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Messaggi di Agosto 2012

 

SaveCinecittà: La fabbrica dei sogni da globalproject.info

Post n°8458 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news

Due mesi di sciopero e presidio permanente dei lavoratori del cinema

21 / 8 / 2012
cinecittà_sordi

 

 "Con la cultura non si mangia..." dice Luigi Abete ed in perfetta coerenza vuole trasformare Cinecittà Studios, di cui è gestore, da "la fabbrica dei sogni" a una fabbrica di soldi. Al diavolo la storia del cinema... al diavolo i lavoratori!

Ma ha fatto male i conti, loro non ci stanno, entrano in sciopero ad oltranza e si organizzano in presidio permanente fuori degli studi di via Tuscolana: "Cinecittà è storia, Cinecittà non si tocca! e nemmeno i nostri posti di lavoro...  ".

Denunciano come, praticando prezzi esorbitanti per gli studios, portando quindi le produzioni a girare all'estero ciò che si potrebbe realizzare qui, Abete ha costruito passo passo la dismissione delle attività cinematografiche per giustificare la chiusura e la trasformazione dello storico sito nelle sue attività speculative.

C'è nel contempo qualcosa di assurdo e di scontato in questa storia. A Cinecittà (che è anche il mio quartiere, cresciuto all'ombra degli Studios) a chiunque lo racconti sgrana gli occhi; quasi ogni persona qui, adulta o anziana, ha lavorato nel cinema, anche come semplice comparsa, godendo delle briciole quando qui giravano tanti soldi e di cinema se ne faceva tanto e di qualità.  Sentire che un luogo simbolico di questa portata deve lasciare il posto all'ennesimo centro commerciale (c'è Cinecittà 2, altro centro commerciale che è a solo due passi...), ad un albergo a 5 stelle con tanto di centro benessere (ma...di chi?), e poi parcheggi e... la chicca!...il museo del cinema! Insomma... grande trasformazione! (leggi speculazione!)...cioè la solita storia!

Quella del museo mi ricorda dei Mapuche in Argentina , fiero popolo indigeno a cui Benetton (si, il nostro Benetton, quello dei colori uniti....) ha rubato le terre però in cambio ha promesso loro un museo. Ma i Mapuche invece hanno risposto ri-occupando le terre: "un museo è per i morti... noi siamo vivi, non vogliamo un museo, e ci riprendiamo le nostre terre"... e continuano a lottare.   

Anche a Cinecittà, a due mesi dall'inizio dello sciopero i lavoratori sono ancora lì, determinati a farsi sentire e vedere... rifiutandosi di sospendere sciopero e presidio anche nel mese di agosto, non fidandosi delle vaghe promesse di incontri e tavoli di trattativa solo ipotizzati per settembre.

Sono sul tetto e su un fazzoletto di prato accanto all'ingresso trasformato in un micro campeggio, dove puoi passere a tutte le ore e trovi sempre tante persone ben organizzate: una postazione internet sempre attiva, un banchetto dove raccolgono firme e contributi economici per sostenere i lavoratori, anche attraverso la vendita di magliette ed altri gadget autocostruiti all'interno del presidio (veri e propri ciak in legno, verniciati di nero e accuratamente disegnati con immagini del cinema e frasi di sostegno alla lotta).

Ci si autorganizza per mangiare (quasi tutte le sere le giovani cuciniere del centro sociale Spartaco portano cibo al presidio, offrendolo ai lavoratori e agli ospiti). si fanno molte assemblee e spesso la sera ci sono spettacoli, proiezione di film, musica e balli, portati dalle realtà culturali del territorio che solidarizzano.

Si passa il tempo, anche in questo torrido agosto, ed in quella dimensione di comunità allargata che si è creata, come può ben immaginare chi ha fatto esperienze simili, le persone crescono, cambiano, prendono coscienza del valore del fare comune, si rafforzano e pur nelle difficoltà oggettive che uno sciopero ad oltranza crea (nelle case non entra lo stipendio!) trovano nella dimensione della lotta una energia nuova e nuove capacità di leggere la realtà che ci circonda.

Sono vivi e preziosi perchè è anche con loro che può continuare a vivere la speranza di cambiare questo paese!
Agosto sta finendo e presto ne sentiremo ancora parlare... nonostante il silenzio dei media sono determinati a continuare... e a vincere. Sosteniamoli!


Se siete a Roma passate al presidio a portare solidarietà, tutte le sere sono anche all'Isola Tiberina, fino a che c'è la rassegna di cinema in programmazione.

Anche tanti artisti hanno portato solidarietà, uso per chiudere le parole dell'attore Pier Francesco Favino "...Cinecitta' e' un simbolo di cui andare fieri, fa parte della nostra storia. Chiudere Cinecitta' e' come cancellare la nostra memoria".

Ma Favino parla di cultura e "Con la cultura non si mangia" dice Abete... che poi in realtà non è per niente vero!

Miria Annini

A questo sito trovate tantissimo materiale www.savecinecitta.org , questo il gruppo Facebook Salviamo Cinecittà

questo il codice IBAN per aiutare i lavoratori a resistere nell'occupazione.

IBAN IT52P0558403207000000000800

Causale: Cinecittà Occupata

Destinatario: Carlo Pavone per Cinecittà Occupata

 
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Cinecittà. Ciak, si chiude da left.it

Post n°8457 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news

Da un mese presidiano i cancelli di Cinecittà, il tempio del cinema italiano. Fonici, falegnami, tecnici, scenografi sono in sciopero contro la trasformazione degli studios in un resort con parcheggi. Decisa da due big del capitalismo italiano: Abete e Della Valle

Sono il nuovo simbolo dei lavoratori in lotta nel nostro Paese. Le maestranze di Cinecittà, in sciopero permanente, da un mese occupano l’ingresso della storica struttura di via Tuscolana, periferia sud di Roma. Falegnami, elettricisti, impiegati, tecnici audio. Sono le mani che in questi decenni hanno “fatto” le pellicole che abbiamo ammirato comodamente seduti in un cinema o sul divano di casa. Che hanno accompagnato con professionalità e passione i tanti registi e attori passati da qui, in questi lunghi 75 anni. Protestano contro il nuovo piano industriale di Cinecittà Studios, la Spa presieduta dall’ex presidente di Confindustria, l’imprenditore capitolino Luigi Abete, che dal 1997 gestisce la Hollywood romana. Piano che, secondo i lavoratori, non lascia scanso a equivoci: «Vuole uccidere il cinema, attraverso la dimissione, svendita e cementificazione dello spazio», accusa Dario, uno degli occupanti. Da tempio del cinema a resort di lusso, con annesso parcheggio da 6mila posti auto. Inaugurata da Mussolini nel 1937, la “Fabbrica dei sogni” ha ospitato oltre 3mila film, di cui 90 candidati all’Oscar, portando a casa 47 statuette. I suoi studi sono stati attraversati da maestri come Federico Fellini, Luchino Visconti, Francis Ford Coppola. È arrivato l’ultimo ciak? I lavoratori non ci stanno e hanno deciso di opporsi in ogni modo, anche con proteste condite da effetti speciali: una nevicata estiva sul Colosseo, con fiocchi artificiali sparati da una macchina, una di quelle usate nei film. E il “funerale del cinema” celebrato pochi giorni fa, con tanto di predicatori in costume e lapide di cemento. I dipendenti di Cinecittà hanno saputo raccogliere molti consensi incassando il sostegno dei sindacati, dei partiti di centrosinistra e anche di una parte del Pdl. L’appello al Presidente Napolitano per “salvare Cinecittà” è stato firmato da registi come Ettore Scola, Ken Loach, Marco Bellocchio, Giuseppe Tornatore: «Cinecittà torni ad essere punto di riferimento del cinema mondiale e venga restituita a quel ruolo pubblico di volano per il rinnovamento e il rilancio del cinema italiano».

La holding

Da 14 anni a gestire la Fabbrica del cinema è Cinecittà Studios, una società a maggioranza privata. Il 20 per cento appartiene allo Stato, l’80 alla Italian entertainment group (Ieg). A controllare la holding – presieduta da Luigi Abete (presidente Bnl) – è l’imprenditore Diego Della Valle (maggior azionista con il 33 per cento), insieme al produttore Aurelio De Laurentiis (presidente del Napoli calcio) e la famiglia Haggiag. Un’antica conoscenza di Cinecittà: la ricca famiglia libica negli anni 50 e 60 diede vita, insieme ad Angelo Rizzoli, alla società di produzioni Dear film che finanziò capolavori come la La caduta degli dei di Luchino Visconti.
«Entri con il copione ed esci con la “pizza” da proiettare nelle sale», è lo slogan di Cinecittà. Perché il maggior vanto degli studios è sempre stato la sua forza lavoro, le mani degli operai che da generazioni si tramandano questo mestiere. Il nuovo piano industriale, invece, punta ad affittare il suolo a troupe e operatori esterni. Quando nel 1997 la vecchia società pubblica Cinecittà luce, proprietaria dei 400mila metri quadrati edificabili su cui sorgono i teatri di posa, concesse alla holding privata la gestione degli Studios, vi appose una mission chiara. Scritta nero su bianco: «Il sostegno della cinematografia italiana, con particolare attenzione ai giovani registi». Costruire un albergo, un parcheggio da 6mila posti auto e un resort rientra nella mission? Secondo Abete sì: «Il cinema italiano e la tv non ci consentono di sopravvivere. Dobbiamo guardare alle produzioni internazionali. Per farlo abbiamo bisogno di raggiungere l’eccellenza e offrire servizi di alto livello, come fanno tutti gli altri Studios del mondo», ha ribattuto il presidente di Bnl. I lavoratori, però, non ne sono convinti. Dal 4 luglio è partita la mobilitazione del “comitato di fabbrica”. «L’85% dei lavoratori sono in sciopero», spiega Roberto, fonico. Impossibile trovare in tutti gli studios un solo falegname, un elettricista, un tecnico audio. Solo una cinquantina di dipendenti su 220 continuano a timbrare ogni giorno il cartellino.

La dismissione

Tra gli imprenditori e i lavoratori del cinema ormai è guerra aperta. Li chiamano con soprannomi coloriti, come Della Valle detto “lo scarparo” per la sua azienda. Già nel 2009 la nuova dirigenza aveva intrapreso un cammino poco condiviso dai dipendenti: lo spacchettamento della Cinecittà studios spa. Cominciano a nascere società come la Cinecittà entertainment, Cinecittà village, Edilparco, Cinecittà digital factory, tutte con il marchio “Cinecittà”, tutte controllate dalla holding privata Ieg. I lavoratori vengono divisi tra le diverse imprese “controllate”. Ma il riordino aziendale di questi giorni non fa differenza. Per la capofila Cinecittà Studios sono previsti 8 licenziamenti, la cessione del ramo costruzioni con il trasferimento di oltre 50 unità e la sospensione di 44 lavoratori. Per Cinecittà digital factory saranno trasferiti 41 lavoratori del laboratorio di sviluppo e stampa e 47 del settore digital e audio. Agli scioperi l’azienda ha risposto  duramente: le buste paga del mese di luglio sono quasi azzerate dai 20 giorni di sciopero, conteggiati immediatamente e non il mese successivo, come accade in genere. Una mannaia pesante se si tiene conto che lo stipendio medio è di 1.200 euro. Non solo, oltre ai badge bloccati, da qualche giorno anche l’accesso ai servizi igienici non è più consentito “per ragioni di sicurezza”. Una guerra senza esclusione di colpi.

