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da «Lettere a Maria»

Post n°11 pubblicato il 13 Maggio 2010 da lupocattivo741

1. Ora i miei pensieri sono musica e non importa più se si alzi un semitono o si scassi il pentagramma e si aggrappi la nota anima al ricciolo della chiave di sol per non cadere. Pausa. Beep beep – pausa – tlonk tlonk tlonkbzzzzzz…La risonanza magnetica suona nella mente che non cessa di ruminare, moltiplica anzi il pensiero del corpo disteso che immobile non avverte il tempo. Chissà da quanto sono qui...Questa potrebbe essere musica di un cosmo altrui, o una sinfonia del sistema di Antares, la più evidente stella dello scorpio, 15a come magnitudo, mi pare, avevo memorizzato tante stelle da un planetario in DOS del 1996, quei tempi ormai remoti di cui si può avere notizia su giornali gialli e laceri di qualche soffitta. È vero, dico a mio figlio, in quell’epoca non esisteva il cellulare o perlomeno non era l’ovvietà della comunicazione, nemmeno internet era più di una sorprendente novità, comunicare con gli antipodi, spedire una lettera attraversando 20000 km su superficie o 40000/π attraversando terra roccia roccia nucleo incandescente roccia roccia terra... (Oddio spero la matematica mi assista ancora pure sbilenca). Eh figlio mio col tuo interpone fai tutto semplice semplice, hai amici nel mondo con cui puoi comunicare istantaneamente, ma non è sempre stato così, nel 2015 a Milano si videro grandi cose, poi nel 19 ricordo che...

 

2. Davvero sembra di stare in un set di un film di fantascienza, questi macchinari ospedalieri sempre mi rammentano scene da 2001: a space Odissey, chissà se Hal mi sta leggendo i pensieri, le più nascoste cose che il cervello racchiude nei contorti cuscinetti delle meningi. Una moneta sotto il guanciale, una lettera d’amore mai spedita, una bottiglietta di profumo vuota, tutto scompigliato un letto di amanti.. Mah, sarebbe comodo, Maria, se i nostri versi si potessero tradurre da subito su supporti digitali, subito salvati dal pericolo del fuoco: si potrebbe continuare lo stesso con le stilografiche, ma per finzione, per giocare un’operazione non più necessaria, potremmo perdere il senso dell’alfabeto e sporcare fogli e fogli di carta solo con scarabocchi. Poi confrontare criticare elogiare e pubblicare non altro che q           uello, sostanza dell’inchiostro e inchiostro sostanza. Come i fumatori che smettono di fumare e tengono comunque una sigaretta spenta in mano, per gioco-memoria di gesti non più in uso. Ieri ho finto di fumare una sigaretta, accesa era accesa ma non fumai che due false boccate e la tenni in mano sino alla cenerificazione. Già, «zu Dichten ohne zu Schreiben», verseggiare senza dover scrivere era una delle attività preferite di Thomas Mann. Chissà se ci siamo persi qualcosa di impedibile nell’oblio del vortice sabbioso del secolo. Ora l’operatore mi inietta il liquido di contrasto e come mi dice, accade: un po’ di freddo risale la vena del braccio, abbiamo quasi concluso. Il tubolare ingresso del marchingegno mi restituisce ai nostri giorni. Per quanto tempo sono stato nel futuro? mah saranno venti minuti o giù di lì, chiederò a mia mamma che mi aspetta fuori. Me ne dimentico. Saranno venti minuti, suppongo, una musica di un cosmo altrui.

 

3. Ci fermiamo a Molinetto di Mazzano, a far spese et cetera, ho già in mente un caffè un tavolino un libro che ho in tasca: passo in edicola prima, e compro il giornale e un film coreano. Ahh, il ciccione geniale ne ha tratta un’altra dal cappello dei di-sogni: un uovo stampato sulla prima ‘o’ di Foglio campeggia sbeffeggiando i cortesi protestanti di Bologna: lucidissimo, viscido in una chiara stampata che fuoriesce quasi dalla carta per invaderti la mente: meglio di qualsiasi editoriale, meglio di qualsiasi difesa sventolata della libertà di pensiero o stampa, geniale Giuliano, chiunque l’abbia pensata è semplicemente un genio. Mi fermo al solito baretto dell’ipermercato e leggo una colonna sulle uova d’artista. Piero Manzoni che prima delle scatolette famose firmava gusci d’uovo e poi invitava le persone a installazioni (ma non si chiamavano ancora così, per fortuna) collettive a mangiarseli sodi nelle osterie di Milano. Già, Piero, poi vennero le scatolette e le uova rimaste sbalzarono nelle quotazioni, elevarono lo status della loro arte ‘ovazioni’ (Maurizio Crippa in quarta pagina ha sintetizzato con la consueta ironia sagace la cronaca: a lui si deve l’invenzione di «meglio l’erba dei vicini che i vicini di Erba».

