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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°188 pubblicato il 14 Settembre 2012 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore: Guido da Verona.

 

 

Immagine: Fiume Urumea.

L'Urumea porta nel mare, con la sua lenta ondata grigia, le foglie che l'autunno fa cadere giù...

Cliccare sull’immagine per ingrandire.

***

XI° Parte del romanzo. (Seguito del post 187)

Lord Pepe è tornato assai tardi e si è presa la libertà di pranzare in abito grigio, dopo aver impiegato solamente mezz'ora per lavarsi le mani e lisciare i suoi brillanti capelli. Ormai son divenuto il loro commensale d'ogni giorno, ed anzi, da qualche tempo, la più cordiale intimità regna fra noi.

Ben tornato, Lord Pepe! Se il mio calunnioso intuito non m'inganna, voi dovete oggi, a Biarritz, aver presa una tazza di tè molto intima nella camera ospitale d'un'amica di Madlen. Forse Yvonne Le Hannec? forse Darclea Thibaud, l'attrice del Vaudeville? Forse, Lord Pepe, l'indiavolata Baldwin?... È ancora quel ch'io vado investigando. Me l' hanno fatto supporre alcune vostre celie garbatamente ironiche, poi quello sguardo, affettuoso e compassionevole insieme, con cui l'uomo suole avvolgere la propria amante dopo averla tradita. Voi siete inoltre fra quelli che hanno quasi un bisogno fisico di lasciar sospettare le proprie infedeltà, e dal principio alla fine del pranzo altro non faceste che cercare sottili espedienti per provocare la gelosia di Madlen.

Invece, Lord Pepe, voi attizzate la mia, nel timore che un simile gioco possa rinfocolare verso di voi la sua tepidezza.

Il prestigio che vi conferisce in tutta la Repubblica di Francia essere l'amante, l'unico amante, l'invidiato amante di Madlen Green, è tale, che certo nessuna, per quanto ben custodita camera di Biarritz può rimaner chiusa alle vostre nocche irresistibili, quando, Lord Pepe, voi bussate. Inoltre, per un appassionato e negligente amatore della bellezza quale voi siete, nulla in amore supera la varietà.

Su le avventure della vostra gita Madlen vi ha chiesto ragguagli con una voce un po' sardonica. E voi rispondevate sul medesimo tono, anzi alludendo senza ombra di rancore all'innocente flirt che noi due, sotto i vostri benevoli occhi, andiamo intessendo. Grazie al cielo voi siete un uomo del tutto moderno, e pieno di spirito, il quale considera come una mancanza di buon gusto la volgare gelosia. Ma il fatto strano è questo: ch'io sono invece molto geloso di voi.

Dopo il pranzo siamo andati al cinematografo. Si rappresentava un dramma di oltre duemila metri, dov'erano esibite in azione le truffe colossali di un finanziere tipo Rochette, con la bellissima riproduzione dal vero della Borsa di Parigi pervasa dal panico, un giorno in cui precipita il Rio Tinto.

Non erano però queste le sole attrattive del ben architettato dramma. Si vedeva, nella prima parte, un buon numero di vittime innocenti pagare con le proprie lacrime le ricchezze dell'empio frodatore. Indi si vedeva un ponte inabissarsi al passaggio d'un treno, e ciò era fatto in modo che il cuore di tutta la sala per un istante cessava dal battere. L'ignobile Rochette eseguiva poi un tentativo di stupro su la persona d'una bella dattilografa, incredibilmente onesta. Né il denaro né la violenza né la promessa di vestirla da Paquin riuscivano a sedurre questa fanciulla preistorica.

Il finanziere ladro andava, com'è immaginabile, su tutte le furie. Poiché era un uomo potente, macchinava orribili vendette. Così assistemmo all'arresto arbitrario del fidanzato di costei, cassiere onesto con fisionomia del giovine povero.

Si svolgevano in séguito infinite altre peripezie, poliziesche drammatico-sentimentali, così ricche di fantasia e di pathos da potere assai bene reggere al confronto con tutto quanto produce la fertile romanzatura del nostro secolo; - finché , un bel giorno, verso gli ultimi cinquecento metri, l'audace filibustiere viene preso nei lacci delle sue proprie rapine; la vendetta covata negli animi per tanto chilometraggio scoppia in modo esauriente; la dattilografa-premio-di-virtù sventa in pochi secondi una rete d'affari assai più complessa che il traffico mondiale della Casa Rotschild; il cassiere onesto con fisionomia del giovine povero esce alfine di prigionia, mentre, al sopravvenire dei gendarmi, il rovinato ingoiatore di beni altrui apre con mano brancolante il cassetto della scrivania, consegna tremando alla bella dattilografa un grosso fascio di documenti, le domanda perdono con un viso da intenerire i sassi, e negli ultimi cinquanta metri, con una pistola enorme, si fa saltare le cervella...

