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Messaggi di Maggio 2016

 

Box Office, Disney polverizza ogni record, miglior incasso di sempre

Post n°13224 pubblicato il 31 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Box Office Italia
La notizia del giorno è che Disney ha superato ieri i 4 miliardi di dollari incassati in soli biglietti del cinema nel 2016, un dato che polverizza ogni record precedente e che, considerando che non siamo nemmeno al giro di boa, dovrebbe garantire alla società il miglior incasso di ogni tempo per una singola casa di produzione nel corso di un anno solare. Per la prima volta da sempre Disney ha piazzato tre pellicole ai primi tre posti della top ten annuale:Il Libro della Giungla ha infatti completato il sorpasso ai danni di Batman v Superman: Dawn of Justice (877 milioni a 871), mentre Zootropolis è vicinissimo a passare il miliardo di dollari (991 milioni incassati fino ad oggi). Alice attraverso lo specchio vince il weekend italiano, superando dal giorno del suo arrivo nelle sale quota 2,1 milioni di euro, un dato discreto ma nettamente inferiore rispetto al predecessore. L'Italia così si allinea al resto del mondo, visto che in nessun mercato questo sequel ha ottenuto risultati comparabili al titolo originale. Gran weekend per La Pazza Gioia, che continua a mantenersi su ottime media per sala e che viaggia su cifre superiori rispetto a X-Men: Apocalisse, che pare aver già perso un po' di mordente. Deludente Julieta, mentre la sorpresa è Pelè (forse anche trainato dall'entusiasmo per la finale di Champions e gli eventi calcistici internazionali prossimi a cominciare). Captain America: Civil War, come previsto, ha superato Il Ponte delle Spie ed è ora il nono miglior incasso stagionale con 10,9 milioni di euro. Zootropolis potrebbe essere il suo prossimo obiettivo (sta a 11,2) ma il film ha oramai terminato la propria corsa e ci sentiamo di escludere questo sorpasso "in casa" tra le due produzioni Disney. Questa settimana arrivano tra gli altri The Nice GuysMiami BeachEddie the Eagle e Warcraft

Box Office USA
Il dato dei 4 miliardi rende un po' meno amara la pessima performance americana di Alice attraverso lo specchio, che si ferma a 28 milioni di dollari, venendo stracciata da X-Men: Apocalisse che chiude il weekend con 65 milioni in casa e 250 milioni a livello globale. The Angry Birds Movie cede la vetta ma arriva a quota 66 milioni in casa e ben 223 globali, mentre Captain America: Civil War con i suoi 372 milioni di dollari diventa finalmente il numero uno americano e consolida la posizione di leadership mondiale con 1,1 miliardi di dollari. In America regge bene The Nice Guys, mentre finisce già fuori dalla top ten The Darkness. La prossima settimana arrivano Tartarughe Ninja - Fuori dall'ombraPopstar e Me Before You

 
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Auguri Peppuccio!Giuseppe Tornatore, 60 anni da Poeta del Cinema DA CAMERALOOK.IT

Post n°13223 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: news

BY  / 27 MAG 2016 / 0 COMMENTI

Umiltà e determinazione. Sono queste le caratteristiche deve aver un regista per Giuseppe Tornatore che oggi compie 60 anni. “Voglio vivere ogni film che faccio come se fosse la mia opera prima” ha spiegato nell’omonimo documentario che gli hanno dedicato Luciani Barcaroli e Gerardo Panichi nel 2013. E’ proprio qui che sta la grandezza di Peppuccio. Un uomo che ama il cinema in modo viscerale, chiave e mezzo per ricordare e per accendere la memoria. Un regista che crede nell’immagine e che ha alle sue spalle la sua Terra, la Sicilia. Profondo conoscitore dei sentimenti umani, Tornatore ha in sé tutta la sostanza del grande cinema italiano.

Franco Cristaldi e Giuseppe Tornatore con l'Oscar nel 1990

Franco Cristaldi e Giuseppe Tornatore con l’Oscar nel 1990

Oggi lo vogliamo festeggiare ricordando il suo film-manifesto, Nuovo Cinema Paradiso. Un capolavoro immortale che, dopo un esordio da incubo nelle sale italiane (in pochissimi lo andarono a vedere), vinse il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 1989 e l’Oscar per il Miglior Film Straniero l’anno successivo. Anche grazie alla caparbietà del produttore Franco Cristaldie alla dirompente colonna sonora di Ennio Morricone, fraterno amico del regista. Ma il merito maggiore è stato tutto suo, di quell’uomo che fin da ragazzino costruì un rapporto d’amore con la pellicola. Da adolescente fece il proiezionista per tanti anni (indimenticabile la sua esperienza nell’ormai abbandonato Cinema Delle Palme a Villabate). Si innamorò dei film. Iniziò a scattare fotografie e a girare documentari, ma ben presto capì che la vita non voleva “spiarla” ma raccontarla.

Nuovo Cinema Paradiso, ovvero la magia in celluloide. In una sala cinematografica si ritrova il popolo di un’intera piazza, che piange e gioisce davanti a ombre sfuggenti, parole toccanti e baci appassionati. Un film corale dove il primo protagonista è il cinema stesso, che diventa uno specchio di emozioni per gli abitanti di un paesino siciliano dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Alfredo e Totò

Alfredo e Totò

Il piccolo Totò (il bravo Salvatore Cascio) e il paterno Alfredo (un toccante Philippe Noiret) altro non sono che i suoi fedelissimi servitori, ammaliati dalla magia di celluloide: custodi della memoria di una intera nazione avviata verso la ricostruzione dopo la catastrofe bellica.

La loro amicizia, che dura una vita, è la coprotagonista del film, iniziata al cinema del paese gestito da Don Adelfio, che censura le scene dei baci prima della proiezione. Totò cerca di assistere di nascosto alle “prime” per vedere i fotogrammi rubati dal parroco; è così che incontra Alfredo, proiezionista analfabeta che, raccontandogli del cinema muto, di quando la voce si poteva solo immaginare, lo incanta, mentre lui, giorno dopo giorno, aspetta invano il ritorno del padre dal fronte.

