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GIOVANNI AGOSTINO DE COSMI (1726-1810)

«Merita di essere sradicata quella malvagia e disumana politica, che fomenta l'ignoranza nazionale e la mancanza di lumi nel popolo, nel falso supposto che si governino meglio gli uomini degradati e acceccati, degli uomini illuminati»
«Non si chiamerà mai agiata, ricca e culta una cittadinanza se si dividerà solo in due classi, l'una straricca e l'altra mendica e miserabile; l'una scienziata, e l'altra barbara; l'una industriosa, e l'altra vile e inoperosa; l'una virtuosa al sommo, e l'altra senza verun senso di moralità».

 

 

Emergenze all’italiana

Post n°9 pubblicato il 27 Febbraio 2010 da Eteroclito

È da almeno un paio di giorni che a New York nevica che Dio la manda. Le immagini trasmesse in tv parlano chiaro: la Grande Mela, bianca e deserta sotto una spessa coltre di neve, rischia la paralisi.
Il Sindaco Bloomberg annuncia misure straordinarie e, conoscendo il senso pratico di cui sono ampiamente dotati gli amministratori americani, sono pronto a scommettere che la situazione si normalizzerà nel giro di pochi giorni.
Nelle stesse ore, nella civilissima Padania, una vasta macchia di petrolio si è riversata nel Po scendendo giù per il Lambro e rischia di raggiungere l’Adriatico. Insomma, sulle terre che già furono dei Galli e ora di Bossi incombe un disastro ecologico. Anche il governo italiano annuncia misure straordinarie e, per dimostrare che fa sul serio, si affida alla faccia rassicurante di Bertolaso.
Ormai in Italia pare che ci sia solo lui, il capo della Protezione Civile. Non passa giorno senza che i TG non ne mandino in onda il viso ben rasato sul quale spiccano i tratti decisi e virili dell'uomo che non deve chiedere mai. Forte di una popolarità che rischia di oscurare quella del Cavaliere, non solo resiste al recente scandalo che lo vede chiamato in causa, ma addirittura sembra cavalcarlo:  peccato che il calcio, in Italia, sia un affare serio, altrimenti sarebbe lui il prossimo CT della Nazionale.
Del resto, anche Bertolaso, come il Premier, è un “uomo del fare”, una sorta di predestinato piovuto dal cielo come dono della Provvidenza che, come ognuno sa, non è naufragata al largo di Aci Trezza (quella, semmai, sarà stata una carretta del mare traboccante di extracomunitari) ma, viva e vegeta, vigila sui problemi degli Italiani.
Se vivessimo in un Paese abituato a vedere le cose come sono realmente, la straripante presenza di Bertolaso nei media italiani dovrebbe inquietarci perché suggerirebbe un’ovvietà, ossia che l’Italia è il Paese dei disastri. Al contrario, pare che per il momento il problema più urgente sia quello della giustizia…

«Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati (Mt 5, 6)».

 N.B.
Onde evitare equivoci e inutili polemiche, si ricorda che “Mt” significa “Matteo” e non “Magistratura talebana”, come qualcuno potrebbe sottilmente malignare (specie dopo le ultime dichiarazioni del Premier).

 
 
 

"Al giornalista non far sapere..."

