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Messaggi di Agosto 2019

 

Uno di famiglia

Post n°15290 pubblicato il 31 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

Luca è un ex attore diventato insegnante di dizione: un precario del nostro tempo che fa una gran fatica a farsi pagare dai suoi studenti. Uno di questi (fra i pochi che pagano) è Mario Serranò, un bel ragazzo che cerca di togliersi l'accento calabrese. Un giorno, in uscita da casa sua, Mario viene quasi investito da un'auto in corsa, e Luca riesce a strattonarlo via appena in tempo, proprio davanti agli occhi di Angela, la zia del ragazzo. Da quel momento Angela Serranò prenderà sotto la sua ala lo scombinato Luca, che fino a quel momento non aveva santi in Paradiso, e ora invece è protetto da una sfilza di Padrini: i Serranò formano infatti una potentissima Famiglia di 'ndranghetisti che tiene in mano le sorti della Capitale.

Uno di famiglia è una spassosa commedia che si fa beffe di tutto: cosche organizzate e lavoratori dello spettacolo, antiquari spocchiosi e figlie di giornalisti arroganti, politici, poliziotti e persino portatori di handicap.

Questa volta il quarantenne Alessio Maria Federici ha avuto la saggezza di mettersi accanto due sceneggiatori che hanno coscritto alcune delle commedie più riuscite del cinema italiano contemporaneo: Andrea Garello, nel team di Smetto quando voglio (ma anche di Senza nessuna pietàAmnésia e della bella serie televisiva Via Zanardi 33), e Giacomo Ciarrapico, coautore di Boris (la serie e il film) ma anche di Ogni maledetto Natale e del recente Troppa grazia

Questo dream team è riuscito a creare personaggi credibili pur nell'esagerazione comica, a uscire e rientrare disinvoltamente nello stereotipo con grande libertà creativa, spiazzando occasionalmente le aspettative e lasciando ai personaggi un fondo di umanità riconoscibile: ad esempio Regina, la fidanzata di Luca, sfugge alla macchietta dell'ottusa rompiballe per rivelarsi solidale e sfaccettata, pur nel tratteggio parodistico. La sceneggiatura affronta anche la realtà economica dei precari: sfidiamo qualunque lavoratore dell'"industria culturale" a non esultare quando i Serranò si occupano del recupero crediti del povero Luca.

 
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Il grinch

Post n°15289 pubblicato il 31 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

Al di sopra della città di Chissarà, dentro una grotta profonda e confortevole, vive il Grinch col suo cane Max. Verde, peloso e solitario, il Grinch odia il Natale, ne odia le assemblee di persone, lo spirito allegro e cordiale e soprattutto i canti. Per cinquantatré lunghi anni l'ha sopportato, ma ora non ce la fa più e prende una decisione radicale: ruberà il Natale ai ChiNonSo. Nottetempo, porterà loro via tutti i regali, gli addobbi, la felicità. Allora sì che smetteranno di cantare. O ancora no?

Torna al cinema uno dei personaggi più famosi delle favole in rima del Dr. Seuss, grazie alla Illumination Entertainment, che già aveva fatto grandi cose con Ortone e il mondo dei Chi e Lorax.

Se fino ad oggi il Grinch al cinema voleva dire Jim Carrey nel film escheriano di inizio millennio firmato Ron Howard, da questo momento in poi si potrà nutrire un'altra preferenza, per questo ritorno al disegno animato, dai tratti simili alle illustrazioni dello stesso Theodor Geisel in arte Seuss, ma in fondo più morbido e vicino ad un racconto di Natale tradizionalmente inteso. 

Alla favola anticonsumistica, si aggiunge qui anche una breve backstory alla Tim Burton, responsabile dell'atteggiamento del Grinch, che gli impedisce di apparire veramente meschino: insicuro, solo soprattutto, ma non davvero senza cuore. Piuttosto vicino ad un certo Gru, che, come lui, ne sa qualcosa di piani di furti in grande stile e di piccole creature di cui prendersi cura. 

Il personaggio di casa Meledandri, che in italiano ha la voce di Alessandro Gassmann e in versione originale quella di Benedict Cumberbatch, è insomma un tenerone fin dall'inizio: brontola, fa qualche dispetto, ma non si può non fare il tifo per lui. E lo stesso vale per Cindy-Lou Chi, attorno alla quale il film costruisce una vicenda da vera e propria coprotagonista, un piccolo mondo fatto di una madre stoica e disperatissima, un migliore amico, una banda di supporto e un sogno nel cassetto, destinato ad incontrarsi e scontrarsi con quello del Grinch la fatidica notte di Natale.

 
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5 il numero perfetto

Post n°15288 pubblicato il 31 Agosto 2019 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Mademoiselle

Post n°15287 pubblicato il 31 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

( Agassi )
Regista: Park Chan-wook
Genere: Thriller
Anno: 2016
Paese: Corea del Sud
Durata: 139 min
Data di uscita: 29 agosto 2019
Distribuzione: Altre Storie
Mademoiselle è un film di genere thriller del 2016, diretto da Park Chan-wook, con Kim Min-Hee e Kim Tae-ri. Uscita al cinema il 29 agosto 2019. Durata 139 minuti. Distribuito da Altre Storie.
Data di uscita:29 agosto 2019
Genere:Thriller
Anno:2016
Paese:Corea del Sud
Durata:139 min
Distribuzione:Altre Storie
Fotografia:Chung Chung-hoon
Produzione:Moho Film, Yong Film
Guardalo al cinema
Mademoiselle ora al cinema: 12 sale cinematografiche
TRAMA MADEMOISELLE:

Mademoiselle, il film diretto da Park Chan-wook, è ambientato nella Corea degli anni '30, durante l'occupazione giapponese. Una facoltosa ereditiera, Lady Hideko (Kim Min-Hee), vive in un'enorme tenuta di campagna in compagnia del prepotente zio (Jo Jin-Woong), dal temperamento sadico e dispotico, nonché grande appassionato di letteratura erotica. L'uomo, che ha cresciuto la nipote sin dalla tenera età di cinque anni, trama di sposarla per impadronirsi del suo ricco patrimonio.
Nel frattempo, grazie al conte Fujiwara (Jung-woo Ha), un truffatore sotto mentite spoglie nobiliari, Sookee (Kim Tae-ri) viene assunta come ancella della fragile Lady Hideko. La ragazza nasconde, però, un segreto sulla sua identità: è una borseggiatrice. Reclutata dal conte imbroglione, Sookee deve aiutarlo a sedurre la nobildonna per convincerla a fuggire con lui, così da derubarla delle sue ricchezze e rinchiuderla in un manicomio.
Sebbene il piano sembri procedere positivamente, la bellezza di Lady Hideko potrebbe comprometterlo; infatti, tra l'ereditiera e la sua ancella nascerà presto una forte passione. Sookee sceglierà il sentimento o il denaro?

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2016. Adattamento del romanzo "Ladra" di Sarah Waters.

 
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L'amour flou - Come separarsi e restare amici

Post n°15286 pubblicato il 31 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

( L'amour flou )
Genere: Commedia
Anno: 2018
Paese: Francia
Durata: 97 min
Data di uscita: 29 agosto 2019
Distribuzione: Academy Two
L'amour flou - Come separarsi e restare amici è un film di genere commedia del 2018, diretto da Romane Bohringer, Philippe Rebbot, con Romane Bohringer e Philippe Rebbot. Uscita al cinema il 29 agosto 2019. Durata 97 minuti. Distribuito da Academy Two.
Data di uscita:29 agosto 2019
Genere:Commedia
Anno:2018
Paese:Francia
Durata:97 min
Distribuzione:Academy Two
Fotografia:Bertrand Mouly
Montaggio:Céline Cloarec
Produzione:Escazal Films

 

Romane (Romane Bohringer) e Philippe (Philippe Rebbot) si separano. Dopo 10 anni di vita in comune, due figli e un cane, non si amano più. Insomma... Non sono più innamorati.
Ma si vogliono bene lo stesso. Tanto. Troppo per separarsi veramente?
Insomma il loro amore è "flou" cioè poco chiaro. Sotto lo sguardo perplesso della gente che gli sta intorno Romane e Philippe traslocano in due appartamenti separati, e comunicanti attraverso la camera dei bambini! È possibile separarsi rimanendo insieme? Riusciranno a rifarsi una vita senza disfare tutto?