Salvatore Cascio

Salvatore Cascio

Da qui, il film segue la crescita di Totò; le sue vicende sono raccordate dalle pellicole che mano mano vengono proiettate al Cinema Paradiso e che lui fa passare per la visione, diventato proiezionista dopo che Alfredo ha perso la vista in un incendio. Anche quando lascerà Giancaldo (l’immaginario paesino siciliano) si porterà dietro la capacità di sorprendere tipica del cinema, insieme ad un amore perduto. Tornerà a casa soltanto per la morte di Alfredo, che in eredità gli ha lasciato un filmato composto dal montaggio dei numerosi baci censurati dal prete tanti anni prima.

Tornatore in questa sua seconda prova da regista (dopo l’esordio di 30 anni fa con Il Camorrista) non abbandona, ma anzi aumenta, il linguaggio popolare trovando una sintesi tra la realtà autobiografica e la finzione. I singolari personaggi che affollano Giancaldo, tra tutti Ignazino interpretato da un intenso Leo Gullotta, formano quel pubblico che ha trovato, e trova, nel cinema una dimensione preziosa e reale; e che in John Wayne, Jane Russel, Stanlio e Ollio, Chaplin e così via, intravede, più che una possibilità di fuga, una espressione dei propri sentimenti.

 

Emblematica la scena finale: rientrato a Giancaldo dopo alcuni decenni, Totò assiste ammutolito, insieme a tutto il paese, alla demolizione del Nuovo Cinema Paradiso, che era ormai abbandonato da anni. Mentre le fondamenta crollano, nei volti degli abitanti si legge la fine di un’epoca, quella in cui il cinema era il punto di non ritorno verso se stessi: quando i titoli di testa erano l’alba e la dissolvenza a nero il tramonto.

Giacomo Aricò e Tommaso Montagna

 
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X-Men: Apocalisse

Post n°13222 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Sabah Nur, detto Apocalisse e venerato come un dio, mentre sta per compiere il rito di trasferimento della sua anima nel corpo di un mutante che ha il potere di rigenerare le proprie ferite, ottenendo così l'immortalità, viene tradito e sconfitto. Nel 1983 un gruppo di fanatici risveglia Apocalisse, che decide di portare a termine il suo precedente piano e dominare il mondo.

Nuovo capitolo degli x-men che tradisce le attese forse per le troppe aspettative o i troppi intrecci, o forse per la battaglia epica tra i due schieramenti. Detto ciò però il film di Singer non convince anche perchè non crea alcuna tensione e non riesce a mantenere una coesione generale pur spiegando nuove cose sui mutanti. Lo stesso mutante immortale, En Sabah Nur; non convince come villain rispetto al solito Magneto o alle macchine dell'ultimo film.

Il personaggio interpretato da Oscar Isaac non fa altro che farfugliare sentenze su un mondo a lui sconosciuto e alieno con pochi spunti interessanti. Per non parlare della stessa trama che risulta sciatta e irrilevante. Non sembra nemmeno di vedere un film di Singer, vista l'assenza dei toni posati; dei conflitti politici ed etici tipici degli altri film sulla saga.

Il film sembra invece convincere in parte nel tentativo di trovare un gancio con la realtà o con altri media, soprattutto esaltando in maniera furbesca il personaggio di Raven, interpretato da Jennifer Lawrence, per attirare nuovo pubblico o comunque un determinato pubblico; agganciandosi ai vecchi personaggi: McAvoy e Fassbender. Interessante la nascita del personagigo di Jean interpretato da Sophie Turner, così come Nightcrawler interpretato da Kodi Smit-McPhee.

Voto finale: 2/5

X-Men - Apocalisse

(X-Men - Apocalypse)

Poster

Nel nuovo capitolo della saga, X-Men: Apocalisse, gli X-Men affrontano il primo e più potente mutante: Apocalisse. Anno 1983, l'invincibile e immortale Apocalisse viene liberato da un millenario sepolcro. Quando si rende conto che la sua razza non è più considerata divina, furioso, raduna una squadra di potenti mutanti, fra cui un sofferente Magneto, per distruggere l'umanità e creare un nuovo ordine mondiale su cui regnare. Per fermare le sue mire di distruzione globale, Raven e Professor X guidano una squadra di giovani X-Men in un epico scontro contro un nemico apparentemente invincibile. Mentre Apocalisse raduna i propri Cavalieri, Charles provvede all'insegnamento e all'addestramento dei suoi giovani alunni. Quando si scatena la furia di Apocalisse, questi giovani supereroi sono chiamati a crescere rapidamente.

 
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Il libro, il più potente oggetto multimediale del mondo da l'espresso

Post n°13221 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: libri, news

Stamattina ero in classe. Una comunissima classe di prima media, piena di ragazzini adorabili e intelligenti. Che però odiano leggere. Odiano è una parola forte, siamo più precisi: considerano la lettura un esercizio un po' noioso e limitato, in confronto a tutto ciò che hanno in alternativa: i film, i giochi in 3D, la musica.

Voi non avete idea di quanto sia difficile per un insegnante motivarli a leggere, perché per loro il libro è una cosa morta, polverosa e noiosa, che sta ferma lì e non fa nulla, mentre tutto il resto che usano è in movimento, è pieno di tutto.

Quando hai davanti una classettina di undicenni non puoi cavartela con la solita filippica che la lettura è bella e bisogna leggere per se stessi e per farsi una cultura. Perché a quell'età, giustamente, se ne fregano del "farsi una cultura", e se gli dici che la lettura è bella ma non glielo fai toccare con mano, ciao, li hai persi.

E allora ho fatto quello che spesso faccio in questi casi, perché con i ragazzini a quell'età non devi parlare, devi mostrare cosa vuol dire leggere. Leggere davvero. Perché non lo sanno.

Così li ho guardati, ho preso in mano una bella descrizione tratta da un Harry Potter (il primo che si scandalizza perché leggo Harry Potter può terminare qua la lettura del post e andarsi a leggere Proust nell'altra sala, anche perché sono certa che a undici anni già leggesse Proust, ovviamente, ed in francese), e ho detto: «Adesso chiudete gli occhi e ascoltate!»

