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I LUOGHI COMUNI SUL DEBITO

Post n°1151 pubblicato il 17 Aprile 2021 da fresbe
 
Foto di fresbe

Quanti sono i luoghi comuni sul debito? “Il fardello del debito pubblico, la palla al piede, il peso per le future generazioni, il fattore di rischio per il fantasma dello spread”. 

Tutte cose senza senso a cui si accompagnano le immaginifiche ricette per “aggredire il debito con le privatizzazioni, contenere il debito con i tagli della spesa, i sacrifici oggi per lasciare meno debito alle prossime generazioni”. Ebbene, si tratta di nozioni prive di fondamento logico ed economico, pertanto rifiutiamo in toto questa narrazione.
Va detto a chiare lettere che il debito pubblico non è una scoria, una pila di letame che prima o poi bisognerà spalare: il debito pubblico altro non è che il risparmio privato. Ogni generazione lascia alla successiva debiti e crediti ma la particolarità del debito pubblico è che è un debito che non dovrà mai essere ripagato perché da quando esiste viene semplicemente rinnovato. I nostri padri sono felicemente convissuti con il debito pubblico dei nostri nonni e noi siamo felicemente convissuti con il debito pubblico dei nostri padri ricevendone in eredità case, aziende e risparmi che, secondo l’ultima rilevazione di Bankitalia, ammontano ad un valore di oltre 8mila miliardi. Tutto tranquillo finché non abbiamo avuto l’idea nefasta di privarci del controllo della moneta, necessaria per garantire il debito che, infatti, in assenza di garanzia esplicita della Banca Centrale, in caso di crisi di fiducia diventa impossibile da rinnovare qualsiasi sia il suo livello. In presenza di garanzia di Banca Centrale è irrilevante la dimensione del debito per la determinazione del tasso di interesse, come prova il fatto che nel pieno della crisi dello spread il debito di tutti i paesi dell’eurozona era largamente inferiore al livello attuale.
Il debito non si riduce privatizzando beni redditizi perché, se superiore agli interessi passivi, il mancato reddito dei beni venduti alla fine genera un buco. 
Il debito non si riduce vendendo beni inutili perché, per definizione, non valgono nulla. In recessione o in stagnazione il debito non si riduce aumentando le tasse perché l’ulteriore recessione che ne consegue riduce il pil e fa aumentare il rapporto debito pil e, per la stessa considerazione, il debito non si riduce tagliando le spese. La “montinomics” di taglio delle spese e di aumento delle tasse ha provocato 13 trimestri di recessione con conseguente impennata del rapporto debito pil e aumento vertiginoso della disoccupazione.
Il debito si riduce solo in 4 modi: 
1) Default. E non mi pare il caso, pena scoprire immediatamente le conseguenze dell’identità debito pubblico = risparmio privato precedentemente ricordata. 
2) Inflazione. Mi piacerebbe. A parole tutti vogliono uscire dalla deflazione, peccato che per ottenere inflazione sia necessario aumentare i salari, cosa che stando nell’Euro ci è preclusa pena la perdita di competitività. 
3) Monetizzazione. Sarebbe semplicissimo e implicitamente lo stanno facendo tutti i principali paesi occidentali. Il Giappone ad esempio ha già fatto ricomprare alla sua banca centrale quasi la metà del proprio debito pubblico e tale debito è da considerarsi cancellato se si considera che il Tesoro e la Banca Centrale (detentori rispettivamente del debito e del credito) sono entrambi parte dello Stato.
4) La crescita. Pur consapevoli che per l’Italia una crescita stabile finché si troverà all’interno dell’eurozona non è sostenibile, pena il ritorno in deficit commerciale a causa della moneta unica. Si farà ogni cosa per mettere in atto politiche di crescita e piena occupazione, immettendo denaro nel sistema economico con detassazioni e investimenti produttivi. 
 
                                      Claudio Borghi Aquilini (da IL FOGLIO del 17/01/2018)
 

 
 
 
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