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Etichette: Civiltà Matriarcali
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IL SITO VISTO DAL SATELLITE |
Qualcosa di straordinario è stato scoperto in una zona
del Sud Africa: le rovine di un'antica città fortificata
appartenente a un'antichissima civiltà, a circa 280 km
verso l'interno, ad ovest del porto di Maputo (la capitale
del Mozambico).
Questo ritrovamento potrebbe riscrivere la storia dell'umanità.
La piramide di Giza risulta essere la struttura più antica
mai ritrovata e risale solamente a 5000 anni fa.
La sfinge è stata supposta antecedente alle piramidi, qualcuno
ha parlato di 7000 anni addietro.
Ma il sito di Lepenski-vir (le Porte di Ferro) risalgono a 7000
anni fa, e il sito di Gobekli Tepe risale a 9500 anni fa.
Poi i ritrovamenti di figurine fittili di 35000 anni fa, e la Venere
di Hohle Fels, la statuina paleolitica datata tra i 31.000
ed i 40.000 anni fa, associabile alle prime presenze dell' Homo
Sapiens (Cro-Magnon) in Europa.
Ma questo sito è molto ma molto più antico.
I primi esploratori dell'area che si trovarono di fronte a queste
rovine pensarono trattarsi di recinti destinati al bestiame,
costruiti da popolazioni antiche ma non così antiche.
Solamente negli ultimi vent'anni si è compreso che non si
tratta di recinti, bensì di templi antichi e osservatori astronomici,
costruiti da civiltà per ora sconosciute.
Una città che sembra essere stata costruita dal 200000
al 160000 a.c..
Lo scrittore Michael Tellinger, insieme al vigile del fuoco e pilota
Johan Heine, che aveva osservato queste rovine negli anni
sorvolando la regione, avevano scoperto per caso il sito che
si trova a circa 300 km da Johannesburg, quasi al confine con
il Mozambico, già nel 2010, tanto che aveva parlato della scoperta
nel suo libro "Temples Of The African Gods".
Il giornale thesouthafrican.com ha confermato ora che la
città risalirebbe a ben 200.000 anni fa.
Tellinger ha commentato: "Quando Johan per primo mi ha fatto
conoscere le antiche rovine di pietra dell'Africa australe, non
avevo idea delle incredibili scoperte che ne sarebbero seguite,
in breve tempo.
Le fotografie, i manufatti e le prove che abbiamo accumulato
puntano senza dubbio ad una civiltà perduta e sconosciuta,
visto che precede tutte le altre, non di poche centinaia d'anni,
o di qualche migliaio d'anni... ma di molte migliaia d'anni.
Queste scoperte sono così impressionanti che non saranno
facilmente digerite dall'opinione ufficiale, dagli storici e dagli
archeologi, come abbiamo già sperimentato.
E' necessario un completo mutamento di paradigmi nel nostro
modo di vedere la nostra storia umana".
Anche le popolazioni del luogo conoscevano già il posto, e lo
attribuivano a qualche civiltà antica, ma non così antica.
Sorvolando in aereo la zona, lo scrittore e il vigile del fuoco
hanno voluto ottenere una veduta più ampia che ha portato
a una scoperta sensazionale, e cioè che gli enormi cerchi
concentrici erano mura cittadine ben visibili dal satellite.
LE DIMENSIONI
Queste mura si protrarrebbero per 1500 km, con un'altezza
di quasi due metri e più di un metro di larghezza, in alcuni
punti fino a tre m e mezzo di spessore, tali da poter far
transitare due carri contemporaneamente.
Il sito farebbe infatti parte di un'antica città che occupava
un'estensione di 10000 Kmq.
Ma secondo notizie più approfondite, date dalle foto scattate
da aerei e da elicotteri, risulta che l'area coperta da questa
metropoli era di soli 5000 Kmq, ma a sua volta era compresa
all'interno di un'ampia comunità che occupava addirittura
35000 Kmq.
Al suo interno ci sono strade, alcune delle quali lunghe sino
a cento miglia, che servivano da collegamento fra la città e i
campi destinati all'agricoltura; è stata rilevata una certa
somiglianza con gli insediamenti degli Inca in Perù.