E ho letto. Nel silenzio più assoluto, perché in classe non volava una mosca. Quando ho finito, ho detto:«Riaprite gli occhi. E ditemi cosa avete visto.»

Li hanno riaperti. Stupiti da una cosa che ad alcuni non era mai capitata prima. Avevano visto. Guidati dalle parole, lontani dagli stimoli di altro genere, nel loro cervello le parole avevano esercitato quella meravigliosa magia che hanno in sé: creano mondi. Avevano visto immagini, e sentito rumori e odori, e percepito colori, suoni. E ci erano finiti dentro, come mai prima gli era capitato, perché la realtà 3D in confronto alla fantasia è sempre limitata come l'ombra rispetto al vero.

«Ecco, vedete? quando voi parlate di oggetti multimediali come il tablet ed in pc, non vi rendete conto che il libro è il più potente di tutti. Gli altri aprono link e proiettano immagini sul vostro schermo, il libro direttamente dentro al vostro cervello. Ci cadete dentro, alle storie scritte, come nessun aggeggio tecnologico riesce ancora a farvi cadere. Perché le immagini evocate dalle parole vi avvolgono, come quelle dei sogni, non c'è distanza, non c'è filtro, siete lì, in mezzo all'azione.Le parole sono incantesimi, più potenti di quelle di Harry Potter, più potenti di qualsiasi processore. Le leggete e le cose compaiono non davanti a voi ma dentro di voi, e non avete bisogno di elettricità, e di tecnologia, solo della vostra mente e di un libro scritto.»

Mi hanno guardato. Qualcuno avrà pensato che sono semplicemente pazza. Ma qualche altro no. Ci sono momenti in classe in cui ti accorgi che hai fatto breccia e se lo ricorderanno. Non tutti, non sempre, ma qualcuno sì, e quel qualcuno che convinci è il motivo per cui facciamo il nostro mestiere.

È suonata la campanella, sono andati a casa. Alcuni continueranno a trovare i libri noiosi. Però li guarderanno magari con un occhio un po' diverso. Forse cominceranno a pensare che leggere non è compitare lettere e parole, ma sognare e vedere con la mente, aprire link direttamente dentro al cervello, e un libro è una miniera di pop up che si squaderna davanti a loro e attorno.

Non ditegli di leggere, mostrategli come si fa.

Alla fine, qualcuno, finirà per capire che un libro è un oggetto molto più potente di un telefonino.

 
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IL TRONO DI SPADE RECAP: UN EPISODIO DI PASSAGGIO CON UN FINALE TOCCANTE d bestmovie

Post n°13220 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Arya riceve una seconda chance, Bran incontra il suo destino, Theon è costretto ancora una volta alla fuga. Game of Thrones procede a ritmo forsennato
Il Trono di Spade
HBO

 

23.05.2016 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
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Il finale del quinto episodio de Il Trono di Spade lascerà molti a bocca aperta. Una scena che si ricollega al passato di Westeros e degli Stark, spiegando un dettaglio che non credevamo avesse bisogno di spiegazioni, e facendolo in un modo sorprendente e toccante. Per il resto, c'è da notare come, ancora una volta, le cose si stiano muovendo con una rapidità finora estranea alla serie che, arrivata a metà della sesta stagione, è sempre più determinata a muovere tutte le pedine in previsione delle ultime due.



DA QUI IN POI SPOILER SULL'EPISODIO 6x05.

In questa puntata, dal titolo “The Door”, Bran incontra il Re della Notte, Arya riceve un nuovo incarico, Sansa si libera di Petyr Baelish eppure finisce per ascoltare un suo consiglio, mentre giura fedeltà al fratellastro Jon Snow ma in realtà gli nasconde dei segreti. Alle Isole di Ferro, Euron Greyjoy viene acclamato re dopo che ha promesso al suo popolo un'alleanza con Daenerys per conquistare il mondo, costringendo così Theon e la sorella Yara alla fuga. E a proposito di Daenerys: finalmente Jorah si è dichiarato e le ha rivelato di essere malato terminale, spingendo lei a ordinargli di trovare una cura in ogni modo possibile.

Il gran finale è tutto per Bran: toccato dal Re della Notte nel corso di una visione, ha involontariamente segnalato all'esercito degli Estranei la sua posizione, causando un attacco di questi ultimi. Il Corvo con Tre Occhi di Max Von Sydow già ci saluta, ucciso dal Re, mentre Hodor si è sacrificato per salvare il padroncino, tenendo ferma la porta del rifugio mentre Bran scappava. Negli ultimi, concitati secondi abbiamo anche scoperto perché Wylis sia stato ribattezzato Hodor: da giovane aveva avvertito la presenza di Bran captando una richiesta dal futuro: “Blocca la porta”, ovvero “Hold the door”, da cui “Ho-dor”. Al di là della dipartita di un personaggio amato, si resta a bocca aperta per la lungimiranza di George R.R. Martin e ci si dispiace per quanti avrebbero preferito scoprire questo piccolo ma succoso dettaglio nei romanzi.



“The Door” è un episodio di passaggio in cui il segmento di Bran, per una volta, è l'unico vero avanzamento importante. Dopo quattro stagioni di sviluppo lento e una di totale assenza, per la prima volta la storyline di Bran è uno dei motori della serie. Siamo davvero molto curiosi di scoprire ulteriori segreti nel passato degli Stark e di Westeros, che sicuramente arriveranno nelle prossime puntate.

 
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La profezia su Hodor arriva (ancora una volta) dai fan da bestserial.it

Post n°13219 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

di Marica Lancellotti - 24-05-2016
Nel 2008 l'utente di un forum aveva già spiegato il suo segreto...

[L'articolo che segue contiene spoiler sull'episodio 6x05]

La pratica con Il Trono di Spade (siamo pur sempre alla stagione 6) ha forse convinto tutti di essere diventati ormai piuttosto bravi, quando non addirittura infallibili, nello speculare sullo show più visto al mondo.

