Creato da NudaParola il 03/04/2011

Due volte vent'anni

Parole nude alla soglia dei 40 anni. E stavolta ho deciso di vuotare il sacco... Per farmi un regalo.

 

Prove tecniche d'impaginazione

Post n°6 pubblicato il 06 Aprile 2011 da NudaParola
Foto di NudaParola

Mi scuso per queste continue modifiche che mi vedo costretta step by step ad apportare al Blog, ma ho notato (e qualcuno mi ha fatto notare) che il vecchio template a tre colonne entrava in conflitto con le immagini "tagliando" buona parte del testo allineato sulla colonna destra del margine della pagina; qualcun altro, invece, ha portato alla mia attenzione il fastidio che la scrittura - di qualunque colore fosse - sortiva entrando in contatto con il vecchio sfondo grigio, al che ho pensato di cambiare tutto e, a Dio piacendo, questa dovrebbe essere l'ultima, definitiva versione del Blog.

Mi sono sincerata del fatto che il testo in ogni sua parte sia adesso fluido, scorrevole ed integro, ho dovuto sostituire l'immagine precedente con quella attuale perché non contemplata dal nuovo template e apportare altre piccole modifiche grafiche ma, al di là di questo, il contenuto d'anima e d'espressione rimane invariato. Purtroppo, come per ogni giocattolo nuovo con il quale s'inizia ad acquisire familiarità, salta sempre qualcosa che ti spinge a rivedere qualcos'altro... e talvolta è d'obbligo sacrificare la parte estetica e preferire quella magari meno appariscente, ma sicuramente più funzionale.

Abbiate pazienza, ho appena cominciato a giocare col mio nuovo "giocattolo" e anche "sperimentare" (grazie anche ai molti suggerimenti che mi sono giunti negli ultimi giorni) fa parte del gioco. E io, forse qualcuno di voi l'avrà intuito, amo moltissimo "giocare"...

 
 
 

Quel torrido Agosto

Post n°5 pubblicato il 05 Aprile 2011 da NudaParola
 
Tag: Alisea
Foto di NudaParola

Venerdì d'Agosto, l'asfalto sull'Ardeatina si scioglieva sotto i tacchi a spillo. Il top nero s'impregnava di ogni goccia di sudore nel pomeriggio feroce di quei trentasette gradi all'ombra e non un cane che si fermasse lungo la strada che scorreva nei due sensi opposti di circolazione. Perfino il servizio taxi si era rifiutato di mandarmi una macchina fin laggiù. Ero scesa dall'autobus certa d'essere giunta alla fermata giusta: una di quelle traverse avrebbe dovuto condurre a una zona industriale presso cui era ubicato l'azienda con la quale avevo fissato telefonicamente l'appuntamento per un colloquio. Ma non un'anima viva si scorgeva nei paraggi e sui miei dieci centimetri non è che potessi percorrere centinaia di metri lungo la terra battuta che ricopriva le viuzze laterali che sbucavano dalla lunga strada percorsa da auto e mezzi pesanti a velocità sostenuta. ra la settimana che precedeva il Ferragosto e nel fine settimana la città stava inesorabilmente svuotandosi. La società che mi aveva contatta però mi aveva assicurato - dopo aver preso visione del mio curriculum, di essere interessata alla mia figura professionale, ringraziandomi per la disponibilità in un periodo dell'anno nel quale era per loro ardimentoso trovare personale da inserire prima che Roma tornasse a popolarsi. "Da Settembre dovremo essere pronti per partire con il nuovo personale, già inserito e professionalmente formato", mi aveva detto la voce della gentile signorina all'altro capo del filo. "Mi raccomando solo la puntualità. Alle sei gli uffici chiudono". Le lancette del mio orologio da polso segnavano un quarto alle cinque. Ho provato a chiamare il numero che mi era stato lasciato per avvertire nel caso in cui fossi stata impossibilitata a presentarmi all'ora concordata, ma non squillava a vuoto e nessuno rispondeva. Senza considerare che ero già in ritardo di un quarto d'ora. Ho maledetto l'idea di indossare le calze a rete sotto la succinta gonna di jeans color pesca, ma ci tenevo a offrire di me un'immagine composta, a dispetto del caldo torrido e della voglia di strapparmi i vestiti di dosso. Una sgommata alle mie spalle ha anticipato la frenata di un'auto che ha attirato la mia attenzione, portandomi indietro di qualche metro. Un'auto di grossa cilindrata, sembrava una Mercedes, al che mi sono accostata trafelata, sperando di ottenere qualche informazione su come raggiungere il luogo nel quale ero attesa. Mi sono sporta all'interno dell'abitacolo e ho intravisto il polsino bianco di una camicia stretta da eleganti gemelli. Subito dopo sono riuscita a mettere a fuoco l'intera figura di un uomo dall'aspetto distinto e rassicurante.

"Meno male", mi sono detta. "Con tutti i maniaci che ci sono in giro, se non altro m'è capitato uno a posto".

"Si è persa, signorina?", ha esordito la voce dell'uomo. Una bella voce dal tono limpido, fermo, cordiale. abbozzando un mezzo sorriso.

Ho menzionato la società presso cui avevo fissato il colloquio preliminare, ma dall'espressione della sua faccia, ho dedotto che non l'avesse mai sentita nominare prima.

"E adesso che faccio?", mi sono chiesta ad alta voce, in un momento di stizza e sconforto.

"Salga e mi dica dove posso accompagnarla", mi ha proposto aprendo la portiera accanto alla guida, in un esplicito invito a montare.