Termino la colonna altri riferimenti fugaci alle uova e l’arte, genialità che scaccia la noja dela vita, provoca scossa e sferza del costume, e, in fondo, anche gli artisti di merda hanno la propria vocazione al genio.

 

4. Le tasche della mia giacca sono riconoscibili, sformate dai libri che mi porto appresso, scucite un po’ e limate, da perfetto anglosassone mi dico, ché nei momenti di stasi, sia una panchina o un tram o l’attendere una fanciulla, io ho sempre sotto mano un libro, sotto gli occhi un libro, sotto le ciglia scorre la linea di una pagina ogni volt che sono fermo. Da (im)perfetto anglosassone mi dico. Quindi in sala d’aspetto le mie due tasche laterali sono impegnate da libri. I primi tascabili che mi sono capitati oggi sono Due e l’enciclica ultima, cui voglio ridare una lettura più approfondita. Il tuo libro è sul comò, o so quasi a memoria ma prima di uscire ne leggo un brano, due. Edera, Ritorni, ritorni l’edera sopra i muri antichi...Sorrido – se mi immagini mi puoi vedere – bon van bene. Così davanti alla porta della macchina del tempo RMN prendo Benedetto dalla tasca destra, c’è anche un rosario di piccoli pezzi in legno, arrivo al capitolo ‘cs’è la vita eterna?’, mi chiama un radiologo (quelli dai colletti rossi) entro, torna al punto 1. se vuoi leggere che succede un’altra volta.

Le mie tasche sono perlopiù sformate, e immense, piene di biglietti brochures scontrini (una volta volevo cominciare a collezionarli come faceva Andy Wharol, ma per fortuna almeno a questa follia ho resistito), son al bar (punto 3.) e cerco nella tasca sx il tuo libro, leggo Navigazioni e cerco di adattarvi endecasillabi: qui sì qui no qui , leggo tre strofe poi cambio. Mi spiace ma oggi sono un po’ capriccioso...cerco altro torno sul giornale sbirciare le pagine interne, leggo un saporito titolo di Camillo Langone. Ci tornerò, arrivano i miei, ci tornerò.

 

5. Langone è simpatico e molto fissato se gli scrivi mail su argomenti che gli interessano di solito risponde... il pomeriggio è solare, una splendida nube a forma di lente si spacca in duenel cielo. Passo sotto i miei pini montaliani, scribacchio due versi incomprensibili ora, me ne  vado sul ponte a naufragare nel fiume dei pensieri, ben più nutrito dell’ormai impoverito d’acqua torrente Toscolano. Ovunque tu vada la politica regna, nei discorsi sui muri impiastricciati di facce e paroloni, nello sguardo della gente che ti vede arrivare con un giornale o l’altro. Son questi giorni che amo per vestirmi di nero, come un prete o un becchino, per seppellire le voci politicanti delle chiacchiere dei bar. Arrivo alla farmacia prendo due cose e poi mi reco in pullman a Salò. Un bel libro trovo, “Senza peso senza polvere” di Mariangela Gualtieri, mi folgora la poesia di copertina: sembra che negli ultimi tempi i poeti femmina mi ossessionino. Le poetesse, come dice la grammatica.

 

6. Oggi [è oggi 7 aprile] solito giro corto per fare incetta di informazioni e caffeina, mi fermo un poco sotto i pini montaliani. Ho in tasca Magrelli, e chissà perchébeh, lo so, è solo un appoggio retorico – mi vieni in mente tu. Stessa tasca stessa giacca neroprete di lana, con la tasca gualcita. Mi fermo e apro a caso, chedo al libro un responso: pag. 62, che bei versi:

 

Soltanto il tempo veramente scrive

usando come penna il nostro corpo.