Se continuate la lettura significa, invece, che siete pronti a ricredervi.

É noto, ormai, (sì, seguono spoiler: è l'ultimo avvertimento) cosa si nasconda dietro il nome del buon Hodor, o dovremmo chiamarlo Willys... in fondo "Hodor" è solo una parola, l'unica che lui pronunci, ottenuta dalla contrazione della frase «Hold the door» che Meera gli urla e lui ripete durante quel momento di "possessione" avvenuto nel passatto, che avrà le sue ripercussioni in un futuro divenuto presente.

Ebbene: nel 2008 l'utente Myrddin (mai nome più giusto) propose, su un forum dedicato ai romanzi di Martin, una teoria secondo cui il povero gigante chiedeva solo a qualcuno di aiutarlo a tenere la porta ("Hold the door"), e dalla storpiatura di quella frase era nato il nomignolo: Hodor.

Non è tutto: nel 2014 lo scrittore Michael Ventrella raccontava sul suo blog di aver incontrato George R.R. Martin in una convention e di esserselo ritrovato come vicino di stanza. Di mattina l'aveva sentito scherzare sul proposito di diventare un addetto agli ascensori, anzichè uno scrittore. Proprio questa battuta fu illuminante per Ventrella che, poco dopo, lo avvicinò per chiedergli se il nome di Hodor non potesse venir proprio da "Hold the door". Il commento di Martin fu: «non sai quanto ti sei avvicinato alla verità».

La storia di Hodor era stata già da tempo accennata nei romanzi, senza, tuttavia, essere mai risolta: i lettori delleCronache del Ghiaccio e del Fuoco devono essere davvero la categoria più attenta e scrupolosa del pianeta!

L'altra ipotesi è che George Martin, nel presente, sia andato indietro, nel passato, ad influenzare la predizione dei fan. Ma questa è un'altra storia.

 
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Mio papà

Post n°13218 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Mio Papà

Lorenzo ha 35 anni e lavora come sommozzatore su una piattaforma petrolifera. Lavoro duro, di quelli da uomini tutti d'un pezzo. E nel suo mestiere Lorenzo è uno dei migliori. Alla sera, quando ne ha voglia, scende a terra. Lorenzo con le donne ci sa fare ma ha una regola, una notte e poi sparisce. Non si ferma a dormire, mai. È un leit-motiv che si ripete, perché così è più facile e non ci si prende troppo sul serio. E continua fino a quando incontra Claudia e la passione lo travolge. Claudia è diversa e Lorenzo lo scopre quella notte, quando sulla porta della camera accanto incontra Matteo. Ha sei anni ed è il figlio di Claudia. E si apre un vortice in cui non esistono compromessi. Impossibile amare lei e dimenticare il figlio in un angolo. È un tutto o niente, un prendere o lasciare. Un unico tuffo nel vuoto.
Giulio Base ha maturato esperienza al servizio del piccolo schermo e l'ereditarietà della fiction televisiva traspare nel linguaggio che qui ha scelto. Eppure, con Mio papà ha realizzato un film dal gusto agrodolce e leggero, in equilibrio tra le emozioni, grazie ai diversivi comici creati da Ninetto Davoli e Fabio Troiano. Un dramma familiare attuale e contemporaneo, immerso nell'aperta discussione legale, fatta di difficoltà e limiti burocratici. 
Mio papà ha il suo fulcro nell'affrontare un'opportunità d'amore. Il padre è chi cresce o chi ha dato la vita. E crescere non è forse donare la vita. Amare i figli degli altri, essere padre, dunque. Essere un uomo vero, presente. In antitesi con quello naturale, completamente assente. ?Crescere, camminare insieme, condurre per mano un bimbo dall'incondizionato bisogno d'amore. Un bimbo che da grande vuole aggiustare il mare, proprio come Lorenzo.
Il piccolo Matteo ha il volto dell'eccezionale Niccolò Calvagna (classe 2006), intenso e mai in difficoltà accanto a professionisti ben più adulti. E grazie alla sua interpretazione è più facile provare empatia per Mio papà, film dalla lacrima suggerita, moderno spaccato familiare di un Italia di provincia, sincera e così lontana dal paese idealizzato che troppo spesso vediamo nelle fiction televisive.

 
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Child 44

Post n°13217 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Child 44 - Il bambino n. 44