Ho avuto qualche istante d'esitazione, mi sono guardata intorno e m'è sembrato di scorgere un panorama simile a certi paesaggi tipizi dell'Arizona: ho sentito l'angoscia e lo scoramento assalirmi nuovamente e, solo allora, ho colto al volo la cortese proposta.

"Va bene, ho sospirato sprofondando sul sedile e richiudendo la portiera. Ero stremata dal caldo, ho sollevato i capelli con entrambe le mani e ho respirato a fondo il clima piacevole del condizionatore. "Qui si sta bene", ho commentato sospirando. "Pensavo di morire là fuori".

L'auto, avviato il motore, è sfrecciata via come un missile.
"Allora, dove vuole che l'accompagni, signorina?", ha esordito l'uomo dalla presenza imponente, sbirciando l'interno delle cosce attraverso il tessuto della minigonna che era risalita fino all'inguine.

"Sono un cardiologo, ho un intervento stasera, purtroppo devo lasciare acceso il cercapersone e rendermi sempre reperibile sul cellulare", è sembrato volersi scusare nel rincorrersi tra una chiamata e l'altra.

"Io abito dalle parti dell'Università", ho replicato schiarendomi la voce. "Purtroppo è dall'altra parte di Roma, ma mi lasci alla prima stazione di taxi, in qualche modo mi arrangerò".

Durante il tragitto in macchina gli ho raccontato della delusione di quell'appuntamento mancato, della speranza che avevo riposto in quel colloquio. Lui aveva riso.

"Perdonami, ma non è molto credibile un'azienda che ricerca personale la settimana che precede il Ferragosto".

"Si, l'ho pensato anch'io... ma la signora al telefono era stata così gentile. Insomma, ci avevo creduto".

"Spero non ti dispiaccia se mi sono permesso di darti del "tu" - si è affrettato a puntualizzare - ma potresti essere mia figlia".

Ho annuito. Lui ha sbirciato ancora tra le mie gambe, stavolta senza riuscire a resistere alla tentazione d'insinuarvi una mano.

"Si può sapere che stai facendo?", l'ho ammonito stizzita, ritraendomi al contatto.

"Ma non fare così... so che anch'io ti piaccio. L'ho capito dal modo in cui mi hai guardato prima...".

Di rimando, ha preso la mia mano portandosela sul pacco. Così, immobile. Il mio palmo appoggiato sulla patta dei suoi pantaloni blu. Non mi ha degnata di uno sguardo. Fissava la strada fingendosi imperturbabile, ma vedevo il suo volto avvampare e agitarsi sul sedile mentre muovevo la mano avanti e indietro: lo sollecitavo con la punta delle dita e a quel contatto lo sentivo trasalire e spingere alla ricerca di quel piacere sottile che gonfiava i suoi pantaloni. Mi è sempre piaciuto masturbare un uomo mentre guida. Stavo cominciando anch'io a bagnarmi di eccitazione. Mi sentivo perversa, così squisitamente troia.

"Sei deliziosa", mi ha canzonata l'uomo del quale non conoscevo neanche il nome.

"C'è un albergo da queste parti... Ci divertiremo".

"Io mi sto già divertendo", ho risposto provocatoria. facendo scivolare la lampo dei pantaloni e abbassando la testa sul suo grembo.

Ha cominciato a decelerare e a gemere: ho estratto dai boxer un pene incredibilmente grosso e vigoroso che ho lubrificato con della saliva prima di ingoiarne la cappella lucida.

"E' il cazzo più enorme che abbia mai visto", ho sottolineato trafelata, con il viso in fiamme, "Ferma la macchina appena puoi".

Sono scesa ancora su quell'asta monumentale: per quanto la mia bocca si spalancasse, non riuscivo a contenerlo tutto senza rischiare di soffocare. Ho sentito l'auto imboccare una di quelle stradine secondarie in piena campagna e il motore spegnersi: intorno il gracchiare delle cicale e il rombo di qualche motore in lontananza mentre altre auto ci superavano, passando oltre, lungo la strada asfaltata che avevamo abbandonato. Ho allungato una gamba oltre il cambio e, scivolando con la schiena contro il volante, ho scostato l'orlo delle mutandine fradice d'umori abbassandomi piano sull'erezione che premeva contro il mio ano.

"Aspetta - gli ho intimato mordendomi il labbro inferiore - vacci piano o mi sfondi".

Allargando le natiche con le mani e scendendo per prenderlo ho avvertito un bruciore insostenibile al primo tentativo di penetrazione. Mi sono lasciata sfuggire un gemito. Mi sono sollevata e ho provato ancora, inumidendomi le dita con la saliva e facendole scivolare all'interno. Lui intanto, abbassato il top e sfilato il reggiseno, stava torturandomi i capezzoli: li strizzava, li mordeva, li stringeva fino a renderli violacei e duri come chiodi.

Ho gridato quando mi ha afferrata per i fianchi, spingendosi tutto dentro con un solo colpo. Una lacrima mi ha rigato il viso, non resistevo... Lui godeva d'ogni goccia di sangue che versavo ad ogni affondo. Era brutale, impetuoso, animalesco.

"Fermati!", ho urlato scoppiando in lacrime.

"Cazzo, mi fai male!".

"Piantala di frignare... che piace anche a te!", ha replicato per tutta risposta, riempiendomi con i suoi colpi decisi e concitati.

"Lo so che ti piace... godi, troia!".

