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Messaggi di Gennaio 2015

 

«The Newsroom», la serie tv utile (anche) ai giornalisti da corriere.it

Post n°12115 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

 

La fiction sul giornalismo Usa potrebbe essere uno strumento di aggiornamento professionale, tanto che l’Ordine dovrebbe trasformarne la visione in un corso
di Aldo Grsso

 

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Una modesta proposta. I giornalisti italiani devono frequentare i corsi di formazione resi obbligatori da una legge che riforma gli Ordini professionali. Partecipando a corsi ad hoc, organizzati dall’Ordine, o ad altri eventi formativi riconosciuti, il giornalista deve acquisire nell’arco di un triennio 60 crediti formativi, con un minimo di 15 crediti annuali. 

Siccome i pochissimi corsi gratuiti sono già tutti esauriti (suscitando non poche polemiche), ne vorrei consigliare uno: «The Newsroom», la serie firmata da Aaron Sorkin. Negli Usa è già in onda la terza stagione; da noi, su Rai3, è visibile la seconda (giovedì, 23.15). Com’è noto, la serie racconta il lavoro della redazione giornalistica di un programma d’informazione: Will McAvoy (Jeff Daniels) è il carismatico anchorman della trasmissione «News Night», affiancato dalla produttrice Mackenzie McHale (la sua «coscienza professionale») e da una squadra di giovani giornalisti che affrontano con grande passione le insidie e le gioie del mestiere. La missione di Will è quella di trasformare il suo programma in uno strumento d’informazione a servizio dell’elettorato e dunque della società americana, senza curarsi troppo degli ascolti. 

 

 

È vero, «The Newsroom» non è piaciuta molto ai «veri» giornalisti che hanno intravvisto nella fiction un astratto e idealizzato trattato sulla professione, una sorta di lezioncina su come svolgere il proprio lavoro, sentendosi chiamati in causa soprattutto perché la serie si sofferma spesso su come gli organi d’informazione non abbiano coperto con l’adeguata accuratezza e imparzialità vicende importanti e recenti. Ma proprio qui, nel senso di inadeguatezza tra un modello ideale e la vita di tutti giorni, si possono scovare i crediti formativi. 
Per di più «a gratis», su una tv generalista. Dimenticavo: il titolo del corso è il seguente: «Come garantire un’informazione di qualità, semplicemente facendo bene il proprio lavoro».

 
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The Newsroom: Recensione dell’episodio 3.06 – What Kind of Day Has It Been da telefilm-central.org

Post n°12114 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

The Newsroom: Recensione dell’episodio 3.06 – What Kind of Day Has It Been

The Newsroom: Recensione dell’episodio 3.06 – What Kind of Day Has It Been

Giace qui l’hidalgo forte / che i più forti superò,
e che pure nella morte / la sua vita trionfò.
Fu del mondo, ad ogni tratto, / lo spavento e la paura;
fu per lui la gran ventura / morir savio e viver matto.
(Don Chisciotte della Mancia, Miguel de Cervantes)

Schermata 2014 12 22 alle 09.59.37 200x150 The Newsroom: Recensione dellepisodio 3.06   What Kind of Day Has It BeenSiamo purtroppo qui a celebrare un funerale. E nonostante si dica sempre che la persona dipartita fosse buona e brava, insomma la migliore, noi non vogliamo essere certo ipocriti e affermare che chi è venuto a mancare fosse completamente perfetto. E no, non parlo di Charlie Skinner.
L’episodio si apre infatti con il suo di funerale. Una messa solenne e un lungo corteo di macchine accompagnano la fine di uno dei personaggi televisivi più integri, più leali che abbiamo finora conosciuto. E si, di lui possiamo veramente dire che era una brava persona.
Ma qui non siamo solo al funerale di Charlie Skinner. Qui assistiamo alla celebrazione della fine della serie stessa. Di una serie che ha avuto un destino sfortunato.
Aaron Sokin, padre e boia al tempo stesso, costruisce questa puntata intorno alla memoria e al ricordo, intrecciando presente e passato. Un elogio alla sua creatura e ai personaggi, che in alcuni punti forse pecca di saccenza e perbenismo e in altre sembra rispondere troppo fedelmente alle pretese del pubblico americano che in questi anni non l’ha premiato poi più di tanto. Ciò che ci racconta Sorkin in questa puntata è quasi scontato a volte, ma gli encomi servono a ricordare le gesta degli eroi e non i loro misfatti.

Passato
Schermata 2014 12 22 alle 10.48.06 200x150 The Newsroom: Recensione dellepisodio 3.06   What Kind of Day Has It BeenVi siete mai chiesti come sia arrivata Mackenzie a guidare il notiziario più seguito dagli Americani? Come mai proprio l’ex fidanzata del presentatore, con idee completamente opposte alle sue riguardo a cosa sia il giornalismo, si ritrova a sedere nell’ufficio accanto e a dovergli dare ordini?
The master of puppets, il deux ex machina dietro l’operazione è, come già sapevamo, proprio lui, Charlie Skinner. Ciò che non conoscevamo ancora erano le argomentazioni che Charlie espone a Mackenzie per convincerla ad accettare il lavoro. Non solo lamissione di civilizzazione che ha animato la ciurma in queste tre stagioni, ma anche un aspetto più intimo, più umano come l’amore tra un uomo e una donna. L’amor che move il sole e l’altre stelle.

