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Monicelli, senza cultura in Italia...
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Messaggi di Maggio 2014
Post n°11512 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
“Le vie del cinema” si terrà dall’11 al 16 giugno Dopo l’annuncio delle date di“Cannes e dintorni” a Milano, oggi sono state rese note quelle della 18ª edizione de “Le vie del cinema da Cannes a Roma”, che si terrà nella capitale dall’11 al 16 giugno. La rassegna cinematografica proporrà al pubblico un cartellone di film della selezione ufficiale della 67ª edizione del Festival di Cannes, della Quinzaine de Realisateurs e della Semaine de La Critique. I cinema che aderiranno alla manifestazione sono Alcazar, Eden Film Center, Greenwich e Quattro fontane. Previsti anche eventi speciali e incontri con registi e cast. Il programma sarà consultabile sul sito www.aneclazio.it.
Post n°11511 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
Il volto di Marcello Mastroianni occhieggia da giorni dalle locandine del Palais des Festivals, e finalmente è arrivata lei, Sophia Loren, a completare la straordinaria coppia che, esattamente 50 anni fa, deliziò il pubblico nel bellissimo film “Matrimonio all’italiana”, diretto da Vittorio De Sica. Il film, tratto dalla commedia di Eduardo De Filippo “Filumena Marturano”, verrà presentato questa sera a Cannes in una versione restaurata dalla Cineteca di Bologna, alla presenza della divina Sophia, che torna sulla Croisette che la vide trionfare come miglior attrice nello struggente "La ciociara", nel 1961. L'attrice sarà accompagnata dal figlio Edoardo, regista del mediometraggio “La voce umana”, che la vede protagonista, e che aprirà la serata a lei dedicata. Domani la Loren terrà una (attesissima) masterclass, nella quale racconterà la sua lunga carriera cinematografica e la sua straordinaria vita. Uno scatto "rubato" dal set di "Matrimonio all'italiana"![](http://www.ricevimenti.it/wp-content/uploads/italianissima.jpg)
Post n°11510 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
Post n°11509 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
Joel ed Ethan Coen firmeranno per Steven Spielberg la sceneggiatura del war movie che ricostruisce un incidente diplomatico occorso negli anni '60 e che vede protagonista Tom Hanks. Il mese scorso è stato annunciato un nuovo progetto che rivedrà in azione il duo composto daTom Hanks e dal regista Steven Spielberg. I due starebbero preparando un period movie ancora privo di titolo incentrato su un incidente occorso a un aereo spia negli anni '60. Apprendiamo oggi che a firmare la sceneggiatura della pellicola sarannno Joel Coen ed Ethan Coen. I Coen, che rimaneggeranno lo script firmato, in prima bozza, da Matt Charman, tornano così a collaborare con Tom Hanks dieci anni dopo Ladykillers. La storia, realmente accaduta, vede protagonista James Donovan, avvocato americano coinvolto nei negoziati per il rilascio del pilota Gary Powers, alla guida dell'aereo spia precipitato. Stephen Spielberg produrrà la pellicola insieme a Marc Platt. Dopo aver diretto il crepuscolare A proposito di Davis, i fratelli Coen hanno annunciato la loro prossima regia, si tratta di Hail Caesar, sceneggiatura da tempo in lavorazione ambientata a Hollywood che potrebbe vedere protagonista la star George Clooney.
Post n°11508 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
![Locandina The Avengers](http://pad.mymovies.it/filmclub/2009/03/107/imm.jpg) Loki scende sulla Terra per impossessarsi del tesseract, un cubo asgardiano di inimmaginabile potenza, e ridurre così gli umani a suoi sudditi. Nick Fury, direttore dello S.H.I.E.L.D., decide quindi di chiamare all'appello i Vendicatori, una squadra di supereroi che non hanno mai combattuto insieme ma che rappresentano l'unica possibilità di salvare il pianeta dal disastro. "Fai parte di un grande universo, ma ancora non lo sai" diceva qualche tempo e qualche film fa Nick Fury a Tony Stark, e ora questo universo si dispiega finalmente sotto i nostri occhi, guadagnandosi un successo promesso ma niente affatto scontato. Le 500 uscite a (stelle e) strisce dei Vendicatori, in 48 anni, costituivano un bacino sufficientemente vasto da cui attingere in sede di sceneggiatura, da conciliare, però, con la necessità di esibire una continuità con i film recenti. Il copione di Joss Whedon, elaborato in presenza degli attori in nome di una sinergia che per essere credibile sullo schermo andava resa autentica fin dal principio e cioè dalla carta, ha il suo punto di forza nella scelta del super cattivo, Loki, fratellastro di Thor, ma fautore di un efficace effetto a catena. Lo lega, infatti, a Capitan America il possesso del cubo cosmico, mentre il super soldato è legato a sua volta a Hulk dal siero (sperimentato anche da Bruce Banner) e a Ironman dallo scudo, che il film - a differenza del fumetto- vuole forgiato da Howard Stark, padre di Tony. Loki è dunque al centro di una squadra che non è ancora tale ma che troverà il suo spirito di gruppo nella voglia di liberarsi di lui (ottima, in questo senso, la performance fastidiosa e mentalmente tarata di Tom Hiddleston), oltre che in un desiderio di vendetta che dovrebbe colpire dritto al cuore, anche se in questo caso la semina non è stata probabilmente all'altezza dell'effetto sperato. Quasi fosse in possesso di un misurino magico, Whedon dosa la partecipazione dei singoli supereroi all'impresa comune con precisione inattaccabile, lasciando che Ironman abbia sempre l'ultima parola, com'è giusto che sia, per la natura del personaggio e per i crediti accumulati fin qui. Salverà l'umanità niente meno che da se stessa. Inoltre, sorprende positivamente la new entry di Mark Ruffalo nei panni del gigante verde: il suo Bruce Banner ha un look da giovane professore universitario di provincia ma dietro la sua timidezza si sente ribollire l'incontenibile segreto. Più rassegnato di Norton, quasi pacificato con la sua seconda essenza, l'Hulk di Ruffalo "spacca", arrivando maturo sul set di Avengers come all'appuntamento con un destino segnato. Ma ciò che vale la pena di apprezzare maggiormente nel lavoro di Whedon, oltre al tono generale, divertito e convinto, è l'abilità con la quale ha saputo evitare il rischio più pericoloso, ovvero quello di non saper far seguire alla macrosequenza tanto attesa del reclutamento un finale di partita all'altezza. Proprio grazie a una confezione attenta del capitolo action gli scontri non si fanno noiosi e ripetitivi e il film vola nella sua pur notevole lunghezza. Tra le piccole squisitezze del film, Pepper Potts troppo impegnata a guardare le gesta del suo eroe preferito sul monitor per rispondere alla chiamata d'emergenza. |
