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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°187 pubblicato il 10 Settembre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello Scrittore: Guido da Verona.

 

 

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Sandro Ciapessoni:

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***

X° Parte del romanzo.

- Francamente Lord Pepe non giustifica una simile calunnia. Però, al mondo, mai nulla è impossibile.

- Dunque raccontate.

- Cosa?

- I particolari; i più sottili, i più intimi particolari della vostra avventura. Non rifiutate, vi prego, non ditemi di no. È forse un capriccio, un cattivo capriccio... ma raccontatemi ogni particolare con esattezza: mi farete piacere.

- Bene, se mi offrirete una sigaretta nella vostra camera, ve li racconterò fedelmente. Qui, mi sembra impossibile.

- Dunque andiamo.

Raccolse Pompon, che ascoltava con un orecchio diritto le nostre parole riprovevoli, e traversammo rapidamente l'atrio affollato. Madlen mi diede Pompon su le braccia, con mille raccomandazioni, e sparì nell'ascensore.

Due bambinelle assai leggiadre, con le gambe nude, mi vennero incontro, curiose dell'arcigno animaletto. Una delle due già sorrideva come una donna che vuol piacere; l'altra, più timida, era molto bellina.

- ¿Caballero, que raza de perro es?

- Un perro de la China, nenita; un perro muy raro.

- Come se llama, caballero?

- Se llama Pompon, chiquita.

Ambedue, quella sfacciata e l'altra bellina, salirono con me su per le scale, fin davanti all'uscio di Madlen.

Ella venne ad aprirmi con le mani ancor umide, avvolte in un asciugamano. La stanza era quasi buia solo dal bagno entrava luce. L'argenteria cesellata, l'avorio dei suoi molteplici pettini, brillavano sul vetro; della pettiniera. Si udiva la pioggia battere sul terrazzo con uno scroscio continuo, pieno di sorda musicalità; nella voluminosa nebbia un lampione ad arco brillava davanti al teatro Eugenia Vittoria.

Mi offerse una sigaretta, una delle sue bionde sigarette profumate, nelle quali c'era forse qualche traccia d'oppio, e mi sgomberò il divano dicendomi:

- Sedete.

Io pensavo che un uomo non si sente mai tanto straniero ad una donna come presso il letto ove ella dorme con il suo amante. Invece di esprimerle questa mia sconsolante sensazione, le dissi vagamente che mi pareva di aver freddo.

- Freddo?

- Sì, nell'anima.

Era seduta contro la pettiniera; qualche filo dei suoi capelli pareva prendesse fuoco. E disse:

- Non muovetevi di lì; finisco di curarmi le mani, poi, se permettete, mi cambierò d'abito.

- Va bene. Anzi va molto bene.

- Intanto raccontatemi le cose che voglio sapere. Ma ditele con delicatezza, vi prego, e senza costringermi a provare il desiderio di arrossire.

- Oh, Madlen! perché volete ancora tormentarmi con queste memorie delle quali non mi ricordo più?

Allora mi venne accanto, e si piegò, e si mise a ginocchi fra le mie ginocchia, e tutto il peso della sua dolce persona, tra quella penombra, si raccoglieva contro la mia persona. Diceva:

- Non credete voi che nell'amore la cosa più bella, più delicata, sia forse il parlarne? Immaginare, tormentarsi, avvolgersi nel peccato fino alla gola, rimanendo quasi puri? Contaminarsi piano piano, squisitamente, con un po' di sogno, con un po' d'esitazione, stando così, come noi siamo, non proprio nell'amore, nel faticoso amore, nel pesante amore, ma su l'orlo di esso, quasi nel profumo di esso, ravvolti nella gioia infinita che il vero abbandono forse non dà?

Ed il suo viso, con tutti i capelli, con tutto il respiro, si empiva di un terribile pallore; la sua bocca si orlava di vizio; nella sua voce, in tutta la sua carne, in lei, entrava una voluttà inesprimibile, quasi un dolore.

Mi pareva d'avere indosso una calda pelliccia, una morbida pelliccia di zibellino; il colore dei suoi capelli somigliava molto a questo colore, la sua pelle mandava il profumo denso, caldo, soffice, che in inverno, quando si esce dai balli, nelle stanze troppo riscaldate, su le spalle troppo nude, mandano le pellicce di zibellino. E diceva:

- Essere amanti non è forse dolce come il pericolo di poterlo divenire. Io cerco un uomo che abbia la pazienza e l'immaginazione d'intendere l'amore come io l'intendo. Non sono fra quelle che possono far dono dei propri sensi al primo venuto e che vuotano il bicchiere d'un fiato, regalando sé stesse all'uomo che per cinque minuti le desidera, poi s'addormenta, o fuma, e pensa con orgoglio di averci fatto conoscere il divino paradiso...