Ma si osservano complessi di forma circolare e campi agricoli,
il che dimostra che questo luogo era abitato da una civiltà
evoluta.
Alle coordinate satellitari 25 37'40.90″S / 30 17'57.41E si
possono vedere chiaramente (A) il panorama visto dal cielo,
(B) le strutture circolari e (C) altri piccoli cerchi che indicano
degli avvallamenti nel terreno.
Queste rovine circolari sono distribuite su una vasta area.
Possono solo essere veramente apprezzate dal cielo o
attraverso immagini satellitari.
Molte di loro sono quasi completamente erose o sono state
coperte dai movimenti del suolo fatti per millenni dall'attività
dell'agricoltura.
Del resto il Sudafrica è già considerato la culla del mondo.
Proprio di recente, sempre nella zona di Johannesburg, è stato
trovato il più antico antenato dell'uomo, l'Homo Naledi.
HOMO NALEDI
- 6 Mag 2018 - Il nostro nuovo antenato è stato trovato in
una grotta a 40 metri di profondità vicino a Johannesburg,
in Sudafrica.
Si tratta di un mosaico fossile composto da oltre 1.500 ossa
. Viso da scimpanzè, denti, piedi e mani umani: ecco com'era
l'Homo Naledi scoperto in Sudafrica.
La scoperta è stata effettuata anche grazie a un finanziament
o della National Geographic Society. Nel team anche un italiano:
Damiano Marchi, antropologo del dipartimento di Biologia
dell'Università di Pisa, che fa parte dell'equipe guidata dal
professor Lee Berger.
Nella stessa zona nel 1947 fu scoperta Lucy, la più famosa tra
gli ominidi che risale a qualche milione di anni fa, e nel 1997 Little
Foot, che avrebbe un'età di 3 milioni e 670mila anni e sarebbe
pertanto il più vecchio ominide trovato finora sulla Terra.
LE MINIERE D'ORO
Ma c'è di più: nella zona dei ritrovamenti di questa civiltà sono
state scoperte, durante gli ultimi 500 anni, miniere d'oro antiche,
evidente segno che chi ha vissuto in questa terra ha scavato
per molto tempo in cerca dell'oro o in ogni caso ne ha approfittato.
Il Sud Africa è il più grande paese produttore di oro al mondo
e la più grande zona di produzione d'oro del mondo è il
Witwatersrand, la stessa regione dove si trova l'antica metropoli.
Infatti nelle vicinanze di Johannesburg, c'è anche un luogo
chiamato "Egoli", che significa la città d'oro.
Non si tratta dunque dell'oro nativo trovato per caso nei fiumi
o nelle sabbie, ma di miniere vere e proprie, con tunnel e pozzi.
"Le migliaia di antiche miniere d'oro scoperte nel corso degli
ultimi 500 anni, indicano una civiltà scomparsa che ha vissuto
e scavato per l'oro in questa parte del mondo per migliaia d'anni",
dice Tellinger.
"E se questa è in realtà la culla del genere umano, possiamo
star guardando le attività della più antica civiltà sulla Terra".
Viene da chiedere cosa se ne facessero popoli così antichi dell'oro,
evidentemente era apprezzato per la sua bellezza e inalterabilità,
ma sicuramente anche come merce di scambio
(oro lavorato o grezzo che fosse), il che fa comprendere l'evoluzione
del sito.
Infatti a 30 km dell'area, si trova un porto abbastanza grande per
il commercio marittimo necessario a sostenere una popolazione
stimata nientedimeno che di 200 mila persone, grossomodo quanto
Padova o Trieste.
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FOTO AEREE |
Le rovine sono per la maggior parte cerchi di pietre sepolti e solo
alcuni sono visibili grazie ai venti che hanno spazzato via la sabbia,
facendo emergere fondamenta e mura appartenute ad antiche
costruzioni, presumibilmente le più antiche mai costruite dall'essere
umano.
