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09 settembre 2018 - ![]() Sono passati vent'anni da quando Lucio Battisti se ne è andato, lasciandoci con un'amarezza incontenibile, un canzoniere pieno di ricordi, lezioni ed emozioni, e una voce che continua a cantare e che ora, per fortuna, sono in tanti ad ascoltare. Nato a Poggio Bustone il 5 marzo del 1943, (ad un giorno di distanza dall'altro grande Lucio della musica italiana), ebbe un'infanzia ordinaria, come raccontò lui stesso in un'intervista del dicembre 1970: "I capelli ricci li avevo anche da bambino e così lunghi che mi scambiavano per una bambima. Ero un ragazzino tranquillo, giocavo con niente, con una matita, con un pezzo di carta e sognavo. Le canzoni sono venute più avanti. Ho avuto un'infanzia normale, volevo fare il prete, servivo la messa quando avevo quattro, cinque anni. Poi però una volta, siccome parlavo in chiesa con un amico invece di seguire la funzione - io sono sempre stato un grosso chiacchierone - un prete ci ha dato uno schiaffo in testa. Magari dopo sono intervenuti altri elementi che mi hanno allontanato dalla chiesa, ma già con questo episodio avevo cambiato idea." Trasferitosi con la famiglia a Roma nel 1950, a 12 anni chiese ai genitori una chitarra in regalo, come premio per essere stato promosso in terza media: voleva imitare due ragazzi che abitavano nel suo condominio, che nel tempo libero suonavano il rock and roll. Per coltivare questo interesse, però, iniziò a trascurare la scuola con sommo dispiacere del padre Alfiero, che secondo la leggenda, preso da un raptus di rabbia, gli spaccò una chitarra in testa e lo minacciò di non firmare l'esenzione dalla leva militare, (alla quale aveva diritto essendo figlio di un invalido di guerra), se non avesse preso il diploma. La questione si risolse con la promessa di Lucio di completare gli studi, a patto che il padre firmasse l'esenzione e gli concedesse due anni per provare a migliorare le sue doti artistiche. Come da accordi, nel 1962 Battisti prese il diploma da perito elettrotecnico ed andò per la sua strada. Iniziò a suonare dal vivo a Napoli, con i Mattatori, ma tornò a casa dopo pochi mesi per mancanza di soldi. A Roma, entrò a far parte del gruppo di Enrico Pianori, I Satiri, con i quali ebbe l'opportunità di suonare in Germania e in Olanda e di ascoltare alla radio la musica di Dylan e degli Animals. Successivamente, entrò nella formazione de I Campioni e si trasferì a Milano per tentare la fortuna da solista. Spronato dal leader del gruppo, Roby Matano, Lucio iniziò a scrivere canzoni e il 14 febbraio del 1965, durante un provino, venne notato da un'editrice musicale, Christine Leroux, responsabile del fortunato incontro con Giulio Rapetti, in arte Mogol. Fu proprio grazie al celebre paroliere che Battisti poté esordire da cantante: la Ricordi era totalmente contraria, perché lo considerava stonato e afono, ma Mogol minacciò di dimettersi se non avessero pubblicato il 45 giri che conteneva "Per Una Lira" (e "Dolce di Giorno"). Faceva così: Nel 1967 Mogol e Battisti iniziarono a lavorare da autori in coppia: scrissero i brani "29 settembre" e "Nel cuore, nell'anima", affidandoli alle sapienti mani dell'Equipe 84, e fecero interpretare a Riki Maiocchi "Uno in Più", una canzone-manifesto della cosiddetta linea verde, un silente movimento attraverso il quale Mogol intendeva rinnovare la tradizione musicale italiana; Battisti scrisse anche "Non prego per me" per Mino Reitano e suonò la chitarra in "La Ballata di Pickwick", cantata da Gigi Proietti. Con "Balla Linda" partecipò al Cantagiro 1968, arrivando quarto, e riuscì per la prima volta ad entrare nella hit parade con una canzone da lui interpretata, ottenendo anche un notevole successo negli Stati Uniti con la versione in inglese. Continuando ad accumulare successi, sia da autore che da interprete, negli anni '70 Battisti raggiunse il culmine della popolarità ed iniziò a dimostrare un certo disprezzo per i mass media e per quei "dannati curiosi" e detrattori dei giornalisti, dai quali voleva essere giudicato esclusivamente per la sua musica. Pubblicò un concept album, "Amore e non amore", e due dei suoi singoli più apprezzati: "Emozioni/Anna" e "Pensieri e parole/Insieme a te sto bene". Il 23 aprile del 1972 si esibì insieme a Mina in un duetto rimasto