Post n°11507 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
![Locandina Nymphomaniac - Volume 1](http://pad.mymovies.it/filmclub/2011/08/018/imm.jpg) L'anziano Seligman, uscito per fare la spesa in una giornata nevosa, trova a terra il corpo insanguinato di una donna, Joe. La porta nel suo appartamento e la soccorre. Qui Joe gli rivela di essere una ninfomane. Se vuole può raccontargli la sua vita ma sarà una lunga narrazione che prende le mosse dai libri di anatomia del padre medico per poi passare alle competizioni con una coetanea a chi ha più rapporti nel corso di un viaggio in treno. Ma è solo l'inizio. Con Nymphomaniac Lars Von Trier chiude la trilogia sulla depressione che lo ha visto dirigere in successione Antichrist eMelancholia. Lo fa con una lunga narrazione divisa in due parti offrendoci alla fine il trailer della seconda. Non si tratta solo dell'ennesimo "film scandalo" che farà la gioia dei giornalisti che amano i pezzi cosiddetti "di colore" ma, ancor prima che di un'opera con un tema così complesso, di una specie di summa del suo cinema. Perché se una particolare forma di ninfomania per amore invadeva l'animo della Bess di Onde del destino e l'ospedale il luogo di Il regno il rapporto sessuale reale e mostrato in modo esplicito faceva già parte di una sequenza (sciaguratamente tagliata dalla distribuzione italiana) di Idioti. All'epoca il regista danese espose anche una sua teoria sul cinema pornografico constatando come fosse il peggio girato ma anche il più visto di tutti i generi. Di conseguenza aprì una casa di produzione per realizzare porno 'di qualità' e convocò studiose della sessualità per elaborare un "dogma" su ciò che potesse essere mostrato esplicitamente in un film senza però che le donne che lo vedevano si sentissero umiliate. Erano i tempi in cui i detrattori lo accusavano di misoginia e lui, con film come Dancer in the Dark non faceva nulla per contraddirli. Con questa trilogia però, e in particolare con questo film, è venuto sempre più allo scoperto: Von Trier teme la donna perché vede in lei aspetti del suo profondo che vorrebbe saper controllare e, temendo di esporsi in prima persona, utilizza personaggi femminili per parlare di fatto di sé. In questo film suddiviso in capitoli (forma espressiva già utilizzata in precedenza) affida alla narrazione di Joe e a Seligman che ci rsppresenta come ascoltatore/spettatore, una riflessione sulla sessualità che fonde il basso e l'alto, le secrezioni e le riflessioni letterarie, la pesca con l'ebraismo non per confondere le acque ma per tentare di tracciare (esasperandolo anche sul piano della varietà di stili messi in campo) un percorso nella sua visione del sesso. È un film dolente Nymphomaniac e molto più "morale" di quanto non si possa credere. Non è un inno al libertinaggio anche se non ci viene visivamente risparmiato nulla perché il racconto di Joe (almeno in questa prima parte) si rivela come una ricerca dell'armonia che si apre nel buio di un inizio punteggiato da rumori a cui fanno seguito le scabre superfici di un quartiere periferico. Si può anche ridere nel corso delle più di due ore di proiezione ma si tratta di un riso intriso di un'amarezza che viene progressivamente e programmaticamente portata in superficie. Una annotazione finale: il monologo di Uma Thurman è da antologia.
Post n°11506 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
![Locandina Nymphomaniac - Volume 2](http://pad.mymovies.it/filmclub/2014/01/246/imm.jpg) Joe prosegue la narrazione della sua vita in rapporto con la sessualità mentre l'anziano Seligman la ascolta suggerendo, talvolta, inattesi paralleli. Apprendiamo così che il blocco dell'orgasmo con cui si chiudeva il primo volume continua e Jerome è, obtorto collo, costretto ad accettare che Joe cerchi altri uomini per trovare soddisfazione. Questo però non impedisce che nasca un figlio la cui presenza non contribuirà però a cementare la coppia. Tra esperienze con africani ed esplorazioni del proprio versante masochistico, Joe scoprirà anche l'interesse per un rapporto lesbico. Quando un film viene diviso dal suo autore in due parti a causa della lunghezza il rischio che si corre è quello di non valutarlo come un'opera unica come invece è. Perché di fatto Von Trier prosegue il percorso iniziato con il Volume 1 semmai forzando ancor più gli elementi già messi in gioco. A partire dai nomi. Perché il fatto che la protagonista si chiami Joe e che partecipi (per poco tempo) a riunioni di sex addicted dovendosi presentare prima di prendere la parola non può non richiamare alla memoria l'alcolista protagonista di My Name is Joe di Ken Loach. E se il perfido Von Trier avesse volutamente affibbiato al suo quasi incolore e introverso ascoltatore Seligman il nome dello psicologo teorico dell'apprendimento dell'ottimismo e ideatore del concetto di impotenza appresa? Quello che è certo è però che il regista danese ci fornisce un'esplicita autocitazione presa di peso daAntichrist e ricontestualizzata nella storia di Joe. Di lei seguiamo il lucido percorso di ricerca del superamento della solitudine mettendo ogni volta alla prova la capacità di sottomissione alle esperienze più umilianti con l'intenzione di separare il sesso dal sentimento. Ancor più che nella prima parte Von Trier si diverte a provocare fino a sfiorare la blasfemia per poi ritrarsi o a creare arditi paralleli tra la storia della