 
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Genitori quasi perfetti

Post n°15285 pubblicato il 31 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

Regista: Laura Chiossone
Genere: Commedia
Anno: 2019
Paese: Italia
Durata: 93 min
Data di uscita: 29 agosto 2019
Distribuzione: Adler Entertainment
Genitori quasi perfetti è un film di genere commedia del 2019, diretto da Laura Chiossone, con Anna Foglietta e Paolo Calabresi. Uscita al cinema il 29 agosto 2019. Durata 93 minuti. Distribuito da Adler Entertainment.
Data di uscita:29 agosto 2019
Genere:Commedia
Anno:2019
Paese:Italia
Durata:93 min
Distribuzione:Adler Entertainment
Montaggio:Walter Marocchi
Produzione:Indiana Production, Rossofilm, Maremosso con Rai Cinema in associazione con Proxima Milano

Genitori quasi perfetti, il film diretto da Laura Chiossone, segue la storia di Simona (Anna Foglietta), una mamma single quarantenne legata da un amore profondo al suo bambino, Filippo (Nicolò Costa). Si sente però terribilmente inadeguata al ruolo e l’organizzazione della festa per gli otto anni di lui porta a galla tutte le sue insicurezze. Combattuta tra l’assecondare i desideri del figlio e la volontà di proteggerlo dal giudizio altrui, che può essere feroce, Simona arriva al giorno della festa carica di aspettative e di ansia. Quando gli invitati, genitori e figli, affluiscono uno dopo l’altro varcando la soglia di casa, si viene a comporre, uno squarcio di varia umanità. Mentre in soggiorno i bambini giocano, gli adulti in cucina si odiano amabilmente. Fino a quando una inattesa performance di Filippo rompe gli schemi e innesca un effetto domino di azioni e reazioni che porta la festa a deragliare.

PANORAMICA SU GENITORI QUASI PERFETTI:

 

Genitori quasi perfetti è il secondo film lungometraggio di Laura Chiossone, già regista di cortometraggi, videoclip (per Morgan, Marracash, Marlene Kuntz), documentari e di Tra cinque minuti in scena, film che mescola diversi linguaggi. Lo spunto della sua nuova opera è un'esperienza personale, quella di genitore che alle feste di compleanno dei figli deve avere a che fare con persone di milieu e mentalità diverse e di donna alle prese con il mondo contemporaneo, influenzato dai social e soprattutto dalle chat di whatsApp, dove ognuno deve risultare ineccepibile, affabile, aperto e interessante. I personaggi della nostra commedia corale - che, per amarezza, ferocia e alternanza di toni, potremmo paragonare a una buona e vecchia commedia all'italiana - danno infatti il meglio di sé mentre conversano tramite i loro smartphone, ma quando si incontrano, l'amicizia diventa odio profondo e si innescano dinamiche sulle prime divertenti e poi distruttive.

Per la regista e per uno dei protagonisti (Paolo Calabresi), il film è una "commedia dell'arte dei genitori", una recita in cui le mamme e i papà indossano una maschera e utilizzano i figli per acquisire un certo status sociale. Ci sono così i vegani, i sempliciotti e perfino i giocherelloni, e ognuno difende stolidamente le proprie convinzioni e il proprio modus vivendi. E a essere presi in giro in maniera più clamorosa di tutti sono gli intellettuali, che qui si millantano intenditori di François Truffaut e di Nagisa Oshima.

"Dispiegamento" di ego e di nevrosi un po' come Carnage di Roman Polanski, Genitori quasi perfetti vanta un cast di notevole pregio. Accanto a Calabresi, che abbiamo imparato ad amare nella serie Boris, abbiamo apprezzato in Se mi lasci non vale e Bentornato Presidente!, e abbiamo adorato nella trilogia di Smetto quando voglio, recitano infatti Anna Foglietta, Lucia MascinoMarina Rocco ed Elena Radonicich, per fare soltanto alcuni nomi.
Tranne quest'ultima, che si è dedicata perlopiù a film non da ridere (la ricordiamo in Fabrizio De André - Principe Libero), gli altri hanno una certa familiarità con la commedia. Anna Foglietta, che ha da poco vinto il Nastro D'Argento come migliore attrice protagonista per Un giorno all'improvviso di Ciro D'Emilio, ci ha divertiti per esempio in Che vuoi che sia, Perfetti Sconosciuti, Noi e la Giulia, Confusi e felici e Nessuno mi può giudicare, che però sono commedie e non "film comici". Lucia Mascino, che vanta un passato da attrice "seria", ultimamente è passata anche lei dalla parte della leggerezza (con Favola, La prima pietra e Ma cosa ci dice il cervello). Quanto a Marina Rocco, straordinaria pupa del produttore Giancarlo Giannini in Notti Magiche di Paolo Virzì, irresistibile (e buffa) era la sua Stefania Del Fiore nella fiction Tutti pazzi per amore.

 

 

Dal Trailer Ufficiale del Film:

Simona Riva (Anna Foglietta): Grazie Ilaria, ma non dovevate!
Aldo Luini (Paolo Calabresi): Perché noi non mangiamo derivati da animali!
Simona Riva : Non c'è latte, uova e zucchero...no!
Ilaria Luini (Lucia Mascino): No, no, è proprio un torta all'acqua! Poi noi siamo quello che mangiamo, no?!
Simona Riva: Ma infatti vi somiglia!

Sabrina (Marina Rocco): Una mia amica della palestra mi ha chiesto di fargliela a forma a forma di freccia! Tu, Ilaria, come ce l'hai?
Ilaria: Classica
Sabrina: Bella rigogliosa! Vuoi che ti do un'aggiustatina?!

Luisa (Marina Occhionero): Io ho capito che sarà molto, molto difficile fare peggio di quello che avete fatto voi con i vostri figli!

 
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5 è il numero perfetto 5 è il numero perfetto

Post n°15284 pubblicato il 31 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

Regista: Igort
Genere: Drammatico
Anno: 2019
Paese: Italia
Durata: 100 min
Data di uscita: 29 agosto 2019
Distribuzione: 01 Distribution
5 è il numero perfetto è un film di genere drammatico del 2019, diretto da Igort, con Toni Servillo e Valeria Golino. Uscita al cinema il 29 agosto 2019. Durata 100 minuti. Distribuito da 01 Distribution.
Genere:Drammatico
Anno:2019
Regia:Igort
Paese:Italia
Durata:100 min
Distribuzione:01 Distribution
Fotografia:Nicolaj Bruel
Produzione:Propaganda Italia e Jean Vigo Italia e Rai Cinema

TRAMA 5 È IL NUMERO PERFETTO:

 

5 è il numero perfetto, il film diretto da Igort e tratto dalla sua omonima graphic novel di successo, è ambientato in una Napoli degli anni 70, piovosa e notturna.
Il film segue le vicende di Peppino Lo Cicero, interpretato da un irriconoscibile Toni Servillo.
Peppino è un guappo, un sicario di seconda classe della cammorra in pensione, costretto a tornare in pista dopo l'omicidio di suo figlio. Questo avvenimento tragico innesca una serie di azioni e reazioni violente ma è anche la scintilla per cominciare una nuova vita. Ad affiacarlo, troviamo il sanguinario Totò 'O Macellaio (Carlo Buccirosso), amico e complice di un'intera vita e Rita (Valeria Golino), l'amante di sempre.
Il film è un piccolo affresco napoletano nell'Italia anni Settanta ma anche la storia di un'amicizia tradita e di una seconda opportunità e di una rinascita.

