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Festival di Berlino 2018, Orso d’oro alla romena Adina Pintilie da corrieredellasera

Post n°14346 pubblicato il 12 Marzo 2018 da Ladridicinema
 

«Touch Me not» si aggiudica il riconoscimento più importante. Gran Premio della Giuria alla polacca Szumowska per «Mug». L’Italia torna a casa a mani vuote: nessun premio

La polacca Malgorzata Szumowska (argento) e la romena Adina Pintilie (oro)La polacca Malgorzata Szumowska (argento) e la romena Adina Pintilie (oro)
shadow

Delusione Italia ma soprattutto delusione Berlinale. Un’edizione altalenante, con più bassi che alti, si è conclusa con un verdetto francamente discutibile, che premia due volte — miglior esordio e miglior film in assoluto — l’opera confusa e presuntuosa di una regista romena, Adina Pintilie, che porta un cognome importante anche se non ha nessun legame con l’omonimo Lucien (uno dei più grandi registi romeni). Il suo film Touch Me Not vorrebbe essere una riflessione sulla difficoltà di liberare il corpo dalle ossessioni che impediscono alla sessualità e al desiderio di manifestarsi compiutamente e lo fa attraverso una serie di confessioni, alcune «vere» altre «recitate», in cui si fa coinvolgere anche la regista con l’immancabile sogno della madre castrante. Forse a colpire una giuria guidata dal tedesco Tom Tywkler è stata una spruzzata di scontata sperimentazione (con la regista che interloquisce direttamente con chi sta filmando), forse le scene fintamente liberatorie in cui si parla di sessualità non tradizionali o del diritto all’eros dei portatori di handicap, ma tutto suona finto e programmatico (e psicoanaliticamente scolastico) in un film sempre sul punto di trasgredire ma sempre incapace di farlo veramente.

Un verdetto discutibilissimo che non fa che peggiorare la situazione del direttore Dieter Kosslick, accusato apertamente di non proteggere il cinema nazionale. Forse per rispondere alle accuse aveva scelto un tedesco come presidente della giuria e selezionato quattro film di casa. Ma nessuno ha ricevuto alcun premio, nonostante almeno due — 3 giorni a Quiberon della regista Emily Aref, con la bravissima Marie Bäumer, e Nei corridoidell’esordiente Thomas Studer, con l’altrettanto bravo Franz Rogowski — avrebbero meritato di vincere. E così le sue manovre «diplomatiche» hanno finito per rivoltarglisi contro.

 

 

Decisamente più condivisibili gli altri premi. Il Gran Premio della Giuria, di fatto il secondo premio, è andato alla polacca Malgorzata Szumowska con il ritratto acido e graffiante dell’ipocrisia cattolica che domina nel suo Paese in Mug. L’Orso per l’innovazione Alfred Bauer e quello per la miglior attrice hanno premiato Las Herederas del paraguayano Marcelo Martinessi e la sua protagonista Ana Brun, quello per il miglior attore al francese Anthony Bajon per La prière di Cèdric Kahn, quello per la sceneggiatura i due messicani che hanno scritto Museo. E forse L’isola dei cani di Wes Anderson non è una delle riuscite migliori del regista americano ma il premio per la regia che ha ritirato al suo posto Bill Murray non è certo uno scandalo.

L’Italia, che aveva portato in concorsoFiglia mia di Laura Bispuri, è stata dimenticata dai riconoscimenti. Ma a colpire è stata soprattutto l’inconsistenza di molti titoli in concorso. Alla fine, sono state le donne a dare una mascheratura progressista a questa sessantottesima edizione, visto che si sono aggiudicate il primo e il secondo premio, a cui va aggiunto quello per il miglior contributo artistico alla russa Elena Okopnaya, scenografa e costumista di Dovlatov, ma è difficile da spiegare come siano stati dimenticati film decisamente buoni come i due tedeschi citati sopra o l’ottimo norvegese Utoya 22 July. Decisamente non è stato un buon anno per il direttore Kosslick.

 
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