Nella Russia sovietica non esiste il crimine e l'ordine è mantenuto dalla MGB, polizia segreta e paranoica che sospetta tutti e arresta soltanto innocenti. Leo Demidov è un ufficiale efficiente agli ordini del Maggiore Kuzmin che ha deciso di archiviare come incidente la morte di un ragazzino violato e strangolato da uno psicopatico. Perplesso ma adempiente, Leo esegue il suo dovere e il volere del suo superiore. Ma un secondo caso lo convince presto a indagare, trasformandolo da predatore in preda. Le cose a casa non vanno meglio, Raïssa, moglie e insegnante, lo ha sposato per paura e lo disprezza per i suoi metodi. In un clima di terrore crescente, in cui indisturbato agisce un omicida seriale di bambini, Leo e Raïssa scopriranno le falle del Sistema e troveranno un nuovo equilibrio sentimentale.
Trasposizione del romanzo omonimo di Tom Rob Smith, Child 44 è un thriller paranoico che combina con efficacia storia e cronaca. Da una parte la Russia socialista a un passo dalla morte di Stalin, dall'esecuzione di Bérija, capo della polizia segreta sovietica, e dall'investitura di Nikita Chrušcëv, dall'altra, dislocati negli anni Cinquanta, gli efferati delitti del "mostro di Rostov", che tra il 1978 e il 1992 assassinò cinquantadue persone. 
Duro e realistico, Child 44 fiuta le tracce, esplora le correlazioni, 'unisce i puntini' e frequenta i bassi fondi del regime totalitario sovietico, impegnato in superficie a dare una bella immagine di sé, un'immagine rassicurante. Interdetto sugli schermi russi per "alterazione dei fatti storici", Child 44 condivide con lo spettatore il terrore di un popolo governato da un sistema retto sulla menzogna e sulla mistificazione ideologica. Delazione, arresti arbitrari, torture, esecuzioni sommarie, propaganda antioccidentale, spionaggio, non manca davvero nulla nel film di Daniel Espinosa, che elegge a protagonista un ufficiale compromesso con la dittatura stalinista per risolvere un intrigo che è insieme criminale e politico. A ragione di questo il film non apre sul rinvenimento di un corpo o su uno degli elementi dell'inchiesta ma ripercorre la scalata al potere di Leo Demidov, personaggio cruciale che lega differenti archi narrativi: il contesto socio-politico, l'investigazione poliziesca e la biografia dell'eroe. Il film è svolto lungo un percorso lineare, ma mai prevedibile, che mescola e converge nell'epilogo 'infangato' i tre soggetti. 
Senza digressioni, il treno di Espinosa procede rapido, producendo una suspense implacabile da cui è possibile scampare solo saltando in corsa alla maniera di Tom Hardy e Noomi Rapace. Affiancati da Vincent Cassel, Jason Clarke e Gary Oldman, che nell'esilio del suo ufficiale crea ancora una volta un personaggio che si fa ricordare per come è abile nel non farsi notare, Tom Hardy e Noomi Rapace confermano la faccia di cuoio, la potenza fisica e le cicatrici interiori. Improntate le rispettive carriere sul gesto virile, lo gratificano attraverso l'azione e lo innescano dentro un mondo dominato dal sospetto e dal complotto, dove ogni sguardo cela una minaccia e ogni sorriso un'insidia. Un mondo manicheo, ma in apparenza, perché poi scopriamo che i buoni lavorano per i cattivi e viceversa che qualche cattivo finisce per collaborare coi buoni. Non ci si può fidare di nessuno, mai. E in questa atmosfera fredda e opprimente, in questa società a fiducia zero, opaca e piena di angoli bui, si muovono un killer seriale e la sua nemesi, pieni di soprassalti, dubbi, sussulti. Come se per l'uno fosse l'unica possibile, come se per l'altro non fosse più possibile.

 
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Youth

Post n°13216 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 


Fred e Mick sono due amici da moltissimo tempo e ora, ottantenni, stanno trascorrendo un periodo di vacanza in un hotel nelle Alpi svizzere. Fred, compositore e direttore d'orchestra famoso, non ha alcuna intenzione di tornare a dirigere un'orchestra anche se a chiederglielo fosse la regina Elisabetta d'Inghilterra. Mick, regista di altrettanta notorietà e fama, sta invece lavorando al suo nuovo e presumibilmente ultimo film per il quale vuole come protagonista la vecchia amica e star internazionale Brenda Morel. Entrambi hanno una forte consapevolezza del tempo che sta passando in modo inesorabile.
Paolo Sorrentino era atteso al varco con questo film che arriva dopo l'Oscar de La grande bellezza e la sua estetica così personale tanto da aver diviso critica e pubblico in estimatori e detrattori molto decisi. Per di più il regista tornava in competizione a Cannes dove solo due anni fa la giuria non aveva degnato del benché minimo riconoscimento il film ricoperto successivamente da molteplici allori. Il rischio maggiore però, che era più che lecito paventare da parte di chi amava il suo cinema ma non era impazzito di gioia dinanzi al suo ultimo lavoro, era quello di ritrovare un Sorrentino ormai divenuto manierista di se stesso. Il trailer del film seminava più di un indizio in tal senso ma, fortunatamente, i trailer non sono i film. Perché il Sorrentino regista è tornato a confrontarsi con il Sorrentino sceneggiatore. Se entrambi avevano deciso di convivere senza intralciare il lavoro dell'altro dando così luogo a ridondanze e compiacimenti oltremisura, in questa occasione l'uno non ha concesso all'altro (e viceversa) più di quanto fosse giusto concedergli. Ne è nato così un film compatto a cui non nuocciono neppure le molteplici sottolineature del finale. Perché questa volta il modello di Sorrentino torna ad essere se stesso, senza più o meno consci confronti con i maestri che, anche quando citati, vengono metabolizzati nel suo universo creativo. Non mancano anche qui personaggi più o meno misteriosi che appaiono e scompaiono e a cui ora è comunque lo spettatore a poter assegnare la valenza simbolica che preferisce. Perché Fred e Mick sono persone che sono state personaggi nella loro vita ma che su questo schermo tornano a presentarsi come persone. Con le loro angosce, con le loro attese, con i loro segreti e, soprattutto, con la consapevolezza di una memoria destinata a perdersi nel tempo come le lacrime del Roy Batty bladerunneriano. 
Sorrentino non ne fa due vecchie glorie più o meno coscienti delle proprie attuali forze fisiche e intellettuali ma offre loro anche i ruoli di genitori che conoscono luci ed ombre di un'arte altrettanto difficile: quella che i figli pretendono che venga esercitata nei loro confronti, non importa in quale età essi si trovino. In tutto ciò, ci si può chiedere, che ruolo viene assegnato alla giovinezza del titolo? Quello di specchio riflettente (e deformante al contempo) di passioni, desideri, fragilità. Su tutto questo e su molto altro ancora Sorrentino torna a trovare la profondità, la leggerezza ma anche la concentrazione che permettono al film di levitare. Chi lo vedrà capirà il senso del verbo.

 
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Ken Loach,Palma d’oro a Cannes: “Non smetto di stare dalla parte dei più deboli” da left

Post n°13215 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Palma d’oro al festival di Cannes per Ken Loach, il grande regista inglese che – come ha detto lui  stesso in una recente intervista – non smette di stare dalla parte dei più deboli, dalla parte degli operai, dei disoccupati, dei precari senza rappresentanza. Il film, Daniel Blake è un duro ritratto dell’Inghilterra che, dopo anni di tatcherismo e blairismo, oggi vede file interminabili di disoccupati  davanti ai job centers, in cerca di un lavoro che non c’è; che vede molti inglesi ricorrere alle Food Banks (si parla di più di un milione di persone nell’ultimo anno). Nel film si parla anche di una Gran Bretannia che oggi non ha risposte per gli studenti universitari vessati dai debiti universitari, che non ha risposte – per stare alla trama del film – per le madri single, punite dai tagli ai benefits, costrette a cercare riparo negli ostelli.