 

 

Dopo aver sceneggiato un documentario su Andy Wahrol e i film Last Summer e L'accabadora, Igort porta sullo schermo in prima persona il suo acclamato romanzo grafico 5 è il numero perfetto, pubblicato nel 2002. L'autore ha avuto l'idea del libro quando viveva in Giappone e lavorava per la celebre casa editrice Kodansha, per cui aveva realizzato Yuri, e ha pensato di scrivere una storia italiana, ambientata in una Napoli piovosa degli anni Settanta.
L'idea di trarre un film da questa storia di colpa e vendetta che vede al centro un vecchio camorrista, Peppino Lo Cicero, ma che è raccontata secondo le dinamiche di certo cinema giapponese e di Hong Kong, ha attratto come produttore Marco Muller, altro esperto di cinema asiatico, che per molto tempo è stato coinvolto nel progetto. La regia era stata affidata inizialmente a Egidio Eronico (si parlava addirittura di Lucio Dalla per un ruolo), poi per un periodo avrebbe dovuto dirigerlo Johnnie To. Alla fine, sfumata produzione e progetto, Igort si è rassegnato a firmare la regia del film, cosa che inizialmente non aveva intenzione di fare. Il direttore della fotografia è Nicolai Brüel, che ha curato la splendida fotografia di Dogman di Matteo Garrone, mentre il montaggio è passato da Esmeralda Calabria a Walter Fasano, montatore di Luca Guadagnino, con cui il regista ha dichiarato di avere maggiore affinità.

Igort è il nome d'arte di Igor Tuveri, nato a Cagliari il 26 settembre 1958, pluripremiato sceneggiatore e artista, il cui lavoro è conosciuto e pubblicato in gran parte del mondo, soprattutto in Francia e in Giappone dove ha vissuto e lavorato a lungo.
Ha iniziato giovanissimo collaborando con riviste di fumetti come Linus (di cui è attualmente direttore), Alter, Frigidaire, Métal Hurlant e L'echo des Savannes. Tra le sue passioni la musica, che lo ha portato a incidere anche dei dischi (col gruppo Valvoline, da lui co-fondato, e non solo). Tra le sue influenze cinematografiche cita il regista giapponese Suzuki Seijun, che definisce "una specie di Sergio Leone asiatico".
Personaggio poliedrico, coltissimo e multimediale, negli anni Novanta inizia una lunga collaborazione con la casa editrice giapponese Kodansha e nel 1992 disegna un orologio Swatch, lo Yuri, che diventa lo Swatch dell'anno. Nel 1994 espone le sue opere alla Biennale d'arte di Venezia. Nel 2000 fonda con Carlo Barbieri la Coconino Press, per cui vede la luce proprio 5 è il numero perfetto, che ottiene un successo internazionale, e che diventa una delle case editrici più prestigiose del fumetto in Italia (la lascia nel 2017). Tra i suoi lavori più famosi i Quaderni ucraini, i Quaderni russi e i Quaderni giapponesi. Alla sua opera sono state dedicate numerose mostre.

 

Tratto dall’omonima graphic novel di Igort.
Film presentato in Concorso alle Giornate degli Autori del Festival di Venezia 2019.

FRASI CELEBRI:

 

Dal Trailer Ufficiale del Film:

Peppino (Toni Servillo): Totò, so' Peppino! Io ho bisogno di te! È passato tanto tiempo!
Totò (Carlo Buccirosso): È successo qualcosa?
Peppino: 'O figlio mio stanotte è uscito per anna a fatica', non è tornato! Se hanno fatto qualcosa a Nino mio, scateno 'na guerra!

Peppino: Lo sang chiama sang'!

Peppino: Due più due...più uno...cinque, cinque è il numero perfetto! Hai capit' strunz!

 
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The Rider - Il sogno di un cowboy

Post n°15283 pubblicato il 31 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

( The Rider )
Regista: Chloé Zhao
Genere: DrammaticoWestern
Anno: 2018
Paese: USA
Durata: 103 min
Data di uscita: 29 agosto 2019
Distribuzione: Wanted Cinema
The Rider - Il sogno di un cowboy è un film di genere drammatico, western del 2018, diretto da Chloé Zhao, con Brady Jandreau e Tim Jandreau. Uscita al cinema il 29 agosto 2019. Durata 103 minuti. Distribuito da Wanted Cinema.
Data di uscita:29 agosto 2019
Genere:Drammatico, Western
Anno:2018
Paese:USA
Durata:103 min
Distribuzione:Wanted Cinema
Sceneggiatura:Chloé Zhao
Montaggio:Alex O'Flinn
Produzione:Caviar, Highwayman Films

TRAMA THE RIDER - IL SOGNO DI UN COWBOY:

 

The Rider, il film diretto da Chloé Zhao, segue la storia di un giovane cowboy, Brady Blackburn (Brady Jandreau), che ha imparato tutto ciò che sa sui cavalli dai suoi genitori, Wayne (Tim Jandreau) e l'ormai defunta Mari, e iniziando a cavalcare sin dalla tenera età. A causa di una caduta da un destriero, Brady ha subito un intervento alla testa, che ha richiesto l'inserimento di una placca di metallo. Tornato a casa nella riserva indiana di Pine Ridge, deve affrontare le terribili conseguenze dell'incidente e il trauma di non poter più gareggiare nei rodei. Questa nuova difficoltà si va ad aggiungere a quelle già presenti in famiglia: sua sorella minore Lilly (Lilly Jandreau) è autistica e il padre è ossessionato dal gioco d'azzardo. Il suo unico punto di riferimento è l'amico Lane (Lane Scott), in riabilitazione intensiva e costretto a ricevere cure h24 dopo un incidente simile a quello di Brady.
Ma un cowboy non può stare a lungo lontano dai suoi cavalli e Brady è determinato a ritornare in sella il prima possibile, nonostante sappia che il rodeo lo esporrebbe a grandi rischi e una seconda caduta potrebbe comportare lesioni con conseguenze gravissime. Brady si ritroverà quindi di fronte a un bivio: dedicarsi alla guarigione e alla sua famiglia o rischiare tutto per fare ciò che meglio rappresenta la sua vita, correre a cavallo.

 

FRASI CELEBRI:

 

Dal Trailer Italiano del Film:

Voce off: Basta con le cavalcate e con i rodei, se non ti fermi le crisi continueranno a peggiorare

Wayne Blackburn (Tim Jandreau): A volte i sogni non possono realizzarsi

Brady Blackburn (Brady Jandreau): Credo che Dio abbia dato uno scopo a tutti noi, per un cavallo è correre nella prateria, per un cowboy è cavalcare!

 
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UNITA’ COMUNISTA. I PUNTI DELLA DISCUSSIONE da ilpartitocomunista.it

Post n°15282 pubblicato il 30 Agosto 2019 da Ladridicinema

22 febbraio 2017di 

«Unità con chi e per cosa?» Questa domanda che si poneva Pietro Secchia, dirigente di primo piano del movimento comunista italiano, è ancora oggi la domanda fondamentale da porsi quando si discute di unità comunista. Il tema è molto sentito e a ragione, ma spesso semplificato e banalizzato. Per discutere seriamente bisogna partire da una premessa di fondo.

Oggi nel movimento comunista internazionale, e certamente nel nostro Paese, esistono serie differenze di vedute strategiche tra le forze comuniste presenti, di cui l’attuale frammentazione è un riflesso diretto. Ogni ragionamento sull’unità dei comunisti deve partire dal riconoscimento di questa realtà, comprendendo che lo stato attuale non è semplicemente il prodotto di personalismi e incomprensioni o volontà di difendere piccoli “orticelli” ma il risultato delle scelte e delle contraddizioni accumulate in anni nonché delle divergenze strategiche presenti.

Non basterebbe semplicemente rimettere tutti insieme, esperienza già provata con Rifondazione Comunista nel 1992 (le differenze, diceva Bertinotti sono una ricchezza, ma alla fine hanno, nell’accezione migliore, solo determinato confusione) o peggio ancora legare la questione dell’unità comunista a scadenze elettorali, come fatto dalla Federazione della Sinistra nel 2009.