Esce un gallo che muove il collo, con la scritta: «Pathé Frères» Lord Pepe ha preso parte vivissima alle alternative di questo palpitante dramma, spesso mormorando improperi contro l'operatore, il quale cancellava dallo schermo con troppa fretta i lunghi titoli che illustravano l'avvicendarsi delle scene.

Lord Pepe è un uomo di principî onesti; quando vide il pseudo-Rochette farsi giustizia, non seppe trattenere il grido verace dell'anima sua e proclamò ad alta voce:

- Que muera el ladron!

È singolare come gli uomini, che son quasi tutti nel loro intimo rubatori e furfanti, amino a teatro e nei libri vedere il vizio punito e premiata la virtù. La letteratura del buon fine manda sempre a casa convinti e soddisfatti gli spettatori. Ciò proviene dal fatto che ogni ladro si crede un altruista e quella che va in letto col primo venuto si considera una donna quanto mai difficile a lasciarsi debellare. In fatto di morale, questo ventesimo nostro secolo si avvia, nelle sue retoriche, ad incarnare il verbo della perfetta francescanità. Il cinematografo, che per noi tiene luogo delle commedie di Plauto e Terenzio, già è sottomesso alle ferule di una illuminata censura. V'è poi chi cincischia e gracchia perché di uguali cilici si affliggano le disoneste lettere. Per conto mio dubito assai delle persone che hanno in tasca la morale stereotipata, come di quelle che ogni dieci parole vi buttano lì un principio inconfutabile; diffido assai di chi arriccia il naso tutte le volte che vede alcuno vivere in guisa diversa dalla propria, e sospetto gravemente gli uomini integerrimi, le donne incoricabili, tutti coloro che nulla vogliono perdonare al loro prossimo; - per ultimo tengo in accigliata e particolare diffidenza quelle persone davvero spudorate le quali si ascrivono a Leghe di Pubblica Moralità.

Essere onesti è cosa tanto intima e tanto involontaria, che mi sembra impostura il farne pubblico mestiere. Sarebbe, a mio giudizio, altrettanto ridicola una Lega per la universale modestia, o per conoscer bene la sintassi, o per mostrarsi gentili con le proprie mogli, o per reprimere la maldicenza, il pettegolezzo e la bugia.

Nondimeno, poiché una Lega per la Pubblica Moralità esiste in Italia, e si occupa ogni giorno più di cose deliziosamente amene, vuol dire che io m'inganno, e la moralità è cosa da raddrizzare con buoni opuscoli e con avvisi ne' giornali, fra i prodigi del pneumatico Michelin ed i cachets digestibili del miracoloso Tot.

Ma ecco dove può condurre un dramma veduto al cinematografo, l'odissea del cassiere onesto e della dattilografa premio-di-virtù!... Corrono tempi ove tutto passa traverso gli apparecchi scientifici, dal siero che guarisce l'avaria fino a quel sentimento ancora in voga tra gli uomini, che i nostri antenati avevano la dabbenaggine di chiamare amore.

Un guaio grave, questo cinematografo, che riproduce le cose dal vero e minaccia di tramandarle ai più remoti secoli, come troppo fedeli testimonianze della nostra fuggente vita. Esso purtroppo uccide la leggenda, e la leggenda è poesia, che fa risplendere di eterna bellezza l'irrevocabile passato. In verità noi ammiriamo gli antichi, per il fatto che ad essi mancava il cinematografo, quindi non sappiamo com'essi erano esattamente né di quali realtà, forse umili, si componesse la loro distante vita.

Ma come potranno i posteri ammirare noi, ora che la funesta pellicola eternerà davanti ai loro occhi la vicenda e la storia delle gloriose nostre ridicolaggini?

