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#NomineRai, quella lezione di stile di Bianca #Berlinguer da qualcosa di sinistra

Post n°13285 pubblicato il 08 Agosto 2016 da Ladridicinema
 

Le perle ai porci. Basterebbe una frase per commentare l’addio di Bianca Berlinguer al Tg3, dopo la vergognosa epurazione che ha subito per non averlo trasformato in un tappetino del governo Renzi, delle cui pulsioni autoritarie abbiamo già parlato.

Nel suo ultimo editoriale da direttore (seguito da 1.543.000 telespettatori, per un 12,9% di share) la Berlinguer non ha mai forzato i toni, benché ne avesse avuto tutto il diritto, dato che la sua rimozione è avvenuta in maniera brutale senza alcuna seria motivazione editoriale. C’è chi ha provato a negare l’evidenza che il giro di poltrone sia stato voluto dal premier e dai suoi, con il chiaro obiettivo di allineare l’ultimo Tg Rai autonomo dal governo che aveva il vizio di dare eguale spazio alle ragioni del SI e del NO (39,8% ciascuno, contro il 60,9% a favore del SI del TG1, il cui direttore infatti non è stato rimosso).

 

Per costoro, ci corre in aiuto Bertolt Brecht, che una volta disse: “Chi non conosce la verità è uno sciocco. Ma chi, conoscendola, la chiama bugia è un delinquente.” Nell’attesa che Lor Signori scelgano quale categoria sia per loro maggiormente rappresentativa, la realtà dei fatti è che dopo mesi di attacchi al Tg3 (e a Ballarò), ci troviamo nella situazione che Bianca Berlinguer viene rimossa e costretta ad accettare una fascia oraria difficile per l’informazione (quando il buon senso avrebbe voluto che avesse la stessa striscia serale della Gruber), pena l’uscita dal video per chissà quanto tempo. E complice di questa situazione è stato anche Roberto Fico, presidente grillino della Commissione di Vigilanza, che dopo i comunicati stampa contro “l’epurazione della Berlinguer” ha bocciato l’ordine del giorno presentato in Commissione dal piddino Fornaro, in cui si chiedeva il rinvio delle nomine a dopo il voto sugli indirizzi che la stessa Commissione deve indicare alla Rai, la quale ancora oggi rimane sprovvista di un piano editoriale per le news degno di questo nome, a riprova del fatto che l’accelerazione è stata tutta politica.

Ma oltre al danno, pure la beffa, perché oltre che censurabile sul piano politico, questo blitz d’agosto sulle nomine Rai è probabilmente anche illegittimo, perché non in linea con il codice sulla trasparenza che la stessa azienda si è data, per il quale ogni nomina deve passare dal cosiddetto “Job Posting“, cioè l’apertura di una procedura trasparente di selezione che prevede la pubblicazione sul sito della Rai delle candidature e dei profili dei diretti interessati. Cosa che non è avvenuta, dato che le nomine sono state fatte in fretta e furia e lo stesso turbo-renziano Mazzà è stato scelto al posto dello storico Di Bella solo negli ultimi due giorni, dato che “il rinnovamento” che si spacciava come motivazione ufficiale non poteva reggere con un candidato che aveva alle spalle già 10 anni di direzione al Tg3. Per altro, l’azienda non ha fornito alcuna spiegazione sul perché gli attuali direttori siano migliori di quelli precedenti e quali siano le motivazioni editoriali alla base del giro di poltrone.

Ecco perché si può tranquillamente affermare che Bianca Berlinguer (e con lei Massimo Giannini) sia stata vittima di un editto paragonabile a quello bulgaro, con la differenza che Silvio Berlusconi ci metteva la faccia. Eppure nel suo editoriale (che in tre giorni su facebook ha superato il milione di visualizzazioni) la Berlinguer non ha gridato allo scandalo, ma si è limitata a definire “sguaiati” gli attacchi ricevuti dagli alfieri del renzismo (gli Anzaldi, le Morani etc.) che fino al giorno prima cannoneggiavano sul suo Tg con una sistematicità che sapeva di regia concordata.

Qualcuno ha tentato di giustificare la rimozione affermando che Bianca Berlinguer sarebbe di parte, ma a ben vedere dagli attacchi che prima ha ricevuto da settori insofferenti alle critiche e alla libera informazione (prima erano i grillini, oggi sono i renziani) l’unica parte di quel Tg3 da lei stessa definito “corsaro” è stataquella del lettore. E un Tg del genere, che ignorava le veline del Palazzo, non poteva essere tollerato, tutt’al più che i sondaggi danno il SI perdente contro il NO 46 a 54, nonostante la sproporzione a favore su tutti i media.

