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L’universo femminile e la violenza. Uno sguardo dal cinema europeo da tafter.it

Post n°11138 pubblicato il 17 Febbraio 2014 da Ladridicinema
 

- di Marianna Trimarchi -

L’universo femminile e la violenza da esso subito sono i temi che giungono dal cinema europeo presentato alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. I tre film “La moglie del poliziotto”, “Miss Violence” e “Medeas” sono infatti accomunati dalla presenza di donne sofferenti.

5 settembre 2013

 

La moglie del poliziotto (Philip Groing, 2013), Miss Violence (Alexandros Avranas, Grecia, 2013), Medeas (Andrea Palladoro, USA, 2013).
Più che tre film, un trittico, senza saperlo. In comune, gli stessi temi: la famiglia, il sesso, la violenza.

mogliepoliLa Mostra del Cinema di Venezia dà spazio a produzioni europee indipendenti, che sembrano riflettere in sintonia, pur nella diversità delle geografie nazionali e delle geopolitiche.
Tutti e tre i film, uno tedesco, uno greco, l’altro di un italiano ormai trasferito negli Stati Uniti, affrontano le dinamiche distorte della relazione violenta tra mariti e mogli e delle ritorsioni sui figli, squadernando un quadro psicologico perturbante.
La moglie del poliziotto, del tedesco Groning, mette in scena attraverso sessanta episodi, la quotidianità di una famiglia apparentemente comune, dove il padre è un poliziotto e la madre si occupa della bambina.  Apparentemente comuni sono anche le vicende della famiglia greca di Angeliki, in Miss Violence, la ragazza che si suicida gettandosi al balcone il giorno del suo undicesimo compleanno, non lasciando alcuna traccia di sconcerto tra i familiari; e quella della famiglia di Ennis, l’allevatore di mucche protagonista di Medeas, che vive con la moglie sordomuta e i figli in una zona rurale dell’America profonda.

missviolence

Anche se attraverso tre stili diversi, ciascun film interpreta la relazione psicologica dei personaggi e il loro rapporto con l’ambiente.

La moglie del poliziotto e Miss Violence, in particolar modo, trovano una collocazione specifica negli interni domestici, soprattutto il secondo film, dove la dimensione esterna è quasi esclusa dalla pellicola. In entrambe i film, vicini per un’escalation di violenze che man mano si rendono sempre più evidenti, i personaggi, in particolar modo quelli femminili, sono relegati in una prigione fisica e psicologica, costituita, appunto, dalle pareti domestiche.
Al contrario, Medeas fa del paesaggio rurale la possibilità di una fuga dalle dinamiche frustranti della famiglia, ma non consente un riscatto: perdersi nel paesaggio è, per i personaggi del film, una parentesi mai definitiva, che riporta sempre all’ovile domestico.

Altro elemento comune è, nella rappresentazione del nucleo familiare, il ricorso alla foto ricordo. In tutti e tre i film, infatti, il quadretto domestico, con tutti i componenti pronti ad essere immortalati, denuncia la finzione e l’artificiosità della posa e, per antitesi, smaschera i rapporti problematici.

medeas

I primi due film, in particolare, intessono un discorso sulla violenza operata sul femminile. In entrambi, le famiglie protagoniste presentano una dominante numerica femminile, schiacciata però dall’esercizio del potere maschile. nelle famiglie. Così, quando la famiglia del poliziotto, di fronte alla macchina da presa, compone un trittico felice ed emblematico e canta una canzoncina, mette in atto una finzione scenica. Allo stesso modo il pater familias che abbraccia le figlie o la moglie, nelle foto ricordo degli altri due film, è di per sé l’esibizione di una felicità non vera e di un trauma celato.
La presenza perturbante del non detto, poco a poco svelata in un crescendo di tensione in tutti e tre i film, si maschera infatti dietro questi edifici simbolici. È la macchina da presa, al contrario, a puntare lo sguardo su dettagli che rivelano una trama di indizi sempre più sconcertanti.

Medeas è invece diverso: il regista Andrea Pallaoro sembra aver assorbito una visione meno freudiana e rinuncia all’esibizione della violenza lasciando alla fuga nel paesaggio la possibilità di costituire un riscatto, anche se temporaneo.
Gli europei Groning e Avranas, invece, prediligono una rappresentazione traumatica, per l’appunto come se fosse in debito con la psicanalisi, in cui allo spettatore non è data alcuna possibilità di censura, se non quella di distogliere lo sguardo.

Legati con un fil rouge per nulla scontato alla cronaca nera che con cadenza ormai quotidiana ci presenta casi di femminicidi o di violenze domestiche, i tre film costringono il pubblico ad una riflessione forzata e doverosa e lasciano sperare in un ritorno del cinema ad un realismo del quotidiano e dei suoi lati più occulti.
Venezia 70, in un quadro di coerenza e di continuità tra i film in programma, sembra seguire questa tendenza.

 
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