religione e le impostazioni che Joe ha dato alla propria vita. Ma la provocazione non può (e forse non vuole) nascondere ciò che appare sempre più evidente: tutti i suoi film ma questo più di tutti costituiscono una lunga seduta psicoanalitica in cui con sadomasichistica lucidità si mette a nudo. Perché Lars è Joe, così come è Seligman. È un narratore che ama ascoltarsi, è un affabulatore in cui invenzione e dati di realtà finiscono con l'intrecciarsi ma è anche colui che cerca di sublimare le proprie pulsioni con la cultura e la citazione alta. È l'intellettuale che non ha ancora deciso se sia meglio tagliarsi le unghie delle mani a partire dalla destra o dalla sinistra ma che conosce bene (forse perché li ha visti in se stesso) i lati oscuri dell'essere umano. Tenendo però sempre fermo un principio caratteriale inalienabile che ha attribuito ai suoi personaggi femminili (anche a quelli apparentemente più passivi): l'autodeterminazione. Joe è una di loro. |
Post n°11505 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
Cristiana Paternò20/05/2014 ![](http://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=260&path=%2fpublic%2fnews%2f0007%2f7005%2fdardenne_new.jpg) CANNES - Guerra tra poveri, come in Rosetta. Ma con una speranza in più. Quella che risiede nella capacità degli esseri umani di essere solidali, nonostante le regole sempre più spietate del capitalismo globale. Specie in tempi di crisi e con la concorrenza dei cinesi. I fratelli Dardenne, già due volte Palma d'oro, entrano prepotentemente nel concorso di Cannes con Deux jours, une nuit che, se non sarà terza Palma, potrebbe regalare un premio alla protagonista, la diva di casa Marion Cotillard. Lanciata in una carriera internazionale per i due autori belgi ha recitato in senza trucco e con indosso jeans e t-shirt nel ruolo di Sandra, un’operaia che sta per essere licenziata da una fabbrica di pannelli solari dopo una depressione da cui non si è ancora totalmente ripresa. Autostima sotto le scarpe, continue crisi di pianto, tavolette di Xanax sempre a portata di mano, Sandra ha un unico modo per salvare il posto di lavoro: convincere i suoi compagni, messi sotto ricatto dal padrone e dal caporeparto (Olivier Gourmet), a rinunciare a un bonus di 1.000 euro per farla riassumere. Per convincerli ha soltanto un fine settimana, due giorni e una notte, e l’aiuto del marito Manu (Fabrizio Rongione) che non smette per un istante di stare al suo fianco.
“La crisi economica non favorisce certo la solidarietà, ma questa non è mai stata una cosa scontata, va sempre costruita – spiega Luc Dardenne - anche negli anni ’60, quando si decideva uno sciopero, l'operaio doveva sempre parlare prima con la moglie perché scioperare significava perdere la paga. La solidarietà richiede un atto morale, una decisione. Dunque non credo che sia diminuita nei tempi attuali e il film mostra che esiste ancora, che Sandra, pur non avendo una coscienza politica o sindacale, ce la fa a costruirla”. Ma, rispetto agli anni '60, Sandra si muove in un contesto sociale dove l’individualismo ha completamente distorto i rapporti interpersonali e dove molte conquiste dei lavoratori sono state spazzate via: alcuni dei compagni di Sandra sono immigrati, tra le sue compagne c'è chi vorrebbe aiutarla ma si scontra con la durezza del marito, attaccato al tornaconto immediato. Il film mostra molto bene tutto questo e il faticoso processo che porta alla formazione di una coscienza. Per questo il finale è così importante. “Avevamo pensato varie soluzioni – racconta Jean-Pierre – alla fine abbiamo scelto di mostrare come la solidarietà dei colleghi e il sostegno del marito abbiano trasformato questa donna, all'inizio disperata e insicura, tanto da farle dire con fierezza ci siamo battuti bene”.
Come al solito nel loro cinema non si danno giudizi morali sui personaggi, neanche su coloro che preferiscono, per vari motivi, tenersi stretto il bonus. “I lavoratori – dice ancora Luc – sono stati messi gli uni contro gli altri, quindi in qualche modo non hanno scelta”. E aggiunge Jean-Pierre: “Hanno tutti delle buone ragioni per dire di sì o di no. Hanno bisogno di quei soldi per pagare le bollette o l’affitto o le tasse universitarie dei figli”.
Ma il film, coprodotto dalla Bim, è anche un interessante esperimento di cinema, Marion Cotillard è quasi irriconoscibile. Come già prima di lei la Cécile De France de Il ragazzo con la bicicletta aderisce completamente al realismo della messinscena. “Ci eravamo incontrati sul set del film di Jacques Audiard Un sapore di ruggine e ossa, di cui eravamo coproduttori”, racconta Luc. “Abbiamo iniziato a scrivere per lei la storia di una dottoressa di periferia, ma non ci convinceva e così è venuta l’idea di farle interpretare questo progetto che avevamo in mente da tempo. È vero, è un'icona, ma grazie al lavoro che facciamo, che è un lavoro molto concreto, molto fisico - camminare, cadere e rialzarsi, rispondere al telefono – è diventata Sandra, operaia, madre di due bambini, insicura e fragile. E ha trovato la giusta distanza anche nel rapporto col marito”. Interviene Marion: “Amo recitare nel ruolo di esseri umani che si battono per la propria vita e che scoprono delle cose nuove in questo percorso, le persone che riescono a sopravvivere e venir fuori da situazioni complicate mi commuovono profondamente”. Marion e Fabrizio Rongione – l’attore di origine italiana che abbiamo visto in diversi film dei Dardenne, tra cui Rosetta e L’enfant - raccontano il metodo di lavoro dei “fratelli” (les Frères, come li chiamano tutti): “Le prove per loro sono fondamentali, si comincia tre settimane prima delle riprese e non si finisce mai, cercano di arrivare alla perfezione nei movimenti dei personaggi e della macchina da presa”. E poi “pensano molto agli spettatori - aggiunge Marion - cosa che non è tanto comune negli altri registi”. E sull’idea di ricevere la Palma della recitazione non si tira indietro: “Ben vengano i premi che portano nuovi progetti e opportunità, come ho imparato vincendo l’Oscar per La vie en rose”.