Oh, voi dovete perdonarmi se io non sono fra queste! Amo invece l'amore che tormenta i sensi fino all'esasperazione, poi li esaudisce con lentezza, li addormenta, li avvolge in una specie di meravigliosità, nella quale si sente la piccola gioia di noi stessi divenire infinita...

Parlava con un po' d'angoscia, con un po' di febbre, come chi raccontasse la storia d'un suo lungo ed inesaudibile sogno; vedevo battere piano piano, con insidia, l'orlo delle sue ciglia quasi dorate; vedevo della sua bocca brillare, in un sorriso pieno di sofferenza, la rossa umidità; vedevo, sotto la camicetta quasi diafana, correre il nastro azzurro della sua camicia molto scollata, sbocciare da essa, come dall'involucro d'un fiore calmo e pallido, il disegno voluttuoso della sua felice nudità. E diceva:

- Se volete che sia vostra, non cercate di afferrarmi con ruvidità, come si rovescia e si possiede una piccola cameriera. Invece tormentatemi un poco, fatemi un poco male, persuadetemi sottovoce, parlatemi sottovoce, poiché amo, amo infinitamente, la lussuria delle parole... Ora tacete. Io sola parlerò con voi. Ho molte cose a dirvi, e quasi non me ne ricordo più... Sì, me ne ricordo. Ascoltate. La prima sera, quando eravamo seduti presso la tavola da gioco, e vi domandai un fiammifero per accendere la sigaretta, ho capito subito che qualcosa poteva nascere fra voi e me. Provavo una irritazione singolare nel sentirvi così vicino, e fu allora, non dopo, ch'ebbi di voi la tentazione più forte. Quella sera voi eravate veramente un uomo senza cuore, gelido e sciupato, al quale restava negli occhi, forse nell'anima, qualcosa di terribilmente lontano, che altre portarono via, qualcosa di aspro, di amaro, d'insensibile... mi piacevate allora, e dopo di allora non più. Dopo, anche voi, come tutti, non foste altro che un uomo, sì, un comune uomo, che ubbidisce ai suoi piccoli vizi. Quand'ero fanciulla, passavo le notti leggendo libri di voluttà e costringevo i miei nervi disperati a non sentirne alcun fremito. Certe notti mi addormentavo così, fredda e bruciante, con i polsi avvinghiati al guanciale, con le ginocchia, le caviglie irrigidite, come se le stringesse un laccio tormentoso, eppure senz'avere pacificato il mio corpo nemmeno con la più leggera carezza. Più tardi, nei giorni d'estate, andavo per i campi e mi piaceva battere su la loro carne bruna i fanciulli di dodici anni... Anche oggi sono rimasta, come allora, una donna che teme il piacere, forse perché non trova mai nulla che le possa dare una gioia veramente pacificatrice. Ora, se non vi muovete, se non dite nulla, vi darò un bacio; io sola vi darò un lungo bacio, e non voi, su la bocca...

Fina fina, la pioggia del mese di Settembre batteva sui vetri, nel vespero buio. Il lampione ad arco del teatro Eugenia Vittoria ogni tanto si oscurava, come se vi passasse davanti un continuo volo di rondini.

Sì, avete ragione, Madlen: «Only as long as we are strangers, can Love be a sweet spleen...» - solo fin quando si rimane stranieri può essere l'amore un soave splene...

Se potesse contare il mio solo desiderio vorrei anche spegnere il lume dell'altra stanza, restare con voi nel buio. Taciturni, e quasi navigando nel soave splene, - a sweet spleen - ascoltare sui vetri opachi la pioggia del mese di Settembre, sapere che il vostro bel corpo è mio, conoscere il vostro respiro, ma non averne bevuto che un sorso, l'ultimo sorso ancor mai...

Ed ora si faceva tardi; le prime campane dell'ora di cena suonavano per i corridoi dell'albergo. Madlen si levò e disse:

- Accendete il lume; ora devo spogliarmi; andate via.

- Non ancora; lasciate che v'aiuti a sciogliere i ganci del vostro abito, le fibbie della vostra cintura.

- Sì, provate.

