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LA PAZZA DEL SEGRINO - di Ippolito Nievo - VI Capitolo

Post n°28 pubblicato il 25 Agosto 2010 da ciapessoni.sandro
Foto di ciapessoni.sandro

 

BREVE PRESENTAZIONE al VI Capitolo.

LA PAZZA DEL SEGRINO

 

Per questo VI capitolo ho ritenuto opportuno formulare una mia breve presentazione. Si tratta - a mio giudizio – della pagina più importante di questo racconto-novella del Nievo. L’Autore ha qui speso tutta l’emotività contenuta nella sua Arte per rendere il suo racconto fortemente drammatico, avvicinandosi o anche eguagliandosi ad Alessandro. Manzoni nel suo celeberrimo lavoro: “I promessi sposi”. Questo capitolo del Nievo descrive il trapasso della madre di Celeste e la sua stessa delirante disperazione placata unicamente e solamente con l’intervento dell’amico Giuliano. Aleggia in tutto il racconto una misericordiosa pietà, ch’io paragono alla pagina manzoniana del citato capolavoro manzoniano, contenuta nel capitolo XXXIV, dove il nostro “don Lisandro” si esprime con una classica e vigilata misura e spazia in religiosa purezza, là quando scrive:

[…]… Scendeva dalla soglia d’uno di questi usci, e veniva verso il convoglio, una donna, […] Portava essa in collo, una bambina di forse nov’anni, morta […] Addio Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi…

Non proseguo oltre la mia breve presentazione, poiché sono ben sicuro che i miei Lettori, sapranno capire! Io ho capito! Grazie.

Sandro Ciapessoni.

 

*** 

VI Capitolo.

 

La vecchia Marta, della quale ci siamo forse troppo a lungo dimenticati, riavutasi alquanto per la medicina portatale in quella sera dalla Celeste, aveva dato per qualche giorno una lontana speranza di guarigione; poi ebbe all’improvviso un tracollo così fatto che il medico la vide perduta. I dolori della povera vecchia si produssero ancora innanzi nell’autunno, e solo a mezzo ottobre ella rese l’anima a Dio, raccomandando la figliuola al curato, il quale poveretto a corto com’era, aveva contuttociò grandissimo cuore. Senonché il buon prete si trovò tantosto in un brutto impiccio, che non gli fu possibile persuadere alla Celeste di abbandonare sua madre; e come da un mese, poiché l’infermità s’era dichiarata mortale, non aveva lasciato il capezzale della malata, così ora la giovinetta ostinatasi a restare colà, sebbene fosse morta. Fortunatamente soccorse a taluno dei presenti l’unico mezzo che sarebbe forse riuscito a toglierla da cotal nuova pazzia: ci voleva Giuliano!…

“ Sì, perdiana, che avete ragione! - disse don Girolamo: - ed oggi stesso andrò a Lecco a prendere quell’ottimo giovine.

Fece infatti come l’aveva divisato, e significò a Giuliano come stava la cosa. Il poveretto da una settimana era stabilito con suo padre presso la sorella; ma l’amore della Camilla, l’avvilimento del vecchio, le strettezze familiari del cognato lo travagliavano per modo, che già sentiva di non poter reggere a lungo. Pure per quell’opera di carità consentì egli di rivedere quei siti de’ quali l’aspetto avrebbegli certo aspreggiato una piaga insanabile; e, detto fatto, si rimisero in viaggio, ed arrivarono che l’era ancor giorno alla capanna della pazza. La venuta di Giuliano fece sì, che questa si scosse dal suo spaventoso assopimento; lo riconobbe, e corsagli incontro impetuosamente, e strascinatolo al letto della madre, trovatasi l’infelice a sollevarne fra le braccia il cadavere, gridando che tutti e tre insieme dovevano gettarsi nella bell’acqua del lago per salire di là in paradiso. Questa scena intenerì tutti gli astanti, ma tolse a molti la speranza che Giuliano avesse a riescire nel pietoso incarico. Tuttavia questi non si scoraggiò, e vedendo che la giovinetta guardava con occhi feroci coloro che procuravano dividerla dal corpo della madre, pregò d’esser lasciato a quattrocchi con lei. Pertanto ognuno si ritrasse fuori dalla capanna, e il curato cogli altri; ma giova credere che stessero usciolando (spiare) per accorrere pronti ad un bisogno. Ad ogni modo nella stanza ritto dinanzi alla Celeste era rimasto il solo Giuliano: Allora le tolse egli dolcemente dalle braccia la spoglie inanimata della Marta, e come stupita la fece sedere sopra una cassa che vi aveva a’ piedi del letto.

