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Post N° 14

Post n°14 pubblicato il 01 Maggio 2008 da brigante10


La storia d'Italia vista dalla parte del Sud





L’invasione
del Regno delle due Sicilie


Il
12 Ottobre 1860, un giorno dopo la
decisione della Camera torinese e prima del voto del Senato e nove giorni prima
della farsesca messa in scena del “Plebiscito” (21 ottobre 1860) il generale Enrico Cialdini penetrò nel Regno di
Napoli con 8.000 uomini dalla parte di Perugia; altri trentamila entrarono da Pescara. Il 15 ottobre Farini e
Vittorio Emanuele II varcarono la frontiera del Regno delle Due Sicilie,
entrarono in Giulianova, giunsero a Chieti il 17 e a Popoli il 19 ove “…dovevano
attestarsi parecchie divisioni dell’esercito sardo che da più parti avevano
invaso, senza verun pretesto di guerra, gli Stati del Re Francesco II stretto
congiunto di Vittorio Emanuele. Altre divisioni furono portate per mare a
Napoli, d’onde mossero subito verso Isernia, per congiungersi con quelle
accolte verso Popoli, e quindi assalire le difese preparate dai napoletani, tra
il Volturno ed il Garigliano
”.(La Civiltà Cattolica, Serie IV, Vol.VIII,
anno 1860, pag.375)


Vittorio
Emanuele II entrò nel Reame il 15 Ottobre, sei giorni prima del Plebiscito da
eletto, e fu ricevuto sul ponte del Tronto dal Governatore di Teramo, il
traditore De Virgili e dal generale disertore e traditore de Benedictis.


.


Garibaldi
intanto se la passava male:continuava ad essere battuto dai regi. Era sul punto
di essere sconfitto. Dall’8 al 15 ottobre lui ed i suoi banditi, ormai allo
stremo delle forze anche se assistiti continuamente dagli inglesi con denari,
armi, munizioni e supplemento di mercenari, venivano martellati senza posa; ciò
determinò l’urgenza dell’invasione del Regno di Napoli da parte delle truppe
regolari piemontesi.

Camere
Torinesi


Giuntagli
notizia che i Borbonici stavano riorganizzando l’esercito, il malefico Cavour convocò le Camere per il 2 Ottobre.
Naturalmente non si trattava delle camere della sua villa a Moncalieri, dove
era solito, secondo il racconto del Curletti, ricevere ragazze minorenni, ma
quelle del Parlamento torinese ormai paragonabile a bordello o a cloaca maxima della politica e del
servaggio alle sette massoniche. Pochissimi, e per isbaglio, erano gli
uomini veramente liberi dal cappio massonico. Cavour fece distribuire ai
deputati il discorso che riportiamo e cominciò a blaterare e a ciarlare:


<< Il Parlamento è già tre mesi che
die’ al ministero cinquanta milioni; con essi s’è secondata la fortuna, e
compiuto imprese da segnar orme profonde nella storia del risorgimento
italiano. Con quel denaro liberammo Umbria e Marche, e fuorché Venezia, tutta
Italia. (Confessava dunque aver liberata Napoli coi denari, nda..).
Venezia e Roma non possiamo aver subito, senza chiamar qui tutta
Europa; ma Roma necessario capo d’Italia , potremo tra sei mesi, con mezzi
morali ottenere. S’avanza l’universal convincimento che, nelle società moderne
il sentimento liberale, sorregge quello religioso. Quanto al reame, non
possiamo lasciar quei popoli nella incertezza del provvisorio, o l’anarchia
divorerà la patria comune, e il movimento nazionale esporrebbe a pericoli estremi
le province già liberare, e quelle di recente liberate. Napoli deve votare come
Toscana, incondizionatamente; qualunque condizione sarebbe ingiuriosa al
resto d’Italia, e contraria al suo organamento. Il pensiero garibaldesco di
differire il voto, sarebbe ruinoso. Una nazione di 22 milioni opera da sé, né
si fa da altri imporre il suo cammino. Se quando Napoli era staccato dal
Piemonte parea ragionevole ritardare l’annessione, ciò svaniva dopo prese
Umbria e Marche. (Così una usurpazione dava dritto all’altra nda.). Siamo
a tale che l’era rivoluzionaria dev’essere chiusa per noi; perché per noi la
rivoluzione è mezzo, non fine.
>> [1]


