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Pasolini era contro la polizia e la polizia è sempre stata contro Pasolini da globalist

Post n°12706 pubblicato il 02 Novembre 2015 da Ladridicinema
 
Tag: news, STORIA

Pier Paolo Pasolini è morto il 2 novembre del 1975

Pier Paolo Pasolini è morto il 2 novembre del 1975

 

Pier Paolo Pasolini è morto il 2 novembre 1975 in circostanze ancora oggi poco chiare. Poeta, regista, letterato, è considerato uno dei maggiori artisti e intellettuali italiani del XX secolo. Ucciso in maniera brutale all'Idroscalo di Ostia, per l'omicidio è stato condannato Pino Pelosi, all'epoca diciassettenne. Riportiamo il reportage di Wu Ming1 apparso sull'Internazionale

 


di Wu Ming1

1. "Quel bastardo è morto"

Elisei Marcello, di anni 19, muore alle tre di notte, solo come un cane alla catena in una casa abbandonata. Muore dopo un giorno e una notte di urla, suppliche, gemiti, lasciato senza cibo né acqua, legato per i polsi e le caviglie a un tavolaccio in una cella del carcere di Regina Coeli. Ha la broncopolmonite, è in stato di shock, la cella è gelida. I legacci bloccano la circolazione del sangue. Da una cella vicina un altro detenuto, il neofascista Paolo Signorelli, sente il ragazzo gridare a lungo, poi rantolare, invocare acqua, infine il silenzio. La mattina, chiede lumi su cosa sia accaduto. "Quel bastardo è morto", taglia corto un agente di custodia. È il 29 novembre 1959.

Marcello Elisei stava scontando una condanna a quattro anni e sette mesi per aver rubato gomme d'automobile. Aveva dato segni di disagio psichico. Segni chiarissimi: aveva ingoiato chiodi, poi rimossi con una lavanda gastrica; il giorno prima aveva battuto più volte la testa contro un muro, cercando di uccidersi. I medici del carcere lo avevano accusato di "simulare". Le guardie lo avevano trascinato via con la forza e legato al tavolaccio.

Il 15 dicembre si dimette il direttore del carcere Carmelo Scalia, ufficialmente per motivi di salute. A parte questo, per la morte di Elisei non pagherà nessuno. Inchieste e processi scagioneranno tutti gli indagati.

Leggendo della vicenda, Pier Paolo Pasolini rimane sconvolto. "Non so come avrei scritto un articolo su questa orribile morte", dichiara alla rivista Noi donne del 27 dicembre 1959. "Ma certamente è un episodio che inserirò in uno dei racconti che ho in mente, o forse anche nel romanzo Il rio della grana". Un romanzo rimasto incompiuto, poi incluso tra i materiali della raccolta Alì dagli occhi azzurri (1965). Se dovessi scrivere un'inchiesta, aggiunge, "sarei assolutamente spietato con i responsabili: dai secondini al direttore del carcere. E non mancherei di implicare le responsabilità dei governanti".

Oggi è difficile, quasi impossibile cogliere la portata della persecuzione subita ogni giorno da Pasolini in 15 anni

L'agonia e la morte in solitudine di Marcello Elisei scaveranno a lungo dentro Pasolini, fino a ispirare il finale di Mamma Roma(1962). Ma nel 1959 Pasolini non è ancora un regista. Ha 37 anni, è autore di raccolte poetiche, sceneggiature e due romanzi che hanno fatto scalpore: Ragazzi di vita e Una vita violenta. Ha già subìto fermi di polizia, denunce, processi. Per censurare Ragazzi di vita si è mossa direttamente la presidenza del consiglio dei ministri. Eppure, a paragone dello stalking fascista, del mobbing poliziesco-giudiziario e del linciaggio mediatico che l'uomo sta per subire, questa è ancora poca roba.