Sentivo l'ano allargarsi in fiamme all'inverosimile: ogni volta che mi costringeva ad impalarmi ancora e ancora su quell'immenso palo d'acciaio, manovrando i miei fianchi attraverso la sua presa possente, sentivo calde lacrime rigarmi il volto sebbene comicniasse ad entrare, a uscire e a penetrarmi nuovamente con sempre maggiore fluidità e vigore. Ho inarcato il busto abbandonandomi contro il volante e spingendo il bacino contro il suo con furia febbrile, in un crescendo di foga mista a smania di porre fine a quell'agonia prima possibile. tre, quattro... al quanti colpo di bacino - ennesimo affondo nelle mie viscere - ho sentito un fiotto impetuoso di sperma riempirmi. L'ho fatto uscire da me e sono andata alla ricerca del MIO piacere, ficcandomelo fra le cosce, prendendolo fino a sentirlo nel ventre. Almeno venti centimetri di cazzo nelle mie pareti fradice: grondavo sesso da ogni poro di pelle, liquidi da ogni anfratto, fessura, buco che lui riempiva.

"Quanti soldi vuoi?", mi ha chiesto mentre lo portavo all'orgasmo e grondavo grazie al mio.

"Ti farò stare bene... mi piace pagarti. Se sarai sempre così brava con me, ti farò fare la signora. Ma con me devi essere troia. Molto troia...".

Mi sono sollevata e abbassata ripetutamente sulla sua asta lucida dei miei umori e di sperma, con una frenesia che lo ha spiazzato al punto da lasciarsi cogliere dal mio impeto tumultuoso, al culmine di un amplesso estenuante e violento.

In lontananza ho scorto un autobus che si avvicinava nella nostra direzione, diretto alla fermata posta a venti metri dalla traversa nella quale ci eravamo infrattati, di cui solo in quel momento ho scorto la presenza.

"Devo andare!", ho esordito sprizzando entusiasmo da tutti i porti mentre frettolosamente cercavo di ricompormi.

"Che cosa... ma dove vai?".

Mi sono precipitata fuori dall'abitacolo mentre il sesso dell'uomo, calco ed eretto, dominava ancora la scena, in piena eiaculazione.

"Non mi servi tu e non so che farmene dei tuoi soldi", ho risposto fiera, a tono.

"Finisci di mastrurbarti. Io sono già una signora". E sui miei tacchi ho ripreso la mia strada. Quella principale che m'avrebbe portata a casa. Mentre sull'autobus mi sarei ripulita del seme di quello sconosciuto che a rivoli densi lambiva l'interno delle cosce, colandomi caldo a macchiarmi le calze e ad orlare la gonna di un'indominta Femmina che non si vende forse perché nessuno mai potrebbe permettersela...

 
 
 

La puttana del sabato sera

Post n°4 pubblicato il 05 Aprile 2011 da NudaParola
 

L'amore disinteressato. Qualuncuno sa cosa sia? Io l'ho vissuto come regola naturale (non indotta) ogni qualvolta ho iniziato una relazione. Con Maurizio, brillante ingegnere cui la società per cui lavoravo, ci siamo amorevolmente detestati fin dal primo burrascoso incontro. Quando osservandolo smanettare al mio computer, ho realizzato che non poteva esserci uomo più lontano dal mio ideale di presunto stereotipo di maschio in grado di sortire in me il più blando interesse. Non era altissimo, avrà avuto una cinquantina d'anni ed ostentava una sicurezza fastidiosa almeno quanto l'ironia sagace e cinica nascosta dietro le sue battutine mordaci ed allusive. Seduta al centro della scrivania, le braccia distanziate dal corpo e le gambe piegate, ben aperte mentre la sua lingua armeggiava con il mio clitoride, ho riversato la testa indietro sorridendo al ricordo di quel primo impatto un po' ruvido. La lunga gonna nera dal tessuto morbido era risalita fino ai fianchi e drappi fruscianti lambivano le caviglie, fluttuando morbidamente. Indossavo ancora le autoreggenti e le scarpe in raso dal tacco dodici. Ho iniziato ad aprire i primi bottoni della camicetta, insinuando una mano alla ricerca di quel calore che si diffondeva al palmo della mia mano attraverso il tessuto traforato del reggiseno. Un gemito voluttuoso e mi sono inarcata spingendo il bacino contro la sua bocca. Ho puntato i tacchi sul piano della scrivania fino a quasi sollevarmi quando ho sentito il clitoride risucchiato dalle sue labbra e più volte inumidito dalla sua lingua. Le contrazioni sono diventate sempre più violente e il respiro ha cominciato a farsi affannoso: sapevo che non avrei retto ancora a lungo a così pressanti sollecitazioni. Ho gridato straripando nella sua bocca. Quando ho sentito due dita allargarmi piano l'ano e spingere avanti e indietro, simulando l'azione di un fallo, ho visto i miei umori schizzare sul suo volto impetuosi e la mia voce spezzarsi in un urlo liberatorio. Le mie dita affondate nei suoi capelli, mi sono umettata più volte le labbra disegnandone il contorno con la lingua, inarcata verso la fonte del mio piacere.

"Succhia, troia!", mi ha detto ficcandomi due dita in bocca e muovendole avanti e indietro mentre leccavo via i miei umori, rapidamente piegata contro la scrivania mentre, alle mie spalle, lo sentivo armeggiare con la cintura dei suoi pantaloni.

"Sei un bastardo", ho protestato ansimando, "dovevamo andare a cena fuori, e invece mi tieni chiusa in questo stramaledetto ufficio anche il sabato sera! Sei proprio un bastardo...".