Nei testi sacri dei Sumeri, specialmente l'Enuma Elish, si parla
di una città di nome Abzu, conosciuta anche come città mineraria
per via delle miniere d'oro poco distanti.
Questa città, dunque, sembra essere davvero esistita proprio in
concomitanza con l'improvvisa, e tuttora misteriosa, evoluzione
degli ominidi in homo sapiens.
Il ritrovamento di utensili costruiti da esseri umani e datati a 500
mila anni fa inoltre retrodaterebbe ulteriormente la comparsa di
esseri viventi senzienti sul nostro pianeta.
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VISIONE SATELLITARE |
Johan Heine scoprì il cosiddetto "Calendario Adam" nel 2003,
mentre cercava uno dei suoi piloti schiantato con l'aereo sul bordo
dell'altopiano.
Mentre portava in salvo il pilota ferito Johan scorse dei i monoliti
che erano allineati ai punti cardinali della Terra.
Almeno tre erano allineati verso il sorgere del sole, ma sul lato ovest
dei monoliti allineati c'era un misterioso buco nella terra.
Infine Johan capì che le rocce erano allineate con il sorgere
e il tramonto del sole, determinando i solstizi e gli equinozi.
Ma un giorno scoprì che c'era una pietra dalla forma umanoide
che era stata rimossa tempo prima. e che Johan ritrovò dopo
una lunga ricerca.
I primi calcoli dell'età del calendario vennero effettuati in base
al sorgere di Orione, una costellazione che completa la sua rotazione,
detta precessione, ogni 26000 anni.
Quando i pezzi sono stati rimessi insieme, mancavano circa
3 cm di pietra. Si è potuto valutare così l'età del sito dal tasso
d'erosione della pietra.
Gli scienziati non sanno perché improvvisamente apparve
l'Homo sapiens, ma siamo in grado di rintracciare i nostri geni
sino ad una sola donna, che è nota come "Eva mitocondriale".
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CALENDARIO ADAM |
L'EVA MITOCONDRIALE
Una comparazione del DNA mitocondriale di appartenenti
a diverse etnie e regioni suggerisce che tutte queste sequenze
di DNA si siano evolute molecolarmente dalla sequenza
di un antenato comune.
Poichè un individuo eredita i mitocondri solo dalla propria
madre, tutti gli esseri umani hanno una linea di discendenza
femminile derivante da una donna che i ricercatori hanno
soprannominato Eva mitocondriale.
Basandosi sulla tecnica dell'orologio molecolare, che mette
in correlazione il passare del tempo con la deriva genetica
osservata, si ritiene che Eva sia vissuta fra i 150000 e i 200.000
anni fa.
La filogenia suggerisce che sia vissuta in Africa.
Gli scienziati ipotizzano che vivesse in una popolazione di 4000-
5000 femmine fertili.
Se altre femmine avevano prole con cambiamenti evolutivi del loro
DNA, non abbiamo alcuna registrazione della loro sopravvivenza.
Sembra che siamo tutti discendenti di questa femmina umana.
Insomma tutti figli della stessa madre che, in barba ai razzisti,
è proprio nera.
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Fonte: da Si viaggia, giornale digitale.
Il Molise dei Sanniti che nessuno conosce
L'Appennino molisano conserva i resti e le
tracce di un popolo valoroso da scoprire e
riscoprire
5 Giugno 2021
C'era una volta, una popolazione di guerrieri
forti e valorosi, che scelsero come casa l'Appennino
molisano.
La storia li descrive come degli strateghi, avversari
della repubblica romana che però furono sconfitti e
annientati definitivamente da Silla.
Le tracce della presenza di questo fiero popolo
antico in Molise, sono oggi un vero e proprio tesoro
da riscoprire, legato in maniera indissolubile alle
valli appenniniche e al territorio montano.
I Sanniti sono stati i primi abitanti del Molise ed
erano divisi in cinque tribù, rispettivamente Caraceni,
Irpini, Caudini, Pentri e Frentani.
La loro quotidianità era dedita alla pastorizia, per
questo si stabiliranno nelle valli dell'Appennino molisano.