Post n°11504 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
Michela Greco20/05/2014 ![](http://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=260&path=%2fpublic%2fnews%2f0007%2f7011%2floren_new.jpg) CANNES - "Che bella emozione, qui c'è anche lui grazie a quel manifesto. Marcello era straordinario, aveva un gran senso dell'umorismo, quando eravamo stanchi raccontava le barzellette. Abbiamo condiviso 20 anni di carriera lavorando e divertendoci". Oggi, la diva del Festival di Cannes èSophia Loren, protagonista sulla Croisette sotto lo sguardo ammiccante di Mastroianni, che si affaccia dalle gigantografie, per accompagnare in sala il restauro diMatrimonio all'italiana e il cortometraggio in cui è stata diretta da suo figlio Edoardo Ponti, Voce umana. "Un testo che ho letto quando ero molto giovane e che ho sempre sognato di fare, un monologo molto bello portato in scena da grandissime attrici, tra cui la straordinaria Magnani. Se un'attrice vuole cimentarsi con qualcosa di importante sceglie sempre Voce umana". E di certo è una sfida mettersi nei panni di una donna matura che affronta l'ultima conversazione con l'uomo che ama, ma che la sta lasciando per un'altra. Mente si avvicina a un traguardo importante - compie 80 anni il 20 settembre - la Loren non perde la sua allure da leggenda vivente. Lo è a tal punto che una piccola folla di giornalisti italiani ha atteso un'ora per poterla intervistare per appena 7 minuti e vederla nel suo abito blu elettrico. Sull'età che avanza è molto fatalista: "Che devo fare? Gli anni passano per tutti. Io comunque sto benissimo e ho tanta energia e voglia di fare. Mi resta infatti un sogno nel cassetto da realizzare, ma di cui non voglio rivelare nulla, è troppo importante". Del suo Paese, visto da fuori, dice che "è bellissimo, e speriamo che tutto vada bene, ma non solo per noi italiani, perché si soffre dappertutto", ma non vuole parlare di politica, "Non saprei farlo e non mi compete". Intanto ieri sera Cannes l'ha celebrata con una cena in suo onore in cui il mondo del cinema le ha riservato una commovente standing ovation e poi, dopo le proiezioni di stasera, domani la attende una Master Class: "Oddio che devo fare? Non dovrò raccontare la storia del cinema, vero? Ma tanto me la caverò, come sempre". Un mito la Loren, ma non per lei: ''Non mi sono mai considerata un mito, per questo vivo bene. Se ho eredi? Non lo so, bisogna vedere i film, e a me è piaciuto quello di Sorrentino, sono felice che abbia preso l'Oscar: si deve cominciare da qualche parte, e il successo porterà altre cose positive. In Italia abbiamo tante cose da dire, quelli che mancano sono i soldi''.
Post n°11503 pubblicato il 22 Maggio 2014 da Ladridicinema
Stefano Stefanutto Rosa20/05/2014 ![](http://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=260&path=%2fpublic%2fnews%2f0007%2f7013%2ffuturatittaferrantelamiglioreofferta.jpg) CANNES. Un portale unico del cinema, in partnership con ilMiBACT e IFC-Italian Film Commissions, fruibile a livello internazionale, che promuova ed esponga, in chiave immediata ed esaustiva, le risorse artistiche, culturali, industriali e professionali del cinema italiano e dei suoi territori. Il progetto, la cui realizzazione è prevista il prossimo autunno, è stato presentato all’Italian Pavilionnel corso dell’evento ‘La migliore offerta. 10 punti per il cinema italiano, come stimolo e base su cui lavorare nei prossimi mesi per istituzioni e associazioni e operatori del settore.
“Stiamo sviluppando un portale web che dia agli operatori italiani e stranieri gli strumenti per orientarsi tra le offerte e le opportunità - spiegano Maria Giuseppina Troccoli e Iole Maria Giannattasio della DG Cinema-MiBACT - Abbiamo abbracciato con entusiasmo l'iniziativa proposta da IFC (presieduta da Stefania Ippoliti, ndr) di realizzare questo spazio virtuale dove confluiranno tutte le informazioni del sostegno pubblico sia in termini di finanziamenti che di servizi, con una mappa di tutte le strutture attive. Sul portale si troveranno in inglese e in italiano, ma per il futuro vogliamo incrementare il numero di lingue, tutti gli schemi di sostegno statale e regionale. Ci sarà un livello per i sostegni centrali (diretti, indiretti, selettivi, automatici) e un livello per un sostegno locale e i servizi messi a disposizione dalle varie Film Commission. L'intento - concludono Troccoli e Giannattasio - è quello di creare uno spazio in cui un po' alla volta confluiranno tutti gli strumenti utili per conoscere le opportunità sul territorio”.
Quanto ai 10 temi caldi affrontati nel corso del confronto ‘La migliore offerta’, condotto dal regista Massimo Coppola, non sono mancati suggerimenti, proposte, indicazioni di lavoro. Ne sintetizziamo schematicamente alcune: ripensare l’utilizzo dei Fondi regionali come vere leve di sviluppo, concepite più in linea con la vocazione del territorio (Bruno Zambardino); utilizzo del patrimonio artistico nel cinema attraverso tariffe chiare, informazioni rapide e accessibili, e in sintonia con le Sovrintendenze consapevoli del cinema come valore e non come disturbo (Cristina Priarone); l’applicazione di protocolli green da parte delle produzioni, cioè pratiche di salvaguardia dell’ambiente in un’ottica di efficienza, risparmio e sviluppo sostenibile (Nevina Satta); promozione internazionale del nostro cinema con programmi mirati sui vari mercati internazionali e con una strategia nazionale, avendo presente che il cinema è un importantissimo veicolo del Made in Italy, uno dei marchi più affermati nel mondo (Carla Cattani); le coproduzioni rappresentino un’autentica opportunità di sviluppo e reperimento risorse a partire dalla revisione della convenzione europea che si aprirà ai paesi terzi (Roberto Olla); migliorare le coproduzioni per gli operatori indipendenti, grazie al contributo pubblico nella fase di sviluppo del progetto e alla semplificazione delle procedure amministrative ora troppo onerose (Marta Donzelli); operare nella formazione del pubblico giovane, nel sostegno del pubblico maturo e nell’attrazione di nuovi spettatori, a cominciare dall’assenza di un progetto di promozione del cinema italiano sul nostro territorio (Giorgio Gosetti); il tax credit esterno va migliorato per facilitare l’attrazione di grossi investimenti stranieri (Guido Cerasuolo); dotare di sale cinematografiche quelle numerose zone del paese che ne sono carenti e puntare sulla multiprogrammazione, grazie alla flessibilità del digitale (Richard Borg).
