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AMERICAN GANGSTER

Post n°33 pubblicato il 22 Ottobre 2008 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

Regia: Ridley Scott
Soggetto: Mark Jacobson e Steven Zaillian dall’articolo "The Return of Superfly" di Mark Jacobson pubblicato sul 'New York Magazine' (agosto 2000)
Sceneggiatura: Steven Zaillian
Fotografia: Harris Savides
Musiche: Marc Streitenfeld
Montaggio: Pietro Scalia
Scenografia: Arthur Max
Arredamento: Beth A. Rubino, Leslie E. Rollins, Sonja Klaus
Costumi: Janty Yates
Effetti: Invisible Effects,  Gray Matter FX
Interpreti: Denzel Washington (Frank Lucas), Russell Crowe (detective Richie Roberts), Chiwetel Ejiofor (Huey Lucas), Josh Brolin (detective Trupo), Ted Levine (detective Lou Toback), Lymari Nadal (Eva), Roger Guenveur Smith (Nate), Yul Vázquez (detective Alphonse Abruzzo), RZA  (Moses Jones), John Hawkes (detective Freddie Spearman), Cuba Gooding Jr. (Nicky Barnes), Carla Gugino (Laurie Roberts), Ruby Dee (Mamma Lucas), Malcolm Goodwin (Jimmy Zee), Ruben Santiago-Hudson (Doc), Armand Assante (Dominic Cattano), Melissia Hill (Redtop), Jon Polito (Rossi), Clarence Williams III (Bumpy Johnson), John Ortiz (Javier J. Rivera), Ritchie Coster (Joey Sadano), Robert Funaro (McCann), KaDee Strickland (Sheilah Dickerson), Common  (Turner Lucas), Norman Reedus (detective Norman Reily)
Produzione: Brian Grazer, Ridley Scott per Universal Pictures/Imagine Entertainment/Scott Free Productions/Relativity Media
Distribuzione: Universal
Durata: 157’
Origine: USA, 2007

Un film ispirato a una storia autentica, ma che sembra inventata: quella di Frank Lucas, protagonista di un'irresistibile ascesa criminale nella New York anni '70. Dopo la morte del boss che serviva come guardia del corpo, Frank abbatte tutti gli ostacoli frapposti alla realizzazione del suo progetto: essere il capo dei capi. L'itinerario è quello ultraclassico del gangster movie, da “Scarface” e “Piccolo Cesare” in poi. Lucas, però, ha un senso del marketing molto moderno, che gli permette di sbaragliare ogni concorrenza nello spaccio della droga abbassandone il prezzo grazie all'acquisto diretto della merce in Thailandia, col favore del caos del conflitto vietnamita. Come ogni amante del genere non ignora (e il produttore Pileggi, vecchio complice di Scorsese, la sa lunga in merito), la carriera del gangster è un'allegoria del capitalismo, di cui l'eroe nero applica con particolare puntiglio le regole portando alle estreme conseguenze la "logica" imprenditoriale. Sappiamo anche, però, che alla parabola ascensionale corrisponde una simmetrica caduta, tale da provocare la rovina del gangster e il crollo del suo impero criminale. La parte del castigamatti tocca a Richie Roberts, ispettore del dipartimento di polizia esperto e determinato come un mastino a non mollare la preda.
Sono due le peculiarità che fanno di American gangster un poliziesco di qualità superiore. La prima è il disegno di una coppia di characters fortemente connotati, messi in opposizione ma tratteggiati, anche, dallo sceneggiatore Steven Zaillian con un'inversione particolarmente efficace degli stereotipi del genere. Lucas, criminale spietato fino dalla prima sequenza, è marito e padre probo, puntuale frequentatore della messa e osservante delle convenzioni sociali.
All'opposto l'onestissimo piedipiatti Roberts, capace di riconsegnare un milione di dollari "orfani" (attirandosi la diffidenza dei corrotti colleghi), è un uomo dalla vita privata tutt'altro che irreprensibile: puttaniere con causa di divorzio in corso, incline alle sregolatezze e vagamente autolesionista. Pur affascinante, l'opposizione non sarebbe sufficiente senza il valore aggiunto del linguaggio, che Ridley Scott (di nuovo in forma dopo un paio di film da dimenticare) usa sapientemente per stimolare nello spettatore l'attesa dell'incontro tra i due protagonisti.
Il film è un'autentica lezione di montaggio: la storia è raccontata focalizzando a turno ora su Roberts, ora su Lucas; col procedere, si alternano scene più brevi, come ad accorciare le distanze fino alla convergenza dei due destini (magistrale il montaggio "per analogia" tra la ricerca del denaro in casa di Frank e quella della droga sull'aereo militare). A qualcuno sembrerà una notazione troppo tecnica: ma è proprio il montaggio che, in un film del genere, dà la possibilità di emozionarsi e godersi la vicenda. Si aggiunga che Scott è uno dei pochi registi capaci di tenere sotto controllo Russell Crowe, ricavandone un'ottima performance. Quanto a Denzel Washington, non è mai tanto bravo come nelle parti da cattivo. (……)
Roberto Nepoti, La Repubblica

Il ritmo blues dell'attore Denzel Washington è lo specchio del film, lento, fluviale, ipnotico, action con risvolto esistenziale, lievemente dopato. La cinepresa di Ridley Scott pedina ipnotica le vite incrociate di Frank Lucas (Washington) e Richie Roberts (Russell Crowe), il poliziotto che cerca di incastrarlo.
Perché Frank è la versione illegale del nero in carriera, businessman deviato che negli anni ‘70 scaccia la mafia italo-americana da Harlem sparigliando il mercato della droga con la blue magic, eroina purissima a basso costo, importata dal Vietnam senza intermediari. Come? Nascosta nelle bare dei caduti rimpatriati.
Il tutto gestito da Lucas in sottotono e doppiopetto, mai una volgarità da ghetto. Più Obama-style che Shaft. Cronaca vera, raccontata in articoli e libri dal giornalista Mark Jacobson e in prima persona da Lucas diventato collaboratore di giustizia. Il ritratto dell'America ai tempi del Vietnam è di grana sporca e vivida e i due protagonisti sono bravissimi nel delineare i due volti della stessa medaglia, il buono e il cattivo uniti da uguale nevrosi e inadeguatezza.
Colori ocra, ambientazione surriscaldata, una discesa epica alle origini del crimine contemporaneo. Con invenzioni visive che portano dritti all'inferno, come quelle ragazze schiave che raffinano la droga, tutte nude per non poterne sottrarre neanche un granello.
Piera Detassis, Ciak

 
 
 
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Un blog di: cineforumborgo
Data di creazione: 29/09/2007
 

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