Per le strade, nei cinema o in un letto

questa calligrafia va persa

ed è atroce l’incuria

degli dei e degli uomini.

Quello che arriva sulla carta è solo

il commento residuo d’un poema

perennemente disperso.

Chiosa frugale, calco d’un racconto,

questo è l’indice ultimo degli indici.

 

Provo ad inserire al penultimo verso: “lacerto di piume illuse dal volo”, ma mi pare scioccheria e lascio perdere. Torno a casa, mi aspetta questa lettera a finire.

In fondo quel che lamenta Magrelli  vero, ci vorrebbe la macchina futuribile del punto 1 o 2 (vedi) o chissà: secondo me già tutto è scritto e chiuso agli occhi in qualche iperuranio. Solo gli occhi dei vati, dei profeti sanno percepire barlumi di vero, parlarci pur confusi di un tempo adilà del tempo. Torno, ora penso Malli eh iniziano e finiscono allo stesso modo ed ora

 

7. Ed ora non aprirò pi noce senza rincontrare te, nell’arsa protezione del gheriglio, Accidenti ai miei giochi di parole.

 

 
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Noja

Post n°10 pubblicato il 13 Maggio 2010 da lupocattivo741

Noja mondo, noja e raffreddore...mi è capitato stamani di pensare, nel cunicolo della risonanza magnetica, all'improbabilità che tutto il concerto sonore avrebbe se fosse dichiarato 'musica'. Eppure per contro ho ritenuto che pur nel totale sperimentalismo della cosa vi fosse del fascino, e che dopotutto per radio trasmettono di peggio, per esempio quella cantante che ricanta con voce impertinente e petulante canzoni vecchie, non so come si chiami, non m'importa. Una volta mandai a Maria una lettera in cui descrivevo questa strana atmosfera mentale, mentre si è lì nel buco a contemplare suoni che paion marziani. 

Ora la cerco, se dovessi trovarla l'incollerò qui.

 
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Parole in libertà

Post n°9 pubblicato il 26 Marzo 2010 da lupocattivo741

Se i sogni avessero senso, saprei cosa dire & fare, cosa & dove & quando. Ma le mattine evaporano i cinemascope colorati quasi vissuti e ne lasciano il sapore dolce per due minuti, giusto per alzarsi e farsi il caffè, giusto per decidere un quanto di zucchero per scacciare l'amaro che segue, che sa di perduto, di odiosamente presente e no. Allora invece di segnarmi un nuovo capitolo nel diario onirico, invece di rattoppare le visioni e scioglierle in una trama coerente mi do alla caffeomanzia, leggo il destino del giorno nei peregrini disegni che la schiumetta crea sulla superficie. Da tre giorni, e da tre giorni ci azzecco, in giornata accade ciò che sillabo mentre l'aroma s'impossessa delle narici, quasi la coda del sogno disfatto, che pretende un senso e lo svolgerà a mezzodì, o il pomeriggio, o la sera, quando non aspetto più il mio vaticinio. Così è la realtà, intrico di tutti gli eventi, matassa eterna e misteriosa, che tutto un tratto viene a scardinare la tua ragionevolezza e fingere che l'atto sia arrivato, tocca a te, ecco vedi accade come avevi predetto, come può essere, come può essere...ma succede, succede. E il giorno si anima di spettri di parole, direzioni, sentimenti. Libertà o tela di ragno dove tutti sostiamo.

 
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A volte tornano

Post n°8 pubblicato il 21 Marzo 2010 da lupocattivo741

Post it giallognolo. promesso, tornerò, scritto in grafite sbavata e appiccicato sulla porta del frigo. Bonjour, bonjour primtemps. Intanto un vecchio libro scovato nella libreria di papà.