Con uno scatto brusco l'ho sentito arrotolare la gonna lungo i miei fianchi ed insinuare un dito sotto l'elastico del perizoma, spingendone dentro un secondo che ha preso a disegnare movimenti sferici intorno al clitoride, esercitando una pressione che mi ha fatto urlare. Percepivo la sua presenza, la sua erezione contro l'apertura aveva iniziato a premere e spingeva, spngeva... Mi ha penetrata con un grugnito quasi animalesco. Lo sentivo pulsarmi detnro mentre gridavo arcuando la schiena, le sue dita a tirarmi i capelli e gli affondi a susseguirsi concitati e inesorabili, uno via l'altro. Vedevo, sotto i suoi colpi, la scrivania muoversi e il suo cropo sbattere contro il mio per un numero infinito di volte. Fino a trasformare le mie proteste in incitamenti lussuriosi, ormai adattata alle dimensioni di quel pezzo di carne durissimo che stava straziandomi le viscere.

L'ho sentito uscire dal mio corpo avvertendo subito una sensazione di vuoto, lambiata da copiosi rivoli orgasmici lungo le cosce. Il rumore di un cassetto che si apriva e si richiudeva e un fallo di gomma a troneggiare sotto il mio naso.

"Vai sul divano", mi ha intimato in tono perentosio. "Voglio che ti masturbi".

"Me l'hai fatto tornare duro", il tono eccitato della sua voce mi ha di colpo riportata alla realtà mentre tornavo a rivolgergli uno sguardo distratto, invogliata dall'erezione svettante che faceva scivolare nella sua mano.

Ancora stravolta, ho fissato l'arnese rosa prima d'impugnarlo: sembrava allettante, appetibile... Un meccanismo lo faceva vibrare e, facendomi largo tra i cuscini, a gambe larghe ho iniziato a muoverlo seguendo movimenti circolari prima d'immergerlo nel mio lago bollente.

"Oddio, questo mi fa godere subito!", ho imprecato in un gemito soffocato, arcuando la schiena e scivolando in avanti con il bacino.

"Lascialo dentro", mi ha intimato lui con voce roca, avvicinandosi con il suo membro turgido stretto in una mano, un attimo prima di spingermelo fra le labbra e attirare la mia testa contro il suo bacino. L'ho ingoiato tutto, subito, costretta a tenerlo in gola fino alla base per un tempo incredibilmente lungo. Ho creduto di soffocare mentre l'ingegnere pronunciava epiteti osceni ed esortazioni volgari alla vista dei miei umori che schizzavano in ogni direzione, con le cosce aperte ed il vibratore a strapparmi orgasmi multipli che sembravano quasi accavallarsi con un'intensità insostenibile. Un cocktali di saliva e sperma è scivolato ai lati della mia bocca quando ha estratto il suo grosso membro. solo il tempo di lasciarmi riprendere fiato, per tornare a spingerlo giù fino alla gola, stavolta muovendolo avanti e indietro, uscendo e rientrando nella mia cavità ad intervalli quasi regolari ma febbrili. Mi sono sollevata per un attimo sulle braccia e ho roteato i fianchi, adattando quel grosso fallo di gomma alla mia vagina insaziabile e ormai fradicia e, trovata la posizione più efficace a stimolarmi, mi sono lasciata montare cavalcando le vibrazioni che mi trafiggevano il ventre godendo senza più ritegno. La cappella appoggiata lel mie labbra, ho sentito un primo fiotto raggiungermi il viso e riempirmi la bocca che mi ha intimato di aprire, lasciando colare sulla lingua tutto lo sperma che ad ogni contrazione del sesso marmoreo fuoriusciva copioso e denso. Non riuscivo ad inghiottirlo tutto, in parte scivolava in rivoli lattiginosi ai due lati della bocca, fino a quando non mi ha spinto ancora la testa contro il suo grambo, lasciando che la mia bocca lo avvolgesse mentre eiaculava nella mia gola, dove ha riversato fino all'ultima goccia con un colpo di reni che lo ha portato all'orgasmo.

Mentre lui si accasciava sul divano, sprofondando ansimante tra i cuscini, io continuavo a farmi masturbare da quell'affare meccanico incapace di arrestarlo. Mi sono portata sulla sponda, lungo il perimetro del sofà, prendendolo tutto dentro: ogni volta che tornavo ad abbassarmi e avvertivo il movimento vibrante raggiungermi il ventre, vedevo fuoriuscire dal mio corpo lunghi schizzi impazziti, in ogni direzione, e più mi sentivo venire, più avevo voglia di godere. I gemiti trasformati in grida, le grida in frasi scosse e sconnesse e Dio menzionato in ogni manifestazione estatica, al centro di un ludibrio senza precedenti.

Ho estratto il vibratore dalla vagina ancora grondante di umori e, in ginocchio sul divano, ho schiuso le gambe intorno al bacino dell'uomo, puntando la cappella contro l'apertura della vulva e abbassandomi piano, fino a prenderlo tutto dentro con un lungo gemito voluttuoso.

La testa reclinata all'indietro, ho sentito le sue mani che facevano saltare i bottoni della camicetta e mi strappavano con foga il reggiseno, prendeno a succhiarmi prima un capezzolo, poi l'altro... fino a farmi urlare mentre ero intenta a cavalcarlo con foga. Ha manovrato i miei fianchi in preda a una veemenza impetuosa, lasciando che il mio corpo si sollevasse e tornasse a ricadere sul suo corpo, impalandomi contro quel turgore che ad ogni affondo sentivo crescermi dentro fino ad esplodere. Ho continuato a muovermi in preda ad una frenesia che ha trascinato anche lui in quel vortice di sensazioni violente, anticipando l'orgasmo che abbiamo sentito esplodere dentro con la potenza di una deflagrazione incontrollabile. Ho sentito le sue unghie conficcarsi nellle mie natiche mentre godeva e, serrando le cosce intorno al suo sesso, ho roteato i fianchi accogliendo ogni sua contrazione nel divenirmi effluvio d'immacolato piacere acre che dalla punta delle dita ho portaro alle labbra mentre, al culmine del piacere, lo sentivo gridare il mio nome.