Daniel Blake si svolge nel nord dell’’Inghilterra dei giorni nostri, stretta nella morsa dei tagli allo stato sociale. «La fame, oggi nel Regno Unito, è usata come un’arma, da un sistema burocratico punitivo e disumano», ha denunciato Ken Loach in una intervista al Guardian. Ed è il rischio di finire per strada quello che attanaglia Daniel protagonista del film interpretato da Dave Johns; è un falegname ultracinquantenne che ha lavorato per tutta la vita e che poi, come capita,  malaguratamente, si è ammalato. Vedendosi costretto  a cercare il sussidio di disoccupazione. La sua storia si intreccia con quella di Kate (Hayley Squires) una madre single, sfrattata, nonostante abbia due bambini. Atmosfere quasi dickensiane, per questo film di Ken Loach che tuttavia lavora su un registro di presa diretta davanti a un Job Center, con attori non professionisti (come è nel suo stile) che sono disoccupati e impiegati.
Il soggetto è di Paul Laverty, lo stesso autore di Jimmy’s Hall, film sull’Irlanda rivoluzionaria degli anni Trenta. Ma al di là delle risonanze storiche,  questo lavoro è un chiaro atto d’accusa contro il governo Cameron. L’ultimo j’accuse del grande regista inglese, stando alle sue dichiarazioni (ma noi speriamo che ci offra ancora suoi pensieri), cercando di dare una stura ai laburisti, dopo gli anni di acquiescienza  al blairismo che Loach definisce «una vera e propria ferita aperta nel corpo della società». Cercando di scuotere anche  il neo sindaco di Londra, perchè si schieri più decisamente  con Jeremy Corbyn, leader del partito laburista, con cui il maturo regista si è sempre detto consonante.

 
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CANNES 69: PALMA A LOACH. UN ALTRO CINEMA È POSSIBILE da welovecinema

Post n°13214 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

di Laura Delli Colli

Da Cannes con la vittoria di Ken Loach un messaggio di solidarietà ai nuovi poveri del mondo: è questo oltre la qualità del cinema il segno forte che lascia con la Palma d’Oro 2016 al suo I, Daniel Blake il Festival 69 che si è appena concluso. Loach nove anni fa aveva già vinto con Il vento che accarezza l’erba e per una Giuria che ha visto i film di un concorso interessante, nel quale non c’era però un ‘colpo di fulmine’ troppo prevedibile, è prevalsa sull’originalità e le provocazioni d’autore, la storia toccante di un uomo che conosce sulla sua pelle il tunnel di quella povertà inesorabile e improvvisa che attraversa oggi le società più civili del mondo

Ken Loach è un maestro nel raccontare il mondo del lavoro e la sofferenza delle classi povere. “Cannes è importante per il future del cinema” ha detto ritirando il premio ma è ai lavoratori, quelli del suo film innanzitutto, che ha voluto dedicare la Palma, andata al suo Daniel Blakeperché, come ha detto ringraziando la giuria, “E’ grazie a loro se siamo qui. Cercate di restare forti, per favore. Ci sono persone che faticano a trovare il cibo nel quinto paese più ricco del mondo. Ci sono milioni di persone ridotte alla fame, per la grottesca ricchezza di pochi. Il cinema serve anche a rappresentare questo, le persone che combattono contro i ricchi e i potenti. Diamo un messaggio di speranza, un altro mondo è possibile e necessario”.

A Laurent Lafitte, che ha condotto la cerimonia finale, è toccato il compito di annunciare I premi tra emozioni e sorprese. L’emozione per esempio del pianto dirotto di Xavier Dolan, il ragazzo prodigio che aveva vinto con Mommy solo due anni fa ed è oggi di nuovo vincitore del Grand Prix con il suo Juste la fin du monde (che in realtà non era stato accolto dalla stampa con un successo unanime) il quale, tra le lacrime, non dimentica di ringraziare la famiglia. Una famiglia, dice, con cui “mi trovo molto meglio rispetto a quanto fa il mio protagonista con la sua”.

Hanno un po’ sorpreso alcuni premi, altri sono andati forse nel segno di un compromesso al quale- giudicando i rumors con I quali era stato accolto proprio il suo film- Personal shopper – hanno senza dubbio gratificato non solo Olivier Assayas ma certamente I ‘padroni di casa’. Tra le scelte meno scontate Houda Benyamina ha vinto la Camera d’or con Divines e ha salutato il Premio e la giuria molto femminile con un linguaggio a dir poco …libero

Emozione al massimo in sala quando una standing ovation e un lungo applauso ha salutato Jean Pierre Leaud, Palma d’onore di questa 69.ma edizione così anche nel segno di Truffaut “Sono nato qui” dice “quando Truffaut ha presentato I 400 colpi. Ora sono di nuovo qui con La mort de Louis XIV (il film spagnolo di Albert Serra in cui Léaud interpreta re di Francia). Ma mi chiedo ancora cos’è il cinema e ancora non so rispondermi, anche se forse aveva ragione Cocteau quando diceva che ‘è la sola arte che cattura la morte al lavoro’.

Il miglior attore è Shabab Hosseini, per Forushande di Asghar Farhadi e dice sul palco “Questo premio lo devo al mio popolo e glielo dedico col cuore” (allo stesso film che raccontal l’Iran tra tradizione e modernità anche il premio per la sceneggiatura).

La giuria presieduta dal regista di Mad Max George Miller, nella quale ha ‘militato’ anche la ‘nostra’ Valeria Golino, ha scelto come migliore attrice invece Jaclyn Jose, protagonista del filippino Ma’ Rosa di Brillante Mendoza. Premio alla regia a pari merito a Cristian Mungiu e Olivier Assayas, un compromesso tra il film rumeno, per molti favorito senza dubbio quello firmato da Assayas, regista–manifesto del cinema francese d’autore, molto amato dal Presidente del festival, un grande industriale e produttore del cinema francese come Pierre Lescure.