Post n°8 pubblicato il 10 Febbraio 2010 da Eteroclito

Ore 20 e 14. Il giornalista in gessato scuro annuncia con la compostezza impostagli dall'alto ufficio di pubblico araldo che il Governo vorrebbe varare al più presto la legge che segna il ritorno dell'Italia al nucleare, prevedendo consistenti sgravi fiscali per le aree che ospiteranno le centrali. Quindi, lancia il servizio.
Sullo schermo appare un'alta ciminiera alle cui spalle si staglia una nube grigia e minacciosa. La voce che accompagna le immagini descrive, con tono preoccupato, gli esiti di un incidente che ha prodotto chissà quali disastrose conseguenze ambientali e sanitarie. Solo pochi secondi, giusto il tempo di gettare nello scompiglio la mia coscienza annebbiata: cosa sta succedendo? La redazione è impazzita? Come si permette di associare a quella luminosissima notizia l'ombra di un disastro? Non sanno costoro che non è loro compito gettare ombre sull'operato del governo? A quello ci pensano già l'opposizione forcaiola e comunista, i giudici rossi, i giornalisti complottisti, i servizi segreti deviati, la stampa estera di sentimenti anti-italiani. Così s'offendono dunque le istituzioni? Che orrore! Che scandalo! (Che coraggio, però! Così almeno là fuori la smetteranno prenderci per il culo con 'sta storia dell'Italia 49ma nella graduatoria mondiale sulla libertà di stampa!).
Solo pochi secondi, dicevo. Ed ecco che scompaiono le immagini, il servizio si interrompe e ricompare il giornalista in gessato che con la stessa compostezza di pochi secondi prima chiede scusa a noi, attoniti telespettatori, avvertendoci che il servizio mandato in onda non era quello previsto. Ho spento la tv, non m'interessa sapere altro. Per oggi il tubo catodico mi ha gia dato troppe emozioni.

Ps: non so con quali criteri vangano oscurati i blog e, del resto, non credo d'esser passibile di fucilazione per aver commentato un fatto che ha colpito la mia sensibilità di telespettatore che tenta di ragionare sulle notizie. Certo, però, che a volte è davvero difficile osservare la regola del silenzio.

 
 
 

Il metapost. Ovvero: un (mio) post sui (miei) post

Post n°7 pubblicato il 09 Gennaio 2010 da Eteroclito
 

Stasera, di getto, quasi come se ne avessi un impellente bisogno, ho aggiornato il mio blog con un post lunghissimo dedicato alla cara zia Marta e uno terribilmente autoreferenziale, che è quello che state leggendo. Chi ha avuto la pazienza di leggere il post precedente avrà intuito che casinista sono e perché il mio vecchio prof di religione, pur volendomi bene (e non ho mai capito perché, visto che tra le tante pecorelle smarrite delle quali si lagnava io ero quella che meno di tutte era intenzionata a ritornare all'ovile) mi definisse “l'ultima piaga d'Egitto”. Chi continuerà a leggere questo mi segnalerà per un internamento coatto al più vicino centro di salute mentale.

E' mia intenzione parlare dei post e poiché lo faccio con un post, quello che state leggendo è un "metapost" (o, almeno, aspira ad esserlo).
A voler essere schietti, parlare dei post in un mio post è operazione di dubbia efficacia giacché i miei post (come tutti i post, credo) dicono meno di ciò che si vorrebbe dire. E poi ho l'insana abitudine di divagare, aprire parentesi dentro parentesi, aggroviglairmi in periodi tanto tortuosi quanto il pensiero che li produce. Insomma, preparatevi al peggio.
Dicevo che i miei post dicono meno di ciò che vorrebbero (potrebbero?) dire. Frutto, penso, del mio modo d'essere e di considerarmi. Sono un'anima travagliata da spasmi interiori comuni al resto dei miei simili ed è trascorso tanto tempo, ormai, da quando credevo d'essere sostanzialmente diverso dagli altri. Oggi, giunto sulla soglia dei quaranta, giudico me stesso con severità e comprendo, con una amarezza del tutto autobiografica, che a giudicarmi è ancora ragazzino pieno di speranze e progetti che fui e che, nonostante le mie supposte qualità, sono riuscito a deludere.
Così, eccomi qui, nel più assoluto anonimato, a parlare di me scrivendo d'altro, quasi come se me ne vergognassi. E poi, d'un tratto, rendermi conto che a volte essere ciò che si è costa davvero fatica, specie quando sorge il dubbio di recitare una parte in una pièce e sai bene che non sei lì per cercare applausi (che per quanto lunghi e calorosi possano essere, prima o poi finiscono) ma perché se qualcuno ti dà un calcio nel sedere e ti catapulta sulla ribalta bisogna pur improvvisare. Ma sono guai, questi, che capitano a chi bazzica dietro le quinte ed è inutile farne un dramma (la battuta, giuro, è involontaria).
Ecco, già a questo punto, formulato il dubbio, potrei (dovrei?) fermarmi, accomiatarmi dal gentile pubblico e uscire in silenzio a testa bassa, sapendo che non è colpa del Regista se da qualche tempo a questa parte mi pare di essere Alvaro Vitali (mi perdoni l'interessato) che recita l' Amleto: “Essere o non essere? Ahahahah! Col fischio o senza?”.
Strani pensieri, stanotte. Pensieri eterocliti, come me. Pensieri contraddittori, soprattutto, perché se da un lato non capisco il motivo per il quale dovrei fare dei miei dubbi, delle mie perplessità e delle mie personalissime Waterloo un fardello per gli amici del blog accanto, dall'altro mi emoziono e partecipo alle loro vicende umane e non le ritengo affatto un peso ma un valore aggiunto, intuendo nelle loro parole una sorprendente eco dei miei pensieri. Se riuscissi ad avere la stessa umana simpatia nei miei confronti probabilmente io e il mio cervello faremmo pace e scriverei di più e meglio di quanto non riesca a fare in questo momento.

