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Messaggi di Settembre 2015
Post n°12635 pubblicato il 30 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni Sangue del mio sangue,ultimo film di Marco Bellocchio e in concorso al festival di Venezia 2015, è l'ennesimo film personale e intimo dell'autore in cui ancora una volta riporta tutti gli elementi tipici del suo cinema, dalla famiglia borghese, alle tragedie familiari, passando per i toni "anticlericali" fino alle tensioni familiari e sociali tipiche della provincia e del provincialismo italiano. Sangue del mio sangue è ambientato tra due epoche: il Seicento e i giorni nostri. Federico, soldato e cavaliere, bussa alla porta di un convento per riabilitare la memoria di Fabrizio, fratello sacerdote morto suicida. Per riabilitarlo viene accusata una giovane suora, Benedetta, che secondo l'Inquisizione lo avrebbe sedotto tramite il diavolo, in quanto strega. Dopo aver superato "le prove" di innocenza, verrà sconfitta dalla prova del fuoco e condannata alla prigione perpetua e murata viva in una cella del convento. Graziata trent'anni dopo da Federico, diventato cardinale, Benedetta incrocerà di nuovo il suo sguardo, piombandolo a terra. Bobbio, ai giorni nostri. Federico, è un ispettore del Ministero, bussa allo stesso convento accompagnato da un miliardario russo che vorrebbe acquistare l'antico complesso. Apparentemente abbandonato il convento è abitato da un conte, che ha abbandonato i vivi fingendosi morto. Il conte lascia la sua cella di notte e attraversa il paese interrogando amici e nemici sullo stato delle cose, che cambiano sotto la spinta della modernità. Viene definito quindi un vampiro che si aggira di notte creando un mito, che forse mito non è. "Non mi sono preoccupato affatto dell'architettura drammaturgica - ha sottolineato Bellocchio - e non mi interessava stabilire connessioni rigide tra il passato e il presente. Ci sono allusioni che legale le due sfere temporali: il dominio della chiesa cattolica nel Seicento paradossalmente si conclude con il dominio democristiano in Italia, che pur permettendo un relativo benessere, succhiava il sangue a quella che era una prospettiva di cambiamento". Di conseguenza ancora una volta Bobbio è il "centro di tutto il - suo - mondo", ed è l'unico collante possibile che unisce le due storie, dove si riciclano gli stessi attori-personaggi in questo racconto tra inquietudini tra passato e presente. Con un cast assolutamente d'élite, Bellocchio unisce il suo cinema con una vicenda prettamente "manzoniana". Un continuo richiamo al suo cinema che passa dal lutto personale del fratello già visto ne Gli occhi, la bocca, fino all'immagine della donna strega che seduce, ne La visione del Sabba; strega come emblema della femminilità che combatte gli schemi del potere maschile e poi si lascia sopraffare dalla forza delle immagini, che sono la parte più bella del film. Fino ad arrivare a L'ora di religione, e alle inquitudini della fede. Nel film recitano i due figli di Bellocchio, Giorgio ed Elena, e il fratello poeta Alberto. Il cast si completa con l'attrice ucraina Lidiya Liberman, e gli italiani Alba Rohrwacher e Roberto Herlitzka, che veste i panni del conte-vampiro. Un cast come detto prima non da poco che però non rende onore a quest'opera particolare, dove i continui rimandi al suo cinema impediscono assieme a una difficile comprensione dell'unione di diversi generi ed epoche una buona narrazione, soprattutto se non si conosce il suo cinema e il suo pensiero. I suoi film non vogliono rimanere legati ad una trama propriamente detta o portare avanti i loro ragionamenti attraverso binari che rispondono alla logica, ma questo è un film che lascia spiazzato. Come dice l'autore un'opera nata per caso, unendo due progetti separati, nati nel suo laboratorio di Bobbio con i suoi studenti. Va apprezzato comunque che un autore importante come lui abbia ancora questo coraggio di osare e sperimentare con una libertà narrativa e compositiva veramente sorprendente anche per un grande del cinema italiano come Marco Bellocchio. Voto finale: 4-/5 Federico, un giovane uomo d'armi, viene sedotto come il suo gemello prete da suor Benedetta che verrà condannata ad essere murata viva nelle antiche prigioni di Bobbio. Nello stesso luogo, secoli dopo, tornerà un altro Federico, sedicente ispettore ministeriale, che scoprirà che l'edificio è ancora abitato da un misterioso conte, che vive solo di notte.
NOTE: Presentato in concorso al Festival di Venezia 2015.
Post n°12634 pubblicato il 30 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: film in uscita
Post n°12633 pubblicato il 30 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni da everyeye Sebbene già il cinema western (soprattutto quello made in USA) avesse provveduto, quasi da sempre, ad affrontare la tematica, è impossibile negare che sia stato soprattutto in seguito al successo ottenuto da Il giustiziere della notte (1974) con Charles Bronson che la celluloide ha cominciato a popolarsi di individui interessati a fare piazza pulita di esponenti della criminalità, fornendo allo spettatore quella certa liberatoria sensazione di vendetta portata a compimento. Advertise Ed è il Denzel Washington che, già vincitore del premio Oscar come attore non protagonista inGlory - Uomini di gloria (1989), Fuqua portò nuovamente a conquistarsi l'ambita statuetta tramite il suo Training day (2001) ad incarnare la rilettura di colore di Robert McCall, il quale, appunto, era bianco nel telefilm, a differenza di cui, stavolta, si parte dalle origini. Infatti, già il primo massacro attuato tra uso di cavatappi e schizzi di liquido rosso avviene soltanto una volta superata la presentazione di diversi personaggi, riconfermando immediatamente che, come di consueto, l'autore di Shooter (2007) non lascia affatto a desiderare per quanto riguarda la ferocia delle uccisioni.