Il resto è nella lista del palmarès. E forse nelle dichiarazioni dei giurati, poche come sempre, dopo la premiazione: filtra l’unanimità dai pochi commenti ‘a caldo’  (Valeria Golino non lo ha nascosto, sia pure con una battuta ‘al volo’). Ma a quanto pare neanche la furia di Mad Max stavolta  avrebbe potuto fare una rivoluzione contro la tentazione di qualche  eccesso di diplomazia…

 

TUTTI I PREMI:

Il premio per il miglior attore del Festival di Cannes è andato a Shahab Hosseini per Le Client di Asghar Farhadi.

Il premio per la miglior attrice del Festival di Cannes e’ andato a Jaclyn Jose per Ma’ Rosa di Brillante Mendoza.

Il premio per la miglior sceneggiatura a Ashgar Farhadi per Le Client.

Il premio per il miglior regista del Festival di Cannes e’ andato ex aequo a Olivier Assayas per Personal Shopper e Cristian Mungiu per Bacalaureat.

Il Grand Prix della giuria del Festival di Cannes e’ andato a Xavier Dolan per Juste la fin du monde.

Il premio Camera d’Or per la migliore opera prima a Divines di Houda Benyamina. 

La Palma d’oro del cortometraggio va a TimeCode del regista spagnolo Juanjo Giménez.

 
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Il libro della vita

Post n°13213 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 


Un gruppetto di ragazzini si annoia alla sola idea di mettere piede in un museo. Li prende in carico, però, una guida speciale, che ha in serbo qualcosa per loro. Con voce suadente, la donna li conduce dentro la storia dei festeggiamenti messicani legati al giorno dei morti, in un viaggio attraverso tre regni sovrapposti. Protagonista della storia nella storia è Manolo Sanchez, ultimo erede di una famiglia di toreri che desidera però fare il musicista ed è innamorato dall'infanzia della bella Maria, figlia del generale Posada di San Angel. Anche il prode Joaquin è innamorato di Maria, e la loro amichevole rivalità diventa oggetto niente meno che di una scommessa tra la Morte e il suo oscuro consorte, Xibalba. 
Se per La Sposa Cadavere Tim Burton si era ispirato ad un racconto del folklore ebreo-russo, per Il Libro della vita l'idea è radicata nel culto precolombiano degli antenati defunti da compiacere, nella credenza che l'alternanza tra vita e morte funga da garanzia dell'ordine cosmico e dunque nella facilità di immaginazione di un canale di comunicazione costantemente aperto tra le due sponde. Perpetuare il ricordo dei morti, e la loro protezione, dal Messico precristiano ad oggi, non significa affatto piangerli, ma al contrario festeggiarli con danze e banchetti, costumi carnevaleschi e candele che illuminano il cammino. Una festa per gli occhi è dunque, con ogni evidenza, anche la promessa estetica del film di Gutierrez, prodotto, tra gli altri, da Guillermo Del Toro. Promessa mantenuta, con l'offerta inesauribile di un immaginario caleidoscopico e barocco, di maschere e colori. 
Sul fronte narrativo, dove vige un altrettanto tacita promessa di fuga rocambolesca nella matrioska di sfondi e avventure, il film corre pericolosamente sull'orlo del precipizio, rischiando ad ogni occasione di sgonfiarsi sul più bello, ma riuscendo miracolosamente a rialzarsi ogni volta, con l'aiuto di non poche suggestioni prese in prestito da precedenti animazioni, ma pur sempre usate a proposito. Soccorrono la storia anche una buona dose di richiami letterari e cinematografici: dal citato Tim Burton all'Iliade, con Maria al posto di Elena e lo zampino di Xibalba in luogo di Afrodite, e poi Romeo e Giulietta, Dragontrainer (Manolo non vuole uccidere i tori, come Ichab non voleva cacciare i draghi, e per questo perdono entrambi la stima del padre), InkheartLe 5 leggende (il fabbricante di candele sembra uscito direttamente dal film DreamWorks). Un pastiche cui si aggiunge una colonna sonora sullo stesso stile, che va dall'Ave Maria al tradizionale Cielito Lindo, dal pop dei Radiohead alle canzoni originali di Gustavo Santaolalla. Troppo? Forse. Ma, in fondo, è un giorno di "ricreazione".

