Creato da Camilla71064 il 04/03/2008
Calendario dei sogni
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Sete
LA TUA SETE MI APPARTIENE...
UNA SETE CHE HA LE STESSE RADICI
UNA PASSIONE CHE PRENDE NOME DALLE STESSE LABBRA
UN FIUME IN PIENA CHE ARRIVA ALLO STESSO MARE...
Ssssssh........
Mi piace ascoltare...
Lasciare che suoni
in ordinati stormi,
sorvolino
i miei sensi in attesa,
per poi scendere
in ampie spirali
a possedere silenzi.
Ogni sillaba scivola in cerchi
man mano più larghi
man mano profondi
e s'infrange sull'anima
e increspa la pelle.
Scruto delle tue labbra
l'orizzonte sereno
e attendo....attendo....
parole che mai più
spiccheranno il volo....
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Poesia Lakota
Come l'albero non finisce con le punte
delle sue radici o dei suoi rami,
e l'uccello non finisce con le sue piume
e col suo volo, e la Terra non finisce
con i suoi monti più alti:
così anch'io non finisco con le mie braccia,
i miei piedi, la mia pelle,
ma mi espando di continuo con la mia voce
e il mio pensiero, oltre ogni spazio e
ogni tempo, perchè la mia anima è il mondo.
non te l'ho detto con parole,
perché leggere e inconsistenti come sono,
si sarebbero perse in mezzo al cielo,
confuse con i suoni dell'intero mondo.
Che t'amo
te lo dico con le mani,
che parlano per sapienza antica
e con la pelle
che sfiora e onora ed assapora
la tua anima celata nel profondo.
non combatte le mie stesse battaglie.
Nei suoi occhi, colore dei laghi, annega la mia anima: Lancillotto mi tende la sua mano, disarmata e forte. Intreccio i miei passi ai suoi, sperando in un cielo migliore. Chi leggerà l'ultima frase del nostro libro d'amore, verserà lacrime incantate. Ma il cielo vivrà altri tramonti.
Bianco inverno
L'inverno mi somiglia a un bianco vecchio
che arranchi lento su per un sentiero:
nulla ode ormai più e segue solo
il filo dei ricordi di tant'anni,
spargendo intorno gelide parole...
Baci
Mille Piccoli Curiosi E Imprevedibili Baci...
Volteggiano, Ridono E Cadono Lievi...
Sulla Pelle, Nell'anima E Ancora Più Giù,
Dove Il Loro Posare Si Impronta Più A Fondo...Nel Cuore...
Baci Che Non Ti Aspetti, Che Ti Colgono Impreparata
E Atterrano Sulle Labbra Dopo Un Volo Sospeso...
Baci Che Raccontano Una Favola Senza Parlare
E Che, Senza Avere Occhi, Sanno Dove Andare.
Ho sempre pensato che alla vita fosse concesso di abbandonarmi,
per rincorrere le nuove foglie più verdi.
O che la bellezza potesse dedicarsi a colorare più morbide guance.
Ma tu, tu no.
Tu non dovevi, anima mia.
E mi ritrovo a gestire un sogno di appartenenza,
una fame primitiva che nessuno potrà più soddisfare.
Il tuo nome scalpellato via dal mio cielo
ha lasciato una frattura che trasuda amarezza.
Un'altra notte vuota e il nomadismo del cuore.
No, anima mia, tu non dovevi abbandonarmi...
Il nostro mondo
Là dove sogno e realtà si mescolano,
quello è il regno degli amanti.
Dove pensiero e azione prendono vita,
quello è il regno del coraggio.
Dove follia e ragione si parlano,
quello è il nostro mondo.
Mi amerai
nella tua follia.
Mi avrai
nel tuo coraggio.
Mi custodirai
nella tua ragione.
E forse scoprirò che è quello che ho sempre cercato anche io.
Senza un addio
Quel giorno ero sola.
Non c'erano danze nel giardino,
non cori di fontane, quel mattino.
Ognuno dormiva.
Ti ho chiamato, amore, ti ho chiamato,
ma la voce è tornata a me
a mani vuote.
La breccia nel muro di cinta
mi era davanti, ormai.
Non potevo indugiare.
Quel giorno ero sola.
E son partita senza salutarti.
