, si fermarono per il dolore, feriti ma vivi, con i polmoni trafitti da non poter urlare con la bocca, ma emettendo sibili e rantoli inumani, provenienti forse dal mondo dei morti. L’ultima cosa che videro furono due occhi di neve aleggiare sopra di loro, e lo Shinigami strappare loro la carotide a mani nude. Il loro volto, da morti, era un sorriso contratto dal dolore, ma pareva intravedersi un guizzo di riconoscenza allo spirito della morte per quest’ultimo aiuto.
Intanto, a valle, era ormai un mattatoio.
La battaglia- una piccola scaramuccia in realtà- era finita in pochi minuti. Ormai i banditi che avevano provato a combattere erano stati abbattuti, quelli che avevano provato a scappare erano stati raggiunti. Non ne rimaneva uno in piedi. Presto sarebbero giunti i corvi a rubare gli occhi dei caduti, ed i ladri li avrebbero ripuliti di spade e armature.
La ragazza-shinigami scese per prima volteggiando sul primo cadavere che aveva incontrato quel giorno. Il monaco la osservò profondamente, e solamente i lunghi anni di meditazione zen gli permisero di mantenere la calma.
Osservandola attentamente, mentre, curva sul cadavere lo frugava alla ricerca di qualche avere, di qualche bene terreno, capì che non erano i capelli, grovigli di tenebra, ad essere così spaventosi, né la sua magrezza, che la rendeva simile ad uno scheletro ritornato dal mondo dei morti, ad aver terrorizzato quegli uomini, né i suoi laceri vestiti, sporchi di sangue, odorosi di fumo e morte.
Erano bensì quegli occhi, che un tempo erano stati azzurri e che adesso erano diventati bianchi, e dell’azzurro di un tempo conservavano solo un pallido ricordo. Sembravano gli occhi di un cieco, eppure sapevano arrivare fin dentro allo spirito di un uomo, e mostrargli ciò che egli era in realtà come in un lucido vassoio metallico di un ricco mercante, come nel riflesso della lama della spada di uno shogun, come nello specchio di una bambina, di una bambina con lo sguardo di chi vede oltre le apparenze del mondo caduco, effimero, mortale. Lo sguardo di uno Shinigami.
“Ti chiameranno demone” profetizzò il Kyoun “demone di ghiaccio”.

 
 
 
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