 

 

Nantas Salvalaggio
Malpaga

Chi sussurra nella memoria…un io sottilissimo e incompleto al naufragio fra giochi di neuroni incalcolabili quanti gli atomi nell’universo. Chi parla dentro la testa, ove rimbalza o alligna ogni analogia con le cose le sequenze sd’eventi, il brodo primordiale dell’esperienza a guida del nostro agire, allo scatto breve di ogni lettera battuta sulla tastiera – e il bianco che man mano viene meno attruppando le milizie dell’inchiostro liberate da un solo, asratto punto di pensiero. Circolo vizioso, innutile giro di giostra, percorrere la memoria fermandoci dopo un capitolo letto a un’immagine gà vissuta, a materia stata. Malpaga, un libro bello e oramai ignoto del fu Salvalaggio, con quel nome antico come l’ebraico. Il capitolo primo, la caduta delle olive così magistralmente raccontata e sensibile come a porgere orecchio a un uliveto affaccendato, lo lessi ancor bambino sforbiciato in un’antologia. Chi si rammenta di questo libro, della sua bellezza densa, di questo paesello immaginario sito presso il Garda? Cercatelo, magari con un po’ di fortuna potrete leggerlo. Storie passate, come vere, memoria che si raggruma e finge eterna, sullo spazio concessole dalla fragile nettezza delle pagine.

 

 
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aspetta che or ora mi sveglio

Post n°7 pubblicato il 23 Settembre 2009 da lupocattivo741

Nottataccia. Sotto un dente il giudizio, battendo a intermittenza una lama che mi divide in pensiero e sonno, in vago soffrire e stoico procedere, a tratti, il guardare le ore che cambiano con regolarità insopportabile, la proiettate in rosso sul soffitto. Mi alzo, proviamo un po', in cucina un bicchiere di latte e sfogliare la guida tivù, vedere se fuori orario di questa settimana propone qualcosa di veramente fuori. Vorrei esserci: fuori dai soliti circuiti, fuori dalle scatole di tutti, fuori dal mercato, fuori dal saluto del solito caffè del solito bar. Dublino. Dovrei andarci in ottobre, ma i miei compari di viaggio sono una congerie tanto mal in sorte che temo che se stessi male mi lascerebbero al bordo di una strada a diventare una foglia secca e marcia di quell'autunno ignoto. Piovoso, come no. Torno al mio dente, o a qualsivoglia maledetto caos nella mandibola che percuote ogni tanto, ogni poco. Stronzo di dolore, va be'. Prendo un foglietto dalla rubrica telefonica, al buio solo schiarito all'angolo da un paralume, con la linea di luce che dal frigo solo accostato promana sul pavimento. Chiudo il frigo per bene, premo più del dovuto, accendo la luce. Rosa carico, proprio questo colore mi deve capitare? Che nervi, chi compra questi foglietti rosa? Mah, prendo la guida tv ma invece di aprirla e metterci il naso la uso come base per il mio improvvisat scrittoio. Chi sa come scrivo, tartassato nel cervello da un timbro ostile...Niente medicine, già son troppe. Domani, forse, un antbiotico per sfiammare. Scribacchiamo in stampatello, ché abbiamo sonno, se davvero per ammazzare il tempo del riposo prendiamo la punta di penna,  infilziamolo per bene, una traccia che non scompaia al mattino come vapore di sogno. Dunque:

Mi ci provo a scrivere.
 Il dente martella, ogni
tre secondi ascolto in tutto il cranio
un lampo: taglia la mascella
 e parte in parabola, onnivoro
in tutti i pensieri.
Mi ci provo, dettagliare, scrivere
 «il dolore è stupido», ma è il piccolo
orizzonte intero
dell'arco dell'istante, che spezza
i sensi. Altri tre secondi idioti
e poi, sull'incudine dell'osso percuoti.
Almeno Il foglietto avesse un'anima
e carta carne, 
e l'occhio che legge intesa
il dolore sarebbe un margine, umano, esprimibile
oltre il vuoto della cucina di notte,
oltre la solitudine che ti dice il nervo.
Al di là dell'ordine,
o bene o male o stupida scienza - non so che farne,
un'altra linea d0inchiostro schiaccio la penna, 
osservo,
trovo solo la percossa
nel mezzo dlla bocca: membrane, ossa,
anche questo sono, e pure coscienza,
  sferza di elettriche pulsazioni,
nella catena del sentire, in sotterranea scossa
che cade a sé come carezza
sull'onda dei neuroni.

Spengo la luce, rientro a letto, spero di aprire un varco al sonno, di nutrire l'anima di altri colori. Sopra il tavolo rimane un foglietto rosa sporcato di buio.

 
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