Per l’unità comunista è presupposto un dibattito serrato su questioni di carattere strategico e un’unità nel conflitto di classe. Il II congresso del Partito Comunista ha licenziato le tesi politiche che sono consultabili all’indirizzo: http://ilpartitocomunista.it/wp-content/uploads/DOCUMENTO-II-CONGRESSO-PC-2017.pdf in cui esprimiamo la nostra analisi e la strategia del Partito, ed in particolare cosa significhi la costruzione di un partito rivoluzionario in una fase non rivoluzionaria e in che modo intendere correttamente questa ultima espressione.

All’Unità comunista è dedicata la chiusura del nostro documento con parole chiare che delineano la nostra posizione. «La questione comunista – si legge nel documento – è la questione dell’unità dei comunisti realmente marxisti-leninisti, che rompe con le forme di opportunismo e rifiuta qualsiasi riduzione a generiche connotazioni elettoralistiche e aggregazioni con le forze della “sinistra”, che relegano i comunisti ad una funzione di subalternità storica e di classe. È la questione dell’indipendenza comunista rispetto alle forze borghesi, del profilo autonomo degli interessi del proletariato nello scontro di classe nazionale e nella sua proiezione internazionale, nello scontro interimperialistico che lo rende irriducibile ad alcuno dei campi in lotta Il Partito deve levare in alto la parola d’ordine dell’unità invitando ad un cammino comune con tutti quei compagni che si pongono su questo terreno. Aumentando le iniziative di discussione e dibattito, non temendo il confronto, ma valorizzando nella dialettica delle posizioni le prospettive concrete di avanzamento. L’unità è nulla se ad essa non corrisponde unità ideologica e di visione strategica».

L’unità è un obiettivo da perseguire e per il quale vogliamo contribuire con alcuni punti che, nell’ottica di unità e ricostruzione diventano irrinunciabili. In particolare:

1)    l’autonomia politica dei comunisti e la totale indipendenza dai partiti che accettano come orizzonte il sistema capitalistico. La costruzione del partito comunista non può essere ridotta ad un’opinione più radicale interna al sistema politico borghese, di sue coalizioni o raggruppamenti di sinistra. Costruire il partito comunista significa realizzare lo strumento che scardina quel sistema. In praticarifiutare ogni forma di alleanza elettorale con il Partito Democratico, ed uscire da qualsiasi visione antistorica di “unità delle forze democratiche costituzionali”. Un rifiuto netto, indipendentemente da chi guida il PD, e espresso tanto a livello nazionale, quanto a livello regionale e locale. Rifiutare l’alleanze con il PD a livello nazionale ma poi praticarla a livello locale si chiama opportunismo. Questo vale anche per forze cosiddette di sinistra (da D’Alema, a Pisapia, passando per Vendola) che ora possono anche distinguersi tatticamente dal PD ma che in prospettiva vogliono crescere per poi allearsi nuovamente con il PD);

2)    la centralità dell’analisi leninista dell’imperialismo, come fase suprema del capitalismo. L’imperialismo non può essere ridotto ad una delle sue fenomenologie, ossia l’aggressione militare. il movimento comunista non può prendere parte strategicamente per uno o per un altro schieramento di forze imperialiste in lotta e che la lotta dei comunisti è rivolta, prima di tutto, alla liberazione dallo sfruttamento capitalistico e all’uscita dei propri paesi dall’Unione Europea, dalla Nato e da ogni alleanze imperialista;

3)    la necessità di abbandonare ogni illusione sulla riformabilità della UEdelle sue istituzioni e dei meccanismi economici che ne sono alla base. I comunisti devono in Italia avere come posizione l’uscita del proprio Paese dalla UE. Non basta parlare di semplice lotta per la dissoluzione delle alleanze imperialiste, non specificando come tale dissoluzione possa avvenire. Serve assumere la responsabilità di praticare questa rottura nel solo modo possibile, ossia attraverso la lotta per l’uscita unilaterale dalle alleanze imperialiste. Allo stesso tempo non appartengono ai comunisti ragionamenti sull’Europa a due velocità, su alleanze dei paesi del Sud Europa, sulla semplice uscita dall’euro senza anche uscire dalla UE. Tutte opzioni politiche solo apparentemente alternative ma che in realtà sarebbero favorevoli a settori del capitale e finirebbero per peggiorare la condizione della classe operaia e delle masse popolari;

4)    la consapevolezza, che discende direttamente dai punti precedenti, che l’autonomia politica dei comunisti deve essere tale anche nei confronti delle forze di “sinistra”. Non esiste una sinistra anticapitalista al di fuori dei comunisti: parlare di antiliberismo non è sinonimo di anticapitalismo, ma indica diverse visioni interne alle logiche del capitalismo. Sostenere la riformabilità della UE come fa il Partito della Sinistra Europea e le forze che ad esso aderiscono, rende quelle posizioni incompatibili con quelle dei comunisti. Quindi unità dei comunisti e unità della sinistra non sono sinonimi, e non sono neanche processi che possano marciare insieme. Non bisogna mischiare queste due parole d’ordine con tanta leggerezza, perché dietro ad esse esistono prospettive incompatibilmente divergenti. Pensare di unire i comunisti per poi unirsi con forze di sinistra che hanno prospettive strategiche opposte alle nostre è opportunismo della peggior specie;

5)    contrapposta al rifiuto delle alleanze elettorali, la più grande apertura sul piano delle alleanze sociali. Il lavoro dei comunisti deve essere orientato completamente al sostegno e alla direzione della lotta di classe, e in primo luogo nel lavoro per incrementare la coscienza di classe dei lavoratori, la loro partecipazione alla lotta. I comunisti devono essere capaci di creare un blocco sociale attorno alle rivendicazioni più avanzate della classe operaia, unendo ad essa gli strati sociali a rischio di impoverimento e proletarizzazione, che nella fase del dominio dei grandi monopoli diventano sempre maggiori;

6)    sul piano del conflitto la critica all’operato del sindacalismo confederale e in particolare al ruolo della CGIL deve essere netta e spietata. La prospettiva strategica dei comunisti non può impantanarsi in un impossibile ritorno della CGIL su posizioni di classe, ma deve operare per la costruzione del sindacato di classe, legato internazionalmente alla FSM, che rappresenti effettivamente gli interessi dei lavoratori, che sappia guidare i lavoratori nelle lotte senza cedere a compromessi al ribasso che nel caso del sindacalismo confederale sono ormai sfociati in una posizione di aperto collaborazionismo filo-padronale;

7)    la stretta connessione della ricostruzione comunista con i processi di riorganizzazione del movimento comunista internazionale. Noi riteniamo che in questa fase sia necessaria una maggiore unità d’azione dei comunisti a livello internazionale per rispondere all’attacco padronale, anche a costo di cedere alcuni elementi di direzione politica ad un più stringente coordinamento internazionale. L’adeguamento dialettico alle condizioni nazionali, che pure deve essere presente nell’elaborazione tattica dei partiti, non può portare a torsioni strategiche che finiscono con il giustificare tutto e il contrario di tutto, in nome di presunte vie nazionali al socialismo;

8)    la necessità di fare i conti con l’esperienza del movimento comunista del nostro Paese e in particolare con la storia del Partito Comunista Italiano. Sarebbe un pessimo servizio al processo di ricostruzione comunista quello di chiudersi in una visione religiosa della storia del PCI e non analizzarne gli errori. In particolare non riteniamo possibile nessuna unità comunista senza una chiara condanna dell’eurocomunismo, dell’accettazione dell’ “ombrello della nato”, della politica del compromesso storico e della solidarietà nazionale, elementi centrali del processo di trasformazione del PCI in una forza socialdemocratica.  Allo stesso tempo serve un’autocritica spietata sul periodo che segue allo scioglimento del PCI, e al processo di costruzione del PRC. Serve una critica all’eclettismo e all’opportunismo dominante in quegli anni, ed in particolare al riconoscimento dell’errore storico della partecipazione dei comunisti nei governi di centrosinistra.