Il presidio

Una dozzina di tende da campeggio, un’area “ristoro” per i pasti e sui tavoli mucchi di materiale informativo, ma anche qualche mazzo di carte. Trascorrono così le giornate degli occupanti, soprattutto grazie all’aiuto concreto di «chi ci sostiene dal primo istante». Come i ragazzi dello Spartaco, un centro sociale romano, «che ogni giorno ci portano da mangiare, e partecipano al presidio», spiega Dario, che lavora al reparto post produzione da 28 anni. Da allora il lavoro è molto cambiato, grazie all’avvento del digitale: «All’inizio mi  occupavo di tagliare le pellicole da mandare in sala. Dall’86 al ’92 sono stato al reparto negativi, e il capo era mia madre che con me era durissima, dovevo sempre essere il migliore. Anche mio padre era operaio qui, a Cinecittà». Quello che Abete non ha tenuto in considerazione, secondo Dario, «è che per noi Cinecittà è più di un posto di lavoro. Molti si tramandano il mestiere di padre in figlio. C’è gente che sta qui anche da 3 generazioni. Non è solo cosa fai, ma dove: Cinecittà è nostra».
Pioggia, afa e difficoltà quotidiane non distraggono gli occupanti dalle ragioni della protesta. Come la questione dei mancati investimenti sul personale. «In questi anni, mai neppure un corso di aggiornamento», prosegue Dario. I film ancora oggi si registrano su pellicola e poi si traspongono in digitale. «Ma sappiamo bene che quanto prima si riuscirà a ottenere lo stesso livello qualitativo anche col digitale. E noi non siamo pronti».
Non solo: gli ultimi bilanci di Cinecittà Studios sono in caduta libera. Il valore della produzione che nel 2008 era di 40 milioni di euro l’anno, nel 2009 è sceso del 40 per cento». Come mai? «I nostri prezzi sono talmente alti che su 160 produzioni italiane dell’ultimo anno, solo 5 o 6 sono state girate negli studi di via Tuscolana. Manca una strategia. E non ci si venga a dire che non c’è lavoro, con questi prezzi i clienti li cacciamo noi».

L’abbandono

Eppure le conoscenze per competere nel mercato delle produzioni ci sono tutte. «Gli operai che lavorano qui preferisco chiamarli artisti», racconta Manuela, impiegata degli Studios da 27 anni. «Dovresti vedere le scenografie che sono capaci di montare. Questi imprenditori illuminati hanno deciso di mandarli a fare l’edilizia. Il settore scenografia sarà spostato sulla via Pontina, fuori Roma, per realizzare outlet e parchi a tema. Questo vuol dire perdere per sempre le conoscenze artigianali costruite in quasi ottant’anni di esperienza».
Intanto gli studios vanno a pezzi. Lo scorso giugno i lavoratori della troupe della fiction Rai Modugno – diretta da Riccardo Milani che vede protagonisti Beppe Fiorello e Kasia Smutniak – sono finiti al pronto soccorso. Tutti con forme di eruzioni cutanee: «Siamo costretti a lavorare in un luogo sporco in stato di abbandono, tutto il teatro è completamente ricoperto di guano di piccione». Per non parlare dello storico Teatro 5, il regno di Federico Fellini, il più grande d’Europa con i suoi 3.200 metri quadrati. Poche settimane fa è andato a fuoco per cause ancora da accertare. «Nel nuovo piano industriale è prevista la costruzione di un altro teatro di posa», continua con tono amaro Manuela. «Ma che bisogno c’è di costruirne uno nuovo se ne abbiamo 22? Si pensi piuttosto a non abbandonarli». Per i più anziani tra i dipendenti di Cinecittà si tratta di un film già visto, negli anni 80. Allora si decise di vendere una parte del terreno accanto allo stabilimento, dove è nato Cinecittà2, il primo centro commerciale della Capitale, inaugurato nell’86. «Anche allora si gridò alla crisi per motivare la vendita. Con questa gestione finiremo per diventare un affittacamere. Perderemo la nostra identità», conclude Manuela.

Il sapere

Roberto dall’88 è un tecnico del missaggio audio: miscela le registrazioni del fonico di presa diretta integrandole con eventuali doppiaggi e suoni aggiunti. Diplomato all’istituto Rossellini di Roma, entra subito a Cinecittà con un contratto biennale di formazione. Dopo 15 anni di gavetta, al fianco del maestro Angelo Raguseo (premiato nel 2008 a Cannes per Il divo), oggi è uno dei due fonici di mixage del reparto audio. «Per me era un sogno, il massimo che potessi desiderare. Lavorare qui e fare ciò per cui avevo studiato. Ma era un’altra epoca. Oggi non ho nessuno accanto a me da formare, a cui tramandare il mestiere, il mio sapere», afferma Roberto. «La sola idea che tutto questo possa finire mi fa stare male, non posso credere di dover uscire dal corpo di Cinecittà, che è la mia vita. E mi fa rabbia l’arroganza di questi imprenditori, che pretendono di insegnarci quello che noi abbiamo imparato in 30 anni di mestiere».

 
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Museo di Scienze ostaggio di Cinecittà “Non può riaprire” da la stampa.it

Post n°8456 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 

Così il naturalista Giorgio Celli, prematuramente scomparso, concepiva il progetto: un viaggio virtuale con Darwin alla scoperta delle biodiversità che arricchiscono il nostro pianeta

Lo sciopero di Roma blocca i nuovi allestimenti
ALESSANDRO MONDO

Cause di forza maggiore». Quanto basta per rinviare a data da destinarsi l’apertura al pubblico del nuovo allestimento del Museo regionale di Scienze Naturali, previsto a settembre: un viaggio virtuale in compagnia di Darwin nelle meraviglie del pianeta Terra, la traduzione pratica dell’ideazione pensata dal naturalista Giorgio Celli prima della sua scomparsa. 

 

A fare la differenza, in negativo, è lo sciopero che da quasi due mesi paralizza gli studios di Cinecittà a Roma, dove vengono prodotti gli allestimenti del Museo subalpino: nel mirino dei lavoratori, i progetti che vorrebbero smantellare quella che un tempo fu la Hollywood sul Tevere. Le conseguenze si fanno sentire anche a Torino - spiega Ermanno Debiaggi, direttore del Museo di Scienze - , preoccupato dal rallentamento della tabella di marcia: «Purtroppo siamo vincolati a un’agitazione che dura da tempo, e pare senza sbocchi. Di fatto io e i miei collaboratori abbiamo le mani completamente legate». 

 

Parte degli allestimenti, infatti, si trova negli studi di Cinecittà: da dove, ca va sans dire, in questo periodo non esce nemmeno uno spillo. Altri hanno già raggiunto il Museo torinese e lì giacciono, smontati, in attesa di lumi sul futuro prossimo. Di portarsi avanti con il lavoro, facendoli montare da altri operatori, manco a parlarne: il rischio è di violare lo Statuto dei lavoratori (articolo 28), che vieta di affidare a un soggetto terzo un’operazione che spetta al personale di Cinecittà. Per di più a fronte di uno sciopero in corso. 

 

Di fatto, si tratta di un rebus praticamente irrisolvibile che crea malumori anche in Regione. «Ho molto rispetto per chi lavora e per le forme legittime di protesta di quanti sono preoccupati per il loro futuro - commenta Michele Coppola, assessore regionale alla Cultura -. Il mio rammarico è per il tempo perso. Il Museo è sempre di piú un luogo di cultura riconosciuto e apprezzato a Torino e in Piemonte: i numeri del 2012 con i suoi 80 mila visitatori, 1.500 solo a Ferragosto, lo confermano. Un luogo capace di aprirsi anche ad altri approfondimenti tematici: dal tributo a Steve Jobs, alle foto di National Geographic, all’arte contemporanea curata da Luca Beatrice fino alle serate Mtv». 

 

Da qui l’auspicio che a settembre la situazione si sblocchi: «Abbiamo condiviso e presentato insieme il cronoprogramma dei lavori, l’apertura a settembre era anche un riconoscimento per il Museo, per chi vi lavora e per il lavoro che abbiamo svolto in questi ultimi due anni». 

Per la cronaca, le opere sono costate 5,4 milioni: 4,1 attinti da fondi europei, mentre la quota restante è finanziata dalla Regione. Il tutto a fronte di una struttura in buona salute: qualche mese fa, a marzo, lo stesso Coppola si complimentò con Debiaggi per essere riuscito a portare i visitatori dai 70 mila del 2006 a oltre 185 mila l’anno. 

Insomma: ci sarebbero tutte le condizioni, risorse comprese, per un’altra accelerata. Obiettivo dei nuovi allestimenti: raccontare la magnificenza e la varietà dei milioni di specie che animano il pianeta e spiegare come interagiscono con l’uomo, l’ospite più intraprendente. E invadente. La progettazione è curata dal gruppo “A.t.i. Euphon Communication spa”: realizza le idee di Celli con un intervento museografico di Carla Giusti, affiancata da Lorenza Mergora. Il “Tempio della Terra”, così Celli concepiva un progetto senza eguali, tende solo di aprire i battenti. 

 
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Cecchi Gori vuole il 'Silenzio' di Scorsese da movieplayer.it

Post n°8455 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 

notizia a cura di scritta il 23 agosto 2012
Il produttore ha intentato una causa legale contro il regista perchè sostiene che questi non ha rispettato gli obblighi contrattuali relativi al film 'Silence' che Scorsese non si decide a dirigere, preferendo occuparsi di altri progetti.
Cecchi Gori vuole il 'Silenzio' di ScorseseAlla fine del 2011 Martin Scorsese aveva confermato che il suo prossimo progetto sarebbe stato Silence, adattamento di un romanzo di Shusaku Endo incentrato sulla storia di due padri gesuiti che, nel XVII° secolo, affrontano violenze e persecuzioni mentre si recano in Giappone per raggiungere un loro fratello e diffondere la parola di Dio. In questi giorni, diversi mesi dopo quell'annuncio, arriva la notizia che Scorsese è stato citato in tribunale da Vittorio Cecchi Gori, proprio in merito ai finanziamenti sul film in questione.

Nello specifico, la Cecchi Gori Pictures ha intentato una causa legale contro Scorsese e la sua Sikelia Productions, perchè a suo dire nel 1990 aveva accettato di investire 750mila dollari a patto che Scorsese accettasse di dirigere Silence subito dopo Kundun (1997), cosa che poi non è mai avvenuta. Nel 2004 e più avanti, nel 2011, Scorsese e la sua compagnia - secondo le accuse mosse da Cecchi Gori - hanno firmato ulteriori accordi per posticipare la messa in produzione diSilence, in modo da permettere al regista di occuparsi della regia di The Departed - Il bene e il maleShutter Island e Hugo Cabret. Scorsese afferma di aver pagato delle "penali" - una per ogni film - per darsi la possibilità di dirigere i tre film citati, ma Cecchi Gori afferma invece che il regista non ha mai pagato la penale prevista per Hugo, e come se non bastasse, adesso ha deciso di dirigere The Wolf of Wall Street invece di Silence, come avrebbe dovuto fare.

Adesso si dovrà vedere se Scorsese accetterà di pagare le penali previste sia per Hugo che per il suo nuovo film, e se accetterà di dirigere Silence o se invece rinuncerà definitivamente al progetto. L'unica cosa certa al momento è che Scorsese è impegnato sul set del film conLeonardo DiCaprio e Jonah Hill la cui release americana è prevista per il prossimo anno.

 
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Falling Skies - Finale stagione 2

Post n°8454 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news, tv

Recensione Falling Skies (2011) - episodi 2x09 e 2x10

a cura di pubblicato il 23 agosto 2012
La serie creata da Robert Rodat e prodotta da Steven Spielberg arriva a un finale di stagione che lascia, prevedibilmente, aperti i giochi per il suo prosieguo, con un doppio cliffhanger gravido di interrogativi.
Falling Skies - Finale stagione 2Così, anche questa seconda stagione di Falling Skies è arrivata alla sua conclusione. Una seconda stagione che, complessivamente, ha fatto registrare ascolti non paragonabili a quelli della precedente (escludendo i due episodi d'apertura, il numero di spettatori che hanno seguito la serie oltreoceano, giornalmente, si è aggirato intorno ai tre milioni e mezzo) ma comunque giudicati sufficienti dai responsabili della TNT a rinnovare la serie per altri 10 episodi, che vedremo ovviamente tra un anno. Sulla qualità complessiva del serial creato da Robert Rodat e prodotto da Steven Spielberg ci siamo espressi più volte, nel corso di queste prime due stagioni, e ci sembra inutile a questo punto starci a ripetere. Al lettore basterà sapere che in questi Il prezzo della grandezza e Un'unione sempre più perfetta, puntate che salutano definitivamente questa seconda tranche di episodi, vengono sostanzialmente confermati pregi e difetti di concept e struttura narrativa della serie, ma anche le peculiarità che hanno distinto questa seconda stagione, prima tra tutte un'impostazione più esplicita e una maggiore insistenza sul mostrare l'aspetto fisico degli alieni (parallelamente all'approfondimento delle loro motivazioni). Lo stesso cliffhanger dell'ultimo episodio è da leggere strettamente in questa chiave: quell'alieno finale, dalla fisionomia del tutto nuova per la serie, apre vari scenari possibili, ma soprattutto ci ricorda di essere arrivati davvero al finale di stagione, in un episodio che appare al contrario un po' troppo frettoloso e privo dell'epica necessaria. Ma andiamo con ordine.