Post n°11502 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
Isabelle è un'attraente studentessa diciassettenne che vive con il fratello minore, la madre e il patrigno. Dopo un'estate al mare durante la quale ha avuto il suo primo (e insoddisfacente) rapporto sessuale torna in città e inizia a prostituirsi fissando appuntamenti via internet. Guadagna molto ma non spende. Un giorno però, durante un rapporto con uno dei clienti più assidui, succede un fatto che muta profondamente il corso della sua vita. François Ozon torna a suddividere una propria opera in capitoli così come aveva fatto per 5x2. Questa volta non segue cronologicamente al contrario il progressivo deteriorarsi di una coppia. Sono le stagioni, con il loro procedere dall'estate alla primavera, che segnano qui il passaggio all'età adulta di Isabelle (Lea per i clienti). Per questa indagine, in cui mostra di possedere un'acuta capacità di indagine socio-psicologica, utilizza un elemento della cultura che molti ritengono (spesso a torto) 'bassa': la canzone della cosiddetta musica leggera. Così Françoise Hardy torna per la terza volta in un suo film e ne sottolinea l'evolversi con 4 brani del suo repertorio. Ozon mostra e dimostra in questo modo quanto la cosiddetta cultura popolare possa cogliere il difficile tempo dell'adolescenza con la stessa dignità del poema di Arthur Rimbaud "Nessuno è serio a 17 anni" che viene analizzato nel corso delle lezioni che Isabelle frequenta. Il regista la segue attraverso lo sguardo di quattro personaggi: il fratello, un cliente, la madre, il patrigno. Il loro, però è solo uno sguardo temporaneo e dettato da motivazioni diverse. Subito dopo si torna a lei con la sua profonda solitudine, a cui cerca una soluzione, che è umiliante ma che Ozon non giudica. Non lo fa non perché si rifiuti di esplicitare una propria morale dinanzi alle azioni della sua protagonista. Il motivo è un altro: anche lui, come molti (tranne i falsi moralisti dei settimanali a sfondo gossip) non può fare altro che assistere impotente al mistero perenne dell'adolescenza che ai nostri giorni è però sottoposta a pressioni che si manifestano in misura esponenziale rispetto al passato. È come se Isabelle avesse bisogno ogni volta di dare un valore (anche materiale) alla propria avvenenza andando a cercare in figure adulte quella figura paterna che l'ha rifiutata. Ma questa è solo una delle possibili motivazioni. Solo un quinto sguardo, malinconicamente ferito, come il suo, potrà forse aiutarla a cancellare definitivamente Lea.
Post n°11501 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
A Cannes per promuovere I Due Volti di Gennaio, Viggo Mortensen ha parlato con il Telegraph delSignore degli Anelli. Riflettendo sul fantasy uscito 14 anni fa, l'attore non ha potuto fare a meno di sottolineare quanto sia stato difficile portare la trilogia sul grande schermo, svelando dei retroscena piuttosto critici: Tutti quelli che dicono che era un successo annunciato mentono. Ne abbiamo avuto prova solamente a maggio 2001, quando sono stati mostrati 20 minuti in anteprima a Cannes. La produzione era nei pasticci, e Peter aveva speso un mucchio di soldi. Formalmente si poteva dire che aveva finito la trilogia a dicembre 2000, ma il secondo e il terzo film erano un disastro. Erano molto sciatti, troppo incompleti. Servivano un mucchio di reshoot, cosa che alla fine abbiamo fatto anno dopo anno. Ma non ci avrebbero mai concesso ulteriori finanziamenti se il primo non si fosse rivelato un successo. Il secondo e il terzo sarebbero usciti direttamente in home video.
Secondo Mortensen, è La Compagnia dell'Anello il film venuto meglio, forse perchè girato in un'unica soluzione e senza troppe riprese aggiuntive: Era tutto molto confuso, giravamo con un ritmo impressionante, c'erano un mucchio di unità di ripresa simultanea. Il primo script era decisamente il migliore. Per di più, Peter era un appasionato di tecnologia, ma una volta ottenuti i mezzi e con la rivoluzione tecnologica, non si è mai più guardato alle spalle. Nel primo film, sì, c'è Granburrone, e Mordor, ma è tutto amalgamato in una qualità organica: ci sono attori che interagiscono, paesaggi reali; è più viscerale. Il secondo film ha cominciato a traballare fin troppo per i miei gusti, mentre il terzo film si è rivelato un tripudio di effetti speciali. Grandioso, non lo metto in dubbio, ma tutta la finezza del primo film è andata persa con i film successivi. E ora con Lo Hobbit, moltiplicate tutto per 10.
Le accuse proseguono: Immagino che Peter sia diventato un po' come Ridley Scott - un uomo al servizio dell'industria con un mucchio di persone che contano su di lui. Ma c'è sempre una scelta. Credevo che [dopo Il Signore degli Anelli] Peter avrebbe girato un altro film molto intimo come Creature del Cielo: mi parlò di un progetto sulla Nuova Zelanda in guerra. Ma poi ha girato King Kong. Subito dopo, Amabili Resti, che credevo sarebbe stato un film di proporzioni umili. Eppure il budget alla fine si aggirava attorno ai 90 milioni di dollari; ne bastavano 15. Era troppo tardi: il mito degli effetti speciali lo aveva offuscato. Ma lui è contento, credo...