9)    non legare l’unità comunista a prospettive meramente elettorali. Questo non significa che i comunisti oggi, in totale autonomia e indipendenza dalle altre forze politiche, non possano e debbano utilizzare lo strumento delle elezioni, ed eventualmente le posizioni nelle istituzioni, come megafono della propria azione nel conflitto di classe. Essere autonomi e indipendenti significa anche non delegare ad altre forze (come fatto da alcune organizzazioni comuniste con i Cinque Stelle o con forze di sinistra) la rappresentanza delle proprie battaglie. In poche parole utilizzare le elezioni, gli spazi mediatici, le istituzioni per la costruzione del partito e il rafforzamento della lotta di classe.

10) dichiarare con chiarezza che il fine dei comunisti è il rovesciamento del sistema capitalistico e la costruzione del socialismo, e operare coerentemente con questa dichiarazione. I comunisti non limitano la loro azione alla difesa di conquiste temporanee, ma legano ogni lotta concreta al processo di accumulazione di forze in chiave rivoluzionaria. Non esistono alternative tra capitalismo e socialismo e non esistono fasi intermedie.

A cento anni dalla Rivoluzione d’Ottobre siamo coscienti delle grandi difficoltà dei comunisti proprio nel momento in cui appaiono così chiare le contraddizioni del capitalismo, nel mondo e nel nostro Paese. Il capitalismo oggi non è in grado di assicurare ai popoli nessun futuro se non sfruttamento, disoccupazione, peggioramento delle condizioni salariali e di vita, guerra, contrasto insanabile con l’ambiente e il carattere finito delle risorse del pianeta. L’attualità della questione comunista è anche sforzo per l’unità dei comunisti, a patto che tali processi siano orientati nella direzione opposta rispetto a quanto fatto in questi anni. Noi vogliamo l’unità dei comunisti, a partire da una coerenza strategica e ideologica, che ha come premessa la critica degli errori passati. Ma respingiamo al mittente ogni proposta di unità o dialogo con forze di sinistra e centrosinistra, magari sotto elezioni.  Una prospettiva che significherebbe relegare i comunisti alla coda di progetti perdenti, che illudono i lavoratori, e che sono perfettamente allineati al potere capitalistico ai diktat della UE e alla Nato, in cambio di qualche posto nelle istituzioni.

Su queste condizioni e a partire da un lavoro comune concreto abbiamo impostato l’unità tra il Partito e il Fronte della Gioventù Comunista e questo riteniamo sia il modello da seguire in futuro. Coscienti della insufficienza delle forze esistenti, a partire da noi, siamo pronti a mettere in discussione la nostra organizzazione a patto che ciò determini un avanzamento e non un passo indietro su quanto, anche se ancora insufficiente, faticosamente è stato costruito in questi anni. Unità con i comunisti, non con quanti vorrebbero trascinare nuovamente i comunisti nel pantano. L’unità senza principi è, al meglio, confusione.

Roma 22 febbraio 2017

UFFICIO POLITICO

PARTITO COMUNISTA

 
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"Tortura psicologica senza sosta": John Pilger rivela le condizioni di Assange in carcere da antidiplomatico

Post n°15281 pubblicato il 30 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

 

Il giornalista australiano e pluripremiato documentarista, John Pilger afferma che la "tortura psicologica" contro il fondatore di WikiLeaks Julian Assange continua "senza sosta" mentre rimane sotto la custodia britannica.
 
Pilger su Twitter ha scritto di aver recentemente parlato con Assange e ha affermato che il giornalista aveva perso ancora più peso di quanto riportato in precedenza; gli è stata anche negata la possibilità di parlare al telefono con i suoi genitori.
 

 
"Gran Bretagna 2019", ha concluso Pilger. 
 
Il giornalista è stato un fervente difensore di Assange da quando è iniziata la sua resa dei conti con i governi occidentali a seguito della pubblicazione di WikiLeaks di sensibili documenti statunitensi che mostravano i potenziali crimini di guerra in Iraq. 
 
Assange, 48 anni, ha scontato una pena detentiva di 50 settimane dal suo arresto fuori dall'ambasciata ecuadoriana a Londra l'11 aprile, apparentemente per aver saltato la cauzione, anche se molti dei suoi sostenitori sostengono che è solo un periodo di attesa prima della sua eventuale estradizione negli Stati Uniti per essere processato per possesso e diffusione di informazioni classificate. Se giudicato colpevole, Assange potrebbe essere condannato a 175 anni di carcere. 
 
Notizia del: 29/08/2019

 
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Pedro Almodóvar: un Leone come risarcimento

Post n°15280 pubblicato il 30 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

VENEZIA. “Sono qui con i capelli bianchi e con indosso un tailleur che prima non portavo, segno del passare del tempo”, dice di sfuggita, tra una risposta e un’altra, il regista spagnolo Pedro Almodóvar che, per il suo 70esimo compleanno il prossimo 25 settembre, riceve il Leone alla carriera. Oltre 20 i lungometraggi, insieme a una quindicina di corti, un ricco percorso artistico cominciato nell’agonizzante Spagna franchista. Dal goliardico e provocatorio esordio di Pepi. Luci e le altre ragazze del mucchio (1980) all’ultimo malinconico autoritratto, quasi un testamento, Dolor y gloria presentato all’ultimo Festival di Cannes che ancora una volta gli ha negato l’agognata Palma d’Oro e lo ha ‘risarcito’ con il Premio al miglior attore ad Antonio Banderas. “Il titolo del film riassume due parole delle quali ho un certo pudore parlare. Non voglio né lamentarmi del dolore e non mi piace vantarmi della gloria”. A Venezia Almodóvar c’è stato due volte vincendo nel 2008 un’Osella d’oro per la sceneggiatura di Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Non l’ha deluso l’America che nel 2000 gli ha riservato l’Oscar come Miglior film straniero per Tutto su mia madre.

Il ministro per i Beni Culturali Alberto Bonisoli ha partecipato alla cerimonia di consegna del Leone al regista spagnolo, e su Facebook ha scritto che si tratta di "un riconoscimento meritato per un regista che ha saputo interpretare i cambiamenti della nostra epoca e raccontarli con un punto di vista originale".

Come andò la prima volta alla Mostra di Venezia?

Il mio esordio risale al 1983 con Entre tinieblas (L’indiscreto fascino del peccato, ndr.). Un miracolo che il mio film venne selezionato per la sezione Mezzogiorno/Mezzanotte, perché il direttore della Mostra all’epoca era il democristiano Gian Luigi Rondi, a cui il film parve osceno. Per mia fortuna queste discussioni con Rondi sono finite per diventare di dominio pubblico grazie alla stampa e a quel punto il film non poteva più essere tolto dal programma. Si è creata empatia con il mio lavoro e la vicenda mi ha lasciato alla fine un buon ricordo della Mostra.

E’ poi tornato a Venezia?

Nel 1988 con Donne sull’orlo di una crisi di nervi e ho un ricordo di una festa perenne. La conferenza stampa sembrava un gran teatro, un’enorme commedia, grandi risate tra i giornalisti e abbiamo vinto il premio per la migliore sceneggiatura. Ero orgoglioso delle attrici del film che davano un’immagine meravigliosa di una Spagna ultramoderna. Oggi questo Leone alla carriera è un premio importantissimo, perché a Venezia sono nato come regista. Il tempo mi ha dato ragione. Ricordo che quell’anno al Lido c’era Sergio Leone come presidente di giuria e lo incontrai insieme a Lina Wertmüller per strada, ed entrambi si complimentarono con me e ora questo Leone alla carriera 31 anni dopo rappresenta un atto di giustizia politica.

Che Spagna era quella raccontò nei suoi primi film?

Quando ho iniziato a fare cinema negli anni ’80, la vita era molto diversa, la Spagna si era appena destata da una dittatura che era durata 40 anni, con la movida la gente aveva perso la paura e godeva di una libertà enorme. Il mio potere di regista mi ha permesso di imporre la varietà della vita con i suoi personaggi strani e stravaganti che vedevo. Volevo che tutti gli orientamenti sessuali fossero i benvenuti. Il mio potere come regista e sceneggiatore è quello di dare libertà morale ai miei personaggi, qualunque essi siano: suore, casalinghe, travestiti. Quando ho iniziato come regista quello che mi affascinava era l’enorme cambiamento della società spagnola, di cui forse pochi film hanno parlato e il mio nutrimento veniva dalla vita che incontravo per le strade. C’era gente giovane, c’era la lunghissima e interminabile notte madrilena che era una università di vita dove mi sono formato. I miei film dicono che quella che allora iniziava in Spagna era una democrazia reale.