 
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Hungry hearts

Post n°13212 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 


Mina e Jude si incontrano per la prima volta in un'angusta toilette di un ristorante cinese. Da lì nasce una relazione che darà alla luce un bambino e li porterà al matrimonio. Dal colloquio con una veggente a pagamento Mina si convince che il suo sarà un figlio speciale che andrà protetto da ogni impurità. Inizia a coltivare ortaggi sul terrazzo di casa e per mesi non lo fa uscire imponendo regole alimentari che ne impediscono la regolare crescita. Jude decide di opporsi a queste scelte portando di nascosto il figlio da un medico che mette in evidenza la gravità della situazione. Mina però cede solo apparentemente alle richieste del coniuge e il conflitto si fa più acuto.
Il disagio, il malessere esistenziale sono da sempre al centro del cinema di Saverio Costanzo. Che si tratti dei palestinesi di Private, dei seminaristi di In memoria di me o dei giovani de La solitudine dei numeri primila sua macchina da presa inquadra situazioni che sono al contempo estreme e quotidiane. È quanto accade anche in questo film che trae ispirazione dal romanzo "Il bambino indaco" di Marco Franzoso in cui Costanzo mette a frutto la propria profonda conoscenza delle dinamiche del thriller per porla al servizio di una riflessione profonda sulla genitorialità al tempo degli OGM ma non solo. 
Il filosofo e sociologo Zygmund Bauman ci ricorda che: "La nostra è un'epoca nella quale i figli sono, prima di ogni altra cosa e più di ogni altra cosa, oggetti di consumo emotivo. Gli oggetti di consumo soddisfano i bisogni, desideri o capricci del consumatore e altrettanto fanno i figli. I figli sono desiderati per la gioia dei piaceri genitoriali che si spera arrecheranno il tipo di gioie che nessun altro oggetto di consumo, per quanto ingegnoso e sofisticato, può offrire". È questo tipo di consumo che Mina (precocissima orfana di madre e con un padre con cui non ha più contatti) sta cercando, anche se vorrebbe evitarne inizialmente, l'avveramento. Costanzo non vuole fare il fustigatore di teorie e/o credenze più o meno diffuse (osservanza vegana compresa) perché di fatto spinge il suo sguardo decisamente molto più in là. 
Mina non è una Rosemary polanskiana più o meno consapevolmente gravida di demoni interiori. È una donna che dimentica di essere tale (quindi annullando anche la propria sessualità che era in precedenza vitale e solare) in funzione di una 'proprietà', quella del figlio, che diviene totalizzante. Il punto di non ritorno è quando utilizza l'aggettivo possessivo più improprio ("mio") nei confronti del neonato. Da quel momento Jude viene estromesso (con sentenza passata in giudicato nella mente della compagna) dalla condivisione che è propria dell'essere genitori. Per far ciò non è necessario essere vittime di ossessioni nutrizionistiche. È sufficiente ritenere di essere gli unici depositari del sapere 'cosa è bene' per l'essere umano in formazione rifiutando qualsiasi confronto. Il cordone ombelicale non è solo un elemento fisiologico. È fatto di sensibilità, di cultura, di influssi sociali tra i quali è sempre più difficile discernere. I cuori affamati del titolo sempre più spesso rischiano di divorare, con la pretesa dell'amore, ciò che dovrebbe costituire il senso del loro stesso pulsare. Costanzo sa come descrivere questo processo.

 
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Julieta

Post n°13211 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Julieta

Post n°13210 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster
Julieta, una professoressa di cinquantacinque anni, cerca di spiegare, scrivendo, a sua figlia Antia tutto ciò che ha messo a tacere nel corso degli ultimi trent'anni, dal momento cioè del suo concepimento. Al termine della scrittura non sa però dove inviare la sua confessione. Sua figlia l'ha lasciata appena diciottenne, e negli ultimi dodici anni Julieta non ha più avuto sue notizie. L'ha cercata con tutti i mezzi in suo potere, ma la ricerca conferma che Antia è ormai una perfetta sconosciuta.

 

NOTE:

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2016.

 
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Fräulein - una fiaba d'inverno

Post n°13209 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster
La più grande tempesta solare che l'uomo ricordi si abbatte sulla Terra provocando sbalzi di corrente e blackout. Una ben più profonda tempesta si scatena nell'animo di Regina, scontrosa e solitaria zitella da tutti chiamata Fräulein, dopo che un misterioso turista sui sessanta, uomo smarrito e infantile, oltrepassa il cancello del suo albergo chiuso da anni. Quello che doveva essere il fugace "scontro" di una notte, si trasformerà ben presto in una tempestosa e sorprendente convivenza.

 
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Il traduttore

Post n°13208 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Andrei Bina è uno studente rumeno che grazie a una borsa di studio frequenta un corso di specializzazione in lingue straniere all'Università. Dato che i soldi della borsa sono pochi, di sera lavora in una pizzeria e di giorno saltuariamente in questura, dove traduce gli interrogatori e le intercettazioni di suoi connazionali. Andrei - che oltre al romeno e all'italiano, parla perfettamente diverse lingue, tra cui il tedesco - viene messo in contatto dalla sua tutor con una sua amica antiquaria, Anna Ritter, che vuole far tradurre il diario del marito tedesco, scomparso da poco in circostanze misteriose. Andrei viene catapultato in un mondo che fino a quel momento non aveva neppure osato sognare.

 
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Una nobile causa

Post n°13207 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Una nobile causa racconta la vicenda parallela di Gloria, una giocatrice incallita reduce da una folgorante vittoria di un milione di euro alle slot machine, e della sua famiglia, terrorizzata che sperperi il bottino miracolosamente vinto; e del Marchesino Alvise Fantin, a sua volta malato di gioco, piccolo truffatore, condannato a risarcire con il proprio lavoro due delle sue vittime, due pescivendoli, padre e figlia. Dopo essersi perdutamente innamorato della giovane Tania, Alvise pare redimersi, ma non tutto è come sembra. A raccordo di entrambi la saggia figura del Dottor Aloisi, psicologo specializzato nella cura del gioco di azzardo a cui Gloria e la sua famiglia si affidano per un percorso di terapia. In una escalation di colpi di scena, un fattore mette in comune tutti i protagonisti della vicenda e diventa fondamentale strumento di comicità: l'intelligenza perversa ed acuta, la furbizia di chi, in nome di un'ossessione quale quella del gioco, si condanna alla piccola e alla grande truffa per poter alimentare la propria malattia.

  • PRODUZIONE: Prodotto da Rebecca e Tarcisio Basso
  • DISTRIBUZIONE: Moovioole Distribuzione
  • PAESE: Italia

 
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Alice attraverso lo specchio

Post n°13206 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Alice attraverso lo specchio

Post n°13205 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Alice Kingsleigh (Mia Wasikowska) ha trascorso gli ultimi anni seguendo le impronte paterne e navigando per il mare aperto. Al suo rientro a Londra, si ritrova ad attraversare uno specchio magico che la riporta nel Sottomondo dove incontra nuovamente i suoi amici il Bianconiglio, il Brucaliffo, lo Stregatto e il Cappellaio Matto (Johnny Depp) che sembra non essere più in sé. Il Cappellaio ha perso la sua Moltezza, così Mirana (Anne Hathaway) manda Alice alla ricerca della Chronosphere, un oggetto metallico dalla forma sferica custodito nella stanza del Grand Clock che regola il trascorrere del tempo. Tornando indietro nel tempo, incontra amici - e nemici - in diversi momenti della loro vita e inizia una pericolosa corsa per salvare il Cappellaio prima dello scadere del tempo.

 
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