Il territorio era stato da loro organizzato in vici, piccoli
villaggi, che si estendevano soprattutto a Isernia, Trivento,
Sepino, Larino, capoluogo dei Frentani, e Boiano,
capoluogo dei Pentri.
Pietrabbondante
Il centro del culto, però, era Pietrabbondante che oggi
rappresenta l'area archeologica sannita più importante
della storia di questo popolo.
Altri centri religiosi sono stati ritrovati a Campochiaro,
in località Civitella, a San Giovanni in Galdo, a
Vastogirardi e Carovilli.
Le divinità ai quali i Sanniti si affidavano erano diverse,
tra queste c'era sicuramente Ercole, al quale è stato dedicato
un santuario a Boiano.
Questa figura mitologica, inoltre, appare in diverse statuette
di bronzo che risalgono proprio all'epoca sannita.
Come anticipato, il borgo molisano di Pietraabbondante è
sicuramente il luogo che conserva le tracce più importante
dell'insediamento di questa popolazione.
Nella piazza principale del grazioso paesino arroccato
sulle morge, è possibile ammirare la statua dedicata al
Guerriero Sannita, simbolo di tutto il Molise.
Qui è possibile salire in cima del Santuario Italico dei
Sanniti Pentri, la testimonianza architettonica più
importante del culto di questa popolazione.
L'area archeologica si trova in una posizione fortemente
scenografica a circa mille metri di altitudine, con una
vista mozzafiato su tutta la Valle del Trigno e sui
paesi arroccati.
Area archeologica di Pietrabbondante
A Vastogirardi, Isernia, è possibile avventurarsi in una
piccola area archeologica nella località di Sant'Angelo
per osservare i resti di un tempio sannita del II secolo.
Secondo fonti storiche, l'area sacra era frequentata
soprattutto dai pastori.
Per completare il viaggio alla scoperta dei Sanniti, il
consiglio è quello di recarsi ad Agnone, anche se i resti
della popolazione non sono visibili, la storia ci racconta
che la città è sorta sulle rovine dell'antica Aquilonia
distrutta dai romani.
In questa zona sono stati recuperati diversi reperti archeologici,
tra cui anche la Tabula Osca, una tavoletta di bronzo con
spessore di circa 4 mm che contiene informazioni preziose
sui culti e le divinità di questa popolazione e che oggi è conservata
presso il British Museum di Londra.
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Fonte: articolo riportato dall'Internet
Così i buchi neri forgiano le galassie
Fonte: INAF/Università di Tor Vergata
Rappresentazione artistica di un outflow prodotto da un
buco nero supermassiccio. (ESA/ATG medialab)
Analizzando i dati raccolti dal telescopio spaziale per raggi X
XMM-Newton dell'ESA, un team di scienziati guidato da Roberto
Serafinelli dell'Istituto Nazionale di Astrofisica ha mostrato come
i buchi neri supermassicci modellino le loro galassie ospiti con
venti potenti che spazzano via la materia interstellare rallentando
il ritmo di formazione di nuove stelle
Otto anni di osservazioni condotte con XMM-Newton sul buco nero
che si trova nel cuore della galassia attiva PG 1114+445 hanno
consentito di mostrare come i venti ultraveloci - outflows (deflussi) di
gas emessi dal disco di accrescimento, nella regione prossima al buco
nero stesso - interagiscano con la materia interstellare vicino al centro
della galassia.
Questi outflows erano già stati individuati in precedenza, ma il nuovo studio
identifica chiaramente, per la prima volta, tre fasi della loro interazione
con la galassia ospite.
«Questi venti potrebbero spiegare alcune sorprendenti correlazioni note da
anni ma che gli scienziati ancora non sono riusciti a giustificare», dice il
primo autore dello studio pubblicato su Astronomy & Astrophysics, Roberto
Serafinelli dell'Istituto Nazionale di Astrofisica di Milano, che ha condotto
la maggior parte della ricerca durante il suo dottorato all'Università degli
Studi di Roma Tor Vergata.