Presente (e futuro)
Un amore a cui è concesso anche interrompere una messa funebre e strappare un sorriso al nostro anchorman alla notizia che diventerà padre. Charlie, Will e Mackenzie sono stati i tre pilastri intorno a cui si sono mosse le vicende di questa serie. Charlie, Will e Mackenzie come tre facce di una stessa medaglia, tre volti di una stessa persona, di unmoderno Don Chisciotte (al secolo Aaron Sorkin) che decide di combattere contro i mulini a vento del gossip e del dilettantismo. E lo fa reclutando un esercito di giovani leve che credono come lui che il giornalismo non è una professione, ma una vocazione.
4 d490ed78a9 200x150 The Newsroom: Recensione dellepisodio 3.06   What Kind of Day Has It BeenSiamo alla fine di un percorso ma siamo anche all’inizio di un altro: con la morte di Charlie e l’arrivo di Pruitt il destino della redazione sembra andare verso nefasti addii. Sarà l’intervento della matrigna cattiva, Leona Lansing, a salvare le sorti di tutti e a convincere (imporre a) Pruitt ad assumere Mackenzie come nuovo presidente della ACN.

E vissero tutti felici e contenti… penserete voi. In realtà a me questa puntata un pò di amaro in bocca lo ha lasciato. Perché se nella finzione la storia ha, a modo suo, unhappy ending (Will che sta per diventare padre, Mackenzie a capo della ACN, Jim promosso a PE, Maggie che parte per Washington, Neal che torna a dirigere ACN Digital), in realtà il progetto di Sorkin di raccontare un modo di fare giornalismo, che spesso non si allinea con quello reale, si è scontrato contro il nemico primo che la finzione ha dovuto combattere, gli ascolti.

Anche per questa ultima puntata Aaron Sorkin ci regala un’altra canzone della tradizione americana il cui testo si intreccia con le vicende dei nostri. If you love somebody enough you’ll follow wherever they go / If you love somebody enough you’ll go where your heart wants to go si legge in alcuni versi: e non importa se quel somebody sia un uomo, una donna o un lavoro. Bisogna decidere di amare col cuore, ma anche con la testa.

 
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Arabia Saudita: blogger condannato a 10 anni e 1000 frustate da radiovaticana

Post n°12113 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Moglie del blogger condannato in Arabia Saudita - AFP

15/01/2015 12:27

 

Sit-in, oggi, di fronte all'Ambasciata dell'Arabia Saudita a Roma per chiedere l'annullamento della condanna a 10 anni di carcere e a 1000 frustate inflitta a Raif Badawi, il blogger dissidente giudicato colpevole di aver offeso l'Islam sul suo forum online "Liberali dell'Arabia saudita". A organizzare l'appuntamento è  stata Amnesty International Italia, con il supporto della Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) e l'associazione per la libertà di stampa Articolo 21. È previsto che le 1000 frustate siano eseguite con scadenza settimanale, 50 per volta. Le autorità saudite hanno reso noto che la seconda serie, dopo quella di venerdì scorso, avverrà domani16 gennaio, in una pubblica piazza di Gedda. Fausta Speranza ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia:

R. – Il governo di Riad da un lato difende la libertà di espressione dei giornalisti di Charlie Hebdo massacrati a Parigi ma, dall’altro, condanna a mille frustrate un blogger dissidente che non ha fatto altro che esercitare il suo diritto alla libertà di espressione. Lo fa con una gogna, abbiamo visto la prima serie di frustrate inflitte venerdì scorso e la seconda rischia di essere inflitta tra poche ore.

D. – Qual è la colpa di questo giovane, che cosa ha detto in sostanza?

R. – Ha fatto qualcosa che è assolutamente legittimo: ha organizzato online un sito, un forum, per una discussione su vari aspetti, compresa ovviamente la religione. Ha criticato lo zelo con cui la polizia religiosa persegue comportamenti non conformi, non consentiti; ha detto che le religioni sono uguali e che è possibile, anche in un Paese governato dalla legge islamica, professare altre fedi. Non ha fatto nient’altro che esercitare un diritto fondamentale, esprimendo le sue idee online, creando un dibattito nel Paese. Questo ha dato fastidio alle autorità.

D. – Che cosa sappiamo dell’eco tra la gente in Arabia Saudita?

R. – Molto poco! L’unica eco che abbiamo constato, dalle testimonianze oculari, sono le grida “Dio è grande” quando è terminata l’esecuzione delle 50 frustrate. Ricordo che avvengono in piazza, in luogo pubblico, alla fine della preghiera del venerdì, di fronte alla moschea della città di Gedda. E’ come se con quel castigo, quella gogna, le persone intorno abbiano creduto che quell’uomo fosse stato, in qualche modo, purificato.