Costui confessava, dunque, che con l’oro
massonico aveva comprato la libertà delle nazioni italiane colonizzandole e che
Napoli, in pratica, incondizionatamente, avrebbe dovuto,come la Toscana,
votare l’annessione. Dunque far votare solo i liberal-massoni e magari più
volte e più persone nello stesso seggio.


Tutto
illegale, dunque. Il Sud, oggi, davanti alle sedi opportune (Comunità Europea,
ONU, Corte dell’Aia) può chiedere la sua indipendenza che gli è stata rapita
con le armi, con la frode e il genocidio.



Parlamento bordello illegittimo.
 La
Camera torinese, pur stracolma di affiliati alle varie logge massoniche, rimase
attonita e stette parecchi giorni a discutere su cotanta barbarie.


Dagli
atti ufficiali del parlamento torinese, pag. 546 n° 140,apprendiamo che
il deputato Cabella il 5 Ottobre chiese al Presidente del Consiglio “... il
deposito di quei documenti, che senza danno della cosa pubblica potessero
essere comunicati al Parlamento ... e se noi dobbiamo giudicare il Sistema del
Conte di Cavour e i suoi disegni ce li faccia prima conoscere ... essi
dipendono da cause che ci possono essere ignote: sono l’esecuzione di disegni
che hanno bisogno d’essere rivelati
... e se il Ministero ha deciso di entrare
in una via, dalla quale non può più ritirarsi e ch’egli deve forzatamente
percorrere a qualunque costo fino ad un risultato finale, egli ha dovuto avere
tali argomenti di sicurezza da potervisi, senza pericolo grave dello Stato,
avventurare
”. Il Conte di Cavour (forse per la Ragion di Stato, quello
piemontese si intende) rifiutò decisamente e beffardamente di mostrare i
documenti richiesti “... perché non possiamo dire che la questione
dell’Umbria e delle Marche sia terminata in quanto le Potenze straniere non
hanno ancora legittimato le nostre conquiste con il riconoscimento ufficiale
... io dichiaro che, coscienziosamente, stimerei far cosa nociva e
pericolosa se venissi a comunicare quali siano i documenti segreti intorno a
questa impresa (invasione degli Stati Pontifici) scambiati tra il governo di
Sua Maestà e le Potenze estere”
.

La
presa di Napoli


Nel
Giugno del 1860 Francesco II fece alcune concessioni circa l’organizzazione
della Guardia Nazionale. I galantuomini liberali ne approfittarono immediatamente: arruolarono
corpi armati volontari costituiti per la maggior parte da borghesi, artigiani,
nullafacenti e ladri. La massoneria internazionale e Cavour non badavano a
spese. Nell’estate del 1860 i moti insurrezionali preparati ad arte cominciarono a dare i frutti sperati dal
primo ministro piemontese. La Calabria, la Basilicata ed il Cilento risposero
per primi alle sollecitazioni rivoluzionarie del Piemonte. Pochi idealisti di queste regioni, uniti alla feccia
liberal-massonica, contribuirono non
poco al crollo militare borbonico a sud di Napoli. Le insurrezioni dovevano
servire come alibi ai generali borbonici, pagati dalla massoneria, a tradire la
patria Napoletana.


Il
Garibaldi, senza combattere e senza sparare un colpo di fucile, si stava
dirigendo verso Salerno. Francesco II, mal consigliato dai suoi generali ,
lasciò la capitale nelle mani di don Liborio Romano, ministro dell’Interno del
Regno delle Due Sicilie nonché massone dichiarato, e si imbarcò sulla nave Messaggero
per raggiungere la fortezza di Gaeta. Napoli fu affidata nelle mani della
milizia cittadina. Appena partito il Re, il ministro don Liborio Romano inviò
al venerabile fratello don Peppino Garibaldi le seguente lettera:” All’
invittissimo Generale Garibaldi, Dittatore delle Due Sicilie, Liborio Romano
Ministro dell’Interno.


