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Le ombre rosse da mymovies

Post n°11318 pubblicato il 21 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

 

Il famoso letterato e intellettuale Siniscalchi viene invitato a rendersi conto dell'attività di un Centro Sociale Giovanile che opera su più fronti che vanno dall'espressione artistica all'offrire temporaneamente un tetto a chi non ce l'ha. Al termine della visita che lo ha particolarmente colpito si lascia andare a una breve intervista in cui, citando André Malraux, afferma l'importanza di ricreare delle Case della Cultura. Quel Centro Sociale potrebbe esserne il primo esempio. La notizia fa il giro d'Europa e attrae l'interesse di un importante architetto 'di sinistra' nonché di politici che sono pronti a sostenere il progetto. Siamo negli anni dell'ultimo Governo Prodi. Quelli che sono più perplessi, tra depressioni ed esaltazioni, sono proprio i giovani del Centro Sociale. I quali, quando i progetti cominciano a concretizzarsi e il potere del denaro comincia a farsi sempre più opprimente, finiscono con il dividersi.
Citto Maselli non è più quello di Lettera aperta a un giornale della sera. Si potrebbe definire 'lapalissiana' questa affermazione considerati gli anni trascorsi da quel film. Ma il problema è un altro. Allora la denuncia era incisiva e vissuta dall'interno di un mondo pseudointelletuale in cui l'ideale non aveva alcuna intenzione di tradursi in pratica. Oggi, a uno sguardo ancora lucido sul distacco che si è venuto a creare tra una certa intellighenzia politica e la realtà, fa da contraltare un'idealizzazione forzata del mondo dei Centri Sociali che mostra come ormai lo stesso Maselli sia 'distante' dal microcosmo sociale che ci vuole raccontare.
Tralasciando la lunga visita guidata iniziale estremamente didascalica (le cui situazioni ci vengono poi successivamente e pedantemente riproposte) è lo sguardo complessivo che suona purtroppo retoricamente irreale. Quello che Maselli ci propone è un mondo ideale, una sorta di convento laico (non a caso assistono agli spettacoli anche suore 'di sinistra') in cui non circola neppure uno spinello e in cui le fanciulle sono tutte attraenti. 
La voglia di denuncia è rimasta intatta ma tutta la vicenda ruota attorno a 'personaggi', non a persone e questo rende l'intera narrazione stereotipa (si vedano, a titolo di esempio, i rappresentanti della Demobanca). Gli attori si adeguano a questa scelta e solo Fantastichini riesce a far fare uno scatto in più al suo architetto mostrandone con sottigliezza la protervia ammantata di falsa benevolenza di fronte alle nuove strutture sociali di aggregazione.
Se si aggiunge poi che il film (che avrebbe potuto concludersi con un'immagine, la più pregnante, davvero evocativa delle 'ombre' in cui si sono trasformati coloro che un tempo erano parte viva della sinistra) si prolunga invece in un finale tanto posticcio quanto ingenuamente proiettato verso il futuro, si può comprendere come le buone intenzioni non abbiano, purtroppo, trovato corrispondenza nell'esito complessivo. Peccato.

 
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