E come vede la Spagna di oggi?

E’ un paese contemporaneo, nel senso che vuole di tutto, compresa una cosa che fino a poco tempo fa si rifiutava come un partito di estrema destra che Italia, Francia, Inghilterra già da tempo hanno. La Spagna è dotata della stessa varietà politica degli altri paesi. Non sono se l’aggettivo qualificativo “moderno” vada bene in questo caso.

Si riconosce in uno stile cinematografico?

Quando ho iniziato a fare film non avevo idea di cosa fosse il linguaggio cinematografico, perciò non ho mai pensato allo stile. L’unica preoccupazione sin dall’inizio, a causa della mia insicurezza, era che la storia si capisse. Poi con il mio terzo film, L’indiscreto fascino del peccato, ho cominciato a disporre di più mezzi, mentre le mie prime due opere le avevo realizzate con budget zero. Insomma avevo gli elementi tecnici per girare un film e ho cominciato ad avere consapevolezza del linguaggio cinematografico e me ne sono innamorato. Ma non mi sono mai preoccupato di avere un mio stile, credo che questo avvenga per conto suo. Giro i miei film in totale libertà e indipendenza, senza tenere conto delle esigenze del pubblico. Certo la commedia è uno dei generi più difficili e complessi da realizzare.

I suoi film sono dominati dal colore, per quale ragione?

L’uso del colore riflette la mia nostalgia per i film in technicolor che vedevo da bambino, film dai colori forti, sgargianti ma solo per ragioni chimiche. Nel corso di tutta la mia carriera ho inseguito questa nostalgia del technicolor della mia infanzia. E soprattutto il colore rappresenta una reazione alla terra che mi ha dato i natali: La Mancha. Una regione molto conservatrice, con dei tratti calvinisti, con gente che veste toni spenti. Una terra molto arida di cui soltanto in seguito ho scoperto una bellezza da contemplare. I miei film sono così barocchi come reazione alla severità della Mancha. Non ricordo di avere mai visto il colore rosso nella mia terra, dominava sempre il nero, quello indossato dalle donne che portavano il lutto per decenni accumulandosi i morti di anno in anno. Un nero perenne delle donne mi circondava.

 
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Polanski: caso chiuso per i produttori

Post n°15279 pubblicato il 30 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

Il caso Polanski che ieri, con le dichiarazioni della presidente di giuria, l'argentina Lucrecia Martel, ha dominato l'apertura della Mostra del cinema di Venezia, può ritenersi chiuso, almeno per quanto riguarda la produzione che pure aveva ipotizzato il ritiro del film. "A nome di tutta la compagine produttiva accettiamo - fanno sapere ufficialmente oggi - le scuse della Presidente della Giuria. Nella certezza che rimarrà la serenità di giudizio nei confronti del film, J'accuse di Roman Polanski resta in concorso alla 76/ma Mostra del Cinema di Venezia".  Il film è una coproduzione Italia-Francia, prodotto da Eliseo Cinema di Luca Barbareschi e Rai Cinema con partner francesi e sarà in sala da 01 dal 21 novembre.

 
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Haifaa Al Mansour e i diritti delle donne in Arabia Saudita

Post n°15278 pubblicato il 30 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

VENEZIA. Ancora un personaggio femminile al centro della cinematografia della regista saudita Haifaa Al Mansour, impegnata da sempre a raccontare la mancanza di diritti civili e l’oppressione delle donne nel proprio paese. A Venezia Orizzonti, nel 2012, la cineasta portò la sua opera prima La bicicletta verde, con protagonista una ragazzina che partecipa ad un concorso di conoscenza del Corano, nella speranza di vincere il denaro sufficiente a comprarsi la tanto desiderata bicicletta. Ed è ancora la Academy Two a distribuire la coproduzione arabo-tedesca The Perfect Candidate, presentato in concorso a Venezia 76, con al centro la vicenda di una giovane e decisa dottoressa alle prese con i pregiudizi e i tabù di una società patriarcale e maschilista, che ha estromesso le donne, per intere generazioni dalla vita sociale e politica.

Tutto ha inizio dalle difficoltà e dai rifiuti di una burocrazia, impersonata ovviamente da maschi di ogni fascia d’età, che respinge due richieste di Maryam, medico in un ospedale periferico: l’una di asfaltare la strada che conduce alla struttura dove lavora e l’altra di frequentare un corso di specializzazione a Dubai. Il caso vuole che nel cercare di risolvere la seconda richiesta, per paradosso la dottoressa si ritrovi ad essere candidata alle elezioni comunali, coinvolgendo nella divertente e ironica campagna elettorale le due sorelle minori.

La sua vicenda si interseca con quella del padre musicista, vedovo da poco, che dopo averla attesa da anni finalmente partecipa a una tournée in Arabia Saudita del gruppo musicale etnico, tra minacce di morte e boicottaggio delle autorità locali.

“Attraverso il percorso di  Maryam, voglio mostrare una visione ottimista del ruolo che le donne saudite possono ricoprire nella società unitamente al contributo che possono dare nell’atto di forgiare il proprio destino - dice Haifaa Al Mansour - Voglio incoraggiare le donne saudite a cogliere un’opportunità e a liberarsi dal sistema che ci ha deliberatamente ostacolato così a lungo”. Le cose stanno cambiando in Arabia Saudita, la società sta lentamente aprendosi alle donne e anche all’arte. “Quest’ultimo è un cambiamento per me importante, vengo da una famiglia che ha celebrato l’arte, mia madre amava cantare, per lei era una gioia. Questa apertura rende la società più giusta e più tollerante”.

Del resto il cinema e l’arte in generale uniscono, frantumano gli stereotipi, e la circolazione delle opere è perciò fondamentale. Il film sottolinea come una profonda tradizione culturale, in particolare la musica popolare, vada recuperata e divulgata, coniugandosi con il processo di sviluppo e modernizzazione del paese. “Con la riapertura di sale da concerto, cinema e gallerie d’arte in tutto il Regno - sottolinea la regista - è importante volgere nuovamente lo sguardo alla ricca storia che abbiamo quasi perduto”. La prima sala cinematografica del Regno è stata inaugurata un anno e mezzo fa a Riad, dopo 35 anni dalla loro chiusura.

Ma ci sono donne arabe che sono riluttanti al cambiamento, a partecipare alla vita politica, ad avere incarichi pubblici perché forte è ancora il potere conservatore in Arabia Saudita. “Occorre lottare tutte insieme per superare questa grande resistenza al cambiamento, dobbiamo andare oltre le nostre capacità e coltivare questa idea di essere sorelle in tutto il mondo”. Per Haifaa Al Mansour è stato inoltre difficile mettere insieme una troupe, perché manca in Arabia saudita un’industria cinematografica.

“Certo ci vorrebbero più registe con le loro opere nei festival, ma il mutamento riguarda le produzioni che devono aprirsi molto di più alla creatività delle cineaste. Gli uomini lavorano spesso, e hanno budget più ricchi perché viene riconosciuta loro più esperienza, mentre una regista dopo il suo esordio deve attendere anni per l’opera seconda”.

 
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Pupi Avati ai funerali di Carlo Delle Piane: "Il cinema italiano fa schifo" da ilgiornale

Post n°15277 pubblicato il 30 Agosto 2019 da Ladridicinema
 
Tag: news

Pochi registi e colleghi presenti per ricordare l’attore morto a Roma a 83 anni: Avati si sfoga contro il cinema italiano che “non gli ha portato rispetto”

In 70 anni di carriera ha partecipato a più di cento film, recitando accanto ai più grandi del cinema italiano: da Alberto Sordi ad Aldo Fabrizi, da Totò a Vittorio De Sica. Eppure, non erano molti i registi e colleghi presenti per ricordarlo. Lo ha sottolineato Pupi Avati, di cui Delle Piane è stato attore feticcio, uscendo dalla chiesa.