Falling Skies: Terry O'Quinn è Arthur Manchester nell'episodio Il prezzo della grandezzaIl prezzo della grandezza si apre con l'arrivo della Seconda Mass a Charleston, luogo che è stato una vera e propria terra promessa per i protagonisti per buona parte della stagione, e che ora si rivela una base sotterranea nascosta e organizzatissima, dalla quale un cospicuo numero di americani sta ricostruendo un embrione di nuova società. Weaver, Tom e compagni, preceduti dalla loro fama, vengono accolti come eroi dagli abitanti della città sotterranea, e loro stessi stentano a credere di poter finalmente tornare a vivere in una parvenza di normalità; ma l'idillio, come era facile intuire, dura ben poco. Nei sotterranei di Charleston, infatti, l'apparente concordia nasconde una tensione politica, pronta ad esplodere da un momento all'altro, tra il governo civile e l'autorità militare: il primo rappresentato dal professor Arthur Manchester (che ha il volto di Terry O'Quinn, che molti ricorderanno come il John Locke di Lost), figura carismatica e vecchio maestro di Tom, che ha assunto un ruolo assimilabile a quello del nuovo presidente degli Stati Uniti; la seconda, incarnata dal generale Bressler (uno statuario Matt Frewer), insofferente all'immobilismo di Manchester, che sembra deciso a rinviare a tempo indeterminato lo scontro con gli invasori, contando sulla relativa sicurezza offerta dal rifugio. Dopo i convenevoli iniziali, l'arrivo della Seconda Mass non potrà che portare scompiglio in questo fragile equilibrio, con Tom e compagni visti come una minaccia soprattutto dalla fazione di Manchester, che avversa naturalmente la presenza dei militari e la loro naturale propensione all'azione. In più, nel rifugio sotterraneo vediamo Weaver ricongiungersi, per la seconda volta, con sua figlia Jeanne, scampata ad un agguato alieno e costretta ad abbandonare il suo gruppo e il suo compagno: il discorso in cui la ragazza critica Manchester per il suo immobilismo nei confronti delle persone rimaste fuori dal rifugio non farà che creare ulteriori malumori e tensione.

Falling Skies: Sarah Carter e Drew Roy in una scena dell'episodio Un'unione sempre più perfettaSarà, tuttavia, nel momento in cui gli skitter ribelli si rimetteranno in contatto con la Seconda Mass, attraverso un ragazzo impiantato che ha avuto l'ubicazione della città da Ben, che la situazione precipiterà definitivamente; Tom e Weaver, ormai persuasi della necessità di allearsi con le creature ribelli, non riusciranno a convincere Manchester a conceder loro di andare a trattare con il capo degli skitter, che sembra avere informazioni fondamentali per sferrare un'offensiva mortale contro gli invasori. L'intera Seconda Mass sarà così accusata di tradimento e imprigionata, preceduta dai membri del gruppo di Pope, già dimostratisi insofferenti al nuovo (e fragile) ordine instaurato nella base da Manchester. Le disposizioni dell'ex professore, tuttavia, non faranno in tempo a realizzarsi, poiché i militari hanno nel frattempo preso in mano la situazione: nella conclusione dell'episodio, vediamo infatti Bressler fare irruzione nel carcere e imprigionare Manchester, dichiarando la legge marziale e concedendo a Tom e Weaver di incontrare gli skitter. 
Skitter che tuttavia (evidentemente impazienti) anticipano da par loro l'incontro facendo irruzione nella struttura all'inizio di Un'unione sempre più perfetta; evitando così a Tom e compagni di finire comunque imprigionati, dopo il rifiuto del protagonista a sottomettersi alla legge marziale e la sua richiesta di liberare il vecchio maestro. La fragilissima alleanza della Seconda Mass coi militari è così definitivamente rotta, mentre Tom, Weaver e gli altri si rendono conto in modo sempre più chiaro della necessità di lasciare Charleston per continuare a lottare per loro conto; ciò, malgrado il fatto che Tom non sia ancora venuto a conoscenza di un'informazione (che scopriamo in un momento di pausa) che si preannuncia ricca di implicazioni per la prosecuzione della storia, ovvero che Anne è incinta di suo figlio. Ma intanto, le creature ribelli sono entrate nella base provocando un momento di concitata confusione, e tra le loro file c'è Ben. Dopo un momento di tensione, il colloquio con il leader degli skitter ribelli viene infine concesso dal generale Bressler; la creatura, parlando attraverso Ben, rivela agli uomini di una base poco distante, di una potente arma che il comando alieno sta costruendo, ma soprattutto della possibilità di colpire il leader delle creature, quello che il gruppo aveva tenuto prigioniero giorni prima, nel momento in cui sarà più vulnerabile. Uccidendo quel "padrone", rivela il capo ribelle, custode dei piani di invasione di tutta un'area del globo terrestre, si infliggerebbe un colpo mortale alle operazioni degli invasori, che resterebbero così disorganizzati e facilmente annientabili.

Falling Skies: Noah Wyle, Will Patton e Drew Roy in una scena dell'episodio Il prezzo della grandezzaPur nella diffidenza reciproca, Tom riesce a convincere il militare a liberare l'intera Seconda Mass per permetterle di condurre, in totale autonomia, l'azione contro l'alieno; Bressler, tuttavia, non dà in realtà nessun credito alla ribellione degli skitter, e ordina segretamente di eliminarne l'intera colonna appostata fuori dalla base. La strage che ne segue, lasciata fuori campo dall'episodio, e da cui Ben riesce miracolosamente a sfuggire, sembra vanificare i piani di Tom e Weaver; ma i due sono ormai decisi a compiere l'azione. Nonostante l'opposizione di Bressler, la compagnia partirà comunque, pur senza il sostegno degli skitter, con l'obiettivo di eliminare il "padrone" di cui parlava il leader dei ribelli. L'episodio ci mostra tutti questi eventi in modo concitato, probabilmente fin troppo, inanellandoli in una successione talmente rapida che la tensione narrativa finisce inevitabilmente per risentirne; pochi minuti dopo la partenza del gruppo, siamo già nella grotta sotterranea dove squadre di skitter stanno costruendo la nuova, misteriosa arma, guardati a vista dal bersaglio principale della spedizione. La situazione, prevedibilmente, non si svilupperà come gli uomini speravano, e il gruppo sarà fatto prigioniero dalle creature, tra le cui file ritroviamo Karen. La malvagia ragazza/alieno inizia così a torturare Tom e gli altri, con lo scopo di carpir loro il modo in cui sono arrivati a conoscere l'ubicazione della base; sadicamente, Karen arriva anche a rivelare a Tom del bambino atteso da Anne, minacciando la vita di entrambi. Solo il provvidenziale intervento degli skitter ribelli riuscirà a scongiurare il peggio, lasciando comunque sul campo due vittime: da una parte Dai, colpito a morte da una creatura, e dall'altra lo stesso leader della ribellione. Il "padrone", comunque, è stato ucciso, e l'arma distrutta; Tom e compagni possono fare ritorno a Charleston, accolti per la seconda volta come eroi.

Falling Skies: Drew Roy in un'immagine dell'episodio Un'unione sempre più perfettaA questo punto, pare che agli sceneggiatori torni improvvisamente in mente di star scrivendo un episodio finale: dopo il ritorno del gruppo alla base, infatti, il finale di stagione offre allo spettatore un cliffhanger che è in realtà doppio: da una parte scopriamo che Hal, dopo il provocatorio "bacio" ricevuto da Karen mentre era prigioniero, è stato contaminato da un parassita simile a quello che già aveva invaso il corpo di Tom, e che ne è rimasto evidentemente plagiato; il ghigno del ragazzo allo specchio, nell'ultima inquadratura a lui dedicata, lascia ben pochi dubbi a riguardo. Dall'altra troviamo la già anticipata sorpresa finale, con l'atterraggio, fuori dalla base, di una colonna di astronavi, e l'incontro degli uomini con un misterioso alieno dall'aspetto umanoide, diverso da tutti quelli che abbiamo visto finora. Ovviamente, qualsiasi indicazione su scopi e natura di questi nuovi visitatori è rimandata alla prossima stagione, e le illazioni, nei nove mesi che ci separano dal suo inizio, non mancheranno.
Da parte nostra, possiamo soggiungere che, complessivamente, questi secondi 10 episodi si sono mostrati qualitativamente in linea con i primi, con buoni picchi di intensità (la settima puntata è in questo senso la migliore) e cadute di tono abbastanza evidenti. Più in generale, è la costruzione narrativa che si è confermata incerta, con passaggi incomprensibilmente affrettati (la morte del giovane Rick, di cui nessuno è sembrato curarsi) e troppi motivi introdotti nella trama e poi lasciati cadere: tra questi ultimi, il punto cruciale dell'impianto di Ben, che pareva aver innescato una progressiva mutazione fisica nel ragazzo, e che in seguito è sembrato invece un semplice strumento col quale il leader ribelle si metteva in contatto con lui. Comunque, è ormai chiaro che Falling Skies è questo, e che pregi e difetti vanno presi dallo spettatore "in blocco". L'auspicio è che il buon livello di tensione complessiva che, pur nei suoi zoppicamenti, la serie ha finora mantenuto, venga confermato nel suo prosieguo: perché in fondo alle avventure di Tom, Weaver, Hal e di tutta la Seconda Mass ci siamo inevitabilmente (un po') affezionati.

 
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Il trono di spade, anticipazioni su trama e location della terza stagione da bestmovie.it

Post n°8453 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news, tv

Tutte le trame dei Lannister per riprendere il controllo dei sette regni

 - 25/06/2012
Il trono di spade, anticipazioni su trama e location della terza stagione

Non c’è bisogno di dirlo, ma la terza stagione di Game of Thrones riprenderà esattamente lì dove è finita la seconda stagione (ATTENZIONE SPOILER, non proseguite la lettura se non avete visto la seconda stagione e non avete letto il terzo romanzo della serie). Jon Snow (Kit Harrington) è ancora oltre la Grande Barriera dove sta per incontrare il re dei Bruti Mance Rayder, mentre i suoi compagni devono affrontare una micidiale orda di non morti. Tyrion Lannister (Peter Dinklage), con in faccia i segni della battaglia, è pronto ad affrontare una nuova guerra, quella contro sua sorella che ha cercato di ucciderlo, anche se questo vuol dire mettere in pericolo la sua bella Shae (Sibel Kekilli). Robb Stark(Richard Madden) deve adesso affrontare la decisione di aver sposato di nascosto Talisa Maegyr (Oona Chaplin), la ragazza di cui è innamorato, invece di rispettare il patto matrimoniale con Frey, al quale aveva promesso di portare all’altare una delle sue figlie. Sansa Stark (Sophie Turner), per cercare di fuggire al gioco dei Lannister, accetta di sposare Willas Tyrell, erede di Alto Giardino, ma Petyr “Ditocorto” Baelish(Aidan Gillen), nuovo lord di Harrenhal, ha in mente altri piani. Innanzitutto si offre di sposare Lysa Arryn(Kate Dickie), regina a Nido dell’Aquila, poi suggerisce a Cersei (Lena Headey) di sposare lei Willas e far sposare Sansa a Tyron, così da assicurare ai Lannister il controllo di tutti buona parte dei regni. Oltre il Mare Stretto nel frattempo Daenerys Targaryen (Emilia Clarke) si è ripresa i suoi draghi e salpa verso Occidente.