A tredici anni da Training day (2001), Antoine Fuqua torna a dirigere Denzel Washington nella trasposizione cinematografica del telefilm degli anni Ottanta Un giustiziere a New York, trasformando in violento eroe di colore quello che, originariamente, era un comune bianco degli Stati Uniti di Ronald Reagan. D’altra parte, mentre all’epoca era decisamente raro avere un protagonista nero - se non in coppia con un americano qualunque, come nei franchise Arma letale e 48 ore - che rappresentasse la sete di giustizia del paese, Washington sembra quasi incarnare una vera e propria rivalsa dal retrogusto antirazzista nel dedicarsi al fantasioso massacro di cattivi, di origini russe alla maniera dei tempi della Guerra Fredda. Quindi, se sentite la mancanza del cosiddetto machismo reaganiano che fece la fortuna di Stallone e Schwarzenegger, avete trovato il film che fa per voi, oltretutto non banalmente costruito sull’azione, ma dedito anche, nella giusta misura, alla costruzione dei personaggi e della attesa-tensione. 7.5
Post n°12632 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni Alex il leone, Marty la zebra, Melman la giraffa e Gloria l'ippopotamo, fuggiti dallo zoo di New York City e sbarcati prima in Madagascar e poi nell'Africa centrale, hanno nostalgia della Grande Mela e per questo nuotano fino a Monte Carlo, alla ricerca dell'aeroplano dei pinguini. Sul suolo francese, però, una poliziotta pronta a tutto li elegge a nemico numero uno. Scappare con il treno di un circo è la loro unica speranza: un impresario americano a Londra potrebbe comprare lo show e riportarli tutti a casa. L'esibizione, però, è tutta da inventare.
Post n°12631 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni
di Woody Allen Partire, stare per un po' lontano da casa è giusto. Ed è altrettanto piacevole il sapore del ritorno, proprio laddove siamo nati e cresciuti. Ma a volte è necessario anche tornare, per ritrovare se stessi. E così, dopo quattro anni nel Vecchio Continente, diviso tra la cupa e delittuosa Londra e la solare e (si fa per dire) focosa Barcellona, Woody Allen torna (momentaneamente) nella sua amata New York. Torna a casa. E con la sua 44° prova dietro la macchina da presa torna a convincere e, sostenuto da un ottimo cast, a divertire. Basato su una sceneggiatura scritta dallo stesso Allen nel lontano 1970 per l'attore comico ebreo Zero Mostele, e non priva (come sempre) di qualche spunto autobiografico, "Whatever Works" racconta la storia di Boris, uno scienziato sessantenne, che deluso dalla vita tenta il suicido, ma fallisce. Decide così di abbandonare gli agi della vita borghese e si trasferisce nel quartiere di Chinatown, in un vecchio e trasandato appartamento, passando le giornate ad insegnare scacchi ai bambini (spesso insultandoli) e fare lunghe chiacchierate polemiche ed esistenziali con vecchi amici. Incontrerà per caso una giovanissima ragazza venuta dal Sud (Melodie St. Anne Celestine), scappata di casa e decisa a trovare lavoro a New York. A raccontarci tutta la vicenda è lo stesso protagonista, che sin dall'inizio, a volte anche in modo sfacciato (non senza un conseguente stupore dei suoi co-protagonisti), si rivolge verso il pubblico, rendendolo privato confidente dei suoi dubbi e dei suoi pensieri. Una frequente interruzione della finzione scenica, che mancava da qualche tempo e che sembra prendere quasi la forma di ammonimento, se non addirittura di testamento artistico.
Post n°12630 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni Questo indimenticabile film di Micheal Mann, uscito nel 2001 in USA, è stato molto celebrato dalla critica cinematografica occidentale e osannato dai fanpiù accesi di Cassius Clay ma non ha avuto il successo di pubblico che forse meritava, deludendo gran parte delle aspettative dei produttori e dello stesso regista. "Alì" è un film di qualità anche per come l'autore ha costruito la sceneggiatura, basata su riferimenti storici e culturali precisi che hanno consentito di edificare un profilo realistico e di forte spessore psicologico del campione nero, trasmettendo un immagine di Cassius Clay lontana dal rumore del mito popolare e congiunta a un contesto storico e politico formulato con chiarezza, nonostante le difficoltà a comporlo per immagini a causa della sua non facile interpretazione. Cassius Clay, attraverso Micheal Mann, è ricordato come un atleta particolare non solo per essere stato ripetutamente e in modo alternato - dopo forzate soste di combattimento - campione del mondo dei pesi massimi di boxe, ma anche per il suo fervido e originale credo religioso musulmano, quello più vicino all'associazione dell'amico Malcom X. Un credo mai del tutto astratto o utopico, collegato per punti di fede a un'idea di Dio concreta, congiunta per molti aspetti alla vita del mondo terreno, a un sostanziale rapporto fede e giustizia teso a una relazione con Dio ricca di implicazioni anche pratiche, per esempio progetti precisi a sostegno della causa americana dei neri o della lotta per raggiungere pari opportunità sociali tra razze diverse. Un credo di grande impatto sociale che, come il film evidenzia, è stato pubblicamente sostenuto da Clay in ogni circostanza, anche nei momenti di maggior gloria