Post n°11500 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
Dopo l’ottimo debutto del 6 maggio, Gomorra – La serie torna su Sky Atlantic e su Sky Cinema 1 con il terzo e il quarto episodio, e finalmente entreremo nel vivo dell’azione: l’appuntamento è per martedì 13 maggio alle 21:10 Finora sono andati in onda solo due episodi, ma Gomorra – La serie è già un cult, e i numeri lo confermano: 660,000 spettatori medi, una permanenza del 67%, la pre-vendita in 40 paesi (tra cui gli Stati Uniti d’America, la patria della serialità televisiva di un certo spessore), e qualcosa comequattromila (!) e più tweet, per non parlare delle decine e decine di articoli tra il web e la carta stampata. Non c’è che dire: la serie realizzata da Sky con due tra le maggiori società italiane di produzione televisiva e cinematografica, Cattleya e Fandango, e in collaborazione con La7 e in associazione con Beta Film, ha convinto pubblico e critica, e dopo l’ottimo debutto si appresta a tornare sugli schermi degli abbonati con due nuovi episodi in onda martedì 13 maggio alle 21:10 in contemporanea su Sky Atlantic e su Sky Cinema 1. Nel terzo capitolo vedremo le conseguenze dell’arresto di Pietro Savastano, che verrà rinchiuso nel carcere di Poggioreale: chi si occuperà di gestire gli affari come si deve? Chi prenderà le decisioni per il clan intero? Ciro è il luogotenente di Pietro, ma Genny è il vero erede, e questo di Marzio lo sa bene. Il quarto capitolo, invece, vedrà sempre il boss in carcere, mentre i suoi uomini avranno a che fare con i nigeriani, che sperano di approfittare del vuoto di potere per guadagnare di più dalla vendita del crack. L’appuntamento con Gomorra – La serie è ogni martedì alle 21:10 su Sky Atlantic e su Sky Cinema 1.
Post n°11499 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
Ospite allo show di Conan O’Brien, George R.R. Martin, l’autore delle Cronache del ghiaccio e del fuoco, ha parlato ancora una volta del suo tanto atteso nuovo romanzo The Winds of Winter e non solo. Come vi abbiamo riportato, le pressioni sul buon Martin perché finisco presto il romanzo sono quasi insostenibili. Va detto che lui se ne cura poco, anche perché è alieno alla tecnologia più di vostro nonno. Nell’intervista, che trovate qui sotto, ha infatti confessato che quando lavora ai libri della saga lo fa su un computer dodato nientemeno che di DOS, senza accesso a internet, né tantomeno correzione automatica, anche perché altrimenti con tutti i nomi astrusi presenti nei romanzi impazzirebbe o finirebbe per scagliare il suo word processor antidiluviano fuori dalla finestra.
Post n°11498 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
A distanza di quasi tre anni dalla pubblicazione negli Stati Uniti del romanzo A Dance with Dragons(suddiviso nell’edizione italiana in I guerrieri del ghiaccio, I fuochi di Valyria e La danza dei draghi), continuano lentamente ad apparire le prime indiscrezioni e anticipazioni su The Winds of Winter, il penultimo romanzo della saga Cronache del ghiaccio e del fuoco che dovrebbe essere stampato nel 2015. Lo scrittore George R.R. Martin aveva annunciato che il nuovo tassello della storia sarebbe iniziato riprendendo le due grandi battaglie introdotte ne La danza dei draghi: quella del Nord e quella che si svolge a Meereen – la battaglia della Baia degli Schiavi. Alcuni capitoli pubblicati online avevano infatti colmato alcuni vuoti narrativi lasciati in sospeso nel quinto romanzo della saga. Entertainment Weekly ha ora pubblicato in anteprima un estratto dedicato a Tyrion Lannister, che verrà diffuso nella sua versione integrale quando il mese prossimo la casa editrice Random House renderà disponibile l’app George R.R. Martin’s A World of Ice and Fire, sulle piattaforme iTunes e Google Play, che offrirà descrizioni dettagliate di personaggi e luoghi, oltre al capitolo in esclusiva dedicato all’amato personaggio. Ecco l’estratto in anteprima: TYRION Somewhere off in the far distance, a dying man was screaming for his mother. “To horse!” a man was yelling in Ghiscari, in the next camp to the north of the Second Sons. “To horse! To horse!” High and shrill, his voice carried a long way in the morning air, far beyond his own encampment. Tyrion knew just enough Ghiscari to understand the words, but the fear in his voice would have been plain in any tongue. I know how he feels. (Da qualche parte in lontananza un uomo sul punto di morte stava urlando chiamando sua madre. “A cavallo!” un uomo stava gridando in Ghiscari, nel prossimo campo a nord dei Secondi Figli. “A cavallo! A cavallo!”Acuta e squillante, la sua voce si diffondeva molto lontana grazie all’aria del mattino, ben oltre l’accampamento. Tyrion sapeva solo quel poco di Ghiscari necessario a capire le parole, ma la paura nella sua voce sarebbe stata comprensibile in ogni lingua. So come si sente.)
Post n°11497 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
Cari amanti della saga e della serie di maggior successo di questi tempi abbiate pazienza, e fiducia. L’autore delle "Cronache del ghiaccio e del fuoco", George R.R. Martin, sta lavorando alacremente al tanto atteso nuovo romanzo. Lo ha detto lui stesso nel corso di un’apparizione a sorpresa al Barclays Center di Brooklyn per rispondere alle domande dei fan sul sesto libro della serie, The Winds of Winter. Nel corso del fuoco di fila di domande, condotto dal gigante Kristian “Hodor” Nairn, Martin ha voluto anticipare il pubblico con un sonoro “Ci sto lavorando!”. Ha poi detto che l’adattamento della HBO è stato fedele, “sì, ci sono dei cambiamenti, ma sono necessari, abbiamo solo dieci ore per raccontare la storia di ogni stagione.” Sull’uscita del libro ha dichiarato di aver smesso di fare previsioni su quando finirà effettivamente a scrivere ogni nuovo capitolo della serie “circa tre libri fa, ma sono davvero ottimista sulla conclusione in tempi brevi. Sarà finito quando è finito”. Il processo di scrittura è spesso interrotto dagli altri obblighi che impegnano lo scrittore, che ha detto che lavora sette giorni a settimana, talvolta su altri progetti. “Ho delle buone giornate, qualche volta ho una giornataccia. E via così di nuovo. Non lascio che le enormi aspettative dei fan mi condizionino... troppo. Ma sarebbe una bugia, nessuno vuole questo libro finito più di me”. Lo ha detto davanti a 7000 fan appassionati presenti a Brooklyn, che hanno rappresentato milioni di appassionati della saga in tutto il mondo che sono in trepidazione per vedere come finiranno le avventure del ghiaccio e del fuoco.