D. – Sullo sfondo c’è una situazione più ampia di difficoltà in tema di diritti umani in Arabia Saudita…

R. – Non c’è dubbio. Pensiamo che l’avvocato di Raif Badawi si è visto inasprire la condanna da 10 a 15 anni in appello all’inizio di questa settimana, pensiamo che ci sono leggi antiterrorismo assolutamente vaghe e formulate in modo da impedire anche l’espressione del dissenso pacifico e poi pensiamo che ci sono avvocati, attivisti per i diritti umani e organi di monitoraggio indipendente, che sono falcidiati da arresti e condanne su base mensile…

D. – Che cosa dire del possibile intervento della Comunità internazionale?

R. – Ci sono state delle proteste abbastanza blande, devo dire. I governi che hanno rapporti politici, economici e anche militari con l’Arabia Saudita, gli Stati Uniti in particolare, hanno espresso una condanna, però evidentemente non è bastata. Bisogna fare molto di più! Il rischio è duplice: da un lato, che la pressione dei governi non fermi questa ignobile pratica delle frustrate, dall’altra che magari ci riesca ma che ci si fermi lì e che il caso di Raif Badawi finisca nell’oblio. Speriamo che al più presto siano terminate le frustrate, ma comunque scatterà la condanna a dieci anni di carcere.

D. – Ma non ci sarebbero sedi internazionali in cui discutere casi come questi, o comunque le problematiche che ci sono dietro?

R. – Sarebbe certamente possibile se i diritti umani fossero un argomento di costante attenzione e non un tema da usare quando fa comodo, e quindi da usare contro il nemico di turno o da dimenticare invece quando si tratta degli amici di turno. Purtroppo così non è! Il paradosso è che al centro di questa situazione c’è un Paese che con l’Occidente ha rapporti molto importanti.

 
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Il contestato Exodus in testa da ansa

Post n°12112 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

 

 

Il contestato Exodus re del box officeAmerican Sniper a oltre 15 mln, Si accettano miracoli a 14 mln

 

 

(ANSA) - ROMA, 19 GEN - Il contestato film Exodus: Dei e re conquista al debutto la classifica del box office con oltre 2,6 mln di euro di incasso in 4 giorni, scalzando dalla vetta American Sniper di Clint Eastwood (15,4 mln in 3 settimane).
    L'inglese La Teoria del tutto entra al terzo posto, con la miglior media per schermo (4.517). La commedia di Alessandro Siani Si accettano miracoli vola ancora alto e supera i 14 mln.
    Le new entry Asterix e Italo si piazzano al sesto e nono posto.
    Il box office risale a +9%.

 
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MarciadiParigi.ReportersenzaFrontiere:èstatala“sfilatadell’ipocrisia” da nena news

Post n°12111 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Tutti in prima fila e a braccetto, 40 tra i più importanti leader mondiali si sono uniti alla marcia organizzata ieri a Parigi in solidarietà a Charlie Hébdo. Ma un comunicato di Reporter senza Frontiere e una serie di tweet ricordano a tutti chi sono molti dei prodi difensori della libertà di espressione 

François Hollande _n Paris march

di Jared Keller – Mic

Roma, 12 gennaio 2015, Nena News - Milioni di persone sono scese domenica per le strade di Parigi e nelle città di tutta la Francia in difesa della libertà di parola e contro il terrorismo a seguito dell’attacco di mercoledì scorso al giornale satirico Charlie Hébdo. Il ministero dell’Interno francese ha detto all’ Associated Press che 3,7 milioni di persone hanno marciato in tutta la Francia, rendendo la manifestazione la più grande nella storia del Paese.

In aggiunta al peso simbolico delle manifestazioni, più di 40 leader mondiali hanno partecipato all’inizio della marcia di Parigi, tutti a braccetto in un atto di solidarietà. Ma, come ricorda l’organizzazione Reporter senza Frontiere, le loro politiche a casa sono tutt’altro che compatibili con la solidarietà mostrata per la libertà di parola in tutta la Francia.

L’organizzazione si è dichiarata “sconvolta per la presenza di leader di paesi in cui giornalisti e blogger sono sistematicamente perseguitati come l’Egitto (classificato al 159esimo posto su 180 paesi nell’indice sulla libertà di stampa di RSF), la Russia (148), la Turchia (154 ) e gli Emirati Arabi Uniti (118)”.

“Dobbiamo dimostrare la nostra solidarietà a Charlie Hébdo – ha dichiarato ieri il segretario generale di Reporter senza Frontiere Christophe Deloire – senza dimenticare tutti gli altri Charlie del mondo. Sarebbe inaccettabile se i rappresentanti dei paesi che impongono il silenzio ai propri giornalisti dovessero sfruttare l’attuale effusione di emozione per cercare di migliorare la propria immagine internazionale e poi continuare le loro politiche repressive quando tornano a casa. Non dobbiamo permettere che i predatori della libertà di stampa sputino sulle tombe di Charlie Hébdo“.