Con Maurizio siamo stati insieme due anni e mezzo. Non ho mai saputo se fosse sposato. So che aveva una figlia, studentessa unviersitaria, perché ho ascoltato - un giorno, per caso - una sua conversazione telefonica. Non mi ha mai portata a casa sua. Abbiamo sempre fatto sesso in ufficio da lui... o da me. In macchina o dentro qualche cinema. Mi scopava da dio. E' per questo che l'ho lasciato. Il rischio di andare a letto con uno che ti scopa da dio è sempre quello di innamorartene. Forse un po' innamorata di quell'ingegnere caustico e pragmatico lo sono anche stata, ma era giusto - per l'equilibrio dei rispettivi ruoli - che lui vedesse in me solo la sua troia da fottere e riempire. Non era necessario che sapesse altro, giacché a me non interessava nient'altro che essere fottuta e riempita. Mi ha fatto godere moltissimo. In fondo, ero solo la sua troia...

 
 
 

Ardori cuciti a mano

Post n°3 pubblicato il 04 Aprile 2011 da NudaParola
 
Tag: Giulia

flowers
Avevo quattordici anni e due bambole di pezza dalle quali la notte non mi separavo mai. Non erano particolarmente belle. Anzi, erano semmai decisamente grottesche, cucite a mano, rattoppate, sgualcite, con i capelli crespi, vestite da cortigiane, con gli occhi disegnati dai quali ci si affacciava sul nulla ed espressioni vuote, prive di qualsivoglia grazia. Eppure nel mio immaginario, forse accumane da una sorte maligna e crudele, le vedevo indissolubilmente legate e accomunate da una bellezza che nessuno sguardo avrebbe saputo indagare, perché sul cuscino, ogni notte dormivano abbracciate, il viso dell'una su quello dell'altra, il ventre dell'una schiacciato contro il ventre dell'altra ed entrambe strette al mio seno quasi a volerle proteggere o a condividerne il calore, l'intimità.

Quella notte feci uno strano sogno. C'era un gran caos, gente, rumori, voci... Una palestra. La palestra della mia scuola. E c'ero anch'io. Alla sbarra facevo flessioni, piegata sulle gambe, le braccia poste in alto, incastrate alla spalliera, sulle quali esercitavo la pressione maggiore, scendendo con le gambe spalancate e risalendo per riprendere la mia posizione eretta. Indossavo un body nero: sembrava di raso, traslucido, di quelli che contengono il corpo come una seconda pelle e avevo una fascia elastica sulla fronte, ad imprigionare ciocche di capelli che altrimenti sarebbero ricadute inopportune sul viso.

Nel sogno mi si avvicinava un uomo (che per tutta la durata del sogno ho continuato a vedere solo di spalle) con il fisico di un bodyguard: muscoli scolpiti, fisico possente, aitante... esattamente il tipo di uomo dal quale non potrei mai essere attratta. Mi ripugnano i palestrati, non esiste uomo più lontano dal mio immaginario d'erotismo. Ed inveivo contro la sua figura che mi si parava davanti frapponendosi tra me e la luce del neon posta sul soffito. "Togliti... mi fai ombra!", continuavo a ripetere indispettita. "Vattene... ma che vuoi?". Non una parola. Non un suono da parte dell'uomo. Che, per tutta risposta ha portato la mano all'altezza della lampo dei jeans, abbassandola lentamente. Per slacciare subito dopo la cintura e tirare fuori dai boxer un grosso pene eretto, imponente. Che ha preso a percorrere lentamente, per tutta la lunghezza dell'asta, emettendo il primo gemito roco.

Ho continuato la mia attività ginnica fingendo di non badare a quel gesto osceno che però iniziava a turbarmi... Non avevo mai visto un uomo masturbarsi e sebbene l'individuo del sogno non destasse in me alcun interesse, vedere quel grosso membro scivolare nella mano che si muoveva avanti e indietro, sempre più enorme, svettante davanti al mio viso, mi provocava sensazioni che mai prima di allora avevo provato.

Non una parola ho scambiato con il tizio dal grosso uccello. Ad un certo punto ricordo d'esser rimasta piegata su me stessa, le braccia imprigionate all'interno della griglia degli attrezzi e le gambe spalancate. Non una parola, dicevo, ma quando l'uomo ha avvicinato ulteriormente la sua erezione al mio volto, dopo qualche istante di esitazione ho schiuso le labbra e ho tirato fuori la lingua, sfiorando appena la punta per sentirne il sapore. Poi però la voglia è stata quella di "assaggiare" di più e la bocca si è aperta e richiusa intorno alla cappella, provando a succhiare piano. Capivo dai suoni che l'uomo emetteva che questo stava procurandogli un particolare piacere... e ho continuato perché cominciava a piacere anche a me. Lo facevo entrare e uscire dalla mia bocca con movimenti sempre più rapidi, trovando la giusta sincronia tra i suoi mugugni e l'impeto con cui tornavo ogni volta ad inglobarlo.

Avevo le braccia imprigionate e non potevo usare le mani: cominciò a non piacermi più quando quella di lui, esercitando una pressione consistente sul mio capo, mi ha costretta a prenderlo tutto, fino in gola. E continuava a spingere, spingere, spingere... Mi sentivo soffocare, senza riuscire ad opporre resistenza alcuna. Sentivo la saliva lambire gli angoli della bocca e piccola gocce di sperma sulla lingua; le contrazioni di quel turgore enorme nella mia bocca e le contrazioni che sembravano anticipare l'exploit finale. Vinto un conato di vomito, ho ripreso a leccare avidamente, famelicamente, focosamente il pene in tutta la sua lunghezza; scivolando sui testicoli ho succhiato, aspirato, leccato anche quelli, masturbandolo intanto con la mano. Gli piaceva. Quasi grugniva di piacere.