Post n°11496 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
Guidò lo Stabile di Torino dal 1976 all’84, tra i suoi spettacoli più noti "I Giganti della Montagna" e la "Mandragola". Per il cinema diresse nel 1963 "La bella di Lodi" con una giovanissima Stefania Sandrelli “Uno dei padri fondatori della regia teatrale in Italia”, motivazione per la quale nel 2012 ha ricevuto il Premio Pirandello. È morto a Torino Mario Missiroli, regista cinematografico e di teatro. Nato a Bergamo nel 1934, nel 1963 aveva diretto il film La bella di Lodi, su soggetto di Alberto Arbasino, con una giovanissima Stefania Sandrelli. Dagli anni Sessanta si era imposto sulla scena con spettacoli innovativi e provocatori, che portarono a una svolta nel modo di fare teatro. Fu per quasi dieci anni alla guida del Teatro Stabile di Torino, dal 1977 al 1985. Durante questi anni diresse opere come Eva Peron di Copi, L’ispettore generale di Gogol, La locandiera e Trilogia della villeggiatura di Goldoni, Il Tartufo di Molière, Zio Vanja di Cechov, Verso Damasco di August Strindberg, I giganti della montagna e Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, La Mandragola di Niccolò Machiavelli. Tra i tanti attori con i quali lavorò nel corso della sua lunga carriera si ricordano, Adriana Asti, Anna Maria Guarnieri, Ugo Tognazzi, Arnoldo Foà, Gastone Moschin, Monica Guerritore, Glauco Mauri, Anna Proclemer, Giuseppe Cederna, Valeria Moriconi, Umberto Orsini, Laura Betti. “È stato un regista fondamentale nella storia del teatro italiano del Novecento”, afferma il direttore artistico dello Stabile, Mario Martone, “artista e insieme intellettuale lucidissimo. E uno dei più grandi direttori che abbia avuto lo Stabile di Torino”. La camera ardente sarà allestita da mercoledì al Teatro Gobetti di Torino.
Post n°11495 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
Foxcatcher di Bennett Miller (già regista di Capote e Moneyball), The Homesman di Tommy Lee Jones, e il caustico e attesissimo Maps to the Stars di David Cronenberg, canadese ma di produzione statunitense. Tre film paralleli e diversissimi ma tutti legati alla parabola americana, che parte dal Sogno e si chiude con l’inevitabile consapevolezza che la realtà è ben altro “Buongiorno, mi chiamo Mark Schulzt e sono qui per parlarvi dell’America”. Il campione olimpico di wrestler prono al microfono, la sua platea è una classe elementare. Perché almeno loro, all’American Dream sono tenuti a credere, finché innocenza persiste. La bandiera a Stelle&strisce completa oggi il suo approdo al concorso di Cannes, portando sul grande schermo le estreme contraddizioni del Paese più influente del pianeta oltre che uno squadrone di star hollywoodiane. Da Channing Tatum a Hilary Swank, da Mark Ruffalo a Julianne Moore, da John Cusack aRobert Pattinson (nella foto). La battuta sopracitata apre l’ottimo Foxcatcher di Bennett Miller (già regista di Capote eMoneyball), che segue di un giorno la proiezione dell’altrettanto convincente The Homesman diTommy Lee Jones, a cui si aggiunge sempre oggi il caustico e attesissimo Maps to the Stars diDavid Cronenberg, canadese ma di produzione statunitense. Tre film paralleli e diversissimi ma tutti legati alla parabola americana, che parte dal Sogno e si chiude con l’inevitabile consapevolezza che la realtà è ben altro. Dall’ottocentesco Far West degli spregiudicati pionieri di Lee Jones alla Hollywood spietata di Cronenberg passando per l’oligarchia ricattatoria e criminale di Miller, il risultato sembra confermare il crescente interesse dei cineasti americani a mostrare che “il re è nudo”, il Mito esaurito o meglio delegato a Wall Street: vuoi che si parli di sport, cinema o terre di conquista. I protagonisti dei tre film sono tutti dei disperati, consapevolmente o meno, e chi ancora si affida ai Valori di un’Etica radicata viene fatto fuori (l’allenatore di wrestling Dave Schultz, fratello del campione olimpico Mark in Foxcatcher) o si auto elimina dalla scena (la coraggiosa e integerrima Cully di The Homesman). Certo, il racconto (letterario, artistico…) della Tragedia Americana è precoce rispetto alla nascita della Nazione stessa, tuttavia è sempre più chiaro che oggi sia diventato connaturato a qualunque narrazione si voglia sviluppare attorno agli States: non ci sono mezze misure, esistono solo i mostruosi assassini sulla collina di Hollywood pronti a scannarsi talvolta senza un motivo.Babystar 13enni quotidianamente dallo psicanalista fino a diventare assassini (l’enfant terrible Benji di Maps to the Stars), miserabili donne che impazziscono per stupro, infanticidio subito o causato e diventano il pretesto per illustrare un West “dorato” sullo nella Leggenda (le tre donne diThe Homesman), un giovane campione spezzato dalla megalomania psicopatica di un ricco patriota (Foxcatcher): la sintesi apocalittica di un Paese alla deriva ma che persegue ostinatamente l’idea (diventata ideologia) di essere il Modello di pace e giustizia per il mondo intero. Qualitativamente i tre film non presentano omogeneità: decisamente sotto il suo abituale livello, il maestro dell’umana mostruosità David Cronenberg con Maps to the Stars (nelle sale italiane già dal 21 maggio) sembra aver abbozzato un frettoloso disegno più che aver dipinto un affresco, benché il soggetto del suo lavoro sia d’innegabile impatto. Migliori le prove dei suoi colleghi, da cui è probabile attendersi alcuni riconoscimenti al Palmares di questa Cannes finora non eccellente.
Post n°11494 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
Andrea Guglielmino19/05/2014 ![](http://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=260&path=%2fpublic%2fnews%2f0006%2f6991%2ffoxcatcher.jpg) CANNES – E’ un fatto di cronaca nera a ispirare il plot diFoxcatcher, il film di Bennet Miller con Channing Tatume Mark Ruffalo nei panni di due fratelli campioni di lotta libera che si ritrovano ingaggiati da un magnate con turbe psichiche (un eccezionale e irriconoscibile Steve Carell, che siamo abituati a vedere in ruoli brillanti) che finisce per assassinarne uno dei due. Il fratello superstite, Mark Schultz, dopo aver vinto i campionati ha raccontato il tutto in una biografia che è stata la base per la sceneggiatura del film. “Abbiamo cercato di avere contatti con gli Schultz il più possibile – racconta il cast – ci è capitato di mangiare con loro e di parlare del triste destino di Dave. Mark è veramente una persona sensibile e speciale”.
