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« LA PAZZA DEL SEGRINO - d...PREGIUDIZI E COMPROMES... »

LA PAZZA DEL SEGRINO di Ippolito Nievo VII Capitolo

Post n°29 pubblicato il 31 Agosto 2010 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

Panorama del ramo di Lecco visto dai Corni di Canzo.
Visibile anche il promontorio della punta di Bellagio
in parte sinistra dell'immagine.

Capitolo VII

 

La Camilla aveva stentato assai per ottenere da suo padre Ambrogio che la Celeste restasse ospite in loro casa: pure il vecchio aveva finito coll’arrendersi.

“Tu sei una grande ostinata – le disse egli, - e termini col far sempre a tuo modo!…

Per vero dire, era questa la seconda o terza volta in sua vita che alla fanciulla riuscisse di spuntarla, ma tanto bastava al vecchio tiranno per credersi minacciato nell’interezza del suo diritto.

La Celeste intanto era stata allogata in una stanzuccia vicina alla camera della Camilla; e costei passava con la semplicetta le lunghissime ore, godendo di scoprire nella sua ragione disordinata le tracce di quella bontà, che per avventura il padre Adamo aveva tutta nella costa che gli fu levata; onde noi uomini ne andiamo scarsamente provvisti, e quel po’ che ce ne romane è pure grazioso dono delle nostre sorelle.

La Celeste pertanto, taciturna e pensosa, di quella vita casalinga mostravasi molto contenta, e pareva che quelle sue smanie di correre per l’aperta campagna, come una rondine smarrita, le si fossero dileguate via affatto affatto: ma un altro pensiero sembrava occuparla tutta, di cui mal sapevasi indovinare il tenore. Talora, per esempio, stavasi ella tutta in sé chiusa spiando all’intorno Dio sa cosa; tal altra affacciatasi precipitosamente alla finestra come se attendesse qualcuno, e di là si ritraeva tutta conturbata per tornar indi a poco a guardare; e così passarono le prime giornate finché capitò un giorno il signor Leonardo; e quei parlare di feste e di nozze parevano sgominarla non poco, e farle venire in uggia quel buonissimo diavolo. Invano cercò egli d’addomesticarla, che non ci fu caso d’indurla a stargli appresso, a parlargli; e ogniqualvolta egli s’appressasse per careggiarla ella rifugiatasi tutta tremebonda e sbigottita fra le braccia della Camilla.

Ma costei non era più di tal umore da guarirla di questi subitanei terrori; e la poverina che sentiva ansare affannoso il seno della sua protettrice dava in singulti che le rompevano il petto; onde Leonardo che la prima volta si trovò in procinto di piangere esso pure, aveva finito col lasciarle sole sempreché cotali scene si rinnovavano. Così, in tre volte che il grosso fidanzato era venuto da Lecco in dieci giorni, non aveva potuto intrattenersi in pace colla sposa un paio d’ore.

Finalmente capitò egli la vigilia dei Santi, e le tre pubblicazioni era già fatte da un pezzo, sicché non vi saprei descrivere la beatitudine che lo irraggiava per tutta la persona. Aveva per di più sotto il mantello certi gingilli, che a suo credere dovean mettere in ruzzo (di buon umore) la sposa. Figuratevi! Erano i regali di nozze, in verità lavori squisitissimi e braccialetti e collane ed orecchini; insomma più che non s’addica e non sia permesso pretendere da una sposina borghigiana.

“Ma, - diceva egli, - questo carnevale dobbiamo goderlo a Milano; e a buon conto bisogna farsi onore -.

La Camilla fu così forte da fare buon viso a tali presenti; poiché invero il cuore dell’offerente lo meritava, e di più nello scoprirli mostravasi egli così contento e superbo, che non gradirli sarebbe stato come dargli una coltellata. Perciò si partì egli la sera di quel giorno più contento del solito, e scendendo dalla collina giuocherellava colla frusta e fischiava tra i denti una sua arietta favorita, quand’ecco ei vede la Celeste farsi avanti al cavallo e accennargli di fermare.