personale o forte sfiducia nelle istituzioni pugilistiche. Il personaggio Clay, come risulta dal film, era scomodo alle maggiori istituzioni politiche americane, soprattutto nel periodo del suo maggior successo sportivo, durante il quale veniva costantemente sorvegliato dai servizi segreti americani e da spie specializzate in penetrazioni di gruppo, con l'intento di cogliere sia l'influenza di Clay nel temibile mondo dei neri metropolitani sia le ripercussioni mediatiche del suo comportamento nell'opinione pubblica più in generale. Il regista prende in considerazione gli anni della vita di Clay che vanno dal 1964 al 1974. Gli incontri sul ring, impersonati per Clay da un Will Smith sopra le righe, sempre ben aderente alla parte verbale e gestuale più spettacolare che il pugile nero amava esibire negli stadi, sono tatticamente veri e rappresentati con una credibilità a volte stupefacente che riproduce gli stili e le tecniche del boxare di allora. Una forma di realismo indubbiamente gradita, encomiabile, che premia la professionalità di un regista un po' sottovalutato dalla critica nonostante film come "Heat - La sfida" 1995, "Insider - Dietro la verità" (1999), "Manhunter - Frammenti di un omicidio" (1986), "Collateral" (2004) e, successivamente, "Miami Vice", girati spesso in digitale con forti manipolazioni di tipo espressionistico delle immagini, attuate con tavolozze elettroniche - paragonabili in un certo senso a quelle usate dai pittori - sui colori e i toni dello sfondo delle scene per trasmettere la propria poetica cinematografica. Occorre dire che il film, pur essendo caratterizzato da lunghe riprese sportive, prende in considerazione, interpretandone anche le connessioni più sociali e culturali, un'estesa parte del pensiero del campione risultando così un'opera filmica attraversata da istanze filosofiche, etiche e religiose. Il regista americano ha voluto soffermarsi con questa pregevole opera filmica sullo spaccato più profondo della vita di Cassius Clay, usando la boxe solo come un pretesto di tipo spettacolare capace di fare breccia nella mente più chiusa del pubblico portando avanti un discorso di fondo molto aperto, completamente diverso dalle comuni attese, legato soprattutto alla psicologia più profonda del personaggio e alle contraddizioni più evidenti di un mondo pugilistico che già allora evidenziava pesanti cadute etiche, in una società fortemente malata di corruzione e intessuta di un protagonismo patologico, non a caso di tipo individualistico. Figlio di un pittore e di una donna di fede Battista, Cassius Clay nasce a Louisville, Kentucky, USA il 17 Gennaio del 1942. Il film finisce con il trionfo di Clay su Foreman a Kinshasa, osannato dalla folla, una vittoria per nulla scontata nei pronostici a causa dell'età di Clay. L'incontro è memorabile. Clay fa tutto di testa sua, non ascolta sul ring i consigli dei suoi tecnici e adotta una tattica capolavoro che stupisce il mondo. Si lascia attaccare dal potentissimo Foreman stando appoggiato con la schiena sulle corde del ring, muovendosi solo lungo di esse, chiuso su se stesso in una difesa ferrea e impenetrabile, usando le robuste ed elastiche corde del quadrato per attutire i colpi dell'avversario. Il declino di Clay cominciò nel 1978, quando perse per KO tecnico con il giovane Larry Holmes all'undicesima ripresa. Clay disputò il suo ultimo incontro nel 1981, in seguito si dedicò alla diffusione della religione islamica e a numerose iniziative di pace per il mondo. Alle Olimpiade americane di Atlanta, nel 1996, Muhammad Alì riuscirà a coinvolgere di nuovo tutto il mondo accendendo, tremante per la malattia del morbo di Parkinson, la fiamma che inaugura i giochi.
Post n°12629 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni Alejandro è innamorato di Missy e sta per sposarla. Figlio adottivo di Don e Ellie Griffin, separati da vent'anni, non sa come dire alla madre biologica e profondamente cattolica che suo padre (con)vive con un'altra donna e sua madre è un'ebrea-buddista, che pratica il sesso tantrico e vanta un orgasmo di nove minuti. Ma i suoi problemi non finiscono qui e nemmeno la sua famiglia che comprende un fratello medico di trent'anni deciso finalmente a perdere la verginità e una sorella sull'orlo di una crisi matrimoniale. Missy, da par suo, non è messa meglio, il padre ha problemi col fisco e la madre col proprio corpo che 'restaura' a suon di dollari. Nonostante tutto, nonostante tutti e nonostante un prete dogmatico col vizio della bottiglia, Alejandro e Missy arriveranno al giorno delle nozze, che coi fiori d'arancio riserva sorprese, rivelazioni, chiarimenti e scioglimenti felici.
Post n°12628 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni Decisosi a parlare e mandare in galera tutta la sua famiglia (o almeno quelli che ha lasciato in vita) assieme al proprio clan, il boss mafioso Giovanni Manzoni è continuamente trasferito da una casa all'altra e da un'identità fittizia all'altra per il programma protezione testimoni dell'FBI. Arrivato con la moglie, la figlia adolescente e il figlio di poco più piccolo in un paesino della Francia, tenterà di sopprimere la sua natura mentre i suoi parenti si integrano a modo proprio con l'ambiente locale.