«Osserviamo, per esempio, una correlazione tra le masse di buchi neri super-
massicci e la dispersione di velocità delle stelle presenti nelle regioni interne
delle galassie ospiti.
Questo però non può essere dovuto all'attrazione gravitazionale del buco nero,
a causa dell'elevata distanza del gas dallo stesso.
Il nostro studio, per la prima volta, mostra come i venti del buco nero abbiano
sulla galassia un impatto su una scala più grande, fornendo probabilmente il
collegamento mancante».
Già gli astronomi avevano identificato due tipi di outflows negli spettri a raggi
X emessi dai nuclei galattici attivi, le dense regioni centrali delle galassie con
buchi neri supermassicci al centro. I cosiddetti outflows ultraveloci (UFO,
ultra-fast outflow), fatti di gas altamente ionizzato, viaggiano a velocità che
possono raggiungere il 40 per cento di quella della luce, e si osservano in
prossimità del buco nero centrale.
Gli outflows più lenti, chiamati anche "assorbitori tiepidi" (warm absorbers),
viaggiano invece a velocità assai più basse, nell'ordine delle centinaia di km/s,
e mostrano caratteristiche fisiche - come la densità delle particelle, o la loro
ionizzazione - simili a quelle della materia interstellare circostante.
Questi outflows più lenti hanno una probabilità più elevata di essere rilevati a
distanze maggiori dal centro della galassia.
Nel nuovo studio, gli scienziati descrivono un terzo tipo di outflow che combina
le caratteristiche dei due precedenti: la velocità di un UFO e le proprietà fisiche
di un assorbitore tiepido. «Riteniamo che si tratti della zona in cui l'UFO entra
in contatto la materia interstellare e la trascina via come fosse uno spazzaneve»,
spiega Serafinelli.
«È ciò che chiamiamo un outflows ultraveloce "trascinato", perché l'UFO, in
questa fase, sta penetrando nella materia interstellare.
Un po' come il vento quando sospinge la vela di una barca».
Il trascinamento avviene a una distanza dal buco nero che va da decine a centinaia
di anni luce.
L'UFO sospinge gradualmente la materia interstellare allontanandola dalle regioni
centrali della galassia, liberando queste zone dal gas e rallentando così
l'accrescimento della materia attorno al buco nero supermassiccio.
Un processo, questo, già previsto dai modelli, ma mai prima d'ora osservato nelle sue
tre fasi.
«Nei dati di XMM-Newton possiamo vedere - a grandi distanze dal centro della
galassia - materia ancora indisturbata dall'UFO proveniente dell'interno», osserva
Francesco Tombesi, dell'Università di Roma Tor Vergata e del Goddard Space Flight
Center della NASA, secondo autore dello studio. «Possiamo vedere anche nubi di gas
a minor distanza dal buco nero, vicino al nucleo della galassia, dove l'UFO ha iniziato
a interagire con la materia interstellare».
Una prima interazione, questa alla quale accenna Tombesi, che avviene a parecchi
anni di distanza da quando l'UFO ha lasciato il buco nero. Ma l'energia dell'UFO
consente al buco nero - un oggetto relativamente piccolo rispetto alla galassia - di
estendere la sua influenza su materia che si trova ben oltre la portata della sua
forza gravitazionale.
Secondo gli scienziati, attraverso gli outflows i buchi neri supermassicci
trasferiscono la loro energia nell'ambiente circostante, spazzando via gradualmente il
gas dalle regioni centrali della galassia, che potrebbe quindi arrestare la formazione
stellare.
E, in effetti, oggi le galassie producono stelle a un ritmo assai inferiore rispetto a quanto
non facessero nelle prime fasi della loro evoluzione.
«Questa è la sesta volta in cui questo tipo di outflows vengono rivelati», ricorda Serafinelli.
«Dunque è tutta scienza nuovissima.
Le fasi dell'outflows erano state osservate inprecedenza, ma separatamente: questa è la
prima volta in cui si riesce a chiarire come siano collegate l'un l'altra».