Le location del terzo episodio verrano girate tra Croazia, Islanda e Irlanda come la seconda, ma alcune scene verranno girate anche in Marocco, come anticipato dal direttore della fotografia Robert McLachlan.

Scopri qui quali saranno i nuovi personaggi della terza stagione

Per vedere la terza stagione de Il trono di spade bisognerà attendere fino alla primavera del 2013.

 
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Autunno caldo per le serie tv da La repubblica

Post n°8452 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news, tv

Capolavori in serie 
l'autunno caldo della tvFra debutti e attesi ritorni, tutte le serie televisive che vedremo nella prossima stagione. Da "The Walking Dead" a "Game of Thrones", da "Homeland" a "American Horror Story" gli appuntamenti che gli appassionati non possono perdere. Con un unico cruccio: che ne sarà di "Mad Men"?di ANNA LUPINIL'ESTATE non si addice alla tv. Una tradizione da anni, ormai, proporre palinsesti esangui e repliche su repliche delle serie già andate in onda nella stagione che si è appena conclusa o addirittura nelle precedenti. In attesa che si riequilibrino i parametri della normalità, fra clima e programmazione televisiva, si può dare un'occhiata alla stagione che verrà, ricca di appuntamenti in particolare per gli appassionati di serie tv. Fra debutti e ritorni.

VIDEO Homeland, nella mente di Carrie 

La prima serie a rompere il digiuno sarà, a settembre,Glee, che torna con la quarta stagione. Ormai prodotto cult, non fosse altro che per il numero e il livello delle guest appeareance. La serie musicale, come sempre, sarà trasmessa a poche ore dalla messa in onda negli Usa. I giovani talenti della McKinley High affronteranno il loro futuro, soprattutto quelli come Rachel (Lea Michele) che, freschi di diploma, sono pronti a lanciarsi in nuove sfide. Poco si sa della nuova trama, salvo il fatto che Rachel studierà a Broadway e che Sarah Jessica Parker, icona di Sex and The City, sarà la protagonista dell'ennesimo, blasonatissimo, cameo.

Si piazzano secondi nella gara dei ritorni - a dispetto dell'andatura traballante - gli zombie di The Walking Dead. I sedici episodi della terza stagione andranno in anda sulla Amc - negli Usa - dal 14 ottobre prossimo ed in contemporanea in molti Paesi, compresa l'Italia. "Combatti i morti, temi chi vive" è il poco allegro monito che conclude il trailer presentato in anteprima al Comic-Con di San Diego, lo scorso luglio. La terza stagione avrà una nuova ambientazione e vedrà l'ingresso di un nuovo personaggio chiave (interpretato da David Morrissey), il Governatore. Nel video - soddisfazione per quanti non vedono l'ora di tornare a godere di qualche ora di sano splatter casalingo - si vede l'arrivo del gruppo guidato da Rick (Andrew Lincoln) nella prigione abbandonata di Woodbury. Un rifugio sicuro dagli zombie o un posto denso di insidie? 

VIDEO The Walking Dead 3 

Sempre a ottobre torna su FOX un'altra serie fantasy molto amata: True Blood. Creata dal premio Oscar Alan Ball, nella sua quinta stagione vede l’ingresso nel cast dell'italiana Valentina Cervi che affianca i protagonisti Anna Paquin e Stephen Moyer (i due, nella vita reale, aspettano due gemelli proprio in autunno). Nuovi vampiri entrano in ballo: oltre a Salome, figlia di Re Erode, interpretata dalla Cervi, c'è Nora, generata da Godric; Kibwe, membro del Concilio dell’Autorità, Alexander trasformato in un infante-vampiro all’età di nove anni e Christopher Meloni, nel ruolo dell’Autorità dei vampiri.

Bisognerà invece aspettare novembre, sempre in contemporanea con gli Stati Uniti, per rivedere in azione uno degli attori più amati, Kiefer Sutherland (Jack Bauer in 24). Alla fine della prima stagione della serieTouch lo abbiamo visto emozionarsi per il primo contatto fisico con il figlio autistico. Un'emozione per il pubblico che tenta inutilmente di decifrare quel che si cela dietro le lunghe liste di numeri che il veggente ragazzino scrive e interpreta.

Il mese di dicembre si tinge di rosso sangue grazie al ritorno, per il settimo anno consecutivo, di Dexter, il perito ematologo della Scientifica di Miami che però, impeccabile professionista di giorno, è un implacabile serial killer di notte, interpretato da Michael C. Hall. Il trailer della serie presentato in anteprima nelle scorse settimane ha già donato brividi ai numerosi fan: si vede infatti Debra, sorella di Dexter nel film (e nella realtà ex moglie del protagonista Michael C. Hall) sorprendere il serial killer nel corso di uno dei suoi sacrifici umani.

VIDEO Dexter preview 

Siamo al 2013. I Maya farebbero bene a rinunciare alle loro previsioni. Il nuovo anno vede infatti il ritorno di alcune delle serie più attese, e per almeno un paio di queste non si sbaglia se si usa il termine cult. Un gigantesco mix delle fiabe di tutti i tempi rilette in chiave moderna: questo in sintesi il senso di C'era una volta, serie che torna con la sua seconda stagione in prima visione a gennaio 2013. Capitan Uncino (Colin O'Donoghue) è uno dei nuovi personaggi della stagione, insieme a Mulan e alla Bella Addormentata. 

VIDEO C'era una volta: un nuovo nemico 
Sempre a gennaio ritroveremo anche la serie che quest’anno si è guadagnata i più prestigiosi riconoscimenti, oltre che la fiducia di molti telespettatori nel mondo: Homeland. Vincitrice del Golden Globe come miglior serie drammatica e come migliore interpretazione femminile, con Claire Danes, l'attrice che ha vinto anche il premio della critica televisiva americana. La storia riprende dopo sei mesi dai fatti raccontati nella prima stagione. Carrie, l'agente della CIA - affetta da sindrome bipolare - che sospetta che il reduce dall'Afghanistan Brody sia in realtà un terrorista, è al termine della sua riabilitazione;  ma dopo che la patologia mentale si è rivelata sarà costretta a lavorare ai margini dell’intelligence della CIA. Riuscirà a provare la fondatezza dei suoi sospetti?

Il 2013 porterà anche la nuova stagione di American Horror Story (in onda in autunno negli Usa). E' il ritorno più curioso e intrigante. Come sapranno quelli che hanno perso il sonno dietro alla famiglia Darmon, le vicende che la riguardavano si sono "concluse", per così dire. La novità che riguarda la seconda stagione è la trasformazione totale dell'ambientazione, dell'epoca e della storia, ma mantenendo gli stessi interpreti nei panni di nuovi personaggi. A cominciare dalla straordinaria Jessica Lange (Golden Globe come miglior attrice non protagonista), che diventa la suora direttrice di un istituto per malattie mentali. Il titolo della seconda stagione è infatti Asylum. Tra i nuovi interpreti, il cantante Adam Levine nei panni di uno sposo in viaggio di nozze, l'atrice francese Lizzie Brocheré nei panni di una femme fatale di nome Gia, personaggio ispirato a quello per il quale Angelina Jolie vinse l'oscar con Ragazze interrotte

VIDEO American Horror Story, la femme fatale 

Ultima, ma sicuramente prima nel gradimento dei telespettatori, la terza stagione di Game Of Thrones, che tornerà in onda il 31 marzo 2013 negli Stati Uniti. Molti nuovi personaggi arriveranno nelle terre di Westeros, dodici di loro sono stati ufficialmente presentati con un video. Ma l'attenzione, come al solito, è per quello che inizialmente non appariva. Si tratta di Iwan Rheon, il Simon di Misfits. La HBO ha confermato la sua partecipazione alla terza stagione nei panni di Ramsay Snow, figlio "bastardo" di Roose Bolton. Personaggio già citato, assicurano gli esperti della serie, molte volte nel corso della precedente stagione, ma mai mostrato. 

VIDEO Game of Thrones, i nuovi volti 

Insomma, un bel programma aspetta gli appassionati. Con, però, un grande assente: Mad Men. La serie, ormai alla quinta stagione negli Usa, osannata da critica e pubblico, in Italia è un'occasione persa. Le vicende dei pubblicitari di Madison Avenue, inizialmente trasmesse su Cult, sono poi passate su Fx e approdate in chiaro su Rai4. In collocazioni sempre difficili e imprecise. Senza crederci troppo. I cultori confidano in una soluzione con la quinta stagione, in onda su Fox.

(09 agosto 2012)

 
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Jovanotti: "Vado un anno in America per rappare in italiano tra i rapper veri"

Post n°8451 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news

Il cantante passerà l'inverno negli Usa: un tour, un disco e molta voglia di scoprire. "I Nirvana, Dylan ecc... la storia della musica non l'hanno fatta negli stadi ma nei club come il mitico Fillmore". Ma assicura: nessun addio all'Italiadi GINO CASTALDO
Jovanotti: "Vado un anno in America per rappare in italiano tra i rapper veri"
ROMA - Jovanotti se ne va in America, anzi ci torna, ma questa volta per più tempo, un intero inverno. Ma cosa c'è di così allettante ad aspettarlo dall'altra parte dell'oceano? "Di sicuro non la conquista dell'America, come ha scritto qualcuno - racconta con molta voglia di puntualizzare - anzi, l'idea mi imbarazza, non vado a prendere l'Oscar o le copertine dei giornali. È una cosa piccola che abbiamo costruito negli anni, suonando nei club, dove all'inizio venivano solo italiani e poi piano piano la percentuale degli americani è cominciata a salire, poi ci sono stati i festival, lì il confronto è diretto e spietato perché il pubblico non è lì per te, compra i biglietti mesi prima, a prescindere, e devo conquistarmi l'attenzione con le mie sole forze. Ma è quello che cerco. È stimolante e divertente".

Com'è iniziata questa storia tutta americana?
"Cinque anni fa mi dissero: andiamo a fare un concerto a New York. A me suonava male, perché lo so come succede in questi casi, è il contentino di fine tour, tanto per fare un bel comunicato d'effetto. Insomma, più una vacanza premio che altro. Però mi dissi, vabbè facciamolo lo stesso, andiamo a vedere. Mi resi conto che era proprio quello, una vacanza premio, e allora dissi all'agente americano: guarda, va bene, ci siamo divertiti, ma perché non facciamo una cosa diversa? Io in fondo nasco proprio qui, perché vengo dal rap. Meglio, diciamo che se a un certo punto della vita non avessi ascoltato i Beastie Boys, molto probabilmente avrei fatto tutt'altro. Quindi, se decidessi di prendermi un appartamentino qui, per qualche mese, mi fai suonare nei club?"

I Beastie boys, dice. Ma prima ancora, presupponendo che ognuno di noi a un certo punto della vita ha compiuto la "sua" scoperta dell'America, qual è stata per Jovanotti?
"Ma... direi Happy days, ricordo quei giubbotti, quelle famiglie, insomma la televisione che veniva da lì. Ma ho un ricordo ancora più preciso. Avevo 8 anni e mio padre, che lavorava in Vaticano, andò un mese a New York. A parte il fatto che fu la prima volta che ho percepito l'assenza del genitore, però era anche una favola immaginarlo a New York. Lui tornò con una scatola piena di filmini Super8 e a vederli mi emozionai tantissimo. Li ho ancora, ovviamente li ho fatti riversare in digitale... . E poi l'Altra domenica di Arbore, con quei servizi strampalati".

Ma torniamo all'America di oggi. Cosa rispose l'agente?
"Disse ok, proviamo. E così presi la famiglia, e poi Saturnino e Riccardo Onori che sono la mia famiglia musicale, ci siamo fatti un periodo in America, e abbiamo cominciato a suonare nei club. Lo facciamo da tre anni, piano piano si è sparsa la voce, sono venuti anche gli addetti ai lavori, se ne sono accorte riviste come Time Out, il Village Voice. Lì è come mettere un dito nella sabbia, togli il dito e la sabbia si richiude subito. Bisogna insistere, continuare. Però non era un'idea campata in aria. Era una piattaforma per divertirci, per sperimentare, pura passione per la musica, e alla fine qualcosa è successo, ci ha visto un agente di Chicago e ci ha portato al Bonnaroo, che è uno dei tre festival più importanti d'America, e ora esce un album per un'etichetta indipendente, prodotto da Ian Brennan, coi miei vecchi pezzi, alcuni suonati ex novo".