Sono uscito fuori tema. Volevo discettare sull'utilità dei post (e loro limiti) e mi sono perso per strada. Eccomi dunque di fronte alla necessità di trovare un titolo adeguato al nuovo e imprevedibile contenuto. Così imparo a dare il titolo a un post prima d'averlo scritto. Vabbé, ho deciso: lascio il titolo (sbagliato) del post che avevo intenzione di scrivere. Al limite, aggiungo un paio di aggettivi possessivi, a scanso di equivoci. In fondo, questa discrepanza tra titolo e contenuto è metafora di come mi avverto in questo momento.

 
 
 

Capodanno da zia Marta (ovvero: come fare un'orribile gaffe e uscirne vivi)

Post n°6 pubblicato il 09 Gennaio 2010 da Eteroclito
 

Il ritorno dalle vacanze è sempre un po' traumatico, e non lo impariamo certo dalla pubblicità della Costa Crociere. Il fatto è che a volte sono traumatiche le vacanze stesse, per quanto ci sforziamo poi di parlarne bene per non passare per sfigati o, peggio, per allocchi. Quest'anno, per motivi vari e articolati, le vacanze che avevo progettato sono sfumate inopinatamente, per cui ho passato un bel Capodanno in famiglia, con tanto di cugini col volto butterato dall'acne juvenilis e zie ottuagenarie perennemente sul punto di addormentarsi sulla sedia. So che questo potrebbe conferirmi i tratti di un insensibile e spregevole misantropo, ma non è così: a me le riunioni familiari piacciono, purché non mi vengano imposte e, soprattutto, non mi si obblighi a strimpellare la chitarra per tutta la serata, come sovente accade, mentre gli altri intonano la versione più cacofonica di “Oh happy day” che si sia mai udita sul pianeta Terra.
Inutile dire che ho dovuto suonare la chitarra, su espressa richiesta della cara zia Marta.
Chi non è pratico di famiglie numerose non può certo immaginare cos'è una “Zia Marta”: è molto più che una donna, è una sorta di guida spirituale che detiene per investitura divina il potere di organizzare cenoni di Fine Anno allo scopo di coinvolgere amici a iosa e parenti fino al settimo grado, con tanto di affini e collaterali, sicché in occasione di tali adunate oceaniche si possono fare sorprendenti scoperte e paurose gaffes. Quest'anno, giusto per non farmi mancare nulla e chiudere l'anno in bellezza, sono riuscito a fare l'una e l'altra.
Ecco i fatti.
Chiacchierando con Luisella, una mia lontana cugina specializzata in buone nuove, ho scoperto che Antonella, una mia cara ex compagna di liceo con la quale avevo avuto un breve ma intenso flirt nel corso di una gita scolastica in Spagna nella primavera dell'89, ha recentemente sposato il figlio di un cugino di mio padre e che presto sarebbero arrivati anche loro, a festa già iniziata. Un quarto d'ora dopo, i due sposi facevano il loro ingresso trionfale tra le braccia del gran cerimoniere di quell'evento, la zia Marta appunto. Non appena avvistatomi, Anto (così la chiamavo in gioventù) mi ha guardato con la stessa espressione del paleontologo che vede un tirannosauro. Ci siamo salutati come si salutano ordinariamente i vecchi compagni di classe, cioè mentendo entrambi spudoratamente sullo stato di conservazione dell'altro; quindi, dopo un doveroso scambio di informazioni circa i principali avvenimenti biografici dell'ultimo ventennio, ci siamo divertiti a disseppellire vecchi aneddoti riguardanti compagni e professori, ridendo di gusto sotto lo