Quando si è piegato su se stesso, posizionandosi tra le mie gambe aperte, ho iniziato ad urlare, a protestare... Non volevo che mi facesse nient'altro. Non volevo che mi facesse... quello che aveva in mente di farmi! Ma mi sono ritrovata con le braccia serrate dalla sua presa, immobilizzata contro la spalliera di legno, con quel grosso affare che, scostato il sottile tessuto fradicio del body, forzava la mia fessura dilatata, singendomi dentro quel fallo di carne vibrante. Mi facevano male le gambe in quella posizione e ogni colpo inferto mi faceva sussultare di piacere. Grugniva come un animale e io mi eccitavo, mi bagnavo come una cagna.

"Fottimi, scopami, riempimi!", tutto ciò che avrei voluto urlargli. Ma la voce era poco più di un singulto che mi moriva in gola. Continuava a sbattere contro il mio corpo e ad ogni affondo lo sentivo entrarmi dentro... più dentro, più in fondo di quanto pensavo un uomo potesse raggiungermi. Mi faceva male, ma mi faceva godere e sopportavo il dolore che mi colava da tutte le parti in orgasmi multipli. Mi ha sollevata quasi di peso e guidata verso il cavalletto, manovrandomi come una bambola, di schiena, con le gambe spalancate intorno al grosso attrezzo ginnico: un colpo, due, tre... e le mie urla, le mie suppliche inascoltate: era troppo grande, sentivo la carne lacerarsi ma gli umori continuavano a colare copiosi lungo l'interno delle cosce, sicché dopo le prime spinte, mi ritrovavo ad implorarlo di sfondarmi, di riempirmi...
flowers
Mi sono svegliata di soprassalto, in un lago di sudore e umori ad impregnare le mutandine. Non capivo cosa significasse il sogno e non capivo cosa stesse facendo muovere la mia mano tra le cosce, ma sollevavo il bacino e inarcavo la schiena, raggiungendomi laddove ero più sensibile, procurandomi un piacere istantaneo più e più volte. E più mi toccavo, più venivo... e più continuavo a venire più non mi bastava godere. Guardavo le mie due bambole di pezza abbandonate sul cuscino con i loro occhioni finti e spalancati e pensavo fiera: "Voi tutto questo non lo proverete mai". E, intanto, con il lenzuola soffocavo i gemiti e le grida di quella serie di orgasmi sequenziali, belli da togliere il fiato. Volevo un pene tra le labbra e suggerlo fino a che il denso acre del suo ripieno non mi fosse esploso in viso, sulla lingua, in gola... Lo volevo sulle mani mentre facevo scivolare le mutandine lungo le cosce, fino alle caviglie. Sentivo un bottoncino sotto le dita che, solo a fiorarlo, tutte le volte mi faceva bagnare... e dopo essermi bagnata, venivo risucchiata per l'ennesima volta da quella vampata di piacere indescrivibile... intenso, violento.

Mi sono chiesta allora per la prima volta per quanto tempo ci si può procurare piacere e farlo ininterrottamente, senza tregua, fino a finirsi. Io sono andata avanti fino alle quattro del mattino: mi sono addormetata con una mano tra le gambe. E svegliata ancora fradicia. Era cambiato qualcosa all'alba di quel giorno. Ero cambiata io. E mi portai a scuola la stessa voglia febbrile della notte appena trascorsa, quella d'essere scopata furiosamente o di procurarmi non appena possibile quello stesso piacere... Lo volevo, non pensavo ad altro. Non riuscivo a pensare a nient'altro!

Mi strusciavo contro tutto e tutti e mi sentivo avvampare: il minimo contatto con un altro corpo mi faceva trasalire. Seduta all'ultimo banco, lo sguardo oltre la finestra, durante l'ora di matematica ho allargato le gambe, scostando il tessuto della gonna plissettata e ho lasciato scorrere le dita appena sotto l'elastico, raggiungendomi proprio all'altezza di quel bottoncino: solo una leggera pressione era sufficiente a farmi lacrimare la vagina dilatata e lubrificata. Non avevo nessuno vicino e sono scivolata appena sotto il banco, facendo scivolare due dita fino all'interno, avanti e indietro, lentamente. Poi con movimenti circolari. Non immaginavo che l'orgasmo sarebbe arrivato tanto in fretta. Silvio, un banco avanti al mio, fila opposta, in quel momento si era voltato per raccogliere la penna dal pavimento. Per una frazione di secondo i nostri sguardi si sono incrociati. Mi sono sentita avvampare di vergogna... ma per niente al mondo mi sarei persa il mio orgasmo! Ho gettato la testa indietro e mi sono stampata un morso nella mano per non urlare. Sulla campanella che scandiva la fine della lezione.