Post n°12627 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni I classici di Alexandre Dumas (padre) hanno generato svariati adattamenti cinematografici, e i romanzi più saccheggiati sono stati sicuramente quelli dedicati ai tre moschettieri. Dalle prime trasposizioni, risalenti addirittura al cinema muto, sino al cult del 1948 con protagonisti Gene Kelly e Van Heflin e dimenticando la recente reinterpretazione di Paul W.S. Anderson, D'Artagnan e soci hanno più volte calcato il grande schermo con alterne fortune. Tra le produzioni più ambiziose dedicate al mitico quartetto, nonché tra quelle che si prende più libertà rispetto alla fonte originaria, va sicuramente inserita La maschera di ferro, film del 1998 diretto dall'allora esordienteRandall Wallace, candidato all'Oscar tre anni prima per aver scritto la sceneggiatura di Braveheart - Cuore impavidodi Mel Gibson. Non è sempre scontato per un'opera prima avere a disposizione un cast così ricco come in questo caso: ad interpretare i moschettieri troviamo infatti nomi del calibro di John Malkovich (Athos), Jeremy Irons(Aramis), Gerard Depardieu (Porthos) e Gabriel Byrne (D'Artagnan), mentre a vestire i panni del Re Luigi e di suo fratello gemello Filippo è un Leonardo di Caprio all'apice del successo nel suo primo lavoro post-Titanic. Tutti per uno, uno per tuttiIn una Francia sull'orlo della povertà, Re Luigi XIV vive nel lusso infischiandosene del benessere del suo popolo, che sembra in procinto di iniziare una rivoluzione. A far da consigliere al regnante vi è D'Artagnan, diventato dopo anni il comandante dei moschettieri. Quando Luigi XIV chiede ad Aramis, che ha ora preso la via ecclesiastica, di scovare e uccidere il capo dei Gesuiti che starebbe tramando un complotto, il moschettiere decide di richiamare a convegno gli amici di un tempo. Infatti a tessere la cospirazione gesuita è proprio lo stesso Aramis, che ora propone ai vecchi compagni di appoggiarlo in un'eroica impresa: sostituire il Re. Porthos e Athos, quest'ultimo in astio contro il sovrano che ritiene colpevole della morte del figlio Raoul, accettano subito mentre D'Artagnan decide di rimanere fedele al proprio Re, senza però tradire gli amici. Il piano di Aramis sembra riuscire, e si scopre un'incredibile verità: l'uomo rinchiuso da anni nelle prigioni della Bastiglia con indosso una maschera di ferro è infatti il fratello gemello di Luigi... LibertàSe siete tra coloro che ritengono la fedeltà all'opera originale un dovere morale, soprattutto parlando di tali capolavori della letteratura popolare (in questo caso usato nell'accezione più positiva possibile del termine), i motivi per storcere il naso saranno non pochi. Il regista, anche autore della sceneggiatura, prende soprattutto spunto dall'ultimo romanzo della saga (il migliore per chi scrive) Il visconte di Bragelonne, finendo però per cambiare sin troppi particolari importanti e arrivando addirittura a rivelare una segreta relazione sentimentale tra il guascone più famoso della storia e la Regina Madre. Lo stesso epilogo trova un cambiamento cruciale che lascia alquanto perplessi e non rende giustizia alle pagine scritte. Altra curiosità che stona è la differenza di età degli interpreti di D'Artagnan e Athos: Byrne infatti è ben quattro anni più vecchio di Malkovich, cosa che si nota visibilmente e che lascia perlomeno interdetti. Se invece siete tra quelli che danno poca importanza a questi "dettagli" o semplicemente non avete ancor avuto occasione di farvi trasportare dall'epica di Dumas, il film rimane un godibile feuilleton che, nonostante risvolti narrativi non sempre perfetti anche escludendo quanto detto sopra, riesce ad offrire due ore piacevoli grazie alla giusta dose di avventura, divertimento e dramma storico. Un cappa e spada che registicamente guarda ai grandi classici del genere, con un vago sapore retrò e una minuziosa cura per la messa in scena, soprattutto per ciò che concerne costumi e scenografie, di buon impatto estetico e non privi di una certa eleganza. Con una colonna sonora suggestiva a suggellare il pathos delle scene più avvincenti e interpretazioni di gran classe (di fronte ad interpreti maiuscoli come Irons, Depardieu, Malkovich e Byrne il giovane di Caprio si conferma attore già maturo a dispetto dell'età, convincente nel doppio ruolo) il titolo va sicuramente annoverato tra le produzioni più gradevoli riguardanti quel periodo storico realizzate negli anni '90. Advertise Per certi versi controverso nella sceneggiatura, con cambiamenti tali da far inorridire i puristi di Dumas,La maschera di ferro (ispirato, come il romanzo da cui è tratto, a una leggenda realmente diffusa ai tempi) è un cappa e spada senza infamia e senza lode che si fa apprezzare per l'ottima cura scenografica/visiva e per le interpretazioni dei suoi protagonisti. In attesa di veder realizzato su grande schermo un'opera che renda veramente giustizia al capitolo conclusivo delle avventure dei tre moschettieri, il memorabile Il visconte di Bragelonne, ci si può anche accontentare.
Post n°12626 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni Ron Woodroof vive come se non ci fosse un domani, non credendo alla medicina ma professando solo la religione della droga e dell'alcol. La scoperta di non avere realmente un domani a causa della contrazione del virus HIV apre un calvario di medicinali poco testati e molto inefficaci, fino all'estrema soluzione di sconfinare in Messico alla ricerca di cure alternative. Lì verrà a conoscenza dell'esistenza di farmaci e cure più efficaci, ma non approvate negli Stati Uniti, che deciderà di cominciare ad importare e vendere a tutti coloro i quali ne abbiano bisogno, iniziando un braccio di ferro legale con il proprio paese.