Nel premere fra le mie due mani l'incavo dei suoi fianchi, perché si slacciassero i ganci, mi pareva di stringere fra le dita il bel collo di un levriero, focoso e docile. In quella fragilità sentivo scorrere una grande vita. La sottana cadde, producendo una specie di soffio, che agitò le frange della gonnella di seta. Portava un busto leggero, quasi una fascia da educanda, che le teneva i fianchi senza premerli, come una bella guaina. Poi slacciò e si tolse la camicetta, molto piano, guardandosi le braccia. Quelle sue braccia splendevano d'impurità, senza un'ombra, senza una incavatura, perfette. Ma in lei c'era qualcosa d'indefinibile, che mi fece pensare alla sua vecchiezza; certo una vecchiezza non d'anni, ma di anima sciupata, ma di carne troppo goduta, ma di lascivie troppo dolorose. Non so perché , in quel momento la immaginai qualora fosse morta, morta nella sua giovinezza, ed immaginai di vederla giacere sovra un letto pieno di trine, seminuda, coi suoi capelli ancor segnati dall'ondulazione, con tutti i suoi vizi ancora evidenti su la pelle incipriata, - e pensai come sarebbe stato lieve il peso di quel corpo da mettere nella bara...

Ma era viva, e diventerebbe vecchia - una piccola vecchia gialla, col mento aguzzo, lo scheletro accartocciato. Il giorno del suo funerale, quando la porterebbero via, forse da tutti dimenticata, forse in miseria, qualcuno direbbe ch'era stata una prostituta; le darebbero, per marcire, due metri di terra santa... Era stata un capolavoro, e nessuno se ne ricorderebbe più. Ebbi una immensa pietà, un immenso dolore di questa che doveva morire; avrei voluto in quell'istante farle un dono, dirle qualcosa che la facesse almeno sorridere...

Ma ella d'un colpo sciolse tutti i suoi capelli, e questa magnificenza la vestì. Disse:

- Non vi muovete, non parlate; voglio darvi un bacio tutt'intorno alla bocca... No, vi prego, vi prego, non toccate i miei capelli. Essi mi fanno così male... Chiudete gli occhi, vi prego, e non guardatemi; tanto più che sono quasi nuda... vedete bene che sono quasi nuda... Oh, lasciate stare, vi prego, i nastri della mia camicia; non li toccate, ho freddo... V'impolvero con la mia cipria?... Sì, v'impolvero. Però amo arrampicarmi su voi... no, lasciatemi stare... non carezzate i miei seni... essi mi fanno più male ancora... E poi v' ho detto: mi occorre lungo tempo, lungo tempo, innanzi d'essere innamorata... Bisogna che nulla di voi mi dispiaccia, né di me a voi. Ho sognato tutta la vita di poter amare un uomo che fosse nel medesimo tempo un maschio veramente superbo ed un'anima veramente chiara. Ma l'uomo non è mai che una cosa o l'altra: ecco perché innamorarsi è difficile. Se vi dicessi «tu», sarebbe assai più dolce, anche per una Inglese. Ma non posso ancora dirvi «tu». È molto più facile darvi un bacio su la bocca e dire «voi», e seguitare a chiamarvi, come si chiamano tutti gli uomini, «voi...» Ma ora, vi prego, andate via. È tardi. Quando un uomo parte in automobile non si sa mai a che ora può essere di ritorno. È meglio non ci trovi così... vi pare? Forse non darebbe alla cosa una grande importanza, ma osserverebbe senza dubbio che potrei anche mettere una vestaglia per ricevere i miei amici... E, del resto, vi prometto che durante la notte cercherò di salire da voi. Se non potessi, vi scriverò una lunga lettera...

Sapete? scrivo molto bene, anche in francese. Per quasi otto anni fui chiusa in un educandato vicino a Parigi. Mio padre aveva un castello; mia madre, prima d'essere la moglie di un Lord, era stata la più acclamata, certo la più bella, fra le attrici dei teatri metropolitani. Ma tutto questo non importa, poiché oramai è così distante... In quell'educandato c'era una maestra, una bella monaca di ventisei anni, molto bionda, molto pallida, un'Alsaziana, e quand'erano le fredde sere dell'inverno ella veniva molto spesso a ravvolgersi nella mia coltre, perché , diceva, ho la pelle così fina...

E la pioggia cadeva, cadeva, con un rumore continuo, con un piccolo ridere, con un sottile stridere; là fuori batteva, cantava, sui vetri opachi, la buona e profumata pioggia del mese di Settembre...

FINE X° Parte del Romanzo

Buona lettura.


 

 
 
 
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