Sono corsa in bagno vergognandomi come una ladra: silvio, proprio lui... il ragazzo che mi piaceva di più! Il più bravo della classe, quello moralista, integerrimo, corteggiatissimo dall'intero istituto e così snob, introverso, melanconico... Mi ha raggiunta e sorpresa davanti alla finestra, con le spalle appoggiate contro il vetro e le gambe aperte, a ripulirmi degli umori che ancora grondavano. "Non così", mi ha intimato parlandomi in tono fermo e rassicurante. "Così è un peccato. Ti faccio vedere io come si fa...". E inginocchiandosi davanti alle mie gambe dischiuse, ha fatto iniziato a leccare l'interno delle cosce, a risalire verso l'inguine... trattenevo il respiro, osservando quello che mi stava facendo con irrefrenabile lussuria. Con la lingua si è insinuato tra le piccole e le grandi labbra raggiungendo il clitoride e quando ha iniziato a succhiarmi ho gettato la testa indietro lasciandomi sfuggire un suono gutturale. Mi sono appossiata al termosifone attaccato alla parete e ho inclinato il bacino all'indietro, allargando ulteriormente le gambe: capivo che era molto più bravo di me nel procurarmi piacere e volevo che mi avesse tutta, che mi leccasse ovunque, che mi facesse godere senza freni inibitori.
flowers

Mi sono sentita potente venendo nella sua bocca. Un fiume che rompe gli argini. Non riuscivo a fermarmi. Chissà così'avrebbe pensato di me, mi domandavo con l'ultimo precario barlume di lucidità di cui ancora disponevo. Ma è stato un attimo e il piacere ha sovrastato ogni cosa, suono e morale. Ad ogni contrazione che sentivo levarsi dal ventre, mi spingevo spasmodicamente contro la sua lingua, adattandomi all'intrusione delle sue dita nel mio anfratto posteriore senza provare quel dolore inaudito che in sogno mi aveva invasa. No, mi piaceva, questa è la verità. Ho iniziato a schizzare umori senza vergogna, concedendomi piccola Lolita troia e disinibita, così come non avevo mai avuto - fino a quel momento - il coraggio di vivermi.

Volevo restituirgli il piacere, perciò ho abbassato la tavoletta del water e mi sono senduta a gambe aperte. Silvio che ha capito, mi ha raggiunta richiudendo la porta alle sue spalle e si è aperto i jeans, facendo svettare sotto il mio naso [proprio come nel sogno], il suo sesso invitante e corposo. Ho iniziato a masturbarlo con la bocca senza un attimo di esitazione, i movimenti rapidi, lo scorrere abile e lussurioso della lingua... Mi piaceva tenerlo fra le labbra e asttendere che s'ingrossasse; quando lo sentivo spingere, affondavo contro il suo grembo, prendendolo fino a sentirlo nella gola e rimanevo immobile, come in apnea, finché lui non iniziava a gemere e le contrazioni non si facevano più ravvicinate.

Mi sono alzata cedendogli il mio posto e, dandogli la schiena, sono scivolata contro il suo corpo allargando le gambe e posizionandomi in prossimità della sua erezione; l'ho sentito allargarmi le natiche con le mani e mi sono lasciata impalare contro quel grosso pezzo di carne gridando. Roteando i fianchi l'ho preso tutto dentro e ha cominciato a piacermi quello che provavo. A lui piaceva quello che facevo, come lo facevo. Portandomi due dita in bocca e masturbandomi la vagina mentre mi scopava il culo. Molto meglio che nel sogno, piccola Lolita perversa e studentessa modello che tra l'ora di matematica e quella di religione, per tutto un triennio celebrò le innumerevoli virtù di Silvio, non ultimo il dono di riuscire a spogliarmi dai panni di santa per fare di me la sua troia peccatrice che non a lungo sarebbe rimasta una sua esclusiva. E non un solo giorno l'ho amato.

Mi piaceva il suo modo di scoparmi. Abbiamo "studiato" per moltissimi pomeriggi greco a casa mia... Avevo sempre voglia. O lui sapeva farmela venire. Ma non amavo lui, no. Solo quel grosso pezzo di carne che mi spingeva fra le cosce. Mi piaceva prenderlo in mano e strusciarmelo da tutte le parti, masturbarmi per ore o, per ore, rimanere a pecorina sul letto e lasciare che penetrasse ogni mia voglia, sbattendomi e godendo nel montare la sua cagna in calore. Mentre le mie due bambole dagli occhi finti stavano a guardare...

 
 
 

Plurale femminile

Post n°2 pubblicato il 04 Aprile 2011 da NudaParola
Foto di NudaParola

Come in ogni casa che si rispetti, prima di abitarla bisogna renderla accogliente, confortevole... tinteggiare, abbellire con affreschi, esaltarne la luce, mettere in risalto l'armonia di tutto ciò che la compone; arredarla con gusto (si spera), scegliere le tende, i tappeti, disporre i mobili, scegliere con cura ogni particolare, esaltare i dettagli, sistemare le piante in veranda, rendere piacevole non solo l'involucro, ma anche quel che lo abita. Il Cuore. Non è impresa da poco, davvero.

Avverto subito che non ricorreranno molte immagini in questo blog, proprio perché le parole regnino sovrane nel loro spazio deputato; ho allestito una piccola gallery (per gli amici) di scatti privati che di tanto in tanto aggiornerò... ma non è quello il fulcro di questo luogo, la cui finalità è solo quella di condividere pensieri, pezzi di vita, frammenti di memoria, piccoli tasselli d'ordinaria follia che fuoriescono da perdite d'inchiostro, umori, lacrime, sudore, accaloramenti... Non mi prefiggo di eccitare chi non è in grado di godere da solo e gradirei i commenti pubblici ai tentativi d'approccio in privato. Per quanto questa mia esortazione so già che cadrà nel vuoto (ma non rispondo in privato... qualcuno magari, prima o poi, si stancherà di contattarmi al riparo da occhi indiscreti).

Isabella, Eva, Giulia, Emanuela, Laura, Asia, Alice, Viola, Sarah, Alisea, Ines, Monica, Siria. Ognuna di queste donne ha amato un uomo diverso. Ognuna con caratteristiche diverse, con differenti approcci e analoghi intrecci e sviluppi nel contesto di rapporti occasionali o duraturi, di relazioni frivole o storie serie. Sono tredici ed è una donna soltanto. E' la sottoscritta ma potrebbe essere qualunque altra donna. Mi piace distinguermi da me per dare enfasi a piccoli particolari. Uno fra tutti: l'apparire di una stessa persona agli occhi di più persone, pur rimanendo sempre la stessa.