Il cinema italiano fa schifo. Non mi piace”, ha detto il regista ai microfoni del Fatto Quotidiano. “Il cinema italiano non gli ha portato rispetto. Dov’è oggi?”, ha aggiunto Avati.

Il regista bolognese ricorda un episodio in particolare. Quando lo scorso 17 maggio c’è stata all’Auditoirum di Roma la serata “Signore e signori... Carlo Delle Piane”, per rendere omaggio ai 70 anni di carriera dell’attore, erano in pochissimi i colleghi del mondo del cinema presenti.

Funerali Delle Piane, Pupi Avati: “C’è uno del cinema: io”

Quella sera c’era uno del cinema: io. Basta”, ha dichiarato Avati. In quell’occasione, a parte Avati e il fratello Antonio, il regista Paolo Genovese, l’attore Pasquale “Lillo” Petrolo e il critico Pedro Armocida, il cinema italiano è stato clamorosamente assente. Tra gli ospiti della serata c’erano più musicisti, da Nino Buonocore a Riccardo Sinigallia, passando per Lino Patruno, Marco Zurzolo, Marco Fasano ed altri personaggi della canzone italiana.

Un lungo e fragoroso applauso ha accompagnato l’uscita del feretro di Carlo Delle Piane. Erano tante le persone comuni, tra i pochi colleghi attori sono apparsi Massimo Bonetti, Enzo Garinei, Max Tortora ed Alex Partexano.

Carlo è stato un attore fondamentale nella mia vita”, ha aggiunto Pupi Avati. “Addirittura ad un certo punto Fellini mi disse: ‘Non possiamo chiamarlo perché è troppo vostro’. E quindi l’abbiamo anche probabilmente penalizzato”, ha confessato il regista bolognese. Delle Piane resta uno dei più grandi caratteristi di tutti i tempi, col quale Avati ha girato una quindicina di film nonostante all’inizio pensava fosse “di serie B”.

 
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Film nelle sale da oggi

Post n°15276 pubblicato il 29 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

 

 
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Annunciata nuova trilogia di Star Wars da sputnik

Post n°15275 pubblicato il 27 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

La Disney ha reso noto il calendario dei film in uscita nei prossimi anni, tra i quali spiccano tre nuove pellicole di Star Wars che arriveranno nel 2022, nel 2024 e nel 2026.

La compagnia americana sembrerebbe così aver annunciato una nuova trilogia di Star Wars, della quale si rumoreggiava ormai da tempo. Ancora da stabilire se i tre nuovi film saranno in qualche modo collegati alle tre trilogie originali o se invece la casa americana, tanto criticata in questi anni dai fan delle Guerre Stellari per i nuovi film ritenuti da alcuni troppo infantili, ci stupirà con qualcosa di totalmente nuovo. 

Parlando proprio di "vecchie trilogie", la stessa Disney aveva invece diffuso in queste ore un nuovo teaser trailer de "L'ascesa di Skywalker", l'ultimo film della trilogia sequel, in uscita il prossimo dicembre.

Tra gli altri progetti svelati al pubblico dalla Disney spiccano senz'altro quelli legati all'Universo Marvel, altro grande cavallo di battaglia della compagnia in questi ultimi anni, con tre pellicole che usciranno nel 2020, nel 2021 e nel 2022 rispettivamente. Nuovo slittamento, invece, per il sequel di "Avatar" di James Cameron, attualmente il film con l'incasso maggiore al botteghino nella storia del cinema. 

E voi state aspettando il nuovo capitolo di Star Wars? In ogni caso, che la forza sia con voi!

 
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L’estate europea di George R. R. Martin da https://www.psbprivacyesicurezza.it

Post n°15274 pubblicato il 27 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin
Ad agosto ci sono state molte rivelazioni e affermazioni importanti da parte di George R. R. Martin. Vediamo insieme di cosa si tratta

Il celebre autore delle Cronache del Ghiaccio e del FuocoGeorge R. R. Martin, ha passato diversi giorni di questo agosto 2019 in Europa, esattamente ha trascorso il suo tempo tra la Gran Bretagna e l’Irlanda. Non sono mancate le interviste e le rivelazioni. Vediamo quali.

L’intervento al Worldcon di Dublino

Martin è stato circa tre settimane nelle isole britanniche per partecipare, principalmente, al Worldcon 2019, uno tra i più importanti eventi legati al mondo del fantastico e del fantascientifico. Quest’anno il Worldcon si è tenuto dal 15 al 20 agosto.

Martin, in questa occasione, ha parlato molto, rivelando dettagli importanti sia sulla serie televisiva Il Trono di Spade sia sui suoi libri.

Le navi utilizzate nello spinoff sono state realizzate a Belfast, negli stessi cantieri dove fu costruito il Titanic. Per questo motivo si generò una battuta scherzosa tra i partecipanti a questa nuova serie tv: “Queste (navi) non affonderanno!”. Lo spinoff non ha ancora un titolo preciso.

George è un pacifista ma si rende conto che le battaglie e gli scontri armati sono più interessanti, in letteratura, della pace. “La Svizzera ha avuto secoli di pace e prosperità e ha inventato soltanto l’orologio a pendolo”.

Ribaltando la cartina geografica della Gran Bretagna, nel lontano 1991, Martin ha ideato la mappa di Westeros, il Continente Occidente dove si svolge la maggior parte delle storie narrate nei suoi libri.

L’intervista al Guardian

I giornali inglesi non potevano perdere l’occasione di intervistare uno tra i maggiori scrittori di fantasy e di fantascienza del momento. Il Guardian, verso la metà di agosto, è riuscito ad intervistare George R. R. Martin sugli ultimi sviluppi delle sue opere.

Dopo Venti di Inverno uscirà la quarta avventura parte della serie dei Racconti di Dunk e Egg. La trama e il racconto sono già quasi completati ma George vuole comunque far uscire il racconto dopo Venti di Inverno.

Molti fan desiderano soltanto racconti concernenti la lotta per il potere nei Sette Regni ma Martin vuole raccontare molto di più di questo, vuole sviluppare un mondo intero e spaziare nel tempo. Ecco perché escono le avventure di Dunk e Egg o Fuoco e Sangue(dove ha raccontato le vicende dei primi sovrani Targaryen).

Tra le altre affermazioni che ha fatto, ci ha colpito particolarmente una: lo scrittore statunitense vorrebbe avere più tempo per poter portare avanti tutti i suoi progetti.

Altre novità nei prossimi giorni!

 
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Tito e gli alieni

Post n°15273 pubblicato il 26 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

C'è un professore napoletano nel deserto del Nevada che spende la vita ad ascoltare il suono dello Spazio alla ricerca di una voce. La voce cara della consorte morta diversi anni prima. Scienziato mesto a un passo dall'Area 51, segue un progetto, o almeno dovrebbe, per conto del governo degli Stati Uniti. Il suo torpore esistenziale è interrotto quotidianamente da Stella, giovane wedding planner per turisti che credono ancora agli alieni. Un pacco postale e una registrazione video gli annunciano un giorno l'arrivo di Anita e Tito, preziosa eredità del fratello morto a Napoli. Introverso e laconico, il professore si attrezza, letteralmente, per accogliere i nipoti. Anita ha sedici anni e sogna un tuffo in piscina con Lady Gaga, Tito ne ha sette e desidera sopra a ogni cosa parlare ancora col suo papà. Sorgenti formidabili di nuova energia, Anita e Tito riavvieranno il programma e il cuore dello zio.

Commedia lunare che si ingegna a passare in contrabbando la fine della vita, la solitudine e la morte, Tito e gli alieni racconta il lavoro del lutto.

