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Cineforum 2009/2010 - 23 febbraio 2010
Post n°82 pubblicato il 03 Marzo 2010 da cineforumborgo
REVOLUTIONARY ROAD Regia: Sam Mendes Francois Truffaut si arrabbiava a sentire l'assioma secondo il quale “succede ai film quello che succede alle maionesi: riescono o non riescono”. Spiace contraddirlo, ma “Revolutionary road” è un film perfettamente "riuscito"; nel senso che tutto contribuisce a farne un capolavoro, dalla direzione perfettamente calibrata e funzionale al racconto, alle interpretazioni ("moderne", ma che si amalgamano benissimo con il classicismo della regia), fino alla partitura musicale del grande Thomas Newman, capace di far crescere nello spettatore un' angoscia inconsapevole in previsione degli eventi che verranno a giustificarla. Il soggetto è quello di un romanzo di Richard Yates del 1961 (ed. italiana Minimum Fax) basato sull' eterno conflitto tra desiderio e ragione, sogno e realtà. Quando April e Frank Wheeler, freschi sposini, prendono possesso della loro "casettina in periferia" nel Connecticut, tutto sembra perfetto per offrire loro quella felicità prefabbricata che è il "sogno" americano degli anni ‘50. Ma giorno dopo giorno, i sogni veri tornano a galla e si confrontano con una realtà asfittica, senza prospettive, che va stretta soprattutto ad April. Sam Mendes ("American Beauty") sa come scoperchiare i sepolcri imbiancati della periferia americana, liberando i demoni assopiti in tante casalinghe disperate e in tanti impiegati-modello. La donna convince il marito a lasciare quella routine soffocante per andare a Parigi (mito degli americani negli anni ‘50) a fare la vita bohémienne. Gli amici non capiscono: dovrebbero, altrimenti, guardare in faccia la loro stessa frustrazione (agghiacciante la scena del vicino che tenta inutilmente di comunicare coi suoi bambini, inchiodati al televisore). E quando la determinazione di Frank, tentato da un avanzamento di carriera, comincia a vacillare, s' innesca la spirale delle incomprensioni, con relativo corredo di liti e tradimenti, fino all' odio reciproco. Una quieta angoscia che sale poco a poco e, alla fine, ti colpisce allo stomaco facendoti male per giorni. A conti fatti, i tanti fan di "Titanic" possono rallegrarsi che dodici anni fa la love-story tra Leo DiCaprio e Kate Winslet sia stata inghiottita dal mare: ecco come sarebbe finita, se si fossero sposati. Ed ecco quel che c' è - dice Mendes - dopo il "vissero felici e contenti" che conclude le fiabe, in un film molto americano nei caratteri e nell' iconografia, pochissimo nello sguardo, che demolisce sistematicamente tutta la mitologia dell' amore romantico e dell' happy-end elaborata in migliaia di produzioni hollywoodiane. Le performance di Leo e Kate sono di altissimo livello; su di lui avremmo scommesso, sulla signora Winslet in Mendes un po' meno, e siamo contenti di esserci sbagliati. Alla perfezione dell' insieme contribuiscono i "secondi ruoli": da Kathy Bates a Michael Shannon (lui, almeno, "nominato" alle statuette) nella parte del suo nevrotico figlio. Che ha due scene soltanto, ma impossibili da dimenticare. Autopsia del sogno americano, questo cadavere così sexy che il cinema non finisce più di sezionarlo. A celebrare i funerali ci sono invitati di classe: i due divi di “Titanic”, Kate Winslet e Leonardo Di Caprio; uno stuolo di caratteristi geniali; e Sam Mendes, regista di “American Beauty”, del quale “Revolutionary Road” è quasi un impossibile "premake" anni ‘50. SAM MENDES
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