sguardo corrucciato del cugino in terza che evitava di inserirsi nella conversazione ma, in compenso, ascoltava attentamente. Ad un certo punto, parlando delle mie vacanze rinviate a chissà quando, il cuginazzo, interrompendo il voto del silenzio, ha tenuto a farmi sapere che in estate lui e la sua fresca sposa sarebbero partiti “cascasse il mondo” per la Spagna. Con l'innocenza di chi non ha nulla da nascondere, ho risposto di getto che ne valeva davvero la pena e che c'ero stato un'unica volta, ai tempi del Liceo, in occasione dell'annuale gita d'istruzione ma che intendevo ritornarci. Così ho chiesto ad Anto se ricordava di quella volta che con Mariuccia, la sua migliore amica, ritornammo insieme in albergo in taxi perché il giorno prima con i mezzi pubblici eravamo andati a finire all'altro capo di Barcellona. Antonella, ovviamente, non aveva dimenticato quell'episodio ma dall'espressione del suo viso ho capito che c'era qualcosa che non andava: Anto, infatti, mi stava guardando scuotendo leggermente la testa dall'alto verso il basso come quando, negli anni del Liceo, cercavo di ripetergli, per la quarantesima volta e sbagliando metodicamente la pronuncia, la lezione di Francese in attesa che l'anziana prof, esigentissima e per giunta madrelingua, mi giustiziasse davanti al resto della classe. Evidentemente, Antonella aveva raccontato al marito di quell'episodio e, nella sicurezza d'essere capita, anche del momento di intimità capitato proprio quel pomeriggio con la complicità di Mariuccia. Mentre lo scrivente cercava di arrampicarsi sugli specchi reindirizzando pietosamente il discorso sulla terribile acconciatura della vicina zia Erminia, rischiando per questa via di aggiungere gaffe a gaffe, il cuginazzo si è allontanato senza dire niente, lasciando me e Anto a condividere il clima di gelo che s'era abbattuto sulla gaia conversazione di alcuni momenti prima. Anto mi ha guardato affettuosamente, sorridendomi come ai vecchi tempi, forse perché in quel momento deve aver rivisto quella buffa espressione che ho quando realizzo d'aver rovinato il matrimonio di qualcuno. Mi sono dato del deficiente da solo e lei, anziché prendermi a calci nei cabasìsi com'era in fondo giusto che facesse, per rassicurarmi mi ha detto che non avevo fatto nulla di male e che se c'era qualcuno che aveva sbagliato, quella era proprio lei, perché aveva creduto di poter confidare quel ricordo all'uomo che amava senza temere di dovergliene rendere conto. Poi si è allontanata salutandomi con una carezza sul braccio, come per consolarmi. Mentre la vedevo raggiungere il marito, ho pensato che quell'idiota era fortunato e non lo sapeva. Inutile aggiungere che siamo stati lontani per il resto della serata, non abbiamo nemmeno brindato insieme all'Anno Nuovo. Ignoro cosa sia successo dopo. Sono andati via a notte inoltrata, insieme allo zio Mario e alla moglie, i suoceri di Anto. Si sono avvicinati per salutarmi e il cuginazzo, andando via, mi ha favorevolmente stupito perché si è congedato scusandosi per la reazione di qualche ora prima. Gli ho stretto la mano con fermezza, in segno di sincera stima. In fondo, gli avevo rovinato la serata e ne ero consapevole. Anto mi ha abbracciato, sussurrandomi piano che era tutto risolto. Era contenta e, sinceramente, anch'io. Ma dubito che quest'estate andranno in Spagna.

