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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA - dello Scrittore : Guido da Verona

Post n°196 pubblicato il 13 Ottobre 2012 da ciapessoni.sandro
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SCIOGLI LA TRECCIA MARIA MADDALENA – dello scrittore Guido da Verona.

 

 

Immagine: Il castello di Lourdes

[...] Davanti a noi, sopra un viluppo di strade anguste, che parevano scendere verso una profondità, si alzava la collina di Lourdes, con la bruna macchia del suo Castello, che aveva ceduto a sovrane Confraternite il vassallaggio della guelfa Contea.

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***

XIX° Parte del romanzo (seguito del post 195)

Ed io vi amo, rondini, perché la vostra fedeltà è nell'esilio, e due volte nell'anno voi stringete il male della strada, e la distanza brilla in voi, come nel cuore mio di navigante brilla, o rondini, la poesia...

- Bilbao? preferite Bilbao?

- Sì, andiamo a Bilbao.

Questa risoluzione fu presa due giorni dopo. Litzine era tornata a Biarritz; l'avvocato Claude, con la celebre cantante M.me de Lonard, erano ripartiti per Nimes; la contessa Fellner aspettava di giorno in giorno l'arrivo del suo amico parigino, ricco sfondato e pazzamente innamorato di lei...

Quanto a Lord Pepe, egli non aveva nemmeno pensato a mandare un telegramma; vera indelicatezza da parte d'un uomo al quale avevamo dato entrambi tante prove d'amicizia.

Un caldo sole d'autunno dorava l'indolenza del glorioso Atlantico, quando l'automobile mosse dal peristilio dell'albergo, svoltò e corse quasi cantando lungo i dorati alberi della Zurriola.

In breve la città regale di Maria Cristina scomparve dietro il lontano Monte Urgull.

Addio, città radiosa dei Baschi di Guipuzcoa!... qualcosa di noi moriva per sempre, là indietro, in quella bianca distanza... forse non udirò mai più, nelle profumate albe, l'Urumea cantare...

Io mi sentivo profondamente male, quasi affascinato e sommerso nella eccessiva luce di quella mattinata sfolgorante. In me, nelle mie stesse vene, sentivo battere la pulsante furia del motore, godevo l'urto, la potenza, di quella inebriante velocità.

La miss-cameriera, seduta a fianco del meccanico, tutta seria, quasi elegante, molto ben pettinata, portava con disinvoltura un cappellino delle Galeries Lafayette. Madlen, col suo pechinese accovacciato nel grembo, la testa un po' rovesciata sotto la forza ed il profumo del vento, guardava la variata campagna sciorinarsi come una stoffa morbida e scintillante.

In un largo anfiteatro di colline vedemmo ridere Zaraùz. La spiaggia formicolava di bagnanti mattutini; l'onda era cosparsa d'imbarcazioni leggere; le figlie superbe delle matrone cristianissime, gli snelli e bruni adolescenti che più tardi porterebbero con sontuoso squallore i blasoni dei Grandi di Spagna, le procaci ed incipriate dame d'onore della Corte di Madrid, i magnifici dignitari di cappa e di spada, erano là, discinti, nella chiara onda, e liberamente nuotavano.

Un soverchiante profumo di gaggìe vampava dai giardini di Zaraùz.

Pompon fece tre o quattro ridicoli starnuti, imperlando il velo che doveva riparare dalla polvere i suoi occhi rotondi e lucenti come agate scurissime. Davanti al pericolo che il nobile cane prendesse una volgare infreddatura, Madlen avvolse nel plaid il decadente Pompon ed inoltre lo ricoperse con un lembo del suo proprio mantello.

Madlen, voi siete una bella donna davvero incomprensibile.

Oggi mi sembrate una superba miss, terribilmente inglese, che dietro la sua gelida e splendente bellezza nasconda una specie di sorda ostilità contro il genere umano, - me compreso, che sono con voi, e parto, provvisoriamente, con voi.

Abbiamo dunque deciso di andare a Bilbao. Per quale scopo veramente non saprei. Lasciato il numeroso nostro bagaglio all' hôtel de la Reina Maria Cristina con poche valige andiamo a Bilbao. Ieri, nel pomeriggio, camminando lungo la Zurriola, abbiamo scoperto entrambi che San Sebastiano era divenuto un luogo estremamente noioso. Io vi dissi: - Volete fare con me un piccolo viaggio? Voi, senza nemmeno riflettere, mi rispondeste:

- Volentieri.