Nel mio ricordo di te,
l’autunno non si è spento ancora…
come la luce calma
di un tramonto sul lago…
Post n°41 pubblicato il 28 Settembre 2009 da Camilla71064
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Post n°40 pubblicato il 24 Settembre 2009 da Camilla71064
Non servono scuse per baciarsi, |
Post n°38 pubblicato il 02 Marzo 2009 da Camilla71064
La vita vera è fuori di qui, oltre gli imprecisati confini di questa rete. E il tempo che ci viene concesso per assaporare la realtà è già fin troppo risicato. Come si può lasciare un'impronta del nostro passaggio, senza poggiare i piedi per terra? Io vado a vedere quello che c'è oltre lo schermo. E magari proverò a cambiare quello che non mi piace..... |
Post n°37 pubblicato il 12 Febbraio 2009 da Camilla71064
La casa di mia nonna era a metà di una salita che si percorreva senza faticare troppo, su una strada ritmata da ippocastani, che noi bambini scambiavamo per castagni, vedendone i ricci verdi. Sul marciapiede di fronte, c'era l'ingresso della scuola elementare che frequentavo. A pensarci bene, non ho mai capito se quella casa mi piacesse, la ignorassi, o addirittura la temessi. Ricordo solo quanto mi sembrasse strana. Per un bambino, è strano e misterioso tutto ciò che si discosta dal quotidiano, dalla confidenza con il proprio mondo di certezze. Perciò strana era la porta di legno dipinto, strano il campanello che funzionava facendo girare una chiavetta, strana la disposizione delle camere da letto, separate dalla cucina da un ballatoio, che a sera si percorreva a passo veloce, per non sentire freddo. Strano l'arredo e strana anche la luce che nel trascorrere del giorno, cambiava stanza, inondando la cucina, poi la sala, infine le camere da letto. Le giravo tutte, quelle stanze, per scoprire anche il minimo mistero nascosto. E quando ero fortunata, non trovavo spiegazioni ai miei perché. Il giardino, talmente grande da essere per metà orto e frutteto e per metà campo a maggese, ospitava, da un lato, una struttura solida, alta quasi quanto i due piani della casa, con abbaini dai vetri opachi di polvere e troppo vicini al tetto per poter lasciar passare luce sufficiente: il capannone. Era quello il mio posto preferito, quello che mi permetteva di esercitare il mio coraggio e che mi faceva dimenticare che una bambina non si deve mai sporcare i vestiti. Aperta la porta di legno, sconnessa e piena di schegge, due scalini irregolari, a tradimento, facevano piombare bruscamente in una dimensione surreale. La luce intensa del sole all'esterno, rendeva l'enorme spazio silenzioso, ancora più buio di un sogno oscuro, più freddo di un soffio d'inverno e più spaventoso di una minaccia d'abbandono. Per quanti sforzi facessi, non riuscivo a vedere nulla. Per quanto tenessi tutti i sensi all'erta, non venivo a capo della sensazione angosciante di aver perso l'orientamento in un viaggio proibito. Sentivo solo gli odori: di polvere d'anni, di legno ammuffito, di ferro corroso. E di me, della mia paura. In fondo, pensavo, mi basterebbe gridare per essere soccorsa all'istante. Ma io non volevo essere soccorsa. Procedevo a piccoli passi, cauti e misurati, scansando col piede tutto quello che poteva ostacolare il mio cammino, un coccio di vetro, un pezzo di legno e sperando di non sentire lo zampettio rapido di famelici animali. Sapevo qual era il mio obiettivo e sapevo che dovevo avanzare fino ad un'altro uscio che si chiudeva a malapena con una serratura a bilancia. E che mi lasciava entrare cigolando pesantemente. La forgia era lì, cuore nascosto che pulsava di incandescenze e arrossava al minimo movimento dell'aria intorno, calda come il desiderio, proibita come il peccato. Un braciere squadrato pieno di tizzoni accesi, ammucchiati come vulcano in miniatura. E da una parte, una manovella, collegata con un mantice a frizione. Prendo a girare la manovella, sono lì per quello, veloce, sempre più veloce. Il mantice urla roco, soffiando sotto i carboni che si spaccano, crepitano, scintillano e lanciano parabole di luce tutt'attorno. Lo sfrigolìo prende il ritmo della mia mano e della mia volontà, mentre un alito bollente forza il buio tutt'attorno. Sembra di aver evocato l'inferno. E sono io ad alimentare quella crudele catarsi. Ma quando mi balena in mente che l'inferno dev'essere proprio così, eterno purificarsi dai peccati di una breve vita, consumarsi in perenne bruciare fino ad essere solo luce, stacco la mano, piena di vergogna per qualcosa che non sembra giusto nemmeno a me, che sono solo una bambina....
