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1898: strage a Milano

Post n°18 pubblicato il 07 Maggio 2008 da brigante10


L’eccidio di Bava Beccaris, 300 morti

Nel 1898 l’Italia tutta era alla fame; il popolo da Nord a Sud chiedeva pane e solo pane. I disordini ed i tumulti si susseguivano dappertutto. L’accumulazione capitalistica da parte di alcune famiglie del Nord aveva dei costi, tutti pagati dalla classe contadina e poi da quella operaia. Il partito liberale sentiva la corda al collo, sentiva lo scricchiolare ed il vacillare della ideologia liberista. Gli scandali si susseguivano, quello della Banca Romana portati alla luce da una commissione parlamentare avevano dato il colpo di grazia alla politica di arricchimento per alcuni e di fame per la maggior parte del popolo italiano. Scioperi, tumulti, sommosse stavano scompaginando la nazione infetta liberale e massonica. Gli operai ed i contadini, non più isolati, organizzati in circoli ed associazioni socialiste e cattoliche cominciarono a prendere coscienza della loro forza. Vi era la sensazione che da un momento all’altro qualcosa dovesse succedere di grave, così fu. Questa volta toccò agli operai del profondo Nord della penisola. Dal 6 al 9 maggio del 1898 il generale Bava Beccaris mise a ferro e fuoco Milano. Questo signore, da generale dell’esercito piemontese ( ci rifiutiamo di chiamare italiani gente in divisa che sa solo sparare su inermi cittadini) diventò un macellaio, a Napoli si direbbe un chianchiere: proclamò lo stato d’assedio per tutta la provincia e mise in funzione i tribunali militari. La borghesia milanese, come oggi, povera di idee, per paura di una rivoluzione socialista, ruppe gli indugi:”...il governo, le autorità militari, i conservatori, decisero di reagire- racconta Rosario Villari- Appena formato il ministero nel marzo del 1896, il marchese di Rudinì diede l’avvio allo smantellamento delle associazioni e dei circoli socialisti e cattolici e anche quegli istituti di solidarietà operaia e contadina ( società di soccorso, camere del lavoro, cooperative) che con i propri mezzi aiutavano i più diseredati.
Furono altresì sciolti i comitati regionali cattolici come le loro associazioni ed organizzazioni. Il governo sabaudo il cui ministro degli interni era il marchese di Rudinì sciolse 70 comitati diocesani, 2600 parrocchiali. Furono sospesi e chiusi giornali socialisti, anarchici e cattolici e arrestati direttori di testate vicino alla classe operaia e contadina. Tra gli arrestati vi fu don Davide Albertario direttore dell’Osservatore Cattolico, giudicato dal tribunale militare e condannato a tre anni di carcere e mille lire di multa; ( Gerlando Lentini, La bugia risorgimentale, Ibidem, pag. 82) il filosofo Antonio Labriola fu censurato dal governo per aver tenuto all’università di Roma un discorso sulla libertà della scienza; lo storico socialista Ettore Ciccotti fu sospeso dall’insegnamento e destituito. Anche gli intellettuali liberali non potevano rimanere insensibili alle sopraffazioni e alle misure repressive governative, e , uno di loro, uno dei fondatori del Corriere della Sera, Eugenio Torrelli Viollier prese posizione contro la politica autoritaria sabauda. Viollier si dimise dalla direzione del giornale milanese il 2 di giugno del 1898 e “...due giorni dopo- ci fa sapere Rosario Villari in un articolo pubblicato su La Repubblica nel 1998 nel centenario di quei fatti- farà al suo amico e storico Pasquale Villari, una drammatica relazione di quanto successo durante le giornate che videro Bava Beccaris fronteggiare con le armi un pacifico sciopero che si era fatto passare per rivoluzione...”. Quella non era una rivoluzione ma i capitalisti padani, coccolati ed aiutati fino all’inverosimile dalla corte Sabauda e dai loro governi lecchini e corrotti, per paura, e solo per paura, chiesero al re cosiddetto buono, Umberto I di Savoia, una repressione brutale e barbara. Ecco i fatti raccontati dal liberale Viollier ripresi dal quotidiano “ La Repubblica” ed esposti da Lucio Villari:” I moti di Milano li ha ingranditi la paura generale, li ha ingranditi non soltanto nell’immaginazione, ma nella realtà. Hanno avuto paura degli operai; ebbero paura gli industriali che chiusero gli stabilimenti( ed erano la maggioranza) ove gli operai avevano