Post n°12625 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni da http://robydickfilms.blogspot.it/2010/12/giordano-bruno.html
1973, Giuliano Montaldo. Penso mi comprenderete se non mi metto certo io a fare la biografia di un simile personaggio. Prendo qualche pezzo dalla pagina wiki che ne parla, farò poi qualche considerazione sul film: «È dunque l'universo uno, infinito, immobile; una è la possibilità assoluta, uno l'atto, una la forma o anima, una la materia o corpo, una la cosa, uno lo ente, uno il massimo et ottimo; il quale non deve poter essere compreso; e perciò infinibile e interminabile, e per tanto infinito e interminato e per conseguenza immobile; questo non si muove localmente, perché non ha cosa fuor di sé ove si trasporte, atteso che sia il tutto; non si genera perché non è altro essere che lui possa derivare o aspettare, atteso che abbia tutto l'essere; non si corrompe perché non è altra cosa in cui si cange, atteso che lui sia ogni cosa; non può sminuire o crescere, atteso che è infinito, a cui non si può aggiungere, così è da cui non si può sottrarre, per ciò che lo infinito non ha parti proporzionabili» (Giordano Bruno, De la causa, principio et uno, 1584) Giordano Bruno, al secolo Filippo Bruno (Nola, 1548 – Roma, 17 febbraio 1600), fu un filosofo, scrittore e frate domenicano italiano, condannato al rogo dall'Inquisizione cattolica per eresia. Tra i punti chiave della sua concezione filosofica, che fondeva neoplatonismo e arti mnemoniche con influssi ebraici e cabalistici, la pluralità dei mondi, l'infinità dell'universo ed il rifiuto della transustanziazione. Il suo pensiero presenta un'accentuazione dell'infinitezza divina sconosciuta ai neoplatonismi precedenti. Con notevoli prestiti da Nicola Cusano, Giordano Bruno elabora una nuova teologia dove Dio è intelletto creatore e ordinatore di tutto ciò che è in natura, ma egli è nello stesso tempo Natura stessa divinizzata, in un'inscindibile unità panteistica di pensiero e materia. Terminate le citazioni, sul film ho da dire solo una parola a giudizio: CULT. Perché è bellissimo e fatto con particolare attenzione, perché ci sono costumi ed impegno di mezzi importanti, perché ci sono attori notevolissimi col "solito" Volonté a giganteggiare come protagonista, ma soprattutto perché (e scado nel personale ma dopotutto questo è e sarà sempre il mio modo di vedere i film) io ho una assoluta venerazione e stima profonda per il personaggio che fu Giordano Bruno, tanto che alla mia prima visita da "adulto" di Roma la sua statua a Campo de' Fiori (a dx l'immagine) fu tappa obbligatoria con tanto di sosta in meditazione! Apro una parentesi da blogger più che da recensore. Giordano, è il secondo nome del mio terzo figlio. Sarebbe dovuto essere il primo per mia ferma volontà, ma poi, con la donna sul letto di sgravio... si sa come vanno certe cose. Il mio verso di lui è un amore che risale all'infanzia. Avevo 10 anni quando ne lessi per puro caso, sulla pagina culturale di un giornale. All'epoca ero cattolico praticante, ne chiesi conto al prete, vi risparmio le vacue ed evacuabili risposte, in capo ad una settimana ero diventato un anticristo mangiapreti, pieno di rabbia. Ero un bambino, ora la rabbia la controllo un po' meglio. In ogni caso fu grazie a lui che aprii gli occhi, non sul fatto di avere o meno fede, ma su ciò che fu, che era e, diciamolo!, ancora è la chiesa, con modalità punitive certo diverse ma non meno efficaci nell'influenzare, soprattutto in italia, politica e cultura in modo nefasto! Ho quindi un debito di gratitudine, che non ho mai onorato con studi approfonditi. Quanto riportato da wiki è una sintesi che mi basta e mi è sempre bastata. La meditazione davanti alla sua statua è semplice: ricordare, ricordare, ricordare... Chiusa la parentesi. I 2 Perché che sono "più perché" di tutti però me li sono tenuti per esprimerli con questi 2 frame Era felice Giordano Bruno a Venezia prima che quel pezzo di merda di Giovanni Mocenigo, malanima la sua e quella dei suoi successori, lo vendesse, complice il senato veneziano, all'inquisizione romana ben sapendo cosa gli sarebbe accaduto. E sono felicissimo io di come il film lo ha ritratto, nemmeno l'avessi scritta io la sceneggiatura, l'avrei fatto esattamente così tranne che forse, tale è il piacere di quell'inizio, l'avrei fatta più lunga, riducendo al limite la descrizione della sua permanenza nelle prigioni vaticane che, lo ammetto, m'han fatto soffrire e rimontare un disprezzo incontenibile per quegli assassini. A Venezia c'era il Vero Giordano Bruno, filosofo allegro e gioviale, a suo agio con il nobile come con le puttane, e di più con queste ultime e con il popolo in generale. Parlava parimenti con tutti, la sua esposizione era semplice, chiunque compreso chi scrive lo può capire, ammirarne la lineare logica e le perfette metafore reali, basate sulla natura, sul movimento degli astri, sulla bellezza di ogni cosa, dell'ambiente. Una visione globale e locale di tutta la Vita nel senso più esteso del termine, pacifista senza se né ma, e poi anche gran bevitore, goliardico ma mai violento o becero: un uomo fantastico! Un modello di vita per me, e chiudo qua, ne scriverei pagine e pagine di elogi. Ah quanto vorrei vedere un film che mi mostra la sua vita Prima del suo sciagurato rientro in italia, quanto!! Sarebbe pieno di Intelligenza e di Gioia di Vivere! Non è stato semplicissimo bloccare questo frame, la scena compare veritiera ma anche ad alta velocità. Non so come si chiama quell'orribile "bavaglio", un uncino che s'infila nella lingua e poi un laccio a stringerlo dietro la nuca. Stava urlando le sue verità prima di essere prelevato per il rogo, non potevano sentirlo