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Post n°36 pubblicato il 02 Febbraio 2009 da Camilla71064
Non passava giorno che non sentissi la gente intorno a me, i pendolari, quale ero anche io, lamentarsi di quel duplice rito quotidiano, di quell'avanti e indietro che scandiva monotonamente la loro vita. Potevo anche ascoltarli con pazienza, fingere comprensione, annoverarmi nel gruppo degli scontenti, ma nel mio cuore non era così. In realtà non riuscivo a capirli. Nella mia vita tutto era sempre stato scandito con straordinaria e quasi sovrumana precisione, senza che niente fosse mai lasciato al caso: tutto calcolato, tutto puntigliosamente definito e previsto nei minimi particolari. Dopotutto il mio mestiere -orologiaio di precisione, come amavo definirmi- mi aveva spinto ad accettare regole ferree cui attenermi scrupolosamente ed ora tutto, a cominciare dalle piccole cose, era divenuto per me inno ad un tic-tac naturale, omaggio ad un ritmo preciso, inesorabile, eterno. Anche il consueto breve viaggio in treno che da trentatré anni segnava l'inizio e la fine di ogni mia giornata lavorativa, era diventato parte di me, delle mie abitudini di vita. Ogni giorno, alla stessa ora, salivo con calma sulla terza carrozza e mi dirigevo sicuro verso la "mia" poltrona, la numero 56. Forse perché era troppo vicina alla porta o forse perché da quella posizione guardando fuori si vedeva il mondo correre indietro, risucchiato via vorticosamente, fatto sta che nessuno andava mai a sedervisi, nessuno tranne me e quindi ormai io la consideravo proprio tutta mia. Mi piaceva affondare nel velluto verde e morbido, lasciarmi cullare dal rumore ritmico delle ruote che schiacciavano gli snodi dei binari... tic-tac...uno-due...andata e ritorno... Era confortevole abbandonarsi al peregrinaggio dei pensieri che fantasiosi e rapidi mi attraversavano gli occhi... Mi sembrava, quando sonnecchiavo, attento però al più piccolo rumore o vibrazione o cigolio della carrozza, che l'intero treno partecipasse allo svolgersi delle mie riflessioni, che fosse attento ad ogni mio più recondito atto intellettivo, che penetrasse la mia volontà e ne riducesse lo spessore. Quasi che fosse capace di assorbirmi in sé, di farmi parte di sé, di corrodere il mio vero "io" per impadronirsene. E di fatto, quando mi alzavo per scendere, mi giravo sempre a guardare la mia poltrona. Mi sembrava allora di vedere distintamente, disegnati in chiaro-scuro su di essa, i contorni del mio corpo, quasi un feticcio, ad assicurare la continua presenza di una parte di me su quel treno...
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Post n°35 pubblicato il 01 Febbraio 2009 da Camilla71064
Quella volta credevo proprio che ce l'avrei fatta. Arrivo in un paese che sembra fatto di muri di cartapesta puntellati da travi nascoste, colorito da saracinesche chiuse e finte finestre aperte.
(1/7/96)
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Post n°33 pubblicato il 21 Gennaio 2009 da Camilla71064
Sassi... Troppi per poterli contare, schivare, dare loro un nome... Sassi... Feriscono piedi, mani, ginocchia... Gocce di me segnano il mio avanzare, danno un senso a questo sentiero... No, non mi volto... è avanti che voglio andare Sassi... molati da vento e sale, candidi e tondi, insidiosi come solo la vita sa esserlo, scivolosi come inconsapevole sonno... Ognuno una storia diversa, ognuno un pezzo di mondo, su ognuno i segni del tempo... su uno, il simbolo d'acqua. Acqua sulla pietra... Acqua tra le pietre delle nostre esistenze: cade, bagna, avvolge, si insinua, accoglie, protegge, difende... evapora e poi ricade ancora, instancabile nel suo eterno ciclo, smussando spigoli, spezzando le rocce... Sassi... cedevoli ora sotto i nostri passi... |
Post n°32 pubblicato il 14 Gennaio 2009 da Camilla71064
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Post n°31 pubblicato il 12 Gennaio 2009 da Camilla71064
Anche questo giorno è scivolato via, |
Post n°30 pubblicato il 07 Gennaio 2009 da Camilla71064
Arabeschi sulla pelle, disegnati con desiderio dalle dita, dalle labbra... Siamo stati fuoco, vento, terra e acqua... Siamo stati puri spiriti nell'estasi della reciproca conoscenza... Arabeschi come sentieri di stelle che il navigante percorre con lo sguardo... Arabeschi incomprensibili ai più, a raccontare una fiaba di luce... Acqua nell'acqua a mescere i nostri spiriti... Fuoco nel fuoco, per fondere il desiderio... Arabeschi mappe di impervi e nascosti sentieri, tracciati dai lupi, portano al vento che fa volare alti i nostri aquiloni... Arabeschi ora nel cielo, graffi profondi, aperti al sale della lontananza, carne viva delle ustioni del desiderio di te. Solo gocce di cera per lenirle... Arabeschi sulla tua pelle... costretta dai miei desideri... grovigli di seta a domare ogni tua volontà... ci sarà tempo per sciogliere cera... Schegge di vetro nelle mie mani, tagliano pelle e seta... Gocce di vita dalle mie mani formano nuovi arabeschi su di te...su di noi... Arabeschi che sanno di sangue... morsi fra lupi affamati di vita... furia di averti, di aver la tua pelle di seta, solcata da unghie affilate... Bacerò le tue ferite, le tue mani, la tua bocca... Ti terrò e cullerò fino a che si acquieterà la furia, ti sazierò di me ed io di te... Mi avrai... Ti avrò... Arabeschi... Volute nebbiose fra ricordi già remoti... Scintille ormai spente nel respiro del tempo... La mia mente affonda nel nulla e accarezza pensieri lontani. Stringo il vento, un sogno, un'idea. O le mie stesse mani. O la voce del mare. O il silenzio della neve. Ma l'Amore continua a sfuggirmi, cavalca il tempo e si fa beffe di me. La pelle racconta troppa storia fra pieghe di vita. E mi deride questa giovinezza raccattata fra briciole di altri. |