continuato a lavorare; ebbe paura la borghesia, che immaginò che il gran giorno della rivoluzione fosse giunto; ebbero paura le autorità che non si fidavano nella resistenza dell’esercito. La paura gettò sulla strada tutti gli operai di Milano; la paura fece ammazzare un centinaio di persone, e ferirne più o meno gravemente parecchie centinaia; la paura ha fatto credere in tutta Italia che la nostra città fosse a due dita da una catastrofe; la paura ha fatto sì che siamo fuori dalla legge, e che sia stata sospesa ogni libertà, ogni guarentigia costituzionale.” Villari ci racconta come era nata quella paura: nel primo sabato di maggio alla Pirelli, poco dopo l’inizio della giornata di lavoro, una parte degli operai, i più giovani, abbandonarono gli attrezzi e le macchine riversandosi sul piazzale. Un centinaio di ragazze si misero alla testa di un corteo che, mentre risuonava l’inno dei lavoratori, si mosse da via Palestro verso corso Venezia. Lo sciopero era stato proclamato per un gesto di solidarietà con coloro che in altre città erano stati bastonati, feriti e processati per aver chiesto la riduzione del prezzo del pane. Il corteo fu subito tagliato in due da un drappello di cavalleria che separò gli uomini dalle donne. In corso Venezia la cavalleria disperse la testa del corteo sparendo poi oltre porta Venezia; ma il timore che tornasse spinse alcuni operai a fermare due tram e metterli di traverso per la strada. A questo punto arrivò la fanteria che, accolta da una sassaiola, aprì il fuoco uccidendo due persone. L’incidente si sarebbe concluso con questi due morti, se alla notizia dello sciopero della Pirelli, i proprietari di quasi tutti gli stabilimenti industriali e dei cantieri edili non avessero ordinato la sospensione del lavoro. Su questa drammatica giornata calò la sera...due cannonate sparate la mattina di domenica a Porta Ticinese da cui avrebbero dovuto entrare, secondo voci sparse ad arte, gli studenti universitari provenienti da Pavia. Le esplosioni invece uccisero solo alcuni inermi cittadini. Bava Beccaris restò indeciso sul da farsi e alle due telegrafò al re che l’ordine era ristabilito. Nel pomeriggio si sparse la notizia che bande di emigrati anarchici e socialisti stavano affluendo a Milano dalla Svizzera e dalla Francia per congiungersi con i fantomatici studenti di Pavia. A sera l’esercito prese il controllo di tutte le operazioni; a mezzanotte Torelli Viollier intercettò al telefono un messaggio del comandante di Porta Magenta al generale Bava Beccaris: . Nel corso della notte la cavalleria e l’artiglieria presero posizione nelle strade più importanti, sparando alla cieca ovunque fosse segnalata la presenza di “rivoltosi”; a corso Garibaldi furono uccise due donne. Colpi di cannone e di fucili ormai venivano sparati all’impazzata: Milano era in stato d’assedio e a decine si contavano i morti ed i feriti. Fu dato l’ordine di sparare a vista. In fondo al viale della Concordia - racconta Torelli Viollier - ci sono le cascine Acquabella, ad un chilometro e mezzo: i contadini, udendo sparare correvano alle loro case e cadevano sotto i colpi che partivano dal bastione. D’altra parte i cittadini che rincasavano in via Vivajo erano fucilati. due impiegati del Monte di Pietà che rincasavano, traversando i giardini pubblici, furono uccisi; ad un mio redattore, che faceva altrettanto, fu sparata una fucilata, ma per fortuna non lo colpì. Insomma una quarantina di persone innocenti furono così uccise nella città tranquillissima”. Questi i fatti esposti dal Voillier, liberale ma onesto cronista. I morti furono oltre trecento; i feriti oltre 450. Tra i soldati i morti furono due, dei quali uno fucilato per non aver voluto sparare sugli operai.
Bava Beccaris sarà ricordato dalla storia come un beccaio, come un macellaio, come un assassino, come un criminale e perciò il re buono, il re Umberto I di Savoia, altro assassino e massacratore di popoli conferì al massacratore dei milanesi Bava Beccaris, la Croce di Grande Ufficiale per il servizio reso alle istituzioni e alla civiltà. Così si legge nella motivazione.
Per i Savoia, gli eccidi ed i massacri erano atti di civiltà.
Tratto dal libro " Le stragi e gli eccidi dei Savoia"
di Antonio Ciano ( antoniociano@virgilio.it )

 
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