Persino nell’intervista a InOnda, che ha fatto registrare un boom di ascolti al programma con il 6,2% di share e 1.129.000 telespettatori, la Berlinguer ha dato una lezione di stile ai servi sciocchi che popolano l’informazione italiana, gli scribacchini di regime che per far carriera hanno fatto la corsa a incensare l’uomo della Provvidenza di turno e si sono lanciati in improbabili difese ad oltranza del pupo fiorentino di cui passeranno alla storia solamente il rumore delle unghie sui vetri.

 

Checché poi se ne dica, Bianca Berlinguer, a differenza di tanti altri “figli di”, non ha mai usato il nome del padre come avrebbe potuto fare e il rispetto e la stima dei suoi telespettatori se li è guadagnati in 21 anni di onorata carriera da redattrice e conduttrice, che poi l’hanno portata ad approdare alla direzione, per la quale fu scelta non in quanto “figlia di” o espressione di una determinata corrente (andate a rileggervi a tal proposito l’insofferenza dei bersaniani che la accusavano di essere diventata renziana perché dava spazio a Matteo Renzi e alle sue Leopolde, dimenticandosi che all’epoca erano una “notizia” e in quanto tale veniva data), ma perché era il volto più amato del Tg e lo share irrimediabilmente si alzava quando a condurlo era lei.

Come ha ricordato poi Vittorio Emiliani, già direttore del Messaggero che l’ha conosciuta alle prime armi, se c’è una professionista dei media che ha fatto la sua gavetta tra carta stampata e televisione senza appoggi di sorta, è proprio Bianca Berlinguer. Ha cominciato infatti dalle pagine di cronaca del “Messaggero”, firmando i primi pezzi (anche di cronaca mondana) in una rubrica, “La Città“, ideata da uno dei grandi maestri del giornalismo italiano, Silvano Rizza, come palestra per giovani cronisti. Poi ha lavorato con Minoli a Mixer, ha collaborato con Michele Santoro (con cui ora lavorerà al nuovo programma) e infine è approdata al Tg3 di Sandro Curzi, definito a InOnda il suo vero maestro.

E dopo 26 anni di onorata carriera da giornalista, conduttrice e infine direttore, che entrava in redazione alle 8 del mattino e lo lasciava spesso dopo l’una o le due di notte, anche gli schizzi di fango di qualche imbecille da tastiera che se la prende per il suo stipendio (la cui cifra diffusa qualcuno si è dimenticato di precisare prevede i contributi INPS) fanno davvero ridere, perché significa davvero che Lor Signori non hanno alcun valido argomento per giustificare un trattamento indecente.

Infatti, i direttori di giornale che lasciano per “anzianità di mandato” ricevono ben altro trattamento, ad esempio, spesso ottengono uno spazio come editorialsiti fissi o producono grandi inchieste per lo stesso giornale. Non vengono relegati in una fascia inusuale e anomala per l’informazione (dalle 18:30 alle 19:00), nella speranza che gli ascolti non siano buoni e per avere un motivo valido per far sparire Bianca Berlinguer dal video fino alle due promesse seconde serate a febbraio.

Perché il vero obiettivo, al di là della normalizzazione del Tg3, è quello di ridurre il peso e l’influenza di una figura molto amata nel popolo della Sinistra e che può insidiare in più di un modo i progetti di egemonia culturale del renzismo oramai decadente. Se ne facciano una ragione però Lor Signori: esattamente come è fallito il tentativo di cancellare la figura di Enrico Berlinguer dal cuore di milioni di italiani, nonché tra giovanissimi che mai l’hanno conosciuto, allo stesso modo l’attuale crociata contro sua figlia, temuta forse più per una sua eventuale (quanto mai improbabile) discesa in campo, farà la stessa fine. E un indice abbastanza affidabile è il successo della recente pagina Facebook, creata nemmeno una settimana fa e che ha fatto da cassa di risonanza in una maniera inaspettata, catalizzando centinaia di migliaia di persone attorno all’argomento.

A questo punto ci pare che l’idea di fare gli editti prima della pausa estiva, mascherandoli da altro, nella speranza che se ne parlasse poco, non ha funzionato per nulla. E forse questa non sarà solo la prima previsione sbagliata del “Giglio Magico”, che è già pronto per essere rottamato come i suoi predecessori. Con buona pace di tutti quelli saliti tardivamente sul carro del presunto vincitore.

 
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