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Cineforum 2013/2014 | 1° aprile 2014

Post n°200 pubblicato il 31 Marzo 2014 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

AMOUR

Regia: Michael Haneke
Sceneggiatura: Michael Haneke
Fotografia: Darius Khondji
Musiche: brani (interpretati al pianoforte da Alexandre Tharaud): “Impromptu opus 90 - n°1” e “Impromptu opus 90 - n°3” di Franz Schubert; “Bagatelle opus 126 - n°2” di Ludwig van Beethoven; Prélude Choral “Ich ruf zu Dir, Herr Jesu Christ” di Johann Sebastian Bach/Ferruccio Busoni.
Montaggio: Monika Willi, Nadine Muse
Scenografia: Jean-Vincent Puzos
Costumi: Catherine Leterrier
Effetti: Geoffrey Kleindorfer, Yves Domenjoud, Olivier Gleyze, Christophe Domenjoud, Annick Bourgeois
Suono: Guillaume Sciama, Jean-Pierre Laforce
Interpreti: Jean-Louis Trintignant (Georges), Emmanuelle Riva (Anne), Isabelle Huppert (Eva), Alexandre Tharaud (Alexandre), William Shimell (Geoff), Ramón Agirre (marito della portiera), Rita Blanco (portiera), Carole Franck (infermiera), Dinara Droukarova (infermiera), Laurent Capelluto (poliziotto), Jean-Michel Monroc (poliziotto), Suzanne Schmidt (vicina), Damien Jouillerot (paramedico), Walid Afkir (paramedico)
Produzione: Stefan Arndt, Veit Heiduschka per Les Films du Losange/X-Filme Creative Pool/Wega Film, in coproduzione con France 3 Cinéma/Ard Degeto/Bayerischer Rundfunk/West-deutscher Rundfunk con la partecipazione di France Télévisions/Canal +/Ciné +/Orf Film/Fernseh-Abkommen
Distribuzione: Teodora Film/Spazio Cinema
Durata: 127’
Origine: Francia, Germania, Austria, 2012
Palma d'Oro al 65. Festival di Cannes (2012); Oscar 2013 come miglior film straniero; David di Donatello 2013 come miglior film dell'Unione Europea.

(...) vedendo questo doloroso e feroce film di Haneke sul binomio amore e morte (visto nella quarta età, fuori dal consumo ormai banale) non ci viene da piangere, se mai da pensare e stare in silenzio perché la storia non è suonata mai sul pedale del melodramma, anche se i due protagonisti sono musicisti in pensione, con un curriculum di raffinate serate culturali, come si vede all'inizio. Due ottantenni che vivono «reclusi» per scelta in un appartamento borghese parigino dove ogni tanto capita la figlia (straordinaria Isabelle Huppert, per lei non esistono piccoli ruoli) e qualche ex allievo. Poi il Male, sotto forma di un ictus, colpisce la donna attraverso un lento palesarsi, momento di cinema e tensione altissimi, funny game del miglior Haneke. Ma chi si ammala davvero è il marito che diventa ossessivo e patologico nei confronti della moglie inferma e tenta la grande magia di trasformare l'amore in tenerezza, dedizione tanto da rifugiarsi in alcune splendide sequenze oniriche (un incubo polanskiano ma anche una glossa a Hitchcock, alla mercé d'una semplice anticamera); il film si conclude con una magnifica trovata di regia che esclude appunto ogni lacrima e sostituisce il Tempo eterno, al tempo reale. Stringendo sempre più la visuale sociale, dalla piccola comunità de “Il nastro bianco” alla famiglia di “Funny Games” ai due anziani coniugi di questi sussurri senza grida (un'altra Palma a Cannes), Haneke, uno dei più serenamente cinici maestri austriaci, in pessimistica gara con Ulrich Sedl e Thomas Bernhard, ci dà lezione di vita & regia. Un finale di partita faticoso e senza uscite di sicurezza. Sul tema dell'amorosa constatazione che ogni affetto ha una fine, già trattato da maestri come Bergman ed ora in teatro da Paravidino col diario della madre Maria Pia morente, Haneke ci offre una riflessione rigogliosa espressa con un cinema europeo rigoroso, claustrofobico, discreto, dove nulla è per caso e ogni oggetto, ogni attimo rimanda al conto finale di una vita. E se la malattia è terminale, il dolore, dice l'autore, no, continua e si trasforma a volte in un esplosivo dramma da camera come questo che solo gli stolti potranno dire che è teatro (sulla rotta Strindberg-Ibsen-Bergman) e che i grandi reduci Jean Louis Trintignant ed Emmanuelle Riva interpretano con una misura che ha del miracoloso nella leggerezza del tocco tragico. Morale: è un film che fa bene, se ne esce liberati, riconcilia col cinema dopo tanto pop corn.
Maurizio Porro, Il Corriere della Sera