Avrei desiderato condurvi a Pamplona; invece preferiste Bilbao. Avrei voluto rivarcare il Passo di Roncisvalle e riveder la muraglia ove cadde ferito il giovine condottiero Iñigo Lopez de Recaldo, che fu più tardi il monaco Sant'Ignazio da Loyola. E voi, Madlen, or che siamo giunti su la piazza di Motrico, volete fermarvi a guardare con i vostri occhi lionati come due belle agate il monumento marmoreo del generale Cosme Damian de Churruca, grande stratega d'oceano, che trovò l'abisso e la gloria nella battaglia di Trafalgar. Lo avete guardato abbastanza, Madlen? Sì? Ebbene ripartiamo. Ecco la funzione dei grandi uomini: servir da pretesto a quegli orribili ornamenti architettonici che nelle piazze pubbliche sorvegliano la circolazione degli affaccendati borghesi.

Madlen, in questa bella mattina così gonfia di sole non mi ricordo più se vi amo e nemmeno se vi desidero ancora. Nella mia irritazione, profondamente esasperata, v'è qualcosa che non trema più, non trepida più, quando la vostra bellezza mi guarda, lo sono quasi un complice, ormai, del vostro tormentato vizio. Ma un complice rimasto con le mani pure, su l'orlo e quasi nella perdizione della vostra magnifica impurità. Litzine... Vi ricordate che bocca innocente aveva la bionda Litzine? Ora io vedo sempre, dappertutto, le vostre braccia così bianche, su la coltre, avviluppate; sento ancora in me la gioia del nodo che vi strinse... Poi, la mattina dopo, voi eravate bella come ogni giorno siete, calma come ogni giorno siete. Con un passo agile, tra un rumore di gioielli, passavate nell'atrio dell'albergo, senza nemmeno degnarvi di guardare quella povera piccola gente.

Litzine fece colazione con noi, tranquilla, come una signorina molto per bene. Aveva gli occhi leggermente cerchiati, e di ogni cosa, mangiando, rideva col suo bel riso d'adolescente. Più tardi comandò l'automobile, discusse, pro forma, sul prezzo della camera; il segretario le portò un gran mazzo di fiori, ed ella fece ritorno a Biarritz. Ecco la vera innocenza: non ricordarsi nemmeno del peccato.

Ma voi, Madlen, voi, suppongo, ve ne ricordate. Voi, Madlen, non siete una stordita fanciulla di vent'anni, che si abbandona o si regala, senza nemmeno comprendere il piacere che dà.

Oh, vi prego, vi prego, lasciatemi dimenticare che vi amai... Bilbao, regina di Biscaglia, città fortissima e serenissima, tra verdi montagne adagiata su le rive di un largo fiume. E voi, belle ragazze di Biscaglia, che parlate un idioma incomprensibile, facendo splendere nel riso i denti saldi e limpidi, voi, giovanissime figlie di una gente senza origine, larghe di spalle, di seno e di bacino, con occhi brillanti e fine caviglie, con trecce senza forcelle aggrovigliate su la nuca rotonda, voi bianche di pelle come lini mondi nel bucato, voi, senza goccia di sangue arabo stirpe antichissima del divino Atlantico, il mio cuore di eterno viandante, in questo giorno di gran sole, felicemente vi saluta.

Era passato mezzogiorno; su le due rive del Rio Nervión la città insoggiogabile, che invano assediò per fame la dura pazienza dei Carlisti, si adagiava intorno al suo calmo fiume, pressoché taciturna, sotto una dorata nuvola di calore. Su la riva destra del Nervión un groviglio di vicoli senza fondo si arrampicava tra case decrepite, ove i panni sciorinati tra finestra e finestra pendevano in file innumerevoli come arazzi di mille colori. Alte barche, stracariche di legnami e di cereali, scendevano la pigra corrente muovendo su l'acqua liscia le barre dei loro immensi timoni. Poi, d'un tratto, il fiume svoltava, come se volesse invadere la città, e su la riva destra si apriva in tutta la sua magnificenza l'indimenticabile Paseo del Arenal.

O Paseo del Arenal, fresco ed ombroso, che non potrò nelle mie sere d'esilio, nell'errante mio sogno dimenticare!... La bellezza vera del mondo è giungere dove ancora non si giunse, guardare alle finestre delle case dove non si conosce chi abita, essere per la prima volta nei giardini di una città sconosciuta, frammezzo ad una gente straniera, com'ero fra i tuoi dorati alberi dolce Paseo del Arenal...

La miss cameriera prese in braccio Pompon e scomparve nell'ascensore del Grand’ hôtel de Vizcaya, dopo che il segretario dell'albergo ci ebbe destinate due belle camere vicine, con mosquiteros sui larghi letti, en el iso principal, cioè al secondo piano.

Madlen aveva molta fame, io pure; le proposi un almuerzo di color locale in una casa de comidas, e cioè in un ristorante veramente biscagliese.

Da Bilbao avevamo rimandata a San Sebastiano la cameriera di Madlen, perché s'incaricasse de' nostri bagagli e quindi ci attendesse, con Pompon, alle Bagnères de Bigorre. Colà preferivamo alloggiare, anzichè nei pericolosi alberghi di Lourdes, infestati ormai dalle cancrene di tutti i pellegrinaggi.