“ Or bene, - diss’egli, con voce sicura sedendole appresso; - dove vuoi tu che andiamo?

“ Voglio andare a posarmi nella bell’acqua per volar poi su nel cielo con mia madre e con voi! – mormorò quasi trasognata la fanciulla colorandosi in viso d’un pudor virginale.

“ Vuoi andare in paradiso, Celeste? – rispose mestamente il giovine mettendole sul capo la destra. – E perché vuoi andare in paradiso?… forse perché sola in questa capanna ti troveresti molto infelice?

“ Molto infelice! – ripeté la poveretta chinando la testa.

“ Guardami – soggiunse il giovine della mano sinistra tenendole il mento sollevato. – Credi tu ch’io sia molto più avventurato di te?

Un lampo di ragione brillò nello sguardo inquieto e profondo che la fanciulla fissò negli occhi del giovine.

“Oh poveretto!…come siete pallido! andiamo, andiamo in paradiso! – sciamò ella facendo forza per drizzarsi e trarlo seco.

“ No! anzi restiamo! – disse gravemente il giovine trattenendola a sedere.

“ Ah sì! Ah sì – fece la Celeste ricadendo sulla cassa e battendosi delle mani  le ginocchia. – Ora lo so perché volete rimanere: la bella Madonnina verrà a consolarvi!

No! – rispose Giuliano fremendo tutto, - no; ella non consolerà me, anzi abbisogna a quest’ora che altri la consoli: ma resterò soltanto, perché il Signore non ha fatto la grazia di chiamarmi.

“Ed io andrò perché il Signore m’ ha chiamata, io! – soggiunse la fanciulla, - e lassù pregherò tanto e tanto, fin ch’egli faccia la grazia di chiamare anche voi, e anche lei!…

Giuliano non poteva più reggere a un simile colloquio. Un tale spettacolo di morte, di dolore, di pazzia gli frangeva l’anima; pure la carità prestògli indi a non molto forza a riprendere:

“ No, non è vero Celeste, che il Signore ti abbia chiamato; egli ha chiamato la Marta e non te!…

La fanciulla parve raccogliersi a pensare, ma non mosse verbo.

“Sai tu, - continuò egli, - quando il Signore ci chiama a sé?… Quando abbiamo fatto molto bene ai fratelli nostri che piangono; e tua madre del bene ne aveva fatto assai, mentre tu ed io dovremo farne molto e molto ancora, prima d’esser tenuti degni di farle compagnia in paradiso.

“Ah sì, avete ragione; la mamma ni faceva del bene assai! – balbettò la Celeste.

“N’è vero? – rispose Giuliano, - e tu ne farai anche tu del bene, onde acquistarti la grazia di Dio?

“Oh sì che ne farò anch’io del bene! – soggiunse ella tutta impensierita. – Ma dopo andrò in paradiso certamente?

“ Sì, appena il Signore te ne stimi degna e ti faccia udire la sua voce.

“Oh ne farò tanto, ma tanto del bene; state sicuro!… ne farò quanto posso, e dopo andrò in paradiso!…

“ Addio madre mia, - aggiunse ella levandosi per iscoccar sulle labbra della morta un caldissimo bacio. –Addio e a rivederci quando avrò fatto tutto quel bene di cui mi sento capace!

“Dici davvero? – le domandò Giuliano quasi scordando che parlava con una pazza.

“ Domandate a mia madre se le ho mai mancato di parola, - riprese la Celeste con voce solenne.

“Allora, - soggiunse il giovine, - tua madre può andare laggiù in camposanto ad aspettarti vicino agli altri suoi morti; e tu andrai colà ad inginocchiarti sulla sua croce per confidarle l’animo tuo.

“Sì, andrò a trovarla al camposanto la mamma mia, - disse tutta tremante la fanciulla; - benché mi piacerebbe assai più andarmene alla bell’acqua!

“Celeste! – la interruppe bruscamente Giuliano, - così incominci a far il bene disubbidendo a tua madre, anche dopo che la è morta?

Oh no no! – sciamò la giovinetta, sarò buona, farò quanto vorrete, e così Dio mi chiamerà presto in paradiso!… Addio, addio madre mia! non mi conviene perder tempo, giacché devo fare del gran bene ed ho fretta di vedervi ancora sorridere… Io voglio andarmene, voglio andarmene! – gridava ella sciogliendosi dalle mani di Giuliano che tratteneva.