Ha ragione. In quello che può solo essere descritto come una serie epica di 21 tweet taglienti, il co-presidente della London School for Economics Middle East Society Daniel Wickham sottolinea che molti dei leader mondiali che hanno sfilato domenica per le strade di Parigi non sono i più grandi sostenitori al mondo della libertà di stampa.

- See more at: http://nena-news.it/marcia-di-parigi-la-sfilata-dellipocrisia/#sthash.S8LQLvxJ.dpuf

 
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“Nel nostro Paese la democrazia è marcia” da Articolo21

Post n°12110 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

“Nel nostro Paese la democrazia è marcia”. “E noi giornalisti dobbiamo modificare i nostri codici di interpretazione della realtà” Intervista a Riccardo Iacona

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L’Italia non ha ancora utilizzato una parte dei Fondi europei. Quindici miliardi di euro andranno persi se non verranno spesi entro la fine di quest’anno. Il 28 settembre scorso le telecamere di “Presadiretta”, nella puntata finale della prima serie della stagione 2014-2015 hanno seguito e raccontato questo fiume di denaro arrivato in Italia e disperso in mille progetti, spesso inutili. E anche quelli validi rischiano di fallire per colpa dell’inefficienza della burocrazia. Che fine faranno i grandi progetti per la messa in sicurezza di Pompei, il recupero del centro storico di Napoli o la riqualificazione del porto partenopeo?
“Presadiretta” è tornata l’11 gennaio su Rai3 con dodici nuove puntate in prima serata ed è ripartita proprio dal tema della (mancata) valorizzazione del territorio. Ne parliamo con l’autore e conduttore Riccardo Iacona (nella foto).

Ripartite nel nuovo anno con il tema della valorizzazione del nostro patrimonio ambientale. E’ questa la sfida per far ripartire il paese?
Senza ombra di dubbio, e non a caso abbiamo voluto intitolare la prima puntata “Tesoro Italia”. Abbiamo attraversato lo stivale per capire dove investire, su cosa puntare. Il nostro paese custodisce al suo interno ricchezze talmente importanti che se fossero adeguatamente valorizzate ci farebbero uscire tempestivamente dalla crisi. Ricchezze di terra, acqua, boschi, cibo, bellezze artistiche, paesaggi mozzafiato. Ovviamente per fare questo bisogna cambiare l’idea stessa di sviluppo. I soldi devono essere investiti per completare i lavori dei cantieri, combattere l’abusivismo e riconsegnare agli italiani e al mondo un paese migliore.

Avendo girando a lungo per il paese in questi mesi da che parte pende la bilancia? Gli italiani sono ottimisti o pessimisti per il futuro?
Questo è un paese allo stremo, spossato da una recessione lunghissima ma al tempo stesso pronto a rimboccarsi le maniche. Ci sono storie straordinarie di singole donne e uomini che sono riusciti a rialzare la testa e a fare miracoli. E le racconteremo. Dalla crisi si può uscire, bisogna soltanto capire qual è la porta, dove trovare e indirizzare le risorse pubbliche da mettere sul giusto sentiero. Lo dicevamo già due anni nelle prime puntate di “Presadiretta” sul tema dell’austerità: finché non si mettono risorse nuove nel motore il paese non riparte. Per questo dedichiamo un’intera puntata al famoso cappio del “tre per cento” per capire se ce lo dobbiamo tenere al collo o meno. E ci domandiamo cosa accadrebbe se sforassimo il tetto utilizzando quelle risorse per fare i grandi investimenti pubblici di cui il paese ha bisogno.

E la bilancia della politica? Dalle ultime elezioni in poi sembra che la fiducia nelle istituzioni e nei partiti cali vertiginosamente
Ogni anno che passa la politica viene vissuta come inutile, se non dannosa, e ovviamente ciò che è emerso dalle inchieste su “mafia capitale” ha contribuito a gettare benzina sul fuoco. Il Paese è completamente distaccato dal palazzo e diminuisce il tasso di fiducia e di credibilità. E questo è un rischio grave. Perché è come se si abbassasse il sistema immunitario del paese. Siamo già malaticci e con le difese basse può succedere di tutto e di più. Per questo è urgente prendere il timone della barca e decidere rapidamente dove puntare la prua.

La crisi di fiducia nella politica contribuisce anche al calo di attenzione nei talk show?
In parte è inevitabile e l’arena dei politici che si confrontano e scontrano non appassiona più. Ma è anche vero che gli stessi talk potrebbero raccontare la politica diversamente, allargare i contenuti, raccontare storie sempre nuove. Il mondo è cambiato, e nel nostro Paese la democrazia è marcia, il male è entrato in profondità e c’è bisogno che ognuno faccia il proprio lavoro onestamente. E dobbiamo rendercene conto anche noi giornalisti e modificare i nostri codici di interpretazione della realtà.