Siamo noi ben certi che un operatore di cinematografo rintanato al passo delle Termopili non potesse bastare a mettere in quarantena la immortale gloria di Leonida? E chi dunque non sorriderebbe rivedendo il macchinario quanto mai scricchiolante del coreografo che inscenò il Cavallo di Troia? E cosa mai fu il secolo d'oro di Atene, retto insomma da un demagogo e da una prostituta? Osereste voi rivedere Babilonia quale in verità doveva essere: una immensa città di caravanserragli, con un palazzo imperiale sontuoso e balordo, costrutto da ingegneri che falsificavano il vecchio Egitto? E la gloriosa Tebe dalle Cento Porte, e Menfi, e la figura di Ramsete II, che forse, come ideatore di imperialismi, non superava in furfanteria il principe di Bismarck? E ditemi, di grazia, che mai sarebbe avvenuto dei venti secoli di vita cristiana, se un operatore della Casa Pathé avesse potuto assistere alla scena della crocifissione di Cristo?

Quale sarebbe la nostra opinione su Roma signora delle genti, se ancora vedessimo in pieno Foro Cicerone declamare le sue Catilinarie, o Cesare, il Lord Kitchener dell'Impero, l'amante di Nicomede, cadere sotto il pugnale di Bruto?

Quando penso alla creazione dei futuri musei cinematografici e rifletto che, magari fra duemila anni, i figli lontanissimi dei nostri più remoti figli andranno a teatro la sera per veder riesumati sul telone commemorativo i calzoni a mantice dell'ex-Presidente Fallières, le cacce africane dell'intrepido Teodoro Roosewelt, le statue che diede a Berlino il genio artistico di Guglielmo II, l'ossario dannunziano di Ida Rubinstein e la faccia minossiana del parlamentare Filippo Turati, quando penso ch'essi rivedranno due milioni di spettatori assistere al match di boxe tra il pallido Geffries ed il negro Jack Johnson, e tutta Parigi straripare nelle strade in tumulto la sera dell'arresto di Madame Steinheil, e vedranno le Terme di Caracalla divenute il Palais de Glace o le bighe del Circo Massimo tagliare il traguardo al Derby di Epsom, e vedranno Aristotile tenere una prolusione sul Tango all'Accademia di Francia e San Pietro dormire su lo strame nelle undicimila stanze del Vaticano, quasi quasi temo che i figli remotissimi dei nostri più remoti figli quella sera torneranno a casa dicendo con tutto il rispetto: «Che buffoni, poveri noi, que' nostri venerabili antenati!...»

Pertanto eravate assai dolce questa sera, Madlen. Nella sala quasi perfettamente buia, nell'angusto palco, mi stavate vicina con morbidezza, come la vergine appena sposata si preme al fianco del suo defloratore. Vi sentivo respirare contro la mia persona, come se il vostro calmo respiro prendesse origine in me.

Avevate su le spalle una stola d'ermellino, ch'era fredda quasi come l'apice delle vostre dita. Nulla io potevo dirvi, né voi a me.

Quel ronzio del proiettore sembrava una musica la quale andasse frugando, frugando, nell'oscurità, in cerca di un'anima dalla quale farsi comprendere. Avevate, credo, un profumo diverso dal consueto, ed io mi sentivo malato di voi sino alle radici dell'essere, ma così deliziosamente malato, che non avrei fatto alcuno sforzo per guarirne; anzi mi affondavo nel mio male come in uno stordimento bello e voluttuoso. Eravate stata così vicino ad esser mia, che già mi pareva di conoscere il suono, il profumo, la musica del vostro più perduto bacio; eravate in me confusa, come s'io portassi qualcosa di voi nelle mie tormentate vene. Sentivo che una piccola grande cosa era nata fra noi: l'intimità, la complicità, la memoria d'essere stati proprio su l'orlo, proprio al confine di quell'istante meraviglioso che scioglie fra due vite ogni paura e le confonde in una.

Ed io non mi sentivo più un errante, perché la mia casa eri tu; non un solitario, non un deluso, non un disperso da tutte le famiglie, perché tu divenivi la mia solitudine, e la mia strada e la mia compagna eri tu. Adesso mi si destava nell'anima una grande malinconia, quasi una bontà nascosta, che non sapevo di portare in me. Avevo trovata un'anima nel tuo corpo giovine come il sole; e stando così presso alla tua bocca profumata, meravigliosamente sentivo che la mia bellezza eri tu.

Adesso, mentre scrivo e ti attendo, una chiara notte s'è alzata nel cielo che non piove più. Dai giardini della Zurriola sale ad intervalli un odore voluttuoso d'alberi stillanti. L'Urumea porta nel mare, con la sua lenta ondata grigia, le foglie che l'autunno fa cadere giù...

 

Fine della XI° parte del Romanzo.

Buona lettura.

 

 
 
 
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