“E dove vuoi andare? – le chiese questi dolcemente.

“Voglio andare dalla bella Madonnina!

“Bene!… ti condurranno laggiù, se lo desideri.

“Ma domattina poi voglio condurre mia madre al camposanto e parlarle un’altra volta!

“Sì si! – rispose Giuliano piangendo a cald’occhi.

Indi socchiuso l’uscio diede una voce al curato:

“Tenga pronte due donne, - gli bisbigliò; - che la Celeste vuole andare laggiù dal signor Ambrogio; e in verità fu una buona ispirazione, poiché sarebbe difficile collocarla meglio.

“Oh grazie! – rispose intenerito il buon prete, e chiamate due femmine a nome : - Voi accompagnerete la Celeste dal signor Ambrogio, - disse loro.

“Ma si lascerà poi condurre?  soggiungevano quelle ritraendosi.

“Se non volete voi, ce ne saranno dell’altre.

“No, no; lo facciamo volentieri, ma se poi…

“Vi prometto io che la sarà docile come un agnellino – entrò a dire Giuliano -  Ehi, Celeste, ti aspettano, - aggiunse volgendosi all’interno della capanna.

“Vengo signor Giuliano! – rispose la fanciulla. Addio madre mia , e a rivedervi presto quando avrò fatto tutto il bene ch’io mi possa.

E dato un ultimo bacio alla defunta, uscì così pacata e serena come se il medico l’avesse assicurata della prossima guarigione della madre. Le due femmine trovatala così calma si riconfortavano tutte.

“Andiamo Celestina! - disse la più vecchia

“Andiamo! rispose la fanciulla – ma voi non venite? riprese volgendosi a Giuliano.

“Non vengo, - disse questi con tal voce che gelò il cuore di quanti l’udirono.

Ah lui non viene! – mormorò la Celeste. Andrò dunque io! – aggiunse più forte. – Stia di buon animo, signor Giuliano!… Felice notte signor curato!… a rivederci mamma! a rivederci!…

E s’allontanò saltellando giù per la china, mentre le due comari s’affaccendavano per tenerle dietro  alla meglio.

Giuliano attese la mattina seguente nella canonica, poiché voleva udire come erano passati i funerali della Marta.

“E così? – chiese egli al curato che tornava in cotta e stola dal cimitero un’ora dopo l’alba.

“Oh poverina! la mi ha fatto piangere di tenerezza, - rispose don Girolamo. – Oh, se l’aveste udita!… la parlava a sua madre, come io a voi!…

“E come l’andò a finire?

“L’andò a finire, che dopo baciata e ribaciata la cassa, e la terra di cui fu coperta, e la croce vi piantarono sopra, se ne partì piangendo e ridendo; e la diceva a questo e a quello : “Mia madre non è mica là sotterra, vedete!… l’è in paradiso dove la mi aspetta e dove salirò ancor io quando avrò fatto tanto, tanto bene”.

E così si è ravviata verso la casa del signor Ambrogio, ove sentii da quelle due comari che fu ricoverata ieri sera con tutta carità. Ma, come potete immaginarvi, l’ ho fatta scortare fin là anche stamattina!…

“Oh grazie per quella  povera disgraziata! – soggiunse Giuliano.

“Voi ringraziate me? – riprese il curato. – Oh io invece ed ella quella poverina dovrebbe ringraziar voi! Ma già il Signore ve ne darà larga mercede un giorno o l’altro!… Già foste sempre un buon figliuolo… e non so… ma…

In queste parole al buon vecchio venivano le lacrime agli occhi, che l’aveva tal cuore lui, da comprendere l’anima di Giuliano;  e questi pure era lì lì per piangere, onde affrettossi a cambiar discorso domandandogli se egli tornava a Lecco con lui. No! – rispose il curato, rasciugandosi gli occhi. – Il prevosto è malato, e non posso muovermi di qui, ma c’è lì fuori la carrettella del dottore che v’attende.

“Oh grazie, e che Dio lo benedica! – sclamò Giuliano; e, ciò dicendo, uscì a precipizio dalla stanza sentendo di non potersi frenare più a lungo.

“Addio, addio! – gli gridò dietro singhiozzando don Girolamo. Indi salendo le scale per vedere della salute del prevosto, mulinava fra sé: “Son certo io che la è così!… quel povero giovine ha il mal d’amore!… e anche lei la ragazza è tutt’altro che contenta!…  Oh se io fossi il signor Ambrogio!…”

*** 

Buona lettura e... grazie!

 

 
 
 
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