Come si esce dalla palude?
Il punto dirimente nelle prossime settimane sarà l’elezione del presidente della Repubblica. Per come la vedo io tutta questa velocità di Renzi si sviluppa prevalentemente sul terreno della comunicazione e meno sui fatti. E quindi mi auguro che all’indomani dell’elezione del Capo dello Stato “si cambi davvero verso” come ama dire il nostro presidente del Consiglio. Per quanto riguarda il nostro settore, l’informazione, continuo a porre alcune domande urgenti: quando la faranno la riforma della Rai? Quando cambieranno la governance? Quando toglieranno l’abbraccio della Rai con i partiti politici? Spero che questi interrogativi non rimarranno a lungo elusi.

Intervista a cura di Stefano Corradino pubblicata sul Radiocorriere Tv

twitter s_corradino

17 gennaio 2015

 
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Libertà per Greste, Fahmy e Mohammad

Post n°12109 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

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Conosco bene Peter Greste, il giornalista australiano della televisione Al Jazeera, detenuto in un carcere egiziano dal 29 dicembre 2013. Dal 2009 al 2011 ha lavorato a Nairobi. Ci incontravamo spesso alle riunioni della Fcaea, l’associazione della stampa internazionale, che quasi ogni settimana dà la possibilità di intervistare “off records” gli esponenti politici di passaggio nella capitale del Kenya. Una occasione per creare rapporti, scambiarsi idee e informazioni. Quel pazzo di Peter amava sfrecciare sulla sua rombante motocicletta per le strade di Nairobi (dotate di buche simili alla fossa delle Marianne) ed evitando contemporaneamente i matatu, piccoli pullman privati che assicurano il trasporto pubblico, guidati da autisti costretti a turni di lavoro di 15 ore da affrontare masticando foglie di qat, una droga legale che provoca effetti simili all’anfetamina che cancella fame e stanchezza. L’ultima volta l’ho incontrato al Westgate, il centro commerciale attaccato dai terroristi somali nel settembre 2013, un veloce saluto e poi ognuno a correre dietro il proprio forsennato lavoro.

Peter Greste è stato arrestato insieme a Mohamed Fahmy, canadese, capo della redazione di Al Jazeera al Cairo, ed al produttore Baher Mohammad. Durante il primo mese di detenzione furono tenuti anche in celle di isolamento. Il ministro dell’interno egiziano li ha accusati di aver favorito il terrorismo con il loro lavoro giornalistico mettendo in pericolo la sicurezza nazionale. Un processo farsa conclusosi con la condanna a 7 anni di carcere. Lo scorso 1 gennaio la Corte di Cassazione ha annunciato un nuovo processo senza però rilasciare su cauzione i tre giornalisti. In particolare Greste, Fahmy e Mohammad sono accusati di aver incontrato alcuni esponenti dei Fratelli Musulmani, il movimento islamista politico-religioso dichiarato “gruppo terroristico” dal governo del Cairo appena una settimana prima degli arresti. In realtà sono in carcere per aver fatto solo il loro lavoro perché quegli incontri (simili a quelli fatti da centinaia di altri giornalisti) servivano ad acquisire informazioni per offrire un quadro completo della evoluzione politica. Peter Greste ha alle spalle quasi 30 anni di lavoro con l’agenzia Reuters, Cnn e Bbc sui fronti più caldi del pianeta: Bosnia, Afghanistan, Sudafrica e la cautela è la bussola per chi si muove in questi scenari. Purtroppo i tre giornalisti sono le incolpevoli vittime di uno scontro che oppone il governo egiziano all’emittente Al Jazeera, accusata di parteggiare per i Fratelli Musulmani e di essere uno strumento politico dell’emiro del Qatar che otterrebbe vantaggi e favori politici da parte di altri stati del Medio Oriente e dagli Usa.

Va ricordato che la Commissione per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha indicato Egitto, Siria e Iraq come i luoghi più pericolosi dove fare i giornalisti. Fino ad ora sono risultate infruttuose tutte le iniziative per chiedere il ritorno in libertà dei tre colleghi. Martedì scorso il ministro degli esteri egiziano in missione alla Unep di Nairobi si è rifiutato di incontrare una delegazione di giornalisti internazionali.
Se lo spirito della manifestazione di Parigi di domenica 11 gennaio a favore della libertà di stampa è ancora in vita, non possiamo non chiedere la libertà per Greste, Fahmy e Mohammad detenuti ingiustamente da più di un anno. Sarà il miglior banco di prova (anche immediato) per capire realmente quanti di quei capi di stato e premier che una settimana fa erano tutti Charlie oggi lo sono ancora. Ma riguarda specialmente noi giornalisti, chiamati a superare la fase puramente emozionale e creare un percorso condiviso per praticare la libertà di stampa senza “se” e senza “ma”.