Il momento più difficile della vita, che naturalmente è la fine, in un film che tiene fede per due ore al suo titolo: “Amour”. Senza effetti di stile, ma con un linguaggio sorvegliatissimo che esalta la prova davvero magnifica dei protagonisti. E senza ricorrere a medici, letti d'ospedale, flebo, cateteri e altri elementi ricattatori, immancabili nella pornografia del dolore oggi dilagante. Anzi senza mai uscire dal vasto appartamento parigino in cui vivono gli anziani musicisti Emmanuelle Riva e Jean-Louis Trintignant. Se non nel prologo, un concerto visto dal palcoscenico, perché sono loro due a interessarci. Unica concessione al mondo esterno insieme a qualche giornale, alle visite della figlia (Isabelle Huppert) o di un ex-allievo ora famoso concertista, e a un piccione bizzarro che si ostina a entrare dalla finestra. Come la vita che resiste, malgrado tutto. Dopo film magnifici e terribili come “Funny Games”, “La pianista”, “Niente da nascondere”, “Il nastro bianco”, si poteva temere che il regista austriaco avrebbe riservato la stessa durezza agli ultimi mesi di questa coppia unitissima e devastata dalla malattia improvvisa di lei. Falso allarme. Haneke non è mai stato più delicato, anche se non fa sconti. Dal primo malore al ritorno a casa dopo l'operazione, al progressivo e inesorabile deteriorarsi della Riva (la grande protagonista di “Hiroshima mon amour”), fino al momento estremo, sullo schermo ci sono solo loro, i loro ricordi, i loro sentimenti, quella casa piena delle cose di una vita. Insomma i loro sentimenti, ma senza mai un'ombra di sentimentalismo (perfino la musica è usata con parsimonia ammirevole). Questione di sguardo: Haneke coglie bellezza, e tenerezza, e sentimenti indicibili, nei momenti più imprevisti (quel goffo abbraccio per alzare la moglie inferma e farla sedere sulla poltrona che diventa un paradossale pas de deux). Concentra decenni di routine e probabilmente di felicità coniugale in poche frasi, un campo lungo, un lampo di civetteria o di ironia (...). E difende la libera scelta dei malati e dei loro cari (...) senza fare proclami, ma con una discrezione e insieme un'empatia che dovrebbero proibire per sempre di etichettare il bellissimo “Amour”, dominato dall'insofferenza dei protagonisti per quel male che non solo li aggredisce ma invade la vita che gli resta, come un film «su» - sulla malattia, la vecchiaia, eccetera. Da vedere in originale naturalmente, per cogliere ogni vibrazione, ogni sfumatura, di questa partitura carezzevole e implacabile. Come lo sguardo che Haneke posa sui suoi due memorabili protagonisti.
Fabio Ferzetti, Il Messaggero

MICHAEL HANEKE
Filmografia:
Benny's Video (1992), Lumière et compagnie (1995), Das Schloss (1997), Funny Games (1997), Storie (2000), La pianista (2001), Il tempo dei lupi (2003), Niente da nascondere - Caché (2005), Funny Games (2007), Il nastro bianco (2009), Amour (2012),

Martedì 8 aprile 2014:
GLORIA di Sebastián Lelio, con Paulina García, Sergio Hernández, Diego Fontecilla, Fabiola Zamora, Coca Guazzini

 

 
 
 
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Data di creazione: 29/09/2007
 

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