 
 
 

Mah!

Post n°5 pubblicato il 02 Dicembre 2009 da Eteroclito

 

Da due giorni sono costretto a casa da una febbre che se non è violentemente suina, certo non è delicatamente signora nei confronti di un uomo che, alla fine, non le ha fatto niente.

Avrei voluto fare tante cose, in questi due giorni, sfruttando il riposo forzato; prima fra tutte, leggere un buon libro o anche uno pessimo, per il gusto di poterlo lanciare con doppia soddisfazione al deficiente che, nelle ore migliori della notte, non ha fatto altro che litigare con la sua ragazza al telefono e che è andato via bestemmiando come un marinaio quando si è accorto che l'inferriata alla quale di tanto in tanto appoggiava la schiena era stata appena riverniciata. Ben gli sta. Stamattina, al risveglio, i pezzi sparsi di un cellulare disgregato da una furia chiaramente omicida certificavano che non avevo sognato tutto e che il deficiente a strisce non era frutto della febbre alta.

Questo pomeriggio, una solerte vicina di casa ha chiamato per sapere come stavo. Il fatto di essere nei suoi pensieri mi ha intenerito, mi sono sentito coccolato. Ha perso il figlio maggiore alcuni anni fa, ucciso da ignoti, pare, perché non si faceva i fatti suoi. Per la madre, ovviamente, era soltanto un ragazzo sfortunato, che si era trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. L'altra figlia, mia coetanea, si è risposata dopo un primo matrimonio andato precocemente in frantumi e adesso vive in Germania col nuovo, gigantesco marito, una specie di cingolato di fabbricazione tedesca dal nome impronunciabile. L'attuale genero, rispetto al precedente, ha due pregi: non beve ed è affetto da sordità fin dalla nascita, per cui non solo non sente ma addirittura non parla. Per madre e figlia, abituate al quotidiano sproloquio del primo marito, quest'ultima dev'essere una virtù eccelsa.
Dopo essere stato costretto a giurare, per la ventesima volta, che non ero in fin di vita per gli esiti di chissà quale morbo, la telefonata è deragliata là dove era naturale che deragliasse: sulla lite notturna tra i due innamorati. La cortese signora non aveva capito granché dell'accaduto. La distanza che corre tra il suo appartamento e il punto dove giacevano inerti i pezzi di quello che era stato fino a non molte ore prima un cellulare di penultima generazione, aveva privato la mia vicina di casa della soddisfazione d'essere testimone oculare dell'evento del giorno. Così adesso mi investiva di domande: abbandonate le vesti usuali della madre di famiglia, si era trasformata nel volgere di pochi secondi in una tenace di investigatrice privata. Intuendo dove sarebbe andato a parare tutto il discorso, m'è parso necessario chiarire subito una serie di evidenze: ero sotto le coperte con un febbrone da cavallo, non avevo sentito un granché e non so chi fosse la scimmia urlatrice che aveva animato la nottata di quel pacifico quartiere.
“Sei proprio come la buonanima di mio figlio! Lui mai niente sentiva!”
Inutile dire che ho fatto gli scongiuri nella maniera più istintiva possibile.
Delusa d'aver mancato l'obiettivo più importante della telefonata, ha riattaccato dopo i rituali convenevoli. Meno male, perché già cominciavo a preferirle la suina.

 
 
 
 
 

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Un blog di: Eteroclito
Data di creazione: 05/06/2009
 

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