18 gennaio 2015

 
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Charlie Hebdo: l’ipocrisia, la retorica e l’immancabile hashtag

Post n°12108 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

charliehebdo

Vorrei immediatamente precisare che queste parole sono rivolte esclusivamente agli italiani e non ai francesi, ai quali va tutta la mia solidarietà perché so che realmente e in ogni occasione difendono e hanno difeso la libertà di espressione. Mi si permetta di premettere, inoltre, che ciò che queste righe contengono potrebbe urtare la sensibilità di coloro che, in Italia, da poco più di una settimana, si sono scoperti, immagino non senza traumi, difensori della libertà di pensiero e di stampa. Vorrei rassicurarli sul fatto che per me i fatti di Parigi sono gravissimi e che mi hanno indignato, ma che ho scelto di affidare al silenzio il mio dolore e la mia rabbia, rifiutando hashtag che, a mio avviso, servono solo a sentirsi parte di un tutto confuso e contraddittorio oppure a costruirsi facilmente una coscienza.

Mi sia consentito, inoltre, di dire che per me duemila morti innocenti nel cuore della Nigeria, per mano di terroristi identici a quelli parigini, sono un fatto ancora più grave che avrebbe dovuto portare, più che l’immancabile quanto inutile hashtag, milioni di persone, capi di Stato, mass media, in piazza, se non nella nazione africana, quantomeno nelle strade di tutta Europa. Perché anche coloro che sono stati stuprati e massacrati avevano dei pensieri da esprimere e il diritto ad una vita libera da vivere. E sicuramente tra loro c’era anche chi scriveva, disegnava, discuteva di quel che accade nel mondo. Qualcuno, in nome di un Dio che non c’entra proprio nulla, ha fermato e distrutto tutto. Ma a noi non importa. Noi, che abbiamo bisogno di utilizzare ogni fatto come tassello di uno scontro tra civiltà, nonostante quelle civiltà convivano pacificamente nelle città del tanto amato Occidente, cosa possiamo farcene di un eccidio in una terra “incivile” e “lontana”?

Cosa possiamo farcene di quei morti “inutili” che non sanno aiutare la strategia di consenso o di affari delle forze politiche che si contendono il potere? Nulla. E allora siamo tutti Charlie Hebdo. Lo scriviamo ovunque, appendiamo le foto e le copertine sui muri dell’ufficio, in casa, per strada. Partecipiamo alle marce, ci teniamo per mano, alziamo le matite al cielo, ci stringiamo contro il “nemico” che ogni giorno diciamo di combattere, sempre uniti, sempre insieme, sempre votati a difendere la nostra libertà di pensiero e di stampa. Anche se poi magari facciamo il tifo per chi porta in Parlamento una legge sulla diffamazione, che somiglia più a un diktat contro la stampa indipendente, o per chi manda la polizia a manganellare i lavoratori che manifestano per un proprio diritto. Anche se parteggiamo per ex comici o ex pianisti da crociera che non hanno mai perso occasione per insultare i giornalisti che non la pensano come loro e per formulare editti o liste di proscrizione. Anche se continuiamo a idolatrare un leader che, in una telefonata, abbiamo sentito ridacchiare, insieme a un faccendiere, per il bavaglio messo a un giornalista che aveva rivolto una domanda sacrosanta sulla salute dei cittadini di Taranto.

Ma siamo tutti Charlie Hebdo. Tutti alfieri della libertà di pensiero, pronti a sbandierarlo in televisione, con la faccia buona e seria di chi sembra volerci convincere che per difendere quella libertà darebbe la vita, anche se poi, nel resto del suo tempo, plaude a chi epura dai partiti le minoranze o coloro che dissentono dal punto di vista del capo, da chi con arroganza dice “decido io” o “tiro dritto per la mia strada”. Ma siamo sempre tutti Charlie Hebdo. Anche quando pretendiamo che i musulmani si dissocino apertamente e stiamo tutti lì, con le orecchie tese, ad aspettare che ci sia qualche silenzio, che equivarrebbe in automatico ad essere dalla parte dei terroristi. E allora saremmo tutti pronti a partire con gli attacchi e le accuse che tirano in ballo la civiltà. Sinceramente non ho capito, tra l’altro, perché i musulmani debbano per forza dire che ovviamente condannano il terrorismo. Mi stupisce che la stessa cosa non venga chiesta, ad esempio, agli ebrei ogni volta che Israele compie eccidi a Gaza e in Palestina. Si tratta di terrorismo anche in quel caso, per di più commesso da uno Stato sovrano e non da gruppi di folli fanatici che con la religione c’entrano solo di striscio.

A me che i musulmani (almeno i tanti che conosco io) siano persone pacifiche e contrarie al terrorismo è cosa risaputa e non comprendo perché dovrebbero ripetermelo di fronte a un gruppetto di assassini che decidono di seminare morte nella capitale di uno Stato europeo. Che i miei amici con i combattenti dell’IS non c’entrino proprio nulla, per me è tautologico. Sarebbe come se avessero dovuto chiedere a tutti noi siciliani, anche a quelli che la mafia l’hanno sempre combattuta, di dissociarci ogni volta che veniva compiuta una strage o un omicidio mafioso. Personalmente mi sarei risentito e non avrei nemmeno risposto, visto che la “dissociazione” dalla mafia l’ho messa in atto nel mio quotidiano e nelle mie scelte. Quello che è accaduto a Parigi con la religione non ha nulla a che fare. Ecco perché ai miei amici musulmani preferirei chiedere altro.