Il fattore chiave che ha consentito di distinguere i tre tipi di outflows è la risoluzione
energetica senza precedenti di XMM-Newton.
In futuro, con nuovi e più potenti osservatori come Athena, l'Advanced Telescope for
High ENergy Astrophysics dell'ESA, gli astronomi saranno in grado di osservare
centinaia di migliaia di buchi neri supermassicci, rilevando gli outflows con grande facilità.
Cento volte più sensibile di XMM-Newton, Athena dovrebbe essere lanciato nel 2030.
«Trovare una sorgente è fantastico, ma la vera svolta sarebbe scoprire che questo
fenomeno è comune nell'universo», dice Norbert Schartel, project scientist di XMM
-Newton all'ESA. «Anche con XMM-Newton, nel prossimo decennio, potremmo
essere in grado di trovare altre sorgenti come questa».
Ottenere ulteriori dati aiuterà in futuro gli scienziati a comprendere in dettaglio le
complesse interazioni tra i buchi neri supermassicci e le loro galassie ospiti, e a
capire le ragioni della riduzione - nel corso di miliardi di anni - del tasso di formazione
stellare osservata dagli astronomi.
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Fonte: articolo riportato dall'Internet
Il collasso diretto dei buchi
neri supermassicci
(Scott Woods, Western University)
Questi oggetti estremi del cosmo erano presenti già nell'epoca
primordiale dell'universo: per spiegarne l'origine, un nuovo modello
prevede che si siano formati con un processo molto rapido, e non
dal collasso di stelle
Non c'è bisogno di una stella che collassa per avere un buco nero
supermassiccio.
E questo spiega perché questo tipo di oggetti potevano essere presenti
anche nell'epoca primordiale dell'universo.
Lo afferma un nuovo studio pubblicato sulle "Astrophysical Journal
Letters" da Shantanu Basu e Arpan Das della University of Western
Ontario, in Canada.
I buchi neri supermassicci sono una tipologia di buchi neri caratterizzata
da una massa molto elevata, che arriva a milioni o miliardi di volte la
massa del Sole.
Malgrado le loro caratteristiche estreme però non sono oggetti rari: si stima
che ogni galassia o quasi ospiti nel proprio nucleo un buco nero
supermassiccio.
Sulla loro origine non c'è accordo tra gli astrofisici.
Una prima ipotesi è che derivino dall'accrescimento di buchi neri di
dimensioni normali, che a loro volta sono l'esito ultimo del collasso di
stelle giunte al termine del loro ciclo vitale.
Quando infatti le reazioni di fusione nucleare all'interno della stella hanno
trasformato quasi tutto l'idrogeno in elio, la pressione di radiazione verso
l'esterno non è più in grado di contrastare la forza gravitazionale che agisce
in senso opposto, e tutta la massa tende a concentrarsi nel nucleo.
Altre ipotesi prevedono invece che i buchi neri supermassicci si formino
in seguito al collasso di particolari tipologie di stelle o di ammassi stellari.
Nell'ultimo decennio il panorama delle conoscenze su questo argomento si
è arricchito di numerose osservazioni di buchi neri supermassicci estremamente
lontani, che ci appaiono quindi com'erano poche centinaia di milioni di anni
dopo l'origine dell'universo.
Ciò depone a favore di una formazione molto rapida e diretta di questi oggetti.
Tenuto conto di questi dati, Basu e Das propongono ora nuovo modello di
formazione dei buchi neri supermassicci basato su un'idea di base molto
semplice: la loro origine è un collasso molto rapido.
"I buchi neri supermassicci hanno avuto solo un periodo di tempo breve
per formarsi e crescere, e a un certo punto la loro produzione nell'universo
è cessata", ha spiegato Basu. "È questo lo scenario del collasso diretto".
Le simulazioni al computer dei due autori mostrano che le osservazioni e
i dati sperimentali dei buchi neri supermassicci già presenti in un'epoca
primordiale dell'universo sono compatibili con un accrescimento esponenziale
del buco nero, che inizia la sua vita con una massa compresa tra 10.000
e 100.000 masse solari. (red)
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