evidentemente. Trovo sia un'immagine emblematica, fin troppo chiaro cosa simboleggia, straordinaria. Non ce la faccio quasi a parlarne, mi mette una tristezza che non posso nemmeno esprimere, avevo le lacrime che scendevano durante tutto il finale, un Uomo di tale levatura trattato in quella maniera è terribile perché tutti siamo pari verso la sofferenza fisica, ma qui si tratta di violenza verso la Cultura, il Progresso... una tristezza infinita. Non posso non citare un altro grandissimo film su un altro grandissimo personaggio italiano, le cui scoperte tra l'altro furono fondamentali anche per la filosofia di Giordano Bruno (che poi non era solo un filosofo, nota bene!):Galileo, della Cavani. Non perdetevelo nemmeno quello! In quella rece, che lascio come l'ho scritta a suo tempo, parlo dell'inutilità della morte di Bruno, però ora, col senno di poi, so che c'ha provato a non morire, solo che aveva capito che ormai ogni sua abiura era inutile e non credibile. Recensione dedicata ad una cara amica, devo ancora conoscerla personalmente ma abbiamo avuto proficui scambi tramite il web: Zina Crocé, che tra l'altro me ne ha consigliato la visione. Splendida persona, docente liceale ed universitaria, giornalista, saggista, si occupa di critica teatrale, scrive su "Teatro contemporaneo e Cinema", rivista fondata da Mario Verdone, e fa pure altre cose ma quelle che ho elencato sono le sue preferite. Desideravo ospitare il suo nome nel blog, finalmente c'è stata occasione. Ciao Zina, e... in bocca al lupo per tutto! edit 27-12-2010: pubblico mail ricevuto da Zina Beh, devo dire che FB fa conoscere persone veramente “belle” : è il caso di Robydick, mio amico facebookkiano, col quale condivido assolutamente i concetti e le forti emozioni del film di Giuliano Montaldo. Il regista dirige magistralmente un sublime Gian Maria Volontè, solare, vitale, sanguigno, assolutamente intenso. Bruniano, appunto. Bruno era filosofo di cultura elevatissima, dotato di profonda sensibilità e di alta ironia, quell’ironia che gli consentiva di dare il giusto “peso” alle situazioni e alle persone, e di essere autenticamente libero, lontano da qualsivoglia sudditanza e ossequio al potere. L’unico ossequio che il nolano praticava, con passione assoluta, era quello verso la Filosofia, Amore per la Vita in tutte le sue forme. Personalmente, trovo la rappresentazione del “Bruno” di Montaldo di gran lunga migliore di quella –dello stesso filosofo- resa nell’altro film, anche questo bellissimo, citato da Roby, e cioè “Galilei”. Liliana Cavani è regista sublime, però non ha rappresentato in modo incisivo la figura del filosofo di Nola, pur avendo, però – forse per questo ?- tratteggiato in modo superbo la figura di Galileo, nella perfetta interpretazione di Giulio Brogi. Roby ha citato a ragion di veduta il film della Cavani : le due opere sono strettamente legate, le trame si intrecciano fortemente per l’affresco d’epoca che offrono allo spettatore nell’evidenziare, in modo drammatico, il conflitto tra chiesa, intesa come spregiudicato esercizio del potere, e Verità, valore sacro qui sacrificato sull’altare sconsacrato, grondante di sangue innocente, della vampiresca ragion di stato della chiesa, che, con lucido cinismo, umilia, tortura, uccide uomini innocenti, che hanno segnato una delle tappe più importanti nel percorso di evoluzione dell’umanità, nell’ottica di “mors tua, vita mea”. Film-capolavoro, da utilizzare come sussidio didattico nelle scuole, per fare piazza pulita di quelle “menzogne dei millenni” predicate urbi et orbi, e aborrite da un altro grande filosofo demistificante, Friedrich Nietzsche ( a proposito, Roby : ti consiglio la recensione di un altro bellissimo film della Cavani, “Al di là del bene e del male”). In chiosa : sotto il pontificato di Woytila Galilei è stato riabilitato...., su Bruno grava ancora la scomunica...
Post n°12624 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni da http://robydickfilms.blogspot.it/2010/08/sacco-e-vanzetti.html
1971, Giuliano Montaldo. Un film che da molto tempo avevo pronto da vedere e non mi decidevo a farlo. Questo hobby di scrivere recensioni dei film che vedo a volte è una condanna, piacevole certo, ma impegnativa in alcuni casi, come questo. Ovviamente già sapevo del tema trattato, non molto ma ne sapevo, e avevo 2 timori: il primo era l'impatto emotivo che su di me avrebbe avuto, e questo se vogliamo era il minore dei mali, in fondo è quello che vado cercando nel Cinema; il secondo era la domanda "ma come faccio a sintetizzare una trama simile nella recensione?", e questo cruccio era il più pesante. Pochi giorni fa l'amico Giovanni Pili, autore di un blog che per me è un punto di riferimento, mi ha di fatto risolto il problema, esentandomi dalla sintesi. Faccio il saprofita e invito a leggere il suo post, "Sacco, Vanzetti e Salsedo". Certo, non è brevissimo, ma è il minimo per onorare la storia di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (e Andrea Salsedo). Inoltre, sul canale youtube legato al blog, è disponibile la visione dell'intero film. Posso allora occuparmi "solo" del film. Dico subito che è nel mio Olimpo personale, anche se ammetto che è dovuto a considerazioni puramente emozionali. Mi ha toccato, e perché ciò è avvenuto? Forse perché è molto ben fatto, secondo i miei gusti. In poco meno di due ore è riuscito ad illustrare ogni dettaglio della vicenda, quella di due "eroi per caso", i "terribili anarchici", erano un operaio in un calzaturificio (Sacco) e un pescivendolo ambulante (Vanzetti). Tutto avrebbero voluto tranne che essere arrestati o diventare famosi, solo che fu loro impossibile, durante il processo-farsa, calpestare la propria dignità, e la loro fiera