Chiederei, come ho sempre fatto durante le nostre chiacchierate, di spiegarmi cosa pensano dell’integralismo che milioni di persone eleggono come guida delle loro vite e dei loro contesti sociali. Vorrei sapere cosa pensano degli adulteri, degli omosessuali, della libertà sessuale delle donne, di paesi come Iran o Arabia Saudita, della laicità dello Stato. Sono quelle le risposte che fanno sì che ci si conosca davvero, ci si capisca e ci si confronti. Molte risposte mi sono state date e le contraddizioni sono tante: c’è chi non vuole dissociarsi da certe brutture dogmatiche e c’è chi invece, da musulmano, in alcuni paesi africani, ha combattuto contro gli integralisti per difendere la libertà e i diritti delle donne. La stessa domanda, sia ben chiaro, vale anche per le altre religioni, compresa quella cattolica, i cui dogmi producono effetti negativi sulla vita, fisica e psicologica, di milioni di persone. Specifico che mi riferisco alla religione e non alla fede, che molto più spesso è invece respiro di libertà.

Ho visto troppa retorica ipocrita in questi giorni di dolore e poca, pochissima riflessione, fatta eccezione per alcuni punti di vista che ho avuto il piacere di leggere. Una retorica appiccicosa che sembrava guardarti male per il tuo silenzio e il tuo rifiuto di partecipare. Ho avuto l’impressione che se io, pur condannando fermamente l’atroce atto terroristico di Parigi (così come quello recente di Peshawar o quello compiuto da Boko Haram a Baga), avessi detto apertamente di non essere Charlie Hebdo, sarei stato tacciato di complicità morale con il terrorismo. Oggi, passato qualche giorno dall’emotività, forse posso spiegare che a me, pur da non credente, molte vignette di Charlie Hebdo non piacevano affatto e che non le trovavo neppure utili. È la satira, lo so, e so che deve essere spietata e libera di esprimersi. Giusto. Ci mancherebbe il contrario ed è inaccettabile che il risentimento si esprima con sangue e violenza. Basta non comprare quel giornale.

Ma per lo stesso principio di libertà, credo di poter dire che l’insulto gratuito a qualcosa che riguarda la sfera intima delle persone (e il credo ne è parte) possa non piacermi e apparirmi volgare, insensato e inutile allo stesso modo in cui lo sono le ingerenze delle religioni nelle società dell’intero globo. Rigetto sia le une che le altre, credo di averne il diritto senza che per ciò mi si accusi di essere un filo-terrorista (un infedele forse sì, ma la cosa non mi preoccupa). All’insulto gratuito preferisco la libertà di dissacrare con intelligenza ciò che sembra intoccabile, nel deridere anche ciò che appare più serio, senza però scadere nel torbido. A volte ho l’impressione che ci siamo abituati a confondere la libertà di espressione con il diritto di insultare. Credo che l’ironia e il sarcasmo, figure più nobili dell’insulto, riescano ad essere ingredienti fortissimi e perfino più efficaci, anche dentro una vignetta satirica.

Certo, dall’altra parte dello steccato si incazzerebbero lo stesso, perché chi sta dalla parte di chi massacra duemila persone o un gruppo di vignettisti non ha certo senso dell’humour o intelligenza, ma la nostra lezione di libertà sarebbe probabilmente più comprensibile. E forse ci accorgeremmo anche degli altri, iniziando a confrontarci e a ragionare al di fuori di un hashtag o di una convenzione emotiva. Altrimenti meglio il silenzio. Che a volte è anche più rispettoso e sensato.

18 gennaio 2015

 
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Game of Thrones 5, ecco il trailer dall'evento IMAX

Post n°12107 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Il nome del figlio

Post n°12106 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Sei mai stata sulla luna?

Post n°12105 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Guia ha 30 anni, lavora in una prestigiosa rivista internazionale di moda, guida una spider di lusso, viaggia in jet privato e vive tra Milano e Parigi. Ha tutto, o almeno credeva di avere tutto, fino a quando si ritrova in uno sperduto paese della Puglia dove si imbatterà in Renzo, un affascinante contadino del posto. Capisce che l'unica cosa che le manca è l'amore, quello vero. E quando la felicità è ad un passo da lei, non saprà come raggiungerla.

  • FOTOGRAFIAFabrizio Lucci
  • MONTAGGIOConsuelo Catucci
  • PRODUZIONE: Pepito Produzioni con Rai Cinema e col supporto di Apulia Film Commission
  • DISTRIBUZIONE: 01 Distibution
  • PAESE: Italia
  • DURATA90 Min

 
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Still Alice

Post n°12104 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Alice Howland è una rinomata linguista il cui lavoro è rispettato in tutte le università degli Stati Uniti. Un giorno si accorge che la sua memoria non è più quella di una volta e che poco alla volta inizia a dimenticare le parole. Inquieta, si reca da uno specialista per un controllo. Una rivelazione devastante si abbatte su di lei.