Noi, con l'automobile, (che un esperto ma non economico guidatore avventava su le ripide strade maestre, assicurandoci che il suo robusto motore non avrebbe fallato un battito neanche nel valicare i selvaggi Pirenei), bene incappucciati, ben serrati l'uno presso l'altra, ilari e curiosi come due giovini amanti, ci recammo da Bilbao a Pamplona, la dura capitale dell'antica Navarra, ove il condottiero Ignazio da Loyola prima conobbe la spada che il saio lunga strada. Un ceppo enorme ardeva su la cenere del vecchio focolare, spargeva, col suo rumore di fiamma umida, nella stanza piena di sole un colore d'autunno. Qualche ospite silenzioso rompeva con le sue mani bianche il pane infarinato. Nessuno parlava; i bicchieri, le stoviglie facevano poco rumore; radi passanti traversavano la strada silenziosa; la grande piazza di «pelota» era quasi deserta. Larghi pezzi di montone, cotti con salvia e rosmarino, venivano dai fornelli rossi dell'antica locanda, fumavano su le tovaglie immacolate. Chi le portava era una bella montanara, svelta e forte come una cavalcatrice della Camargue, pallida, senza ombre nel viso, con gli occhi duri, le trecce ravvolte al capo, le anche magre, il seno piccolo, che tremava leggermente sotto il grembiule di fino merletto. Era difficile farla parlare; non rispondeva che pochi vocaboli, con una pronunzia francese dura e cadenzata. C'era in lei qualcosa di primordiale, una specie di lontananza da noi, quasi un'antichità giovanissima sigillata nella sua razza splendente. Camminava su le scarpe di corda; era attenta, veloce; i suoi occhi immobili sorvegliavano la nostra mensa con una specie di vigilante severità.

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…………………………………………………………………

Poi, di nuovo, la strada; la strada bianca e lampeggiante, stesa fra immense praterie, che scendevano dagli alti Pirenei come larghi tappeti scossi dal vento, cosparsi di fiori, chiusi da foreste che brulicavano di ciclamini; la strada chiara e violenta, bella come una creatura viva, che batteva nei cancelli delle case, cantando, e lontano spariva, tra gli alberi, in un vortice di azzurrità...

Arrivammo a Lourdes un pomeriggio del mese d'Ottobre, nella più alta ora del sole. Avevamo percorsa in pochi giorni la più bella e felice strada che forse ricordino i miei occhi di viandante.

Ora entravamo in Cristo. L'ala di Dio ricopriva noi, reduci dai luoghi di perdizione. Dove la carne pentita si mondava dalle sue piaghe insanabili, noi entravamo con la nostra infernale anima di peccatori, noi, coi nostri abiti e coi nostri gioielli comperati alle vetrine del diavolo, noi, che andavamo al Santuario come ad un mistico teatro di fanatismo e di esasperazione.

Portavo ad immergere nella sacra Fontana le dita bianche di una vergine offesa da tutto l'amore. Vedrei le sue luminose trecce, bionde e buie, risplendere nella Grotta dei Miracoli. Udrei, nel silenzio della Basilica ove si eterna il sogno di Bernadette, ove a migliaia brillano i voti appesi dagli umili e dai potenti udrei, fra il bisbiglio delle preci, suonare il mazzo dei suoi braccialetti, la sottile musica degli ori e delle sete, che fin presso l'altare scintillante confonderebbero nella voce grave degli organi l'eco delle canzoni di Montmartre...

C'era, in un tale contrasto, qualcosa di profondamente iniquo: la gioia perversa dell'incredulo che vuol immergersi nel mistico dolore, intingere le sue dita eretiche nella fontana dell'acqua miracolosa, fissare con i suoi occhi pieni d'infernalità il simulacro della Vergine che fa camminare gli storpi, urlare i mutoli, sorgere i paralitici, tremare in Cristo i lontani da Dio.

Nella terribile città del dolore, ove giungono gli inguaribili di tutta la terra, noi entravamo sopra una macchina di lunga strada, gagliarda e sottile, avvolti nel rombo del suo motore possente, noi, che venivamo dall'aver danzato su le musiche dei pazzi violini, noi, reduci dall'altra vita, quella che alza la coppa, rompe il bicchiere...

Dissi al meccanico: - Férmati.

E scendemmo.

Davanti a noi, sopra un viluppo di strade anguste, che parevano scendere verso una profondità, si alzava la collina di Lourdes, con la bruna macchia del suo Castello, che aveva ceduto a sovrane Confraternite il vassallaggio della guelfa Contea.

Fine XIX° parte del romanzo.

Buona lettura.


 

 
 
 
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