Ma cosa fa, rappa in casa dei rapper? E soprattutto, lo fa in italiano?
"Ma certo, vado con l'italiano, poi è ovvio, un po' mischio le lingue, però mantengo la linea, e l'italiano è una lingua che piace, anche come suono, la riconosci. Magari è come sarebbe per noi scoprire un nuovo cantante lituano. Ma perché no? A me piacerebbe... La cosa più interessante che sta accadendo oggi è la cosiddetta delocalizzazione. La più grande star mondiale oggi è Guetta, che è un francese, Benny Benassi è italiano, c'è la swedish mafia. Nessuno sa bene cosa succederà alla musica, è tutto in trasformazione. A me questo mestiere piace da pazzi. E io ho voglia di crescere, di imparare cose nuove, questa volta mi sono detto, proviamo a passarci un intero inverno, la mia famiglia rimarrà a New York e io andrò in giro a suonare dovunque posso, voglio fare il mio mestiere, espandermi, anche umanamente, voglio infilare le mani in quella che è l'origine del mio lavoro. In Italia non mi sarebbe concesso arrivare come un anonimo in un locale e fare un deejay set. Qui lo posso fare, e devo misurarmi senza rete, senza contare sul successo. Anche cantare un pezzo che magari in Italia è un successo pazzesco e in America non lo conosce nessuno, è strano, ma elettrizzante, significa rimettere in gioco tutto. Ripartire da zero. La musica è diventata soprattutto un 'riconoscersi', ma prima era un 'conoscersi'. Sono appassionato di questo trabiccolo che hanno spedito su Marte. Si chiama 'curiosity', potrebbe essere il mio nome d'arte. Diciamo che l'America è il mio Marte. Esploro un territorio che conosco molto bene perché musicalmente vengo da qui, ma è bello entrare come un signor nessuno. Qui la storia della musica non l'hanno fatta negli stadi, ma nei locali. Vai a suonare in un piccolo club e ti dicono, ecco qui ci hanno suonato i Nirvana, i Led Zeppelin, Bob Dylan. Anche il Fillmore, che è una leggenda, se lo vedi, è poco più di un baretto, mica tanto di più".

Ma è un abbandono? Non è che poi ci si dimentica dell'Italia?
"Ma no, ci mancherebbe. È solo un periodo, e non perderò mai il contatto. A novembre uscirà la mia prima raccolta, con alcuni inediti, il 6 settembre sarò a Modena per un tributo a Pavarotti, e il 22 a Campovolo per il concerto dedicato all'Emilia terremotata. Quando mi ha chiamato Ligabue gli ho detto sì, senza neanche sapere quando. È l'unica resistenza che possiamo fare, cercare di far nascere delle cose belle quando ne succede una brutta". 
 

(14 agosto 2012)

 
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Vasco polemizza con il medico: «Sulla droga non accetto lezioni» da corrieredelveneto.com

Post n°8450 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news

Il rocker all'attacco di Giovanni Serpelloni, padovano, capo del Dipartimento antidroghe della Presidenza del consiglio: chi proibisce aiuta la malavita

VENEZIA — Nuovo capitolo nella polemica tra Vasco Rossi e Giovanni Serpelloni, capo del Dipartimento antidroghe della Presidenza del consiglio. Nella sua pagina Facebook il rocker scrive: «La legalizzazione degli stupefacenti rientra nella cosiddetta politica della riduzione del danno». Pronta la lettera di risposta del medico: «Per il nostro Dipartimento i tossicodipendenti sono prima di tutto persone e poi dei malati che devono trovare comprensione, accoglienza, ma soprattutto cure adeguate e il più tempestive possibili. In Italia ci sono più di 500 servizi pubblici e mille comunità terapeutiche, che forniscono assistenza gratuita e di alto livello a oltre 180 mila persone. Come vede le alternative immediate allo spacciatore esistono, così come alla legalizzazione, che non farebbe altro che far aumentare i consumi, senza affrontare il problema». Irritato il cantante: «Esimio Signore, la informo che i suoi colleghi di governo continuano a sbattere in galera quelle che lei definisce persone malate e bisognose d’aiuto, come fossero dei criminali autentici. Il pensiero proibizionista non solo fa gli interessi della malavita ma costringe i malati, come li definisce lei, a rubare per comprarsi una dose a prezzi altissimi, e a prostituirsi. Non accetto certo lezioni di vita o di morale da lei, nè da nessun altro dei suoi compari».


14 agosto 2012

 
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Seduzione e nevrosi nell'America di oggi da Il manifesto

Post n°8449 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: libri, news

 

ROSSANA CAMPO
11.08.2012
Da noi escono in questi giorni un'antologia con i migliori racconti  della statunitense Mary Gaitskill. Nel romanzo «Veronica», come nei racconti di «Oggi sono tua», uno sguardo impertinente su ragazze perse nel mondo

 

A volte può ancora succedere. Scavalcando le pile di colazioni pranzi merende e cene da Tiffany, tirando dritti oltre i volumi per porno casalinghe inquiete di provincia, anche qui da noi può ancora capitare di imbattersi in questo strano oggetto ormai sempre più difficilmente identificabile: la letteratura. La scrittura letteraria. Un'autrice che costruisce un suo universo riconoscibile dove si può entrare ed essere assorbiti attraverso la costruzione di frasi dense e luminose, intense e struggenti, ritmi che - anche in traduzione - rivelano uno sguardo unico, vivo, nervoso e impertinente sulle nostre vite, che ci precipitano negli umori e nei corpi palpitanti di donne e adolescenti eccentriche, commoventi, erotiche, nevrotiche, bisessuali, sadiche e masochiste, fragili, fintamente disinvolte e leggere, ragazze un po' perse nel mondo, che tuttavia sembrano rifiutare con forza di entrare nelle parti e nei ruoli che la società ha disegnato per loro.
Mary Gaitskill (americana, classe 1954) ha scritto finora tre raccolte di racconti e due romanzi, da noi escono in questi giorni un'antologia con i suoi migliori racconti (Oggi sono tua, traduzione di Maurizia Balmelli e Susanna Basso, Einaudi, pp. 418, euro 20) e il romanzo Veronica (traduzione di Dora Di Marco, Nutrimenti, pp. 272, euro 18). Veronica (giudicato dal New York Times fra i dieci migliori romanzi del 2005) è la storia del sentimento che lega due donne, Alison Owen che arrivata a cinquant'anni e con problemi di epatite si guarda indietro, verso tutto quello che ha vissuto, e Veronica Ross, una creatura notturna ed esuberante, malata di Aids che ha scelto di vivere orgogliosamente la sua marginalità. Insieme alla storia delle due viene raccontata tutta un'epoca e la New York degli anni '80 che già occupa un suo luogo letterario per i racconti dei Bret Easton Ellis, McInerney, Tama Janowitz ecc... 
Eppure si ha l'impressione che Mary Gaitskill sia andata a scavare nelle sue memorie per riportare in vita quel periodo fintamente disinvolto, fintamente pieno di mille luci per dirne il lato più segreto e ombroso, attraverso le prime vittime dell'Aids e lo spaesamento e le nevrosi di queste due donne. Alison e Veronica, come le altre eroine, sono sicuramente a disagio ma sono anche vive e vibranti, decise a inseguire le loro passioni e allucinazioni. Alison scappa di casa a quindici anni e si mescola con chi come lei ha scelto la vita di strada, poi decide di sterzare, mettere a frutto la sua bellezza ed entrare nel mondo delle modelle. Quando incontra Veronica lei ha vent'anni e la sua amica diciassette di più, Veronica sta con un uomo bisex che le trasmetterà l'Aids. Cosa hanno in comune le due? All'apparenza molto poco ma il legame nasce dal riconoscersi in una corrente comune fatta di ribellione mescolata a una buona dose di odio verso se stesse, di ricerca e negazione continua di amore e vicinanza. 
Anche nei racconti c'è sempre questo mondo, questo tipo di umanità resa intrigante dal tocco di Gaitskill, dal suo sguardo che mescola in modo sapiente la cronaca di comportamenti e nevrosi contemporanei con momenti in cui si aprono squarci lirici, che procurano felici capitomboli per il nostro immaginario. Gaitskill ci conduce nelle zone sotterranee che parlano delle spinte vere dei personaggi, nell'analisi sottile, come solo la letteratura può fare, di ciò che muove i desideri, le vite, i tentativi quasi impossibili di scalfire le fortezze dentro cui siamo più o meno barricati. 
E ci si interroga molto sulla bellezza e la bruttezza delle donne e degli uomini, cosa attrae e perché e cosa respinge. La seduzione, altro filo spesso che tiene legati un po' tutti i personaggi di Mary Gaitskill. Come a dire, siamo tutti così disperatamente alla ricerca di qualcuno da sedurre, anche nel senso etimologico, per condurre qualcuno verso di noi, per portarlo a guardarci, a vederci, così che le nostre vite, riflesse nello sguardo altrui, prenderanno forse quella giustificazione, quel senso che sembra troppo evanescente per afferrarlo da soli, chiusi a chiave dentro di noi. E poi la paura della perdita, di perdersi e di perdere, la nostra migliore amica, la nostra amante, nostro marito, i nostri figli. Eroine disambientate, personaggi disorientati di fronte alle notizie del mondo - come nel racconto Pezzo folk. 
Nella stessa pagina il giornale riporta due notizie. La prima, un uomo che ha confessato di avere prima torturato e poi ucciso una donna e la sua bambina verrà ospitato in uno dei tanti talk show delle tivvù satellitari. «La sua apparizione era stata agevolata dai genitori della donna, i quali volevano che raccontasse esattamente come si era svolto l'omicidio di figlia e nipote. 'È stato terribile, - diceva la conduttrice del talk show. - Passerà alla storia come il più infame tra gli infami'. C'era una fotografia dell'assassino, che sorrideva come se avesse vinto un premio». Poi, poco più giù, si legge di un'altra donna che a San Francisco aveva intenzione di avere rapporti sessuali con mille uomini, e battere il record di un'altra donna del New Mexico che era arrivata a quota 750. «Voglio far vedere di cosa sono capaci le donne, - diceva - non lo faccio in quanto femminista, ma in quanto essere umano».
Esce anche un disegno preciso dell'America, in questo accostamento ripugnante e strano che unisce le due immagini, i nonni della ragazzina uccisa che vogliono sapere i dettagli, ciò che solo l'assassino può raccontare, insieme alla maratoneta del sesso, che «sorride come un predicatore, gli organi esposti per quei mille. Una specie di gara di mangiatori di torta particolarmente disgustosa». 
Mary Gaitskill lavora ai suoi meravigliosi racconti per questo, per dirci che nelle nostre vite ci sono molte botole, ci sono vortici in cui a volte ci ritroviamo calati. Proprio come la donna di San Francisco, la scopatrice seriale che «trasformando se stessa in una macchina del sesso, ha creato una specie di griglia temporanea. Ma sotto, nel luogo del sogno e del sentimento, va in posti che lei, in superficie, non capirebbe».
*l'immagine è relativa al sitowww.sillabario3.wordpress.com,

 

 
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E' morto Gore Vidal il critico della Casa bianca

Post n°8448 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news

REDAZIONE
01.08.2012
E' deceduto per complicazioni da polmonite. Scrittore di grandi testi come “Giuliano”, “Myra Breckinridge”, “Hollywood” o “Impero”. Era stato consigliere di J.F.K. Per lungo tempo aveva soggiornato a Ravello

