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Messaggi del 31/07/2012

 

Un amore di gioventù da mymovies

Post n°8350 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Ladridicinema
 

primo piano
Aderendo con grazia alla tradizione cinematografica francese, la Hansen-Løve racconta la quotidianità di un sentimento ossessivo
Marzia Gandolfi     * * 1/2 - -
Locandina Un amore di gioventù

Camille ha quindici anni e un amore grande. Sullivan ne ha diciannove ed è l'oggetto di quell'amore immaturo e totale. Innamorato perdutamente di Camille, il ragazzo è comunque deciso a partire per il Sudamerica in cerca di se stesso e lontano dall'abbraccio soffocante di lei, che non concede margini, respiro, alternativa. La partenza di Sullivan sconvolge la vita di Camille, che tenta il suicidio e poi prova a vivere la sua vita tra le braccia di un maturo architetto norvegese di cui diventa assistente e compagna. Diversi anni dopo, lungo le strade di Parigi, ritroverà Sullivan e con lui un sentimento mai sopito. Ossessionata da quell'amore, Camille si tufferà di nuovo nel suo amplesso e nelle sue promesse disattese.
Attrice ieri per Assayas (che poi la sposa), regista oggi, Mia Hansen-Løve gira il suo terzo film e alla maniera di Truffaut ricrea e reinventa sul set momenti e situazioni vissute nella vita. Come il ‘primo amore', quello che non si scorda mai, quello esagerato, quello né con te, né senza di te, quello idealizzato che produce l'imprinting soprattutto se consumato in condizioni di ‘affetto'. Quello che Camille nutre per Sullivan e che non la fa respirare. Pedinando due adolescenti in amore, la giovanissima regista francese, classe 1981 e un passato tra le pagine dei Cahiers, racconta la quotidianità di un sentimento ossessivo, di una tempesta emozionale che prende la vita e la rivolta come un guanto.
Aderendo con grazia alla tradizione cinematografica francese, la Hansen-Løve esibisce un'idea