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E' giallo sul fegato di Raciti: ecco tutti i dubbi sulla morte del commissario di polizia

Post n°3 pubblicato il 17 Aprile 2007 da Principe_di_Mestre
 
Tag: Altro

Due perizie medico-legali inconciliabili. Accusa e difesa che duellano sui referti. E’ lì che si decide il caso Raciti. Almeno secondo Lipera e Coco, i legali di A.S., il minorenne ancora in galera per la morte dell’ispettore di Polizia durante gli scontri del derby Catania-Palermo. La polemica sul nuovo video saltato fuori l’altro giorno, infatti, non ha modificato granché le posizioni: secondo gli investigatori dimostrerebbe che il poliziotto era stato colpito prima delle 20.15, ma la difesa replica che quelle sequenze non erano nemmeno state prese in considerazione dal Gip e dal Tribunale della Libertà.

La sostanza è che la frattura di quattro costole e la rottura di un fegato sono state provocate da non si sa cosa. Un sottolavabo in lamiera lanciato a di ariete dagli ultrà alle 19.07-19.08? Oppure la retromarcia impacciata e frettolosa di un Discovery della polizia guidato da uno dei compagni di Raciti alle 20.20 circa? Questo è il dilemma chiave. Eppure le stranezze non finiscono qui e ci ritorneremo tra poco.

Affari ha riportato l’ipotesi ventilata da Lipera di una riesumazione del cadavere per una perizia collegiale che dirima il conflitto medico-legale. Su questo punto il pool dei difensori incalza da tempo il Gip Alessandra Chierego che, invece, ha rigettato la richiesta di un nuovo esame sulle tracce di sangue rinvenute sulla parte posteriore del giubbotto e della maglietta indossati dall’ispettore. Non solo, il magistrato ha ribadito che senza dubbio “la morte è dovuta alla rottura del fegato” e ha affermato con determinazione che il Discovery della polizia “si sarebbe fermato prima di un possibile impatto”, smentendo in pratica la squadra mobile di Catania e il racconto di S.L.. Il 46enne collega di Raciti, infatti, quella sera era alla guida del mezzo e ha sostenuto di aver sentito un tonfo violento, intorno alle 20.20, dopo aver effettuato una brusca retromarcia, di essersi voltato e di aver visto Raciti che “si metteva le mani in faccia e si accasciava”. A questo punto, o sbaglia la polizia oppure sbaglia il Gip

Affari, è ironica e tagliente: “La Chierego ha avuto un atteggiamento arrogante. Fa tutto lei, il bello e il cattivo tempo. Nessuno l’aveva interpellata. Si sente una specie di oracolo…”. A proposito delle macchie sul giubbotto e sulla t-shirt il legale racconta: “Ci ha accusato di fare illazioni. Noi avevamo semplicemente rilevato che quelle tracce hanno una provenienza strana. Volevamo solo capire se ci potessero essere altri organi interessati da traumi oltre al fegato. Lei marcia con cieca ostinazione sulla sua strada mentre noi chiediamo soltanto la verità”.

A questo punto però sorge un altro interrogativo: il Gip Chierego sostiene che il sangue sul lato posteriore dei due indumenti è dovuto a un’emorragia dal naso. Eppure sembra più normale che, in un caso del genere, le macchie insistano sul davanti o al massimo sulle spalle piuttosto che sul retro di giubbotto e maglietta. Ora la quarta sezione penale della Cassazione deciderà in merito alla richiesta di scarcerazione del 17enne. Lipera chiosa: “Non faccio pronostici, ma so solo che per un reato così (resistenza aggravata a pubblico ufficiale, ndr) a Catania in galera c’è solo il nostro ragazzo”.

Torniamo però alla perizia medica collegiale su cui la difesa insiste e alle diverse incongruenze di tutta la vicenda. Eccone un’altra. Nel ricorso in Cassazione per la scarcerazione di A.S., datato 12 aprile, Lipera e Coco riportano un passaggio delle motivazioni con cui il Gip ha rigettato la richiesta d’accertamento peritale. Nel documento si sostiene che quest’ultimo è “da effettuarsi inevitabilmente sugli atti, attesa la natura dell’organo lesionato, oramai disperso…”.

La difesa però si domanda: “Come è possibile che l’organo che ha riportato le lesioni risultate letali per la vittima sia andato disperso? La procedura standard concernente l’esame autoptico, soprattutto in un caso di omicidio, non prevede che gli organi sui quali si sono evidenziate le lesioni che hanno condotto all’exitus mortale vengano adeguatamente conservati dopo l’autopsia per impedirne la decomposizione? Se così è, perché non si è provveduto a questo specifico e doveroso incombente che avrebbe consentito a tutte le parti processuali di esaminare direttamente l’organo lesionato, invece di dover eventualmente ricorrere solo alla visione delle riproduzioni fotografiche?”.

“E’ evidente che tutto questo non può non suscitare enormi perplessità ed inquietanti interrogativi che meritano una esauriente risposta”, chiudono Coco e Lipera. Quest’ultimo poi chiosa ad Affari: “Io mi riservo di andare a fondo a questa vicenda. Se le cose stanno così, si tratta di un fatto gravissimo. Vedremo”.

Ulisse Spinnato Vega

                                          

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