Addio a Gore Vidal, scrittore, drammaturgo, saggista e sceneggiatore statunitense, enfant terrible della cultura americana. Vidal è morto nella sua casa di Hollywood Hills, nel pomeriggio di martedì per complicazioni da una polmonite. Lo scrittore, che viveva solo a casa, era da tempo malato. Capace di un'acuta osservazione della realtà, Vidal era considerato uno degli intellettuali piu critici con la politica ufficiale del suo Paese al pari di Susan Sontag o Noam Chomsky, ma era anche nel gotha del mondo letterario delle generazione di Norman Mailer e Truman Capote.
L'autore di “Giuliano”, “Myra Breckinridge”, “Hollywood” o “Impero”, ma anche autore di sceneggiature di film di successo come “Improvvisamente l'estate scorsa” e “Ben-Hur” si era stabilito a Los Angeles nel 2003 dopo aver risieduto a lungo in Italia, a Ravello; e proprio nella villa “La Rondinaia, dove trascorrevano le vacanze i suoi amici famosi -da Orson Wells a Mick Jagger, da Rudolf Nureyev a Paul Newman e Tennessee Williams, Vidal aveva scritto le sue maggior opere. Avido scrittore, Vidal aveva anche una viva passione politica (di recente era stato molto critico con la politica imperialista di George W.Bush), capace di offrire una visione caustica, non convenzionale e satirica del modo di vivere degli americani; a soli 22 anni, aveva cominciato a stupire la comunità letteraria americana con il suo romanzo “La Statua di Sale”, probabilmente autobiografico e con una tematica apertamente omosessuale. Eugene Luther Vidal jr era nato il 3 ottobre 1935 nell'accademia militare di West Point, unico figlio di Nina Gore e Eugene Vidal, dove il padre era istruttore militare di aviazione. Ma fu il nonno, che era stato senatore dell'Oklahoma, a influenzare la sua formazione e con cui visse dai 10 dieci anni dopo il divorzio dei genitori. Proprio il cognome del nonno tanto amato, ben presto divenne il suo nome di battesimo; e comunque il nonno, che era cieco e a cui leggeva i testi, ebbe grande influenza su di lui e sulla sua passione per la politica. Dopo il divorzio, la madre sposò Hugh Auchincloss, che più tardi divenne anche il patrigno di Jacqueline Kennedy; e proprio questo rapporto gli diede accesso ai Kennedy alla Casa Bianca, dove divenne consigliere personale del presidente JfK. Del resto, come diceva spesso, “l'unica cosa che ho sempre voluto era fare è il presidente”.
Quando parlò di Andreotti
Un piccolo aneddoto, un suo ricordo di una conversazione con Giulio Andreotti: “Una volta parlavo con Andreotti del successo economico dell'Italia, che era diventata la quinta potenza mondiale, e gli ho chiesto se avesse mai pensato di vivere fino ad un giorno in cui l'Italia sarebbe stata così ricca e prospera. E Andreotti mi rispose 'certo no, ci dicevano quando eravamo a scuola che non saremmo mai potuti diventare una potenza economica perché non avevamo le risorse. Sono rimasto felicemente sorpreso', mi disse''. E in controluce - tra le righe di memorie che raccontano un mondo di artisti, scrittori, star del cinema internazionali che gravitavano intorno alla Roma ed alla costiera - Vidal parlava anche degli anni di piombo di quel terrorismo che, visto dagli amici d'Oltreoceano che lo incoraggiavano a tornare ''sembrava far precipitare l'Italia nel caos''. Ma lo scrittore non ha mai abbandonato Ravello - lasciata solo in anni più recenti, ''per la terra del Cedars Sinai'', il famoso ospedale di Los Angeles dove era stato ricoverato il suo compagno di una vita Howard Austen morto nel 2003- ''non pensavo proprio che l'Italia potesse essere destabilizzata'' spiegava .

 
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Lo Juventus Museum arriva in libreria da ju29ro.com

Post n°8447 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: libri, news

 

Stadio
Chi non ha ancora avuto la possibilità di far visita al museo della Juventus può consolarsi con il libro edito da Priuli & Verlucca. Si tratta di un’edizione di rara eleganza che, con immagini e parole ad effetto, scandisce il percorso di oltre un secolo di storia bianconera che si può assaporare visitando il J-Museum. Un particolare non di poco conto è che la pubblicazione è bilingue. Di fianco al testo italiano c’è anche la versione inglese, tanto per strizzare un occhio al marketing e per dare al libro la possibilità di approdare in quei mercati esteri in cui solitamente si possono trovare solo libri sulle società della Premier League
Ma entriamo nel museo sfogliando le pagine del libro che lasciano intravedere allestimenti, storie e scenografie che lasciano ai visitatori la sensazione di vivere un viaggio dentro un’emozione unica. Il tempio dei trofei, per esempio, è qualcosa di avvolgente e di multimediale che lascia l’impressione di abbracciarle tutte, quelle coppe. Il libro ha il merito di riuscire a catturare quell’emozione giocando con la suggestione di immagini su particolari poco noti affiancate a quelle delle vittorie e dei campioni che della Juventus hanno fatto la storia. Per esempio c’è un primo piano di un orologio d’oro appartenuto a Gianni Agnelli: per chi mastica un po’ di storia bianconera è facile associare quell’immagine alle scommesse che l’Avvocato, da presidente della società a cavallo degli anni Cinquanta, lanciava ai suoi giocatori. A Giampiero Boniperti, prima di Juventus-Roma, promise un orologio d’oro nel caso avesse fatto gol nel primo quarto d’ora. Boniperti il gol lo segnò dopo 9 minuti dall’inizio della partita e, puntualmente, Gianni Agnelli entrò negli spogliatoi a fine partita e si sfilò il prezioso orologio dal suo polso per metterlo a quello del giocatore. 
La scansione cronologica degli eventi regala questi tuffi in un passato glorioso e in quello dei pionieri cui si deve la fondazione della società. Il campione assunto a simbolo della Juventus nel periodo 1923-1935 è Carlo Bigatto, che ha vestito la maglia juventina dal 1913 al 1927, un centrocampista indomito capace di fumare fino a centoquarantasette sigarette al giorno, ma che, nonostante l'attaccamento al fumo, in campo viene descritto come un moto perpetuo. Bigatto è passato alla storia anche perché, in un’epoca in cui iniziavano a girare i primi soldi veri intorno al calcio italiano, lui preferiva giocare senza percepire alcun compenso perché i soldi gli davano l’idea di poter sporcare la sua innata passione per quella maglia bianconera abbinata al più bel gioco del mondo. 
La Juventus del quinquennio di scudetti consecutivi (1930-35) fu un forte veicolo di juventinità lungo l’italico stivale. Nel dopoguerra c’erano dei ragazzini che portavano all’occhiello il distintivo della Juventus, sognando magari un giorno di indossare anche solo per una partita la già celebre maglia a strisce bianconere. E’ qualcosa che è successo anche a Giampiero Boniperti, che di partite, in campionato, con quella maglia ne ha disputate 444. Nell’estate del 1957 arrivarono John Charles e Omar Sivori a formare con Boniperti il trio magico. La maglia autografata di Charles rimanda a quegli anni in cui “il gigante buono” era talmente inarrestabile da venire paragonato al Gulliver legato con la fune da improvvisati difensori travestiti da lillipuziani. 
Il pallone d’oro vinto nel 1961 da Omar Sivori, cui viene dedicato un primo piano, è il primo vinto da un giocatore juventino. Non tutti sanno che la Juventus è la società ad avere più giocatori che hanno vinto il prestigioso riconoscimento internazionale assegnato annualmente al giocatore ritenuto più meritevole da un'apposita giuria. A Sivori sono succeduti Paolo Rossi, Michel Platini, Zinedine Zidane, Pavel Nedved e Fabio Cannavaro, in una sorta di trait d’union che lega l’ultimo mezzo secolo bianconero e si apre alle vittorie future. “Tutto il meglio del calcio è passato dalla Juve” amava ricordare Umberto Agnelli, il Dottore. 
Ora il testimone è passato ad Andrea perché arricchisca il museo di nuovi trofei e perché il sogno bianconero continui sul solco tracciato dagli Agnelli che si sono succeduti da quel 24 luglio 1923 in cui Edoardo, nonno di Andrea, assunse la presidenza della società bianconera. Un legame indissolubile quello fra gli Agnelli e la Juventus, fra la FIAT e una Juventus capace di attraversare un secolo di storia e di guardare al futuro.

Juventus Museum, a cura dell’Area Comunicazione Juventus, testi di Darwin Pastorin, Photoediting Lorenzo Vallinotto, Edizioni Priuli & Verlucca, 96 pagine a colori, 2012.

 

 
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Nastri d’Argento 2012, trionfano Sorrentino e Verdone da cinema.fanpage.it

Post n°8446 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: news, premi

Paolo Sorrentino ha portato a casa il Nastro per il miglior regista con "This Must Be The Place", mentre Carlo Verdone è il re della commedia italiana con ben tre premi assegnati al suo film "Posti in piedi in Paradiso". Scopriamo insieme tutti gli altri vincitori.
Nastri d’Argento 2012, trionfano Sorrentino e Verdone.

Sono stati rivelati i vincitori  dei Nastri d’argento 2012, che verranno assegnati stasera al suggestivo Teatro Antico di Taormina. Paolo Sorrentino con il bellissimo “This Must Be The Place” è il miglior regista 2012. Il film su Piazza Fontana, “Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana, Stefano Rulli e Sandro Petraglia, porta a casa il nastro per la migliore sceneggiatura, mentre Ferzan Ozpeteck e Federica Pontremoli si sono aggiudicati l’ambito premio per il miglior soggetto con “Magnifica Presenza”. Il miglior produttore dell’anno è Domenico Procacci per la pellicola “Diaz”, di Daniele Vicari. Quest’anno il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici ha dato ampio spazio anche alla commedia. Infatti, il miglior regista esordiente è stato Francesco Bruni con “Scialla”, e Carlo Verdone ha vinto il nastro per la migliore commedia con “Posti in piedi in Paradiso”.

Micaela Ramazzotti e Marco Giallini hanno vinto, rispettivamente, il nastro come miglior attrice e miglior attore non protagonista, per le loro interpretazioni in “Posti in piedi in Paradiso”. Il miglior attore è stato, prevedibilmente, Piefrancesco Favino per il suo ruolo in “Romanzo di una strage” e “A.C.A.B.”. L’attore è stato scelto anche come il Personaggio dell’anno 2012. Grande soddisfazione anche per la cantante Elisa che ha vinto il premio per la migliore canzone originale, dal titolo “Love is requited”, colonna sonora del film “Un giorno questo dolore ti sarà utile”. Non potevano mancare i riconoscimenti speciali: il nastro d’oro quest’anno è andato a Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo e ai Vanzina; il Nastro europeo Bulgari 2012 è stato conferito a Matteo Garrone, mentre a “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, è andato il Nastro dell’anno 2012.

Di seguito tutti i vincitori:

Regista del miglior film: Paolo Sorrentino per This Must Be the Place”

Miglior regista esordiente: Francesco Bruni per “Scialla!”

