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Omaggio a Domenico Cotta

Post n°71 pubblicato il 26 Giugno 2009 da Giuseppe_Cotta
 
Foto di Giuseppe_Cotta

Domenico Cotta, nacque a Carpasio nel 1866, laureato in medicina, passò la maggior parte della vita a Sanremo, dove fu anche sindaco dal 1915 al 1920 e dove morì nel 1950.

Lo chiamavano il medico dei poveri, perché in molti casi; oltre a non pretendere il pagamento delle prestazioni da parte delle persone indigenti, portava loro anche del cibo, in particolare carne.

Si dedicò alla poesia e pur non raggiungendo la celebrità, lasciò un segno particolare ancor oggi riconosciuto ed apprezzato.

Il primo componimento che voglio prendere in considerazione è questo dedicato agli emigranti di inizio secolo; quando milioni di italiani lasciarono le loro case, i loro cari, la loro patria, per andare, senza cognizione di causa in cerca di un futuro possibilmente migliore ma del tutto incerto.

In questo sonetto il medico-poeta esprime la sua tristezza nell’osservare, forse sul molo di Genova, una massa di emigranti che giace al suolo coperta di cenci, con un luccichio di disperazione nello sguardo, pronta a partire per terre oltre oceano ma nello stesso tempo con una speranza nel cuore: migliorare la loro condizione di vita.

Le parole rispecchiano la realtà storica del primo novecento descrivendo con dovizia di particolari la patetica figura dell’emigrante che cerca una nuova patria nella terra che spera potrà dargli nutrimento. Molto espressiva la descrizione del “mostro marino” che dalle profonde gole lancia un ululato ed inghiotte quanta più merce umana può per condurla lontano nel nuovo continente.

 

 

 

EMIGRANTI

 

Giaccion sul suolo, cupi, accatastati,

Come sacchi di cenci; hanno nel vano

Sguardo un gelato luccichio insano,

Come un vitreo baglior d’allucinati.

 

Aspettano così d’esser stivati

Sul vapore in un mucchio, e andar lontano,

Vanno lunge a cercare in suolo estraneo

La patria, onde a lor casa sono orbati.

 

Stanno là come sacchi: immane austero

Il marin mostro da le fonde gole

Ulula una sua lunga nenia strana,

 

Come a chiedere aiuto; il ventre fiero

Spalanca sussultando, l’ampia mole

Ad inghittir la triste merce umana

 

04 gennaio 1925

 

             

 
 
 
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