Nel libro collettaneo Pasolini: cronaca giudiziaria, persecuzione, morte (Garzanti 1977) Stefano Rodotà riassume la questione in una frase: "Pasolini rimane ininterrottamente nelle mani dei giudici dal 1960 al 1975". E anche oltre, va precisato. Post mortem. Rodotà parla di "un solo processo", lunga catena di istruttorie e udienze che trascinò Pasolini decine e decine di volte nelle aule di tribunale, perfino più volte al giorno, tra umiliazioni e vessazioni, mentre fuori la stampa lo insultava, lo irrideva, lo linciava.

2. Il giornalismo libero

"Siamo ovviamente d'accordo contro l'istituzione della polizia".

L'uomo che nel giugno 1968 scrive questo verso ha già sulle spalle quattro fermi di polizia, 16 denunce e undici processi come imputato, oltre a tre aggressioni da parte di neofascisti (tutte archiviate dalla magistratura) e una perquisizione del proprio appartamento da parte della polizia in cerca di armi da fuoco. "Appena avrò un po' di tempo", scrive in un appunto inedito, "pubblicherò un libro bianco di una dozzina di sentenze pronunciate contro di me: senza commento. Sarà uno dei libri più comici della pubblicistica italiana. Ma ora le cose non sono più comiche. Sono tragiche, perché non riguardano più la persecuzione di un capro espiatorio [.]: ora si tratta di una vasta, profonda calcolata opera di repressione, a cui la parte più retriva della Magistratura si è dedicata con zelo.". E ancora: "Ho speso circa quindici milioni in avvocati, per difendermi in processi assurdi e puramente politici".

Oggi è difficile, quasi impossibile cogliere la portata della persecuzione subita ogni giorno da Pasolini in 15 anni. La mostraUna strategia del linciaggio e delle mistificazioni, inaugurata nel 2005 e da poco riallestita alla sala Borsa di Bologna, restituisce appena tenui riverberi. Non può che essere così, per capire bisognerebbe calarsi nell'abisso - come ha fatto Franco Grattarola, autore di Pasolini. Una vita violentata (Coniglio 2005) - e ripercorrere la sfilza dei pestaggi a mezzo stampa. Toccare con le dita un'omofobia da sporcarsi solo a immaginarla. Soppesare l'intero corpus fradicio di articoli, denso come un grande bolo di sterco e vermi.

Tra i quotidiani si fa notare soprattutto Il Tempo, ma è la stampa periodica di destra a tormentare Pasolini in maniera teppistica e ininterrotta. Rotocalchi come Lo Specchio e Il Borghese si dedicano alla missione con entusiasmo, con reporter e corsivisti distaccati a tallonare la vittima, a provocarla, a colpirla in ogni occasione, con titoli come "Il c..o batte a sinistra" e lo stile inconfondibile oggi ereditato da Libero - per citare una sola testata.

Sulle pagine del Borghese si distinguono nel killeraggio il critico musicale Piero Buscaroli e il futuro autore e regista televisivo Pier Francesco Pingitore, fondatore del Bagaglino. Altre invettive giungono dallo scrittore Giovannino Guareschi e, in un'occasione, dal critico cinematografico Gian Luigi Rondi, ma la regina dell'antipasolinismo è senza dubbio Gianna Preda, pseudonimo di Maria Giovanna Pazzagli Predassi (1922-1981), poi cofondatrice - indovinate - del Bagaglino.

Celebrata ancora oggi su un blog di destra come "la signora del giornalismo libero", "fuori dal coro", "mai moralista né oscurantista" e via ritinteggiando, Preda coltiva nei confronti di Pasolini un'autentica ossessione omofobica, sessuofobica e - ça va sans dire- ideologica. Sovente si riferisce allo scrittore/regista chiamandolo "la Pasolina". Per gli omosessuali, descritti come artefici di loschi complotti, conia il termine "pasolinidi". Va avanti per anni - proseguendo anche dopo la morte di PPP - a scrivere cose del genere:

[Pasolini] ha potuto, con immutata disinvoltura, continuare a confondere le questioni del bassoschiena con quelle dell'antifascismo [.] Una segreta alleanza [.] fa dei 'capovolti' il partito più numeroso e saldo d'Italia; un partito che, attraverso i suoi illustri esponenti, finisce sempre col far capo o col rendere servizi al Pci [.] Il 'capovolto' sente, a naso, quel che gli conviene e dove deve appoggiarsi, se non vuole rendere conto all'opinione pubblica di quello che essa giudica ancora un vizio [.] Così nasce un nuovo mito. [A celebrarlo] pensano poi i giornali di sinistra, che riescono a camuffare da eroismo la paura segreta di questo o quel 'capovolto' clandestino. Luminose saranno le sorti dei pasolinidi d'Italia. Già si avvertono i segni delle fortune di coloro che hanno scoperto troppo tardi il vantaggio d'esser pasolinidi [.] Se avremo, dunque, nuovi scontri con i marxisti [.] prima di pensare a coprirci il petto, preoccupiamoci di coprirci le terga.

Il "metodo Boffo" giunge da lontano. E anche i complottismi sulla malvagia "teoria del gender".

L'equivalente di Gianna Preda sullo Specchio è lo scrittore ex repubblichino Giose Rimanelli, celato dietro il nom de plume A. G. Solari. Com'è ovvio, attacchi forsennati a Pasolini giungono anche dal Secolo d'Italia, ma un lavorìo più subdolo e influente di character assassination ha luogo sulla stampa popolare nazionalconservatrice, quella di riviste come Oggi e Gente.

Si va molto più in là, purtroppo. Pasolini sembra essere la cartina di tornasole del peggio. Nel 1968 il regista Sergio Leone, interpellato dal Borghese, sente l'urgenza di commentare così le polemiche sul film Teorema: "Sono convinto che tanti film sull'omosessualità hanno fatto diventare del tutto normale e legittima questa forma di rapporto anormale". Perfino su Il manifesto si trovano battute omofobe: "La tesi [di Pasolini] ridotta all'osso (sacro) è molto chiara." (21 gennaio 1975). Come ha scritto Tullio De Mauro:

I fiotti neri finiscono con l'inquinare anche acque relativamente lontane. Il linguaggio verbale non è fatto solo di ciò che diciamo e udiamo. È fatto anche di ciò che, nella memoria comune, circonda e alona il detto e l'udito. Il non-detto pesa accanto al detto, ne orienta l'apprezzamento e intendimento. Chi legge nell'Espresso del 18 febbraio 1968 il pezzo Pasolini benedice i nudisti con foto di giovanotto ciociaro nudo a cavallo di violoncello, è coinvolto dagli effetti del fiotto nero d'origine fascista, gli piaccia o no e lo volessero o no i redattori del settimanale radical-socialista.

È una vasta campagna a favorire, o meglio, istigare non solo le azioni poliziesche e giudiziarie, ma anche le aggressioni fisiche da parte di fascisti. Fascisti mai toccati dalla magistratura, che poi finiranno in diverse inchieste sulla strategia della tensione, come Serafino Di Luia, Flavio Campo e Paolo Pecoriello.

Il 13 febbraio 1964, davanti alla Casa dello studente di Roma, una Fiat 600 cerca di investire un gruppo di amici di Pasolini che difendevano quest'ultimo da un agguato fascista. A guidare l'auto è Adriano Romualdi, discepolo di Julius Evola e figlio di Pino, deputato e presidente del Movimento sociale italiano (Msi). L'episodio è riportato con dettagli e fonti in tutte le biografie di Pasolini, mentre è assente dalla voce che Wikipedia dedica a Romualdi.

Pasolini non querela, né per le diffamazioni a mezzo stampa né per le aggressioni fisiche. È una scelta meditata: non vuole abbassarsi al livello dei suoi persecutori. Inoltre, se querelasse non farebbe che aumentare la già enorme quantità di tempo che trascorre in tribunale.

3. Come mai?

Come mai una simile persecuzione? Perché era omosessuale? Tra gli artisti e gli scrittori non era certo l'unico. Perché era omosessuale e comunista? Sì, ma nemmeno questo basta. Perché era omosessuale, comunista e si esprimeva senza alcuna reticenza contro la borghesia, il governo, la Democrazia cristiana, i fascisti, la magistratura e la polizia? Sì, questo basta. Sarebbe bastato ovunque, figurarsi in Italia e in quell'Italia.

