LA' IN RIVA ALL’ARNO
BUIO MONUMENTO ALL’AMORE TRAMUTATO IN IRA
DAVIDE RONDONI
Come
ha fatto Simone, dopo aver posteggiato la sua auto in riva all’Arno, a
uccidere a martellate i suoi piccoli di 7 e 5 anni? Erano una bambina e
un bambino. Poi si è dato fuoco insieme ai loro corpi. Come avrà fatto,
pensiamo, storditi, mentre leggiamo una cronaca fredda e tremenda di
liti con la compagna e madre dei due, di annunci fatti per telefono a
parenti che, con chissà quale magone e terrore, si sono messi a
cercarli, di case popolari a Pisa, proprio nelle zone del conte Ugolino
che Dante ritrae divorare i suoi figli...
E viene la tentazione
di lasciare lì, fissa e perduta nel suo smalto terribile questa storia.
Questa ennesima vicenda di sangue innocente sparso per rancori di
amanti, o di sposi sperduti in un delirio. Verrebbe da distogliere lo
sguardo, per non voler nemmeno immaginare cosa sia accaduto dentro
l’auto parcheggiata come per una gita. Per non pensare ai due
innocenti, che avevano diritto a vivere, a non essere sacrificati alla
rabbia di un amore andato in malora. Avevano solo 5 e 7 anni.
Cos’è un bambino a quella età, come puoi colpirlo? Verrebbe da lasciare
quell’auto parcheggiata tra le nebbie della follia, dire solo: sono
cose da pazzi. E distogliere lo sguardo, il cuore, per non morire di
pena, e di scandalo contro il cielo che, come l’Arno indifferente lì
vicino, sembra esser restato lontano da quei due bambini. Invece no,
guardare si deve. Non fare finta che queste cose appartengano a un
altro pianeta da quello in cui siamo, non fingere che non c’entrino mai
nulla con le cose che viviamo di solito. Lasciare quell’auto tra le
nebbie della nostra indifferenza sarebbe come condannare ad un’ultima,
estrema inutilità il sacrificio dei due bambini. Perchè chiunque di noi
sa che c’è sempre un rischio: di distruggere il bene in nome dell’ira.
Di cancellare quel che c’è di buono in un rapporto – d’amore o amicizia
– a causa di una rabbia, di un rancore, di un 'aver ragione contro'
l’altro. C’è sempre il rischio di 'fare fuori' il bene che c’è stato in
nome della difficoltà del dissidio presente. Il rischio di essere
violenti contro il bene che c’è o che c’è stato, in nome del dissidio
presente.
L’auto di Simone, padre colpevolissimo e tristissimo,
padre fattosi carnefice, creatore del proprio inferno e anch’egli, da
compatire come si deve compatire chi perde la mente, e i suoi due
figli, compongono ai nostri occhi una immagine tremenda di ciò che
rischiamo e siamo anche noi, e non di rado. Sono, in quell’auto
parcheggiata sull’Arno, il dolente e buio monumento all’amore che si
tramuta in ira. All’amore che diviene il suo contrario, quando le prove
della vita non sono affrontate con la forza del perdono o della
pazienza. Con le forze dell’amore che non cedono alle forze del
possesso e dell’egoismo. Il cielo e l’Arno non sono indifferenti a
questa tragedia. Il cielo parla sempre, con segni e suggerimenti, nei
cuori degli uomini, ma noi possiamo decidere di non ascoltare. Avrà
parlato anche a Simone, ma lui ha scelto di ascoltare per mesi, forse
per anni l’ira che in lui cresceva. Ha deciso di nutrire quella – fino
a divenirne pazzo schiavo – invece che ascoltare il cielo. E l’Arno,
dolce fiume di Toscana, ha di certo dato agli occhi dei due piccoli
l’ultima bella luce che hanno visto. E ha raccolto le loro lacrime, le
ha portate al mare. E al cuore di Dio, mare dei mari, dove il tempo
breve e sorridente dei bambini diventa eternità. Quel cuore che è
l’unico posto dove la pena immensa di averli persi puo' chiedere di non ammattire.
Fonte Avvenire