appartenenza al movimento anarchico fu la loro condanna. Quando parlavo dei 2 timori, il primo era quello emotivo. E' stato piacevolmente confermato. La rabbia e l'indignazione che m'è montata per la storia è enorme, pur già conoscendola per sommi capi, solo che è la bellezza del Cinema, immagini e suoni che ti coinvolgono, ad averle suscitate con forza. Ai sentimenti previsti se ne sono aggiunti di imprevedibili, soprattutto un grande orgoglio, da italiano, nel vedere che non abbiamo esportato oltreoceano in quel periodo solo detestabili padrini. Siamo davanti ad uno di quei grandi film impegnati che una volta in italia si riuscivano a produrre, spesso di grande qualità. Poca concessione alla retorica, meno ancora alla spettacolarizzazione e tanta sostanza, nelle parole e nelle immagini, chiare ed inequivocabili. Ho citato la retorica, che non è una parolaccia, dipende certe frasi da chi arrivano e in che modi, se dal cretino-predicatore di turno alla tv o da 2 umili persone, oneste e pacifiste, condannate ingiustamente a morte. Quando Vanzetti prende la parola in tribunale dopo la sentenza definitiva della condanna capitale, dopo 7 anni di processi/appelli, ogni frase che afferma è da incorniciare! Anche se non è un capolavoro di oratoria, si parla di Senso della Vita, quello con le maiuscole, mica è la canzoncina di un vaschirossi qualsiasi. Sacco prima dell'esecuzione scrive una lettera al figlio ancora piccolo, gli dice tra le varie di dividere i suoi giochi con gli altri, una frase semplice e precisa, diretta, toccante. Mi sono calate lacrime pesanti. (E' uno spoiler, allora il discorso di Vanzetti, che ho trovato in giro, l'ho scritto in fondo alla recensione) Eccezionale l'interpretazione di Vanzetti da parte di un'icona di questo genere di film di quei felici anni, Gian Maria Volonté, ma stupirà quella di Sacco da parte di un attore molto meno noto, Riccardo Cucciolla, premiato quest'ultimo a Cannes. Colonna sonora di Morricone con la canzone di Joan Baez "Here's to you", canzone ora famosissima e che sicuramente ha contribuito molto, l'artista americana, alla diffusione del film nel suo paese che solo nel 1977 ha completamente riabilitato i 2 anarchici italiani. testo: "Here's to you, Nicola and Bart / Rest forever here in our hearts / The last and final moment is yours / That agony is your triumph". Ancora, c'è la "Ballata di Sacco e Vanzetti", sempre di Joan Baez che come dice lei stessa, nel video che segue, ha preso il testo integralmente da una lettera di Vanzetti al padre. Meravigliosa. testo: "Father, yes I am a prisoner; Fear not to relay my crime. The crime is loving the forsaken, Only silence is shame. And now I'll tell you what's against us, An art that's lived for centuries... Go through the world and you will find What's blackened all of history. Against us is the law with its Immensity of strength and power - Against us is the law! Police know how to make a man A guilty or an innocent. - Against us is the power of police! The shameless lies that men have told Will ever more be paid in gold... - Against us is the power of the gold! Against us is the racial hatred And the simple fact that we're poor. My father dear, I am a prisoner. Don't be ashamed to tell my crime, The crime of love and brotherhood; And only silence is shame. With me I have my love, my innocence, The workers and the poor For all of this I'm safe and strong And hope is mine! Rebellion, revolution don't need dollars, They need this instead : Imagination, suffering, light and love And care for every human being! You never steal, you never kill, You are a part of hope and life. The revolution goes from man to man And heart to heart! And I sense when I look at the stars That we are children of life; Death is small..." Per chiudere, foto di gente di cui andar fieri.
Il Famoso Discorso di Vanzetti in tribunale, nel 1927 quando il Giudice dice: Bartolomeo Vanzetti, avete qualcosa da dire prima che la condanna a morte sia resa esecutiva? Risposta: Ho da dire che sono innocente. In tutta la mia vita non ho mai rubato, non ho mai ammazzato, non ho mai versato sangue umano, io. Ho combattuto per eliminare il delitto. Primo fra tutti: lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo. E se c'è una ragione per la quale sono qui è questa, e nessun'altra. Una frase, una frase signor Katzmann, mi torna sempre alla menate: "Lei, signor Vanzetti, è venuto qui nel paese di Bengodi per arricchire". Una frase che mi dà allegria. Io non ho mai pensato di arricchire. Non è questa la ragione per cui sto soffrendo e pagando. Sto soffrendo e pagando perché sono anarchico... e me sun anarchic! Perché sono italiano... e io sono italiano. Ma sono così convinto di essere nel giusto che se voi aveste il potere di ammazzarmi due volte, e io per due volte potessi rinascere, rivivrei per fare esattamente le stesse cose che ho fatto. Nicola Sacco... il mio compagno Nicola! Sì, può darsi che a parlare io vada meglio di lui. Ma quante volte, quante volte, guardandolo, pensando a lui, a quest'uomo che voi giudicate ladro e assassino, e che ammazzerete... quando le sue ossa, signor Thayer, non saranno che polvere, e i vostri nomi, le vostre istituzioni non saranno che il ricordo di un passato maledetto, il suo nome, il nome di Nicola Sacco, sarà ancora vivo nel cuore della gente. (Rivolgendosi a Sacco) Noi dobbiamo ringraziarli. Senza di loro noi saremmo morti come due poveri sfruttati. (Rivolgendosi alla giuria) Un buon calzolaio, un bravo pescivendolo, e mai in tutta la nostra vita avremmo potuto sperare di fare tanto in favore della tolleranza, della giustizia, della comprensione fra gli uomini. Voi avete dato un senso alla vita di due poveri sfruttati!