Amando "giocare", mi piacerebbe offrire di queste donne immagini differenti, per una libera associazione di idee.  Avrei potuto fare la stessa cosa sostituendo i nomi di donna ai colori... ma preferisco lasciare a chi legge una zona neutra entro cui "sperimentare". Qui racconto di me... ma anche di persone molto vicine a me. Non è dato sempre sapere chi sia il soggetto che porterò al centro dell'attenzione di volta in volta, né identificare luoghi o volti, sebbene questi tredici nomi propri di persona siano legati ad identità tutt'altro che casuali nella vita reale. Potrebbero essere altre anime o i molteplici volti della stessa anima (la mia), e un'ipotesi non necessariamente esclude l'altra.

Racconterò, mi si perdoni, senza rispettare alcun ordine cronologico o didascalico: se mi va di parlare di X anziché di Y o di saltare - di palo in frasca - dal giorno alla notte, allora lo farò e senza fornire troppe spiegazioni. Non esiste il "tema del giorno", non ci sono particolari disquisizioni da intavolare né ardimentosi monologhi che possano sostituirsi al Tavor. Chi si "perde" una puntata, può star certo di raccapezzarsi nella successiva senza bisogno di dover ricorrere al "dov'eravamo rimasti", sempre che non sia un desiderio proprio personale.

Parlo da donna soprattutto alle donne. Non lo dirò mai esplicitamente... ma in realtà l'ho appena fatto. Mi piace l'idea di mettermi in gioco. Sono una che non si tira mai indietro, sebbene mi prema mettere subito in chiaro che non sono qui per incontrare nessuno né per replicare alle pro-offerte di nessuno. Ho una vita sentimentale e sessuale piena ed appagante, qualora la mia presenza ricorrerà nelle fantasie di chi sentirà il bisogno di addentrarsi lungo sentieri di masturbazioni mentali o fisiche, si mantenga cortesemente il buonsenso ed il buongusto di non rendermene partecipe. Prosit!

 
 
 

A colarmi in sogno

Post n°1 pubblicato il 03 Aprile 2011 da NudaParola
Foto di NudaParola

Ero in un angolo di un luogo che non conoscevo e dove non ero mai stata. Lui, tornato indietro dalla stanza attigua, mi chiedeva trafelato un documento personale. Lo guardavo con espressione interrogativa, mentre mi esortava frattanto ad affrettarmi. Estraevo dalla mia borsa la carta d'identità.

"Ma non questa!", mi ammoniva restituendomi una mia foto di nudo integrale. "Quell'altra, no?!".

Frugando all'interno del portafogli, finalmente riuscivo a recuperare il documento giusto. E lui tornava verso la réception. Ci trovavamo in un albergo! La nostra prima volta... in un albergo! Ma questo l'ho realizzato chiaramente da sveglia. Sarà per il fatto di avergli parlato nei giorni scorsi di quanto mi ecciti la prospettiva di farlo in hotel. La sola idea mi fa bagnare... eppure ci sono stata tante volte con altri uomini, in passato. Ma Lui, dall'apparenza così cheta e morigerata, affabile e rassicurante... uomo tutto d'un pezzo logorato da ventisette anni di matrimonio consunto e scialbo che la notte (e non solo la notte) fotterebbe ogni mio anfratto accessibile... Beh, Lui non è "gli altri". Fargli perdere il controllo è un mio istinto primordiale e prioritario incrollabile. Non è la prima volta che mi trovo a frequentare un uomo sposato. Con la differenza che, dopo un anno, la prima parte di me ad esser stata fottuta è proprio la mia testa. Sono pazza di Lui. Uomo di polso e di potere dalla tempra forte e dall'impeto tipico del dominatore: solo pensare di esercitare su di lui il MIO potere mi provoca un piacere talmente immediato che devo serrare le gambe per controllare il piacere mentale che sconfinerebbe entro breve in un orgasmo.

Sicché, dicevo, ci ritrovavamo in un albergo... ma non aveva niente di elegante, piuttosto dava l'idea d'essere una mezza bettola, frequentata da persone con le quali non scambierei neanche il saluto. E giacché non c'è (mio) sogno che non anticipi verità in procinto d'esser vissute, è tutto il giorno che vado in giro senza mutandine e continuo a bagnarmi... a chiedermi quando (finalmente!) mi proporrà qualcosa d'insolito e gelosamente nostro, ché nessuno mai sospetterebbe fin dove un uomo come lui potrebbe spingersi, svelando se non altro, attraverso il sesso, qualcosa di umano. Una smorfia, un'espressione, come un qualcosa che cede, che viene meno... ché amo troppo vederlo in balia delle mie mani mentre con avida e generosa cura, starei a suggerlo per ore, con una flemma sensuale ed esasperante, con la voglia di ritardare quanto più possibile il suo orgasmo per essere poi scopata con maggior vigore. Allo stesso modo mi piace tenerlo in bocca a lungo... mi eccita il suo turgore, i suoi gemiti segnano l'anticipo del mio trionfo. Il potere che IO esercito su di Lui. E sentirlo venire e schizzare sul viso, sul seno, sulle labbra... e berlo senza perdere una sola goccia del suo piacere denso. Magari in una camera d'albergo (di camere d'albergo qui racconto), inginocchiata tra le sue gambe mentre, ancora in piedi davanti alla porta solo appena accostata, geme il mio nome regalandomi rivoli di poesia...

 
 
 
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