“Mi ha allenato – dice in particolar modo il suo interprete Tatum, calatissimo nella parte complice un trucco molto ben fatto che gli inasprisce i tratti del viso – la sua presenza sul set era una cosa polarizzante e in qualche modo mi terrorizzava”. Il fratello ucciso è invece interpretato da Mark Ruffalo: “Per il mio omonimo Mark era terribile e io lo sentivo. Sostanzialmente, stava rivivendo il momento più brutto della sua vita. E’ diventato una sorta di consigliere anche per me e ho stretto molta amicizia anche con la vedova di Dave e con i bambini. Lei è una donna straordinaria”.
Più difficile il ruolo di Carell con inediti toni drammatici. John du Pont non è solo il magnate dietro all’omonima azienda chimica, ma soprattutto un uomo insoddisfatto e con un rapporto conflittuale con la madre (Vanessa Redgrave). Il suo sogno è entrare nel mondo della lotta libera e i suoi soldi glie lo permettono, anche se non ha il minimo talento. Prima finanzia la migliore squadra americana, infine addirittura la allena. “Il processo non è diverso da quello di una commedia – spiega – l’attore non si pone il problema di essere in un dramma o in una commedia. Approccia un personaggio e ne racconta la storia, semplicemente. Non ho potuto incontrare il vero du Pont, che è morto in carcere nel 2010. Ho letto il più possibile su di lui e mi sono documentato, grazie soprattutto a dei video documentari che aveva commissionato per sé e per la sua famiglia. Non capiremo mai quali demoni si portasse davvero dentro ma abbiamo cercato di renderli al meglio”. “E’ chiaramente una storia assurda e con un finale tragico – dice il regista Miller – ma iò che mi ha colpito è che ha temi universali, che riguardano il mondo dove viviamo e il nostro paese. Non è un film politico ma parla di declino. E’ come se avessimo filtrato il mondo attraverso un microscopio”.
“Si tratta fondamentalmente di capire – conclude Ruffalo – cosa accade a persone semplici e talentuose che si trovano però catapultate in un sistema dove ogni cosa, compreso il talento, ha un prezzo. Non possono dedicarsi alla loro passione senza essere comprati. Questo è il prezzo della modernità”.
Post n°11493 pubblicato il 19 Maggio 2014 da Ladridicinema
Andrea Guglielmino18/05/2014 ![](http://news.cinecitta.com/photo.aspx?s=1&w=260&path=%2fpublic%2fnews%2f0006%2f6981%2fthe+homesman.jpg) CANNES – Emoziona, sorprende e porta a casa applausi – almeno dalla stampa – The Homesman, l’opera seconda diTommy Lee Jones, che già aveva vinto al Palma d’oro per miglior attore e miglior sceneggiatura per Le tre sepolture. Siamo in ambito western, ma con un canovaccio atipico, rinforzato da personaggi molto ben scritti e da un colpo di scena particolarmente shockante a metà film.
L’attore e regista interpreta un furfante che viene salvato dall’impiccagione da una pioniera zitella, rude e autoritaria (Hilary Swank, tanto forte e mascolina su schermo quanto sorprendentemente morbida e affascinante in conferenza stampa). In cambio, la signora gli chiede di aiutarla a compiere la propria missione: scortare presso una struttura specializzata tre donne gravemente malate di mente. Il viaggio è lungo e pericoloso, tra rigide settimane d’inverno e aggressive tribù di indiani, ma diventerà per l’uomo motivo di crescita e redenzione. Nel cast anche Miranda Otto e, in un cameo, Meryl Streep.
“Se scrivi e dirigi tutto diviene più facile – dice Jones che ha tratto la pellicola dal romanzo di Glendon Swarthout del 1988 – Ho fatto tutto quel che volevo e in questo caso, come attore, mi veniva particolarmente facile attenermi al volere del regista. Hilary l'ho scelta immediatamente. Era perfetta fisicamente e psicologicamente e anche per una questione etnica. Viene dal Nebraska e non ha paura di muli e cavalli. E’ una storia di pionieri che in qualche modo ci spiega com’erano gli Stati Uniti prima di diventare gli Stati Uniti. Ho letto molti libri e uno in particolare spiegava come venivano trattate le patologie mentali nel 19mo secolo. Diceva che per curare una donna dalla schizofrenia bisognava immergerla in acqua ghiacciata. Ho studiato i dettagli, come venivano costruite le case, che erano ben poco accoglienti”.
Tra i produttori c’è nientemeno che Luc Besson, che conferma: “E’ in qualche modo uno scenario esotico. Racconta una parte del West che in realtà non conosciamo. Conosciamo il sogno americano, ma non quello che succedeva prima che questo nascesse. Gli inverni così duri, ad esempio, al cinema si vedono raramente”. “Fronteggiare il clima è stato particolarmente complicato – afferma Hilary Swank – più che montare a cavallo. Ma in qualche modo serviva a calarsi nel personaggio. Pensiamo che a quei tempi si arrivava a fine giornata infreddoliti e con la sabbia in bocca e tra i capelli. Succedeva anche a noi, però dopo almeno ci aspettava un bagno caldo”.
Swank è conosciuta per il suo look androgino e spigoloso, ma oggi in conferenza appare più bella, raggiante e femminile che mai: “Beh, la bellezza è sempre un concetto relativo – commenta l’attrice – trovo che il mio personaggio rappresenti un’ideale di bellezza. E’ una donna vera, forte, ma anche sola e molto sensibile. Assorbe tutti i disagi delle donne malate che porta con sé. Quanto può durare una persona? Quanto può resistere? Erano tempi veramente difficili da attraversare e lei riflette tutto questo”.
“Non era facile per una donna sola – conclude Jones – ma il senso del film è proprio questo, focalizzare anche sulla condizione femminile. Le donne non dovrebbero mai sentirsi come oggetti. Ho cercato un modo originale di raccontarlo e ho preso il mio cammino”.
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il 28/03/2022 alle 11:57
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