E lo fa senza negarsi la gioia e senza svilire la fatica del dolore, con un'esuberanza e una libertà formale che mantengono il cinema in uno stato di giovinezza permanente. Nel deserto del Nevada, abbandonato da uomini e alieni, Paola Randi trasloca un professore muto e senza nome, fedele a un amore di cui chiede ragione alle stelle. La risposta è sempre la stessa e si centra sull'impossibilità di dimenticare chi non c'è più. La rielaborazione del lutto esige tempo e lo scienziato di Valerio Mastandrea ha deciso di prenderselo tutto, cronicizzando il dolore fino allo spegnimento del sentimento vitale. Aspettare ogni maledetto giorno un segnale dall'universo dona il senso della durata del lutto, ascoltare ogni notte in laboratorio la stessa traccia registrata sulla segreteria telefonica misura la forza della fissazione mortale. Fermo sulla scomparsa, provato dall'assenza e avido di nutrire la pena, il professore è un sopravvissuto che nel mondo vede solo un pretesto a una nuova variazione sul tema unico e inestinguibile del dolore. 

Ma poi qualcosa accade, qualcuno arriva ad 'allargare il quadro' e a interrompere la solitudine eterna di un uomo sepolto in un nulla eletto a domicilio. Perché il racconto e la (sua) vita riprendano il loro corso è necessario un nuovo personaggio, anzi due. La rimessa in movimento si traduce con l'allunaggio di Anita e Tito, orfani che custodiscono il mistero del mondo, una vita che coincide con l'avvenire. Distillando il dolore dell'assenza nel genere (la fantascienza), Paola Randi gonfia una bolla nel deserto e avvia un percorso iniziatico che lega uno zio ai nipoti fino ad adottarli e adottarne lo stupore.

 
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Il Re Leone, fin qui è un trionfo! 14 milioni in 5 giorni al box office

Post n°15272 pubblicato il 26 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

Gran domenica, gran weekend e grandi incassi per Il Re Leone (guarda la video recensione) ed il box office italiano, che fa segnare un +78% rispetto allo stesso weekend dell'anno scorso e un miglioramento dell'11,4% dal primo gennaio. Il merito è tutto della corazzata Disney che ottiene altri 3 milioni di euro ieri, chiudendo il weekend con 10,9 milioni di euro per un totale dal giorno dell'uscita di 14 milioni di euro e oltre 2 milioni di spettatori. In meno di una settimana Il Re Leone ha incassato la metà di Endgame (guarda la video recensione) e tutto fa pensare che a fine corsa il dato sarà superiore ai 30 milioni di euro. Certo, l'assenza di concorrenza sta aiutando molto Disney, che fino all'arrivo di IT - Capitolo 2, non avrà particolari ostacoli davanti a sé. Il weekend va bene per Fast & Furious - Hobbs & Shaw (guarda la video recensione), che ottiene 623mila euro e per Il Signor Diavolo (guarda la video recensione), che incassa 422mila euro. Tra le new entry si segnala l'ingresso in top ten di La rivincita delle sfigate (guarda la video recensione) e L'ospite (guarda la video recensione).Questa settimana le sale si popoleranno di molti nuovi titoli: i più forti, sulla carta, sembrano essere Attacco al potere 3 - Angel has fallenBlinded by the Light e Stuber - Autista d'assalto, ai quali il cinema nostrano risponderà con 5 è il numero perfetto e Genitori quasi perfetti. Da segnalare l'arrivo in sala degli splendidi The Rider (guarda la video recensione) e Mademoiselle. I dati mondiali più interessanti di questa settimana vengono dalla Cina, dove Hobbs & Shaw ha aperto col botto, incassando oltre 100 milioni di dollari e dove il fenomeno Ne Zha ha raggiunto i 650 milioni di dollari. Da segnalare anche The Bravest, che zitto zitto è arrivato a 223 milioni di dollari (nella classifica USA sarebbe settimo). 

Weekend loffio negli USA, come ampiamente previsto. Vince Attacco al Potere 3 con 21,5 milioni, sul podio si conferma Good Boys, che arriva a 42 milioni, mentre ci sale Overcomer che sorprende con 8 milioni (è costato appena 5). Buoni incassi anche per Finché morte non ci separi, che ottiene 7,5 milioni. Il Re Leone raggiunge i 510 milioni e dovrebbe chiudere con circa 550 milioni mentre fuori dalla top ten gran balzo in avanti per l'autoriale The Peanut Butter Falcon che arriva a 3,7 milioni. Tutte le new entry delle ultime due settimane sembrano già a fine corsa. La prossima settimana non sono previste uscite di rilievo, ma in alcune sale arriva Ne Zha e sarà interessante vedere che risultati otterrà. 

A livello mondiale Il Re Leone supera quota 1,5 miliardi e consolida il secondo posto assoluto, dietro ci sono quattro film compresi in una forbice di 100 milioni, con Spider-Man: Far from Home (guarda la video recensione) arrivato ad appena 12 milioni di distanza da Captain Marvel (guarda la video recensione) e Toy Story 4 (guarda la video recensione) a soli 10 milioni da Aladdin (guarda la video recensione), mentre Fast & Furious - Hobbs & Shaw (guarda la video recensione) sale a 588 milioni e supera Dragon Trainer - Il mondo nascosto (guarda la video recensione), andando ad occupare la nona posizione assoluta. Ottimi numeri per C'era una volta... a Hollywood (guarda la video recensione), che ha già incassato 240 milioni di dollari e che sta per superare i megaflop Dark Phoenix (guarda la video recensione) e Men in Black - International (guarda la video recensione). 

 
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Il signor diavolo

Post n°15271 pubblicato il 24 Agosto 2019 da Ladridicinema
 

Il signor Diavolo, ultimo film di Pupi Avati, tratto dal suo omonimo romanzo; segna forse il declino di un grande regista che alla soglia degli 81 anni, realizza un film che ha tantissime pecche, pur se la storia risulta molto interessante così come l'ambientazione gotica in cui si svolgono i fatti; o forse abituati troppo bene a gran parte del suo cinema e ricordando alcuni suoi horror del passato la delusione è inevitabilmente dietro l'angolo.

Roma, 1952. L'ispettore del ministero della giustizia Furio Momenté viene convocato per una questione delicatissima dal sottosegretario alla giustizia. In Veneto, un minore ha ucciso un coetaneo convinto che fosse il diavolo, a quanto pare istigato da una suora e un sacrestano. Viene inviato perchè deve fare in modo che nessun uomo di chiesa vada a processo ma si trova invischiato in una realtà più complessa del previsto e alquanto sinistra, dove sono in gioco molto di più che la politica e la fede.

Questo film è un ritorno alle sue origini e alle radici del suo stesso cinema. A differenza della campagna ferrarese dove si svolse "La casa dalle finestre che ridono", l'ambientazione come detto prima è il Veneto dei primi anni Cinquanta. 

E' un horror molto più psicologico che di immagini, con una storia che scorre bene ma con un finale che si lascia andare un pò troppo, ma che ha il merito però della semplicità, come veniva fatto una volta nell'horror italiano. E' un horror sui generi quindi che non ha alcuna scena realmente spaventosa, ma che vuole far capire che l'orrore, e il male è in ogni cosa.

Il diavolo del titolo è infatti il diavolo combattuto dalla Chiesa cattolica e che probabilmente è ovunque; quasi sempre è superstizione popolare, che non guarda dove questo si annida realmente, ma lo vede nel diverso, nel deforme.

Il vero male invece è nascosto bene, in persone che non ti aspetti, e si realizza nei fatti. Del resto lo stesso autore afferma a proposito che “Era quel male che volevo raccontare, quel male che muore e si rigenera in una infinità di vite nuove e imprevedibili”.

Avati ha deciso di chiamare a lavorare con se molti artisti con cui aveva già collaborato nei suoi film horror passati; su tutti spiccano i nomi di Lino Capolicchio, Massimo Bonetti e Alessandro Haber. A livello facciale poco da dire. Tutto perfetto e questo rende ancora più verosimile la storia, cosa diversa i dialoghi spesso forzati e il doppiaggio.

Se la fotografia è molto interessante con quel color seppia che è presente in gran parte del film che da un so che di vintage; un pò meno la regia, quasi sembra di vedere un film amatoriale.

Se dobbiamo trovare un merito ad Avati è il tentativo con questo film, o meglio con l'orrore e il male espresso in chiave psicologica in questo film, di aver tentato di riscoprire il genere dell'horror d'autore. Vedremo con quali risultati...

 
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