Con
la maggiore impazienza Napoli attende il suo arrivo per salutarla il Redentore
d’Italia, e deporre nelle sue mani i poteri dello Stato ed i propri destini. In
questa aspettativa io starò saldo a tutela dell’ordine e della tranquillità
pubblica: la sua voce, già da me resa nota al popolo, è il più gran pegno del
successo di tali assunti. Mi attendo gli ulteriori ordini suoi e sono con
illimitato rispetto. Napoli, 7 settembre 1860. Di lei dittatore Invittissimo, Liborio Romano “.
( La Civiltà
Cattolica, Serie IV, Vol. VIII, 1860, pag. 357)





Il carognone, massone e liberale, stava consegnando lo Stato
delle Due Sicilie nelle mani del bandito Garibaldi. Tra “ don “ se la
intendevano! Entrambi mercenari della massoneria ed entrambi servi di
Londra. Spedita la missiva al nizzardo, il ministro traditore
anche capo della Polizia, fece affiggere per le strade di Napoli il seguente
bando:<< Cittadini. Chi vi raccomanda l’ordine e la tranquillità in
questi solenni momenti
è il liberatore d’Italia, è il Generale Garibaldi. Osereste non essere docili a
quella voce? No certamente. Egli arriverà fra poche ore in mezzo a noi, ed il
plauso che ne otterrà chiunque avrà concorso nel suo sublime intento, sarà la
gloria più bella cui cittadino italiano possa aspirare. Io, quindi, miei buoni
cittadini, aspetto da voi quel che il Dittatore Garibaldi vi raccomanda ed
aspetta. Napoli, 7 Settembre 1860. Il Ministro dell’Interno e della Polizia
Generale
. Liborio Romano>>. (La Civiltà Cattolica, Serie IV,
Vol.VIII, anno 1860, pag.358 )


I napoletani, inebetiti dagli eventi, non si
rendevano conto che quegli atti stavano per decretare la morte del Regno delle
Due Sicilie, la perdita della loro indipendenza e autonomia; non si rendevano conto, in quei
giorni infelici, di perdere la libertà; non si rendevano conto che stavano
consegnando nelle mani di un mercenario filibustiere le loro ricchezze ed il
loro destino; che costui, repubblicano convinto, stava per regalare ai
criminali Savoia le chiavi del Regno Felice; che aveva approvato le 700 fucilazioni ordinate da Nino Bixio e le molte
altre eseguite dai mercenari
in camicia rossa; che di lì a poco la loro terra si
sarebbe riempita di cadaveri, di croci, di fame, di miseria. I Napolitani non
avrebbero mai potuto immaginare, che di lì a pochi mesi, i cosiddetti liberatori
del Nord avrebbero incarcerato migliaia di cittadini senza rispetto per le
donne, bambini, preti e fatto
fucilare centinaia di migliaia di
contadini, un vero macello, una ecatombe, vera barbarie nella terra che diede al mondo la civiltà. I napoletani
non potevano mai immaginare che i Savoia fatti passare per italiani in
realtà appartenevano ad una Super-Nazione chiamata Massoneria e che di
italiano non avevano niente, nemmeno la lingua. I napoletani non si chiedevano
perché Garibaldi fosse andato a “liberare” la Sicilia anziché la sua Nizza e la
Savoia vendute da Cavour. I napoletani
commisero un errore tremendo: non si
ribellarono immediatamente ai barbari venuti dal Nord. Per la supina remissione
di allora, ancora oggi stanno pagando amaramente in disoccupazione ed
emigrazione. I napoletani non immaginavano che di lì a pochi giorni, Napoli, da
Capitale di un Regno ricco e felice, prospero e libero da 730 anni, sarebbe
diventata una città di provincia piena di disoccupati, di camorristi e di
emigranti.