 
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Il nome del figlio

Post n°12103 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Il film racconta la storia di una coppia in attesa del primo figlio, Alessandro Gassman (Paolo), estroverso e burlone agente immobiliare, e Micaela Ramazzotti (Simona), bellissima di periferia e autrice di un best-sellers piccante. Valeria Golino veste i panni di Betta, sorella di Paolo, insegnante con due bambini, apparentemente quieta nella vita familiare, Luigi Lo Cascio in quelli di Sandro, suo marito e cognato di Paolo, raffinato scrittore e professore universitario precario. Tra le due coppie l'amico d'infanzia Rocco Papaleo (Claudio), eccentrico musicista che cerca di mantenere in equilibrio gli squilibri altrui.

 
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Perfidia

Post n°12102 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Poster

Angelo (Stefano Deffenu) cammina immerso nel grigio inverno di un'anonima città di provincia. Senza amore né lavoro, spende le sue vuote giornate in uno squallido bar di periferia, sognando ad occhi aperti la più banale normalità. Peppino (Mario Olivieri) è un padre che non si è mai interessato al figlio, un vecchio consapevole di non avere più tanto tempo da vivere. Dopo la morte della moglie Peppino si accorge di Angelo, suo figlio, e si rende conto di non sapere neppure chi sia...

 
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Piccoli così

Post n°12101 pubblicato il 24 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Poster

 

25 settimane di gestazione. Questa è la soglia di sopravvivenza per i bambini nati prematuri. Se il piccolo viene al mondo in quel momento, la felicità del neo-genitore resta sospesa. Comincia un calvario, fatto di veglie in ospedale vicino all'incubatrice, mentre il desiderio di abbracciare il proprio figlio si scontra con l'obbligo di sfiorarlo appena, quel corpicino delicato che combatte per ogni respiro. Il film è l'esperienza personale del regista e la storia corale di tanti genitori che hanno percorso questo cammino, di chi lotta al loro fianco per le vite dei loro figli. Un inno alla resistenza e alla speranza di cui sono capaci gli esseri umani, fin dal primo giorno di vita.

  • DISTRIBUZIONE: I Wonder Pictures
  • PAESE: Italia
  • DURATA70 Min

 
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Film nelle sale da ieri

Post n°12100 pubblicato il 23 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

 
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Big Eyes

Post n°12099 pubblicato il 22 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Se vi aspettate il solito film burtoniano, forse Big Eyes non fa per voi. In questo film tranne che negli occhi e nei colori, rimane veramente ben poco del vecchio Tim Burton. Il film racconta la battaglia per la paternità dei quadri dei trovatelli con gli occhi grandi da parte dei coniugi Keane. Un film che tira dritto liscio, nel racconto biografico più fedele possibile con l'unica variante di Christoph Waltz che esalta la commedia con qualche esaltazione del suo ruolo. Il regista invece sembra nascondersi dietro questa biografia della sua amica Margareth, lasciandoci però una splendida scenografia e il solito grande lavoro sui personaggi

 
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La teoria del tutto

Post n°12098 pubblicato il 17 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

James Marsh con La teoria del tutto ci racconta una storia eccezionale, la storia di Stephen Hawking, un uomo eccezionale, oltre che una delle menti più brillanti del secolo. Non lo fa raccontando la sua vita professionale con le sue scoperte e le sue teorie; ma raccontando il lato privato del professore, della sua malattia, della sua fragilità e del grande ruolo che la sua ex moglie Jane ha avuto nella sua vita e senza cui forse non ci sarebbe stato lo Stephen Hawking che conosciamo. Un racconto privato che parla dell'amore in tutte le sue sfaccettature, con anche i suoi limiti. Stephen Hawking viene interpretato da Eddie Redmayne che regala una performance da oscar, assolutamente perfetto. Bisogna sottolineare anche una notevole Felicity Jones nei panni della moglie. Un film splendido, curato in ogni minimo particolare

 
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Barry Lyndon

Post n°12097 pubblicato il 15 Gennaio 2015 da Ladridicinema
 

Barry Lyndon

Titolo originale: Barry Lyndon
Nazione: Gran Bretagna
Anno: 1975
Genere: Drammatico
Durata: 185'
Regia: Stanley Kubrick
Sito ufficiale: 

Cast: Ryan O'Neal, Marisa Berenson, Patrick Magee, Hardy Krüger, Steven Berkoff, Gay Hamilton.
Produzione: Hawk Films
Distribuzione: Il Cinema Ritrovato
Uscita prevista: 12 Gennaio 2015 (cinema)


Trama:
Tratto dal romanzo settecentesco di William Makepeace Thackeray, il film racconta il successo e il declino di un giovane avventurierio irlandese dalle origini modeste.

 
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