Pier Paolo Pasolini a Roma, nel 1967. - Franco Vitale, Reporters Associati & Archivi/Mondadori Portfolio

La borghesia italiana si è vendicata e, in modi più obliqui, continua a vendicarsi. La fandonia di "Pasolini che stava con la polizia", ripetuta dai fascisti, dai perbenisti e dai falsi anticonformisti di oggi, prosegue la révanche dei fascisti, dei perbenisti e dei falsi anticonformisti di ieri.

Anche l'apologia postuma di un Pasolini semplificato, appiattito, lucidato e ridotto a santino fa parte della révanche.

4. "Non potranno mentire in eterno"

Nel marzo 1960 Fernando Tambroni, già ministro dell'interno e poi del bilancio, diventa capo di un governo monocolore Dc. L'esecutivo si forma grazie ai voti dei parlamentari missini. Appena quindici anni dopo la liberazione, una forza neofascista si avvicina all'area di governo. Proteste e disordini esplodono in tutto il paese. Il 30 giugno, decine di migliaia di manifestanti si scontrano con la polizia a Genova, città operaia e partigiana scelta dall'Msi per il suo congresso. Il 7 luglio, a Reggio Emilia, polizia e carabinieri sparano su una manifestazione sindacale uccidendo cinque persone. Il 19 luglio, Tambroni si dimette.

La rivista Vie nuove - su cui Pasolini tiene una rubrica dove dialoga con i lettori - produce all'istante un disco sull'eccidio di Reggio Emilia. Si tratta della registrazione della sparatoria. Su Vie nuove, anno XV, numero 33, del 20 agosto 1960, Pasolini commenta: "Quello che colpisce [.] è la freddezza organizzata e meccanica con cui la polizia ha sparato: i colpi si succedono ai colpi, le raffiche alle raffiche, senza che niente le possa arrestare, come un gioco, quasi con la voluttà distratta di un divertimento".

Sono i giorni del processo al criminale nazista Eichmann, e Pasolini collega le due storie:

Egli uccideva così, con questo distacco freddo e preveduto, con questa dissociazione folle. È da prevedere che le giustificazioni dei poliziotti [.] saranno del tutto simili a quelle già ben note. Anch'essi parleranno di ordini, di dovere ecc. [.] La polizia italiana. si configura quasi come l'esercito di una potenza straniera, installata nel cuore dell'Italia. Come combattere contro questa potenza e questo suo esercito? [.] Noi abbiamo un potente mezzo di lotta: la forza della ragione, con la coerenza e la resistenza fisica e morale che essa dà. È con essa che dobbiamo lottare, senza perdere un colpo, senza desistere mai. I nostri avversari sono, criticamente e razionalmente, tanto deboli quanto sono poliziescamente forti: non potranno mentire in eterno.

Nel 1961 Pasolini gira il suo primo film, Accattone. In un paese dove si legge pochissimo, il cinema è potenzialmente più pericoloso della letteratura.
La riprovazione borghese, la censura e la repressione scatenate dai film di Pasolini (tutti, nessuno escluso) saranno incommensurabilmente maggiori di quelle scatenate dai libri e dagli articoli. Se poi in un film riemerge la storia di come morì Marcello Elisei.

Nel 1962, il finale di Mamma Roma - film che scatena violenze fasciste ed è subito proibito dalla censura - mostra il giovane Ettore che muore in prigione, gemente, febbricitante e invocante la mamma, legato in mutande e canottiera a un letto di contenzione. "Aiuto, aiuto, perché mi avete messo qua?. Non lo faccio più, lo giuro, non lo faccio più. So' bono, adesso. Mamma, sto a mori' de freddo. Sto male. Mamma!. Mamma, sto a mori'. È tutta notte che sto qua. Nun je 'a faccio più.".