Il
Garibaldi, con gratitudine infinita, prima di partire da Salerno, mandò la seguente proclamazione al Popolo
Napoletano, usando tutta l’ipocrisia di cui era capace in quei momenti per noi infelici:
< Generale, vi è innanzi il Ministero di Francesco II: ma noi ne
accettammo la potestà, per far di noi un sacrifizio al nostro paese( e
pigliarci i bei soldi, dovuti ai ministri che ne avevano tanto di bisogno!
aggiunge il Buttà da cui abbiamo attinto codesto papiello a pagina 225
del suo capolavoro Un Viaggio da Boccadifalco a Gaeta) L’accettammo
in difficile momento, quando il pensiero dell’unità italiana con Vittorio
Emanuele, che da gran tempo agitava gli spiriti napoletani, sostenuto dalla
vostra spada, era già onnipotente; quando era cessata ogni fiducia tra
sudditi e sovrano; quando antichi rancori e diffidenze, riprodotte dalle ridate
libertà costituzionali, facevano che il reame stesse angosciato per tema di
nuove violente dimostrazioni. Accettammo il potere nel fine di mantenere
l’ordine pubblico e salvare lo Stato dalla guerra civile. Il paese comprese
questo nostro intento, e ne apprezzò gli sforzi. A noi mancò la confidenza dei
nostri concittadini; e noi dobbiamo al loro concorso( dei camorristi, ndr)
l’aver preservata questa città dagli atti di violenza e distruzione, fra tanti
odii di partiti. Generale, tutti i popoli del Regno, sia per sollevazioni
aperte, sia per istampe, ed in altri modi, han manifestato chiaramente la
volontà di voler far parte della gran patria italiana, sotto lo scettro di
Vittorio Emanuele, voi siete il simbolo più alto di questa volontà e di questo
pensiero: però in voi si girano tutti gli sguardi, in voi tutte le speranze son
poste. E noi, depositari della potestà, noi pure cittadini italiani,
trasmettiamo il potere nelle vostre mani, certo che il terrete con vigore, e
che saprete menare la patria verso il nobile scopo ch’è scritto sulle vostre
vittoriose bandiere, impresso nei cuori di tutti: Italia e Vittorio
Emanuele>.


Ma
don Liborio Romano, ultimo ministro di Francesco II e primo ministro di
Garibaldi, non potè leggere il papiello perché la folla oceanica fatta
affluire dai camorristi fu veramente vibrante e la festa “... organizzata così bene ch’egli stesso
rimase vittima del proprio zelo. La ressa infatti fu tale che, quando il
Liberatore scese dal treno , Don Liborio non riuscì ad affiancarglisi ed il suo
messaggio di benvenuto si perse tra le grida della folla. Fu il principio della
fine della sua carriera...”
( Marco Nozza- Indro Montanelli, Garibaldi,
Rizzoli Editori, Milano, 1992, pag. 398)


Don
Liborio Romano, fratello di setta di don
Peppino Garibaldi e della consorteria internazionale, porse i suoi servigi al
nizzardo anziché arrestarlo e fucilarlo, e sì che di motivi ne aveva a iosa: il
Pirata dei Due Mondi era uno straniero invasore venuto a depredare e ad
usurpare un Regno, era un mercenario al soldo inglese, era un criminale di
guerra per aver ordinato eccidi e fucilazioni di inermi cittadini a Bronte e
nella fascia etnea su ordine del console inglese, e ancora a Montemiletto, a
Isernia.


Don Liborio Romano faceva parte di quella
specie umana capace di tutto, di trasformarsi come i camaleonti e di rigenerarsi in un attimo, di tradire la terra in cui era nato ed erano
sepolti i suoi antenati, di inchinarsi
davanti ad un mercenario. Ladri e malfattori, massoni e camorristi
se la intendevano alla perfezione.
Tratto dal libro " Le stragi e gli eccidi dei Savoia" di Antonio Ciano
Per contatti: antoniociano@virgilio.it

 
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