È
troppo facile dimenticare. L'11 settembre 2001 è un ricordo sbiadito,
una memoria residua, una rievocazione appannata. Dov'è finito il «siamo
tutti americani» del giorno dopo? Non c’è: è sparito così in fretta da
non lasciare più spazio nemmeno alla retorica.
Ci
saranno due fasci di luce a simboleggiare le torri gemelle e poco
altro. Ci sarà una cerimonia poco globale, perché il mondo non si sente
più parte di questa storia. La montagna di speciali tv e di dibattici
politici internazionali, si è già esaurita. Neppure la campagna
elettorale per le presidenziali americane tocca l'argomento, se non per
la tangente. Il ricordo non è più collettivo, ma personale.
Sette
anni sono pochi per ridurre solo a una data il momento che ha cambiato
la storia, eppure non c'è un altro fatto che sia diventato passato con
la stessa velocità. Sembra che l'Occidente abbia un pudore tutto suo ad
alimentare la memoria e a piangere i suoi morti: qualcosa che
assomiglia alla paura di dare fastidio all'islam e alla vergogna per
essersi sentiti tutti colpiti al cuore.
Abbiamo
visto due aerei schiantarsi su New York, abbiamo contato tremila
vittime, abbiamo visto cadere le persone in cerca di scampo dalle
fiamme del World Trade Center, abbiamo pulito la polvere che ricopriva
ground zero. Ci siamo promessi che nulla sarebbe stato come prima, che
nessuno avrebbe considerato quello un attacco solo all'America.
E
ora? Ricordare l'11 settembre non è più chic. La rimozione è un gioco
perverso perché appiattisce le emozioni. Le lacrime, il terrore, la
certezza che tutti noi, in quei giorni, potevamo essere vittime della
vigliaccheria terroristica non ci sono più, masticati e digeriti dalla
rielaborazione buonista e autolesionista dell'11 settembre. Abbiamo
dimenticato che c'è stata una dichiarazione di guerra globale e a
dichiararla non è stato l'Occidente.
Tutto
quello che è successo dopo ha scavalcato quella tragedia: la guerra in
Irak, reputata sbagliata e illegittima a scoppio ritardato, ha
alimentato il sentimento antiamericano che è cresciuto in Europa e
persino in una parte degli Stati Uniti; le centinaia di notizie sul
carcere di Guantanamo hanno portato nell'oblio i morti innocenti
nell'attentato alle torri gemelle per dare dignità solo alle storie dei
reclusi in tuta arancione.
La paura di
giustificare la reazione considerata sproporzionata ha fatto prendere
le distanze: l'Europa ha progressivamente abbandonato il sentimento di
vicinanza con l’America e ha cominciato a fare dei distinguo. Siamo
passati dal «siamo stati colpiti», al «sono stati colpiti». Siamo
passati dall'attacco alla civiltà occidentale, all'attacco agli Stati
Uniti, quindi all'impero, quindi a Bush, quindi al cattivo. Ci manca
solo che qualcuno dica che hanno fatto bene, quelli di Al Qaida.
Certo,
perché dimentichiamo che la campagna del terrorismo islamico ha colpito
anche in Spagna, in Turchia, in Inghilterra, in Marocco e in tutti i
paesi arabi che non si vogliono piegare all'islam radicale. Questo in
sette anni è stato cancellato, incredibilmente spodestato dal senso di
colpa per tutto quello che l'11 settembre ha provocato. Nessuno sente
più la puzza della morte provocata dai kamikaze di Al Qaida e invece
aumentano quelli che sentono puzza di qualcosa di strano attorno agli
attentati.
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2 | Giuseppe De Bellis - Il
Giornale 11.9.2008
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