celebre, nel quale i due interpretarono un medley composto da "Insieme", "Mi ritorni in mente", "Il tempo di morire", "E penso a te", "Io e te da soli", "Eppur mi son scordato di te" ed "Emozioni". Fu l'ultima apparizione televisiva di Battisti: il giorno dopo pubblicò il suo primo album per la Numero Uno, "Umanamente uomo: il sogno", seguito nel novembre del 1972 da "Il Mio Canto Libero" e da "Il Nastro Caro Angelo" nel settembre 1973, anno in cui divenne padre del suo unico figlio. L'anno seguente, dopo un viaggio in Sudamerica con Mogol, pubblicò "Anima Latina" e nel 1975 partì nuovamente con Mogol per un viaggio negli Stati Uniti, dove scrisse una canzone ispirata dall'autostrada americana Interstate 5, "San Diego Freeway", che sarebbe poi diventata "Ancora Tu". Dopo aver sposato la sua Grazia Letizia Veronese, nel 1976 iniziò a lavorare ad un album in lingua inglese per la RCA, inizialmente con l'aiuto della traduttrice di testi Marva Jan Marrow, e poi affidando l'incarico a Peter Powell. Nello stesso anno pubblicò un album in italiano, "Io tu noi tutti", e "Images", che però ottenne uno scarsissimo successo. Seguirono "Una donna per amico", nel '78, e "Una giornata uggiosa", che nel 1980 fu il quinto album più venduto in Italia. Fu anche l'ultima collaborazione con Mogol, per divergenze di interessi: "Il nostro rapporto è il rapporto di due persone di questo tempo che dopo tanti anni di lavoro assieme […] improvvisamente, per divergenze di interessi, si sono messi ognuno su una sua rotaia, su una sua strada, per cui adesso da quattro o cinque anni a questa parte ci vediamo al massimo un mese all'anno. […] È l'esperienza di due persone che stanno diventando completamente diverse." Battisti continuò a scrivere con l'aiuto della moglie, autrice dei testi di "E già", un album che sorprese profondamente il pubblico per la brevità delle canzoni e gli arrangiamenti completamente elettronici. Tra il 1982 ed il 1983 pubblicò con Adriano Pappalardo gli album "Immersione" e "Oh! Era Ora", e durante le sessioni di registrazione conobbe il paroliere romano Pasquale Panella, con il quale iniziò una fruttuosa collaborazione, che durò fino al 1994. Furono gli anni più sperimentali di Battisti, che il grande pubblico non comprese mai a pieno. Lucio aveva iniziato ad interessarsi ai generi musicali che avrebbero preso il sopravvento di lì a poco: il rap - che ricambiò l'interesse campionando molti dei suoi brani - e la techno, esplorati nell'album "Cosa succederà alla ragazza", per finire con l'eurodance in "Hegel". Nel 1993 sfumò miseramente un progetto a tre con Adriano Celentano e Mina, come raccontò lo stesso Molleggiato in una lettera aperta, nella quale confessò di essersi dimenticato di richiamare Battisti dopo aver concordato con lui un appuntamento: "'Io dico che dovremmo vederci di più' - mi dicesti - 'per fare qualcosa insieme. Non necessariamente per il pubblico, ma per divertirci noi'.'Sono d’accordo. L’unico rischio è che se ci divertiamo troppo poi facciamo anche successo'. Cominciammo a ridere e scherzare. Ma forse avevo sottovalutato il tuo stato d’animo. Tre giorni dopo telefonasti dicendomi che se volevo saresti venuto volentieri a Galbiate a fare un quattro chiacchiere. Quel giorno avevo un appuntamento a Milano e per una serie di sfortunate coincidenze dimenticai di richiamarti come avevo promesso. Il giorno dopo telefonai a casa tua ma non rispose nessuno [...] Da quel momento ho cominciato a cercarti quasi ovunque. Ma tu eri sparito, neanche la Sony sapeva dov’eri. Finalmente dopo 20 giorni riesco a parlarti, e al telefono mi resi conto che quel giorno a Galbiate l’avevo fatta grossa. Il tono della tua voce era freddo. Per quanto forte e divertente fosse l’idea di fare un disco in tre, non era abbastanza per colmare l’amarezza che ti avevo procurato. Più parlavo e più mi rendevo conto di non essere credibile: le mie scuse risultavano mischiate a una richiesta di lavoro e quindi non del tutto disinteressate. “L’idea è bella” - mi dicesti - “ma ci devo pensare”. Se solo le cose fossero andate diversamente, se solo la vita gli avesse concesso altri vent'anni, almeno, non ci ritroveremmo qui a scrivere: Ciao Lucio, ti amiamo sempre un po' di più e abbiamo quasi paura di innamorarci troppo di te.
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