Produttore: Domenico Procacci (Fandango) per “Diaz”

Commedia: “Posti in piedi in Paradiso” di Carlo Verdone

Soggetto: Ferzan Ozpetek e Federica Pontremoli per “Magnifica presenza

Sceneggiatura: Marco Tullio Giordana, Stefano Rulli e Sandro Petraglia per “Romanzo di una strage

Attore protagonista: Pierfrancesco Favino per “ACAB e “Romanzo di una strage

Attrice protagonista: Micaela Ramazzotti per “Posti in piedi in Paradiso e “Il cuore grande delle ragazze

Attore non protagonista: Marco Giallini per “Posti in piedi in Paradiso” e “ACAB

Attrice non protagonista: Michela Cescon per “Romanzo di una strage”

 Fotografia: Luca Bigazzi per “This Must Be the Place”

Scenografia: Stefania Cella per “This Must Be the Place”

Costumi: Alessandro Lai per “Magnifica presenza

Montaggio: Benni Atria per “Diaz

Sonoro in presa diretta: Remo Ugolinelli e Alessandro Palmerini per “Diaz

Colonna sonora: Franco Piersanti per “Terraferma” e “Il primo uomo”

Canzone originale: “Love is requited” di Andrea Guerra e Michele von Buren, interpretata da Elisa per “Un giorno questo dolore ti sarà utile” di Roberto Faenza

Miglior film europeo: “The Artist” di Michel Hazanavicius (Bim)

Miglior film extra-europeo: “Drive” di Nicolas Winding Refn (Iif – 01 Distribution)

Nastro dell’anno: Cesare deve morire di Paolo e Vittorio Taviani

Nastro europeo Bulgari: Matteo Garrone

 I PREMI SPECIALI:

Nastro d’Oro 2012: Dante Ferretti e Francesca Lo Schiavo per “Hugo Cabret

Nastro speciale 2012 per la commedia: Carlo ed Enrico Vanzina

Premio Lancia – Nastri d’Argento 2012 per l’eleganza e lo stile innovativo nella qualità a Giuseppe Fiorello

Premio Persol – Nastri d’Argento 2012 personaggio dell’anno a Pierfrancesco Favino



continua su: http://cinema.fanpage.it/nastri-d-argento-2012-trionfano-sorrentino-e-verdone/#ixzz24NLo3fp9 
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L'ultima sfida di Batman da cinecittà news

Post n°8445 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 

[di Andrea Guglielmino]

PARIGI - E' il film più atteso dell'anno, Il Cavaliere Oscuro - Il ritorno, e in Italia esce il 29 agosto. In quasi tutto il resto del mondo è già in sala da un mese o più, per cui chi proprio non ha potuto resistere per assistere al terzo attesissimo capitolo delle avventure di Batman dirette da Christopher Nolan (che sarà anche l'ultimo, a detta del regista e del cast), si è dato da fare per poterlo vedere in anteprima. Qualcuno, con metodi non proprio ortodossi: la pirateria, in certi casi, sembra davvero incontrastabile, e infatti molto si è discusso anche di questa scelta distributiva, insolita ormai per un grande blockbuster.

Altri, come noi, hanno approfittato delle vacanze per godere dello spettacolo in terra straniera, magari su uno schermo IMAX - dato che la pellicola supporta questo formato - di cui in Italia siamo purtroppo pressoché sprovvisti, se si escludono il cinema Oltremare di Riccione e l'UCI di Pioltello.


C'è da dire, di questo Batman, che vale la pena tentare di vederlo nelle migliori condizioni possibili, dato che l'aspetto spettacolare è certamente preponderante. Nolan ha puntato moltissimo sullo schermo 'avvolgente' e si è categoricamente rifiutato di girare in 3D, come invece aveva proposto la produzione: "Mi piace l'IMAX - ha detto - perché rispetto al 3D permette di creare qualcosa di più grande del nostro campo visivo. Quando si guarda un film in 3D il parallasse lo rende più intimo e il campo visivo si restringe. Invece a me piace guardare i miei personaggi, come Batman, su uno schermo enorme e molto più grande di quanto siamo abituati". E ancora: "Mi sembra che la stereoscopia, al cinema, dia una scala di visione troppo piccola, che l'effetto sia tutt'altro che dirompente. I film sono intrinsecamente in 3D. Il senso stesso della fotografia è nell'essere tridimensionale. Il punto è che la stereoscopia garantisce ad ogni spettatore una prospettiva individuale. Il che funziona benissimo con i videogames e tutte le forme di tecnologia "immersiva", ma se parliamo di esperienze per spettatori, è una scelta difficile da abbracciare. Personalmente preferisco i grandi affreschi, quando ti trovi a guardare schermi enormi e hai quella sensazione che l'immagine proiettata sia "larger than life", più imponente della vita stessa. Quando invece la lavori con la stereoscopia, e di test ne abbiamo fatti un bel po', finisci per "strizzare" la taglia dell'immagine fino a che non diventa una finestra molto più piccola di fronte a te. Quindi l'effetto finale va considerato con grande attenzione. E mi pare che finora, nella corsa ad adattarsi a questa nuova tendenza, non si sia pensato abbastanza a questo".


Aspetti tecnici a parte, del film si parla moltissimo anche per il tragico evento che ne ha caratterizzato l'esordio negli Stati Uniti, quando un pazzo ha sparato sulla folla uccidendo molti spettatori indifesi. Ne sono seguite polemiche circa la presunta influenza che la pellicola, più cruda e violenta dei capitoli precedenti, avrebbe avuto sul nefasto episodio. Polemiche sterili, a dir la verità, non foss'altro perché, appunto, trattandosi di una prima, nessuno - nemmeno lo scriteriato assassino - poteva aver visto il film e restarne influenzato. Senza dubbio, si tratta di una trama angosciante e dark: l'antagonista Bane (Tom Hardy), una minacciosa montagna di muscoli, come nel fumetto, tende una trappola a Batman (ancora interpretato da Christian Bale) e riesce a immobilizzarlo per mesi compromettendo la funzionalità della sua colonna vertebrale. La sequenza è piuttosto realistica, anche grazie alla scelta di eliminare completamente la colonna sonora. E l'effetto "dolore" è assicurato. Alla fine Batman ne esce vincitore, ma con le ossa un po' rotte.


Si potrebbe dire che il film condivide lo stesso destino del suo protagonista. Se i critici Usa lo hanno esaltato per il suo approccio senza mezze misure e il suo tentativo di farsi metafora della crisi e della situazione socio-economica dell'America odierna, molti fan, sia di Nolan che dell'Uomo Pipistrello, hanno storto il naso di fronte alle situazioni poco verosimili e ai buchi di sceneggiatura che la pellicola, indubitabilmente, presenta. Niente di grave, ma dall'uomo che si vantava - e giustamente - di aver portato Batman nel mondo reale, ci si aspettava forse qualcosa di più. E anche il finale, che prometteva di essere tragico, definitivo ed epico, una cosa mai vista prima di ora ad Hollywood, è tutto sommato accomodante, canonico, e lascia aperte diverse prospettive per il futuro. Quasi certo, però, che non ci saranno né Nolan né Bale, che con questo film terminano il loro impegno con Warner, e che il prossimo Batman avrà dunque una faccia e, forse, un background differente. Di più non si può dire, o si rischia davvero di rovinare quel po' di sorpresa che la pellicola offre, anche se in maniera poco coerente con quanto il regista aveva promesso e dichiarato finora.


Anche gli incassi hanno faticato a imporsi, complice probabilmente anche la strage di Denver: all'uscita, il film ha incassato nel giro di tre giorni 161.8 milioni di dollari, una cifra inferiore rispetto a quella pronosticata di 180, anche se poi si è decisamente stabilizzato. Vedremo se anche in Italia il Cavaliere vincerà la sfida, e in che modo. Certo, da noi,  l'attesa è spasmodica e, oltre agli eventi di presentazione ufficiali, si muove molto anche il mondo dei fan: ad esempio il 1 settembre, alle ore 19:00, in Piazza dei Cavalieri a Pisa, si organizza un raduno di cosplayer che si incontreranno indossando costumi ispirati all'universo dell'uomo pipistrello.

L'evento è già stato battezzato, su facebook e sui principali social network, Piazza dei Cavalieri Oscuri.

Nel cast tornano Morgan FreemanGary Oldman e Michael Caine, a cui si aggiungono le 'donne fatali' Marion Cotillard e Anne Hathaway, interprete di una seducente Catwoman. Occhio anche al nuovo arrivato Joseph Gordon-Levitt, è più tosto di quel che sembra.

 
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27 giovani autori a Venezia

Post n°8444 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 

Le Giornate degli Autori, in collaborazione con il Parlamento Europeo, Europa Cinemas e Cineuropa, promuovono il programma "27 Volte Cinema": 27 ragazzi, uno per ognuno dei Paesi dell'Unione, compongono una sorta di campus che permette loro di scoprire un grande Festival dietro le quinte.

Ogni giorno i ventisette candidati incontreranno registi e professionisti per discutere i temi più attuali del cinema indipendente contemporaneo: le radici, il senso e il futuro dell'Europa, lo sguardo femminile sulla realtà contemporanea, l'incrocio delle culture, la trasformazione dei linguaggi, il cinema della realtà, l'organizzazione e la promozione della cultura.

 

Tra i partecipanti: i cineasti Sólveig AnspachGiada ColagrandeEnzo D'AlòLucrecia MartelAndrea SegreMassy Tadjedin, il direttore del Festival di Tribeca Frédéric Boyer e i giornalisti Derek Malcolm (Evening Standard / Fipresci), Domenico La Porta (Cineuropa), Peter Paul Huth (ZDF) e Lee Marshall (Screen International).


Il 4 settembre, due "tutor istituzionali" di massimo grado si confronteranno con i ragazzi: all'incontro sul tema "Vogliamo l'Euro(pa)?" parteciperanno la Presidente della Commissione Cultura del Parlamento Europeo Doris Pack e l'europarlamentare Silvia Costa, relatrice per la il rapporto "Europa Creativa".


Viaggiatori, musicisti, artisti, critici cinematografici, bloggers, sceneggiatori e filmmaker, i 27 ragazzi non si sono mai visti prima ma hanno molto in comune, a partire da una grande passione condivisa: il cinema.

 
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Taviani e Patierno al New York Film Festival

Post n°8443 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: eventi, news

L'Orso d'oro della scorsa Berlinale Cesare deve morire dei fratelli Taviani sarà in programma al 50° New York Film Festival (28 settembre-14 ottobre). La manifestazione, in programma al Lincoln Center, proporrà anche un documentario di Istituto Luce Cinecittà , La guerra dei vulcani di Francesco Patierno, che avrà la sua anteprima alla Mostra di Venezia.

 

Il festival sarà inaugurato da un film in 3D Life of Pi di Ang Lee, autore che già in passato ha aperto la manifestazione con La tempesta di ghiaccio nel 1997. 
 
Life of Pi è la storia di un giovane che sopravvive a un naufragio insieme a una tigre del Bengala ed è tratto dal romanzo omonimo di Yann Martel, un libro estremamente visionario.

 
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Toni D'Angelo in gara a Montréal

Post n°8442 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 
Tag: eventi, news

L'innocenza di Clara, opera seconda del regista Toni D'Angelo (Una notte), debutta al Festival di Montréal (23 agosto-3 settembre) in competizione. Il film racconta la lunga amicizia tra due uomini, messa in crisi dall'arrivo di Clara nella vita di uno dei due.

 
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I padroni delle torri da Articolo21

Post n°8441 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 

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Nelle ultime settimane si sono rincorse voci sulla costituzione a livello nazionale di un unico operatore di rete per la diffusione dei programmi televisivi. Di per sé un fatto positivo a condizione che tutto avvenga in modo “chiaro”. Sarà così? In Italia, contrariamente agli altri paesi europei, i fornitori di programmi televisivi controllano anche le reti di distribuzione del segnale. Formalmente si tratta di società diverse ma che fanno quasi sempre capo alla stessa proprietà.Negli ultimi tempi, non senza polemiche, due dei maggiori operatori di rete si sono fusi (Elettronica Industriale con DMT) dando vita a EI Towers società controllata dal gruppo Mediaset. Questa operazione ha posto il problema della costituzione di una forte posizione dominante nel mercato delle infrastrutture televisive, ma sia l’Antitrust che l’Agcom non hanno ritenuto che questo pericolo potesse sussistere. In questo contesto sono rimaste solo le reti della Rai e di Telecom Italia come infrastutture in grado di svolgere un ruolo alternativo. Fin qui la cronaca. Nelle ultime ore tuttavia, in relazione alle recenti nomine del Governo in Rai e della ristrutturazione di Telecom Italia Media, comincia a farsi strada l’idea di continuare questo processo di concentrazione aggregando anche queste reti nell’operatore EI Towers. Vedremo dunque i programmi Rai o de La7 trasmessi da Mediaset? Certo gli indizi non mancano e anche qualche circostanza favorevole (l’avvenuta assegnazione ventennale delle frequenze) spinge a fare un cattivo pensiero. Per evitare questo pericolo basterebbe approvare una semplice norma: l’operatore unico nazionale deve essere un nuovo soggetto separato proprietariamente da qualunque operatore di contenuti. Che succederà invece se questa ipotesi dovesse diventare realtà? Interrogativo che merita una chiara risposta, soprattutto prima che venga approvata la regolamentazione della gara per l’assegnazione delle altre frequenze televisive già oggetto del cd beauty contest. Al contrario qualunque tentativo di costituire una proposta televisiva nuova finirà sotto il peso dei soliti padroni dell’etere.