Il 31 agosto 1962 il tenente colonnello Giulio Fabi, comandante del gruppo carabinieri di Venezia, denuncia Mamma Roma per oscenità e si premura di aggiungere: "Si fa presente che l'autore e regista Pasolini e uno degli interpreti, il Citti, dovrebbero avere precedenti penali presso il tribunale di Roma". Tra coloro che seguono e apprezzano Pasolini circola l'ipotesi che a irritare l'arma sia stato il finale del film.

Da qui in avanti, Pasolini è investito da un'onda d'urto censoria e repressiva che non ha corrispettivi nella carriera di altri artisti italiani.

5. "Distruggere il Potere"

Ecco il senso dell'avverbio "ovviamente", usato da Pasolini per rafforzare una premessa che ritiene importante. È del tutto ovvio che PPP sia contro l'istituzione della polizia.

Ancora più ovvio il verso che segue: "Ma provate a prendervela con la magistratura, e vedrete!". Quella magistratura che tanto ha perseguitato, continua e continuerà a perseguitare Pasolini, anche dopo la morte.

È a partire da questa posizione che l'autore della poesia Il Pci ai giovani affida a un mucchio di "brutti versi" - definizione sua - una riflessione confusa, che deraglia subito e diventa uno sfogo, un'invettiva antiborghese. Come scriverà poco dopo: "Sono troppo traumatizzato dalla borghesia, e il mio odio verso di lei è ormai patologico".

Ma per quanto l'invettiva possa essere brutta sul piano formale e carente di focus nei contenuti, dopo averla letta tutta (tutta intera, non solo i 4-5 versi estrapolati e branditi come randelli da questo o quello scagnozzo) è difficile concludere che "Pasolini stava con la polizia".

Pasolini descrive i poliziotti che si sono scontrati con gli studenti a Valle Giulia come "umiliati dalla perdita della qualità di uomini / per quella di poliziotti". L'istituzione della polizia disumanizza. Per questo gli studenti - "quei mille o duemila giovani miei fratelli / che operano a Trento o a Torino, / a Pavia o a Pisa, / a Firenze e un po' anche a Roma" - sono comunque "dalla parte della ragione" e la polizia "dalla parte del torto". Se non si capisce questo, non si coglie l'intento paradossale di Pasolini. Il paradosso gli serve a precisare che la vera rivoluzione non la faranno mai gli studenti, perché sono figli di borghesi. Al massimo potranno fare una "guerra civile", in questo caso generazionale, in seno alla borghesia. La rivoluzione, dice Pasolini, possono farla solo gli operai, ai quali la grande stampa borghese non leccherà mai il culo, come invece - nell'iperbole pasoliniana - sta facendo con gli studenti. Sono gli operai il vero pericolo per il potere capitalistico, dunque saranno loro a subire la repressione poliziesca più pesante: "La polizia si limiterà a prendere un po' di botte dentro una fabbrica occupata?", si chiede retoricamente l'autore. Quindi, è proprio là che dovranno trovarsi gli studenti, se vogliono essere rivoluzionari: tra gli operai. "I Maestri si fanno occupando le Fabbriche / non le università". Ma soprattutto, gli studenti devono riprendere in mano "l'unico strumento davvero pericoloso / per combattere contro i [loro] padri: / ossia il comunismo". Pasolini li invita a impadronirsi del Pci, partito che ha "l'obiettivo teorico" di "distruggere il Potere" (quell'estinzione dello stato che Marx pone a obiettivo finale della lotta di classe e del socialismo) ma è finito in indegne mani, le mani di "signori in modesto doppiopetto", "borghesi coetanei dei vostri stupidi padri". Occupare le federazioni del Pci, dice Pasolini, aiuterebbe il partito a "distruggere, intanto, ciò che di borghese ha in sé".

Questa esortazione occupa tutta la seconda metà del testo, ma - guarda caso - non viene mai citata.

Lo so, ti gira la testa. Ti avevano detto che Il Pci ai giovani parlava bene della repressione poliziesca. Hai sentito versi di questa poesia citati da pubblici ministeri mentre chiedevano pene pesantissime per i No Tav. Li hai uditi dalle labbra di Belpietro. Li hai letti nei comunicati del Sap e del Coisp.

 

 
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