Post n°12623 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni
Post n°12622 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni Mancano pochi giorni alle celebrazioni del Giorno dell'Indipendenza, quando, improvvisamente, il cielo su Washington è oscurato da una gigantesca astronave extraterrestre. Il governo degli Stati Uniti e l'opinione pubblica si interrogano sulle intenzioni dei visitatori dividendosi tra un fronte ostile ed un'ala pacifista. Contemporaneamente, nell'etere viene captato un misterioso segnale: è, come scopre David Levison, un conto alla rovescia che annuncia un'aggressione senza precedenti contro la Terra. Il giovane presidente Thomas J. Whitmore riesce a salvarsi in extremis, ma la Casa Bianca è polverizzata. La città è bombardata e a nulla valgono le difese dei militari, bomba atomica compresa. La svolta avviene quando il pilota Steven Hiller cattura un alieno e lo trasporta al centro di ricerche "Area 51" dove è gelosamente custodito il disco volante di "Roswell" precipitato nel 1947. Hiller e Levinson si convincono che l'unico modo per evitare la catastrofe è trasmettere un virus nella rete informatica dell'astronave madre nemica. Il vecchio, ma ancora funzionante, disco volante sarà lo strumento della riscossa. Il 4 luglio l'umanità celebra la vittoria. Gli spettacolari effetti speciali rimediano alle ingenuità di un soggetto che, nelle linee essenziali, è molto simile a quello di un film in bianco e nero del 1956, La Terra contro i dischi volanti. Le sequenze della smisurata astronave che invade il cielo e ricopre la città, e la distruzione della Casa Bianca annunciano fin dall'inizio un film ricco di emozioni visive, e il riferimento al "Dossier Roswell" - con un'implicita nota polemica alla politica dei segreti di Stato - conferiscono un tono di attualità alla storia. Concepito come un super-kolossal, il racconto sacrifica necessariamente i personaggi presentandoli come stereotipi di eroi che entrano ed escono di scena come pedine sacrificate o vincenti di una battaglia impostata al più acceso fervore patriottico. Tra gli interpreti oltre ai due divi Goldblum (Levinson) e Smith (il capitano Hiller), figurano attori con lunga frequentazione del genere: Pullman (il presidente), Loggia (il comandante Grey) e Brent Spiner (il dottor Okun) già celebre androide Data di Star Trek - Generazioni, solo per citarne alcuni. Costato 70 milioni di dollari, realizzato con più di 3.000 effetti speciali, applaudito da Bill Clinton in persona, Independence Day ha riscosso un grande successo di pubblico ...e suscitato non poche critiche: critiche rivolte non tanto all'aspetto formale della pellicola (che pure ha fatto la gioia di qualche instancabile cacciatore di errori) quanto ai possibili sottintesi messaggi politici che racchiuderebbe. Uscito a cavallo del cinquantesimo anniversario della fine della seconda guerra mondiale e in occasione della ricorrenza del 4 luglio, il film, secondo alcuni, glorifica la coesione e la forza del popolo americano in un momento in cui l'America è impegnata, dopo la guerra del Golfo, nella missione di gendarme del mondo. L'attacco a Washington - non a caso eletta a capitale della Terra - configurerebbe in un'ottica liberatoria lo scotto per gli errori del passato, dall'onta dell'atomica sul Giappone alla guerra in Corea e in Vietnam. Ma l'equivalenza tra vittoria e spirito di iniziativa del singolo individuo (non importa se pilota o scienziato, ma meglio ancora se presidente) ribadirebbe la validità di una mitologia di frontiera sulla quale sono cresciute e crescono generazioni di americani.
Post n°12621 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: recensioni
Post n°12620 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
La loro storia si concluderà con una “reunion” con gli ex Stefano D’Orazio e Riccardo Fogli) e con due concerti evento a Milano e Roma nel 2016 La formazione storica dei Pooh 28/09/2015 DANIELA LANNI È ufficiale. Dopo 50 anni di successi e canzoni memorabili i Pooh hanno deciso di sciogliersi definitivamente il prossimo anno. Il gruppo musicale, nato il 28 gennaio del 1966, celebre per aver scritto alcuni fra i più grandi successi discografici a
Post n°12619 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Box Office Italia
Post n°12618 pubblicato il 28 Settembre 2015 da Ladridicinema
Tag: eventi Lazio
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Post n°12617 pubblicato il 27 Settembre 2015 da Ladridicinema
Ma secondo voi quando vi comprate un sugo pronto con su scritto "prodotto in Italia" o “Made in Italy”, dentro cosa c'è? Perché se è MADE IN ITALY vien da pensare che dentro ci siano pomodori italiani. E invece non è così! Perché per diventare Made in Italy, per la legge italiana, basta che la lavorazione sostanziale sia fatta in Italia. E "sostanziale", sostanzialmente, non vuol dire nulla! Abbiamo scoperto che potremmo comprarci un sugo pronto fatto con il 100% di pomodoro cinese, ma con su scritto “Made in Italy”. E visto che i controlli in dogana sono pochi e le leggi su metalli pesanti e fitofarmaci sono molto diverse tra i vari paesi del mondo, rischiamo di mangiarci una marea di schifezze senza neanche saperlo. Chiediamo che su TUTTI i prodotti alimentari inscatolati venga dichiarata la provenienza degli ingredienti, come si fa per l'olio extravergine di oliva e pochissimi altri alimenti inscatolati, per cui bisogna scrivere la provenienza: Italia, UE, extra UE. Poi sarà il consumatore a decidere. Vogliamo il VERO “Made in Italy”. LETTERA A Presidente del Consiglio Matteo Renzi Ministero dell'Agricoltura Maurizio Martina Ministro dello Sviluppo Economico Federica Guidi
Post n°12616 pubblicato il 27 Settembre 2015 da Ladridicinema
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