* Magistrato, già Commissario Agcom

21 agosto 2012

 
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Rai, il coraggio di fare scelte, anche per il futuro dei precari a Partita IVA

Post n°8440 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 

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La vicenda dei contratti anomali, quelli di chi in Rai con Partita IVA lavora come se fosse, a tutti gli effetti, un dipendente subordinato, è un tema che torna all’ordine del giorno ancora una volta. E si tratta di una questione fondamentale per l’azienda. La riforma Fornero rischia di penalizzare ulteriormente questi lavoratori. Da tempio per quel che riguarda i giornalisti con contratti anomali, i reporter senza rete come li abbiamo definiti noi che abbiamo creato una delle associazioni che li raggruppa, l’Usigrai sta lavorando, insieme all’azienda, a meccanismi di sanatoria.
I casi più eclatanti, quelli che hanno visto delle violazioni che hanno portato molti di noi a svolgere evidente attività giornalistica, sono stati sanati passando per un accordo fra le parti. Altri contratti anomali, di colleghi iscritti all’albo dei professionisti ma che lavorano in azienda come assistenti, programmisti, tecnici, avranno nel prossimo mese di settembre la possibilità di arrivare ad una selezione interna che li porterà ad un contratto giornalistico e a compensare quelle pesanti carenze di organico nelle sedi regionali.

 

Certo, non basta. Ma é un segnale importante se si pensa che, fino a soli quattro anni fa, la volontà di sanare queste situazioni anomale non era evidente né per l’azienda né per il sindacato dei giornalisti Rai

 

I numeri presentati da Paolo Conti, però, sono un’autentica mannaia sul precario bilancio di un’azienda che per oltre quindici anni ha scelto di non essere azienda, di non investire, di non competere. Questo perché messa appositamente in un angolo da un conflitto di interessi che ha rischiato di farla finire nel baratro del fallimento. Rischio, questo, ancora ben lontano dall’essere superato.

Il nuovo gruppo dirigente “tecnico” che ora guida l’azienda, sebbene ancora costretto dalle pastoie politiche di un Cda che a maggioranza è ancora risultato di lottizzazione, può però scegliere di dare vita ad uno scatto d’orgoglio. Ma ci vorrebbe, faccio solo un esempio, che almeno qualcuno dei voti di fiducia messi dal Governo Monti, possa essere dedicato anche a quest’azienda. Ma si ha il coraggio di porre la fiducia su un disegno di legge che dia alla Rai una governance simile a quella di quasi tutti i Paesi europei? Ma non si deve solo cancellare la legge porcata Gasparri e liberare la Rai dai Partiti. Si deve anche rilanciare la missione di servizio pubblico e quella di azienda culturale, capace di produrre “in casa” il proprio palinsesto.

 

Se si volesse dare altri numeri partendo proprio dai bilanci della Rai, si scoprirebbe che risorse sempre più ingenti vanno a case di produzioni private per realizzare programmi che le professionalità Rai hanno direttamente in casa, nei propri archivi o che potrebbero sperimentare avvalendosi proprio di quelle figure “esterne” a Partita IVA che da decenni mettono a disposizione di quest’azienda la loro creatività e la loro capacità.

 

Dicevamo che 2000 collaboratori che lavorano con questa azienda sono una immensità. Ma se solo si tagliassero del 30% le commesse alle case di produzioni esterne, a questi “colleghi” si potrebbe assicurare un futuro meno precario.

 

Il direttore generale della Rai ha chiesto a dipendenti e collaboratori Rai di fare giungere proposte perché convinto che proprio dai consigli di donne e uomini che lavorano all’interno dell’azienda possono giungere soluzioni ai tanti problemi. Ed allora, come Reporter Senza Rete, ci sentiamo di dar lui qualche dritta.

 

E partiamo proprio dai costi per la produzione appaltata all’esterno. Solo dal 2002 al 2007, periodo in cui il debito della Rai è cresciuto in termini esorbitanti, si è passati dai 100 milioni e 759 mila euro ai 191 milioni e 160 mila euro sul capitolo inerente proprio a questi costi.

 

E, tornando alle testate regionali, il costo di appalti esterni per le produzioni dei Tg è ormai superiore ai 20 milioni di euro all’anno. In totale si tratta di 210 milioni di euro. Tagliare, in questo caso, non significa penalizzare l’azienda se si sceglie di investire sulle risorse interne e sui collaboratori storici che stanno nelle reti come registi, autori, consulenti. Ovviamente sapendo anche distinguere fra queste consulenze. Perché ve ne sono tantissime reali ed alcune fittizie che, guarda caso, poco offrono alla produttività aziendale. E stanno forse anche in quei 2000 collaboratori definiti da Paolo Conti sul Corriere.

Ma se solo, come detto, si riducessero del 30% quei 210 milioni di euro, vogliamo dire che non ci sarebbero risorse per quel mondo fertile di precariato a Partita IVA? E non sono adottabili nuove tipologie contrattuali in deroga per dare a loro un futuro meno precario?

 

Poi, sempre per puntare al risparmio, si scelga di utilizzare le risorse interne per i ruoli chiave dell’azienda. Non serve ricorrere a figure esterne per direttori di rete e di testate, come troppo spesso accaduto in passato. O farlo anche per direttori di settori strategici che possono essere ricoperti anche in questo caso da donne e uomini della Rai senza ricorrere al “mercato” esterno e, guarda caso, ai diretti concorrenti. Si badi bene, non per togliere risorse in termini di professionalità al competitor, ma per evitare – come abbiamo visto in ormai storiche intercettazioni – che la Rai cresca a discapito di qualcun altro.

 

Altra dritta. Recuperare i gioielli persi e cacciati, farli rientrare in Rai non per una ragione ideologica ma di mercato. Erano professionisti che rendevano anche se costavano.

 

E ancora: fare un giro negli uffici dei soggetti smarriti. Ovvero di tutti i professionisti epurati e messi da parte e che, dopo anni di sottoutilizzazione, hanno voglia di darsi da fare.

Poi, ancora, fare in modo che chi è giunto dopo una lungimirante carriera ad un meritato riposo con pensioni di tutto rispetto, si goda questo riposo, senza essere richiamato per forza in servizio con consulenze – quelle si – pagate a peso d’oro. O, se si vuole mettere a frutto la loro esperienza a favore dei più giovani, utilizzarli per questo affidando loro un ruolo che non sia produttivo ma di formazione.
Infine scommettere. Scommettere sui nuovi talenti, non essenzialmente nuovi per età anagrafica ma per idee. Si abbia il coraggio di innovare e di produrre cose nuove, come la Rai faceva nei suoi tempi d’oro. Perché gli sconosciuti di oggi potrebbero rappresentare il futuro di domani.
Ma queste dritte, ovviamente, non sono solo per il direttore generale, per la Presidente, per il Cda, per il Governo. Valgono anche per i sindacati che rappresentano i lavoratori e per il mio sindacato, l’Usigrai, che si appresta ad aprire la sua stagione congressuale. È questo un momento in cui serve unità di intenti, forza, carattere, idee forti e squadra compatta, in cui l’esperienza possa andare a braccetto con chi vivrà sulla propria pelle per molti anni il futuro dell’azienda. Si deve avere la capacità di aprire una nuova stagione di doveri e di diritti, di equità e solidarietà. E si deve avere l’umiltà di farlo insieme.
20 agosto 2012

 
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Venezia, il «new deal» della Mostra del Cinema passa (anche) dalla giuria da Il sole 24 ore

Post n°8439 pubblicato il 23 Agosto 2012 da Ladridicinema
 

Venezia, il nuovo corso della Mostra del cinema passa (anche) dalla giuriaVenezia, il nuovo corso della Mostra del cinema passa (anche) dalla giuria

Il nuovo corso della Mostra del Cinema di Venezia passa (anche) dalla giuria: il direttore Alberto Barbera, tornato alla guida della manifestazione dopo gli otto anni di Marco Müller, ha optato, insieme ai suoi collaboratori, per un'ampia ed eterogenea rosa di giurati, che si affiancheranno ai tanti ospiti illustri presenti con le loro opere alla kermesse. 
Il nome di maggior spicco è certamente quello di Michael Mann, chiamato a presiedere la giuria del concorso ufficiale, composto in questa edizione da diciotto pellicole (tra cui il film sorpresa «The Master» di Paul Thomas Anderson, annunciato dieci giorni dopo rispetto a tutti gli altri).

Mann, che annovera tra i titoli più importanti della sua carriera «Manhunter» del 1986 e «Heat-La sfida» del 1995, aveva presentato in laguna, nel 2004 fuori concorso, «Collateral» con Tom Cruise e Jamie Foxx, mentre durante la scorsa edizione aveva fatto una comparsata per accompagnare la figlia Ami Canaan, la cui opera seconda «Le paludi della morte» era tra i titoli che si contendevano quel Leone d'Oro finito poi al «Faust» Aleksandr Sokurov.

Sotto la direzione del regista americano, ci saranno otto figure di grande richiamo della scena artistica internazionale, in particolare per quanto riguarda la compagine femminile: dalla performer serba Marina Abramovic, Leone d'Oro alla Biennale Arte nel 1997, all'attrice e modella francese Laetitia Casta, arrivando alla regista francese Ursula Meier, Orso d'Argento Speciale al Festival di Berlino 2012 con «Sister», e all'interprete britannica Samantha Morton.

La metà maschile della giuria sarà invece composta da quattro registi, tra i quali svetta il nostro Matteo Garrone, reduce dal successo all'ultimo Festival di Cannes dove ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria per «Reality». Gli altri tre componenti sono l'hongkonghese Peter Ho-Su Chan, l'israeliano Ari Folman e l'argentino Pablo Trapero.
Com'è noto il concorso ufficiale non è l'unica sezione competitiva della Mostra, ma ve ne sono altre due: la rassegna Orizzonti e il premio per il migliore esordio alla regia.

A presiedere la prima, che in genere si distingue per l'originalità delle opere proposte (come dimostra la meritata vittoria del giapponese Shin'ya Tsukamoto e del suo «Kotoko» nella scorsa edizione) è chiamato un attore di casa nostra, Pierfrancesco Favino. Accanto a lui ci saranno due habitué della kermesse veneziana, quali il regista macedone Milcho Manchevski, vincitore del Leone d'Oro nel 1994 con il suo «Prima della Pioggia», e l'iraniano Amir Naderi, presente al Lido negli scorsi anni con «Cut» e «Vegas: based on a true story». Gli altri membri della giuria saranno la regista e attrice libanese Nadine Labaki, riconosciuta internazionalmente grazie a pellicole come «Caramel» e «E ora dove andiamo?», la video artista Runa Islam e il produttore americano Jason Kliot. 

Ancora più variegata la schiera dei giurati chiamati a valutare gli autori di opere prime per l'assegnazione del premio Luigi De Laurentiis, che si accompagna a una ricca borsa di 100.000 dollari per il vincitore. Presieduta dal regista e produttore indiano Shekhan Kapur, autore di kolossal in costume come «Elizabeth» e «Le quattro piume», vede i nomi di prestigiosi addetti ai lavori come il critico franco-greco Michel Demopoulos e l'autore cinematografico e televisivo Matt Reeves, noto per la sua collaborazione con J.J. Abrams (da ricordare «Cloverfield» e la serie tv «Felicity»). La rappresentanza italiana è affidata all'attrice Isabella Ferrari, mentre una nota di colore sarà introdotta dal celebre dj Bob Sinclair. 
Come vuole la tradizione veneziana, probabilmente anche quest'anno le scelte dei giurati non mancheranno di suscitare aspre polemiche: da ricordare le accuse di "nepotismo" mosse nel 2010 a Quentin Tarantino per aver premiato con il Leone d'Oro il discusso «Somewhere» dell'amica ed ex fidanzata Sofia Coppola. Chissà se l'occhio di Michael Mann, abituato alla freddezza del digitale, riuscirà a rimanere imparziale nel giudicare tutte le opere proposte.

 
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