“Diavolo!” pensò egli fra sé, il vanerello, “che voglia domandarmi scusa del suo mal garbo?” e a voce alta soggiunse: - Cosa vuoi bellina mia?… Via parla!… fatti coraggio.

“Voglio montare, - rispose serenamente la Celeste.

“Tanto meglio, - fece Leonardo credendo che la volesse risparmiare il cammino fino al paese. E la aiutò ad acconciarsi sul sedile.

“Ora sappiate una cosa che forse v’affliggerà, ma che pur devo dirvela, prese a dire la fanciulla. E siccome Leonardo guardavala meravigliato: - Sì, devo dirvi, - proseguì ella, - che stamattina dopo ricevuti allegramente i vostri regali la mia bella Madonnina è salita nella sua camera, e a pianto tanto e poi tanto, che più non piansi io quando mi stava male la mamma. E sapete perché?

Leonardo aveva lasciato cadere le redini, né più si ricordava di avere lì vicino una pazza.

“Sapete perché? – proseguiva ella. – Oh io sì che lo so! ma come spiegarvelo, mio Dio!… come fare che non sono buona a parlare io!… - E la poverina si divincolava e mordevasi le mani per tormento di non poter esprimere quanto sentiva.

Tali atti, devo io dirlo? fecero alla bella prima piacere a Leonardo, il quale richiamato per essi alla certezza che colei era demente, non poté fare a meno di sorridere.

 

“No, non ridete, - riprese la Celeste rabbiosamente abbrancandogli la mano: - non ridete, perché se io non sono capace di spiegarvela, la cosa non è perciò meno vera, e siete voi che fate piangere la mia Madonnina!… Ma adesso che ci penso!… Sapete cosa dovete fare?… andate dal signor Giuliano e domandate a lui la ragione di quanto vi dico… Egli sì che lo sa, perché lei gli diceva tutto una volta!… E quando saprete tutto, allora non la farete più piangere!… Addio, dunque!… Ricordatevi! Madonna santissima, aiutatemi!

In queste parole la giovinetta radendo la ruota era saltata sulla via, e Leonardo restò lì cogli occhi sbarrati, colla bocca aperta, col cuore sospeso, e tanto buio nella mente che parvegli quasi esser diventato pazzo anche lui.

Di lì a tre giorni per altro, proprio l’antivigilia del giorno destinato alle nozze, egli – Leonardo – ricomparve su alla casa dello zio. Povero giovine! come era mutato! Non che fosse divenuto né magro né scolorito; ma aveva una cera così compunta da far compassione. Appena entrato e saputo essere i vecchi di casa assenti: - “Tanto meglio!” – mormorò e salì frettoloso alla camera della Camilla, la quale per caso era sola, essendo ita la Celeste al camposanto a trovarvi sua madre. Bussò all’uscio, come busserebbe il condannato alla porta del giudice, e dettogli di entrare, si fece avanti alla fidanzata costernato e vacillante per modo, ch’ella ne ebbe spavento, e temette non forse lo avesse incolto una qualche grave sciagura.

“Leonardo!… cosa avete?… -gridò ella correndogli incontro pallida e scarmigliata, - perché siete così sconvolto?

“Ah! voi pure, voi pure, cugina mia, - rispose il dabben giovine; - da due mesi a questa parte vi struggete come la cera! – Cotali parole, e il nome di cugina dimesso da lui infin da quando le si era fidanzato, misero in capo alla giovinetta un nugolo di dubbi.

“Per carità, Leonardo; spiegatevi!…- balbettava essa.

“Ah perdonatemi cugina mia, - rispose il poveruomo; - ma cosa volete?… son così fatto io, che quando son contento, penso tanto a me, che non bado quasi agli altri.

“Oh non è vero: voi siete anzi buono e…

“No, no, - le diede su la voce Leonardo singhiozzando. – Ma Dio volle che fossimo ancora in tempo… Ho saputo tutto… ho saputo tutto…Oh che angelo che siete!…  Veramente una madonnina, come dice quell’altra!… Mi perdonerete, n’è vero?… - aggiungeva buttandosele ginocchioni dinanzi.

“Ma cosa devo perdonarvi?… cos’è che avete saputo, cosa? – domandava angosciosamente la Camilla colle mani entro i capelli e il capo curvato sopra di lui.

“Ho saputo che mi volevate bene per farmi piacere! – urlò egli strisciandosi per terra fino a baciarle la mano. – Ma perdonatemi, ve ne supplico… poiché, ve lo giuro, io non sapevo nulla… Oh quello sfortunato di Giuliano!

“Qual nome pronunciaste ora? – mormorò la fanciulla sentendosi quasi venir meno.

“Qual nome?… il nome di un gran galantuomo e d’un vero amico!… Oh sì… Ed io che lo vedeva morire di giorno in giorno non teneva conto di nulla!… Oh maledetta la felicità… Oh la gran bestia che fui!… ma voi, Camilla, mi crederete, che non ho peccato per cattivo cuore!… E mi perdonerete anco, lo giuro sì poiché egli deve sposarvi! Egli, purtroppo egli; che già io era uno sciocco a volermi impalmare con voi!… Guarda mo che pretesa che era la mia!…

La Camilla piangeva, rideva, era beata, sorpresa, dolente, di mano in mano che vari affetti le rimescolavano il cuore. Ciò nullameno più di tutto la inteneriva quella delicatezza miracolosa di Leonardo, e sentiva d’amarlo quel generoso giovine, d’amarlo più che un fratello, e avrebbe dato per lui tutto il suo sangue.

“Cosa dite mai?… - balbettava essa singhiozzando e cercando di rialzarlo; e lui ostinato a volersi rimaner ginocchione; - cosa dite mai Leonardo?… ch’io vi perdoni?… Ma a me tocca inginocchiarmi dinanzi a voi, che vi nascondeva bugiardamente l’animo mio!… Oh pietà di me,Leonardo!… se sapeste quanto ho sofferto!… pietà di me!… Prendete, io vi do la mia vita purché non mi neghiate la vostra stima; prendetevi la mia mano, che ve la meritate insieme col mio cuore, e Giuliano stesso sarebbe di ciò contento, se avesse udito quanto mi andavate dicendo poco fa.

“La vostra mano?… Ah no, Camilla; la vostra mano deve essere per lui; che già, vedete, io vi amava… ma un po’ troppo alla mia maniera… sperava cioè che avremmo fatto vita allegra in compagnia… e ci sarebbero venuti di bei figliuoli… Ma già questo mio riscaldo di testa passerà!… Stupido!… doveva avvedermene prima, che non siete fatta per me… Figuratevi!… son certo che se vi sposaste ad un altro… di lì a poco… mi consolerei!… Gli è forse così che meritate voi di essere amata?… Oh, lui sì che morrebbe, lui sì che vi ama davvero, e ve lo dico io!… Se aveste veduto l’altra sera quando son andato da lui, e così per tastarlo gli ho detto: “Dunque, tu, Giuliano, mi sarai compare dell’anello?!” Se aveste veduto come mi è cascato morto fra le braccia!

“Dio! – fece la Camilla con uno strido.

“Ed io, - continuava Leonardo; - io più era morto che vivo; sennonché a poco a poco l’ rinvenuto e ad udirlo come si sforzava darmi ad intendere, che l’era stato un capogiro!… Insomma, quando ve lo dico io, egli si muore, e per salvarlo bisogna che lo sposiate; e lo sposerete, in fede di galantuomo, altrimenti io avrò qui dentro un rimorso eterno perché già la causa di tutto questo male è mia!…

“No, no, che voi non ci entrate per niente, - soggiunse la fanciulla che riavutasi in quel frattempo era riescita a far sedere il cugino sopra un divano. – Ascoltate, ascoltate Leonardo come l’è stata!…

E lì narrògli per lungo e per largo la storia de’ suoi amori, e del come suo padre li aveva troncati, e come Giuliano erasi nobilmente diportato in qual frangente. E Leonardo allora a commuoversi ed a piangere di nuovo, ed a dare del cane e peggio al signor Ambrogio; ma la giovinetta rompendogli la parola in bocca:

“No: rispettate mio padre, - dicevagli. – Sapete che egli opera in tutto a fin di bene; e quanto fa soffrire agli altri lo soffrirebbe egli stesso, ove lo credesse necessario pel nostro meglio.

Si opponeva Leonardo – Ma ciò non toglie …

“Tacciamo di questo, - tornava a dire la Camilla. – Voi piuttosto contatemi come vi è saltato in capo il primo sospetto!…

Allora Leonardo narrò alla sua volta i discorsi tenutigli dalla Celeste, il dubbio venutogli che contenessero qualche ombra di vero, il rimorso di non sincerarsene, finché c’era luogo a rimedio. Poi tornò a descrivere quella scena con Giuliano, nella quale erasi convinto che del vero ce n’era, e di molto, e più che la Celeste non avesse detto.

“Ma ora, - conchiuse, - consolatevi, cugina mia!… ci sono io di mezzo, e Giuliano s’è riconfortato un pochino, e tocca riconfortarvi voi pure. Non temete, domani scriverò a vostro padre…

“Per carità, Leonardo! – fece la donzella giungendo le mani.

“Sì capisco! – riprese egli,- bisogna camminare coi piedi di piombo; Ma per ora non gli scriverò altro senonché ho trovato di differire il matrimonio d’una quindicina di giorni. State cheta, che dei pretesti ne troveremo, sì!… Ma voi mi perdonerete, non è vero?…

“Volete proprio ch’io mi metta genuflessa ad abbracciare le vostre ginocchia? – rispose la giovinetta.

“Bene, bene, - la interruppe Leonardo avviandosi all’uscio. – Me ne vado, perché il cavallo mi aspetta. Dunque siamo intesi!… E lasciate fare tutto a me! Addio, cugina!… Addio!… E discese la scala tenendosi il petto con ambo le mani; che sebbene dello spazio ce ne fosse più che il bisogno, pure il cuore sembrava volergli spezzare le costole. Poi come giunse col calesse all’uscita del cortile, si volse com’era suo solito, e per la prima volta ei vide al balcone la Camilla, che, asciugandosi gli occhi, mandavagli per saluto uno sguardo di riconoscenza e d’amore.

“Ah, ora mi vuoi bene! – mormorò amaramente il povero giovine, tergendo ei pure una lacrima che non era di gioia, indi a voce alta gridò: “Salutatemi la mamma, e anche lo zio! – (era egli tanto buono che parevagli peccato covar la collera contro un tale, anche per conto altrui.) E in queste parole era già sparito dietro il muro di cinta.

“ Giuliano, non vorrà certo ch’io gli regali nulla! – seguitava a borbottare il buon Leonardo scendendo al passo la collina… - Or dunque?… Ah!… - fece con un lampo di gioia. – Ecco trovata la strada !… Già non c’è riparo; finché egli avrà nulla, il signor Ambrogio terrà la Camilla per sé!… Dunque?… Uh! così va bene… l’ ho sempre detto io , che sono un furbacchione!…

Tutto considerato, parve egli acquietarsi al partito balenatogli così a proposito in mente, onde invece di tornarsene a Lecco, piegò alla volta di Monza, ove dimorava l’erede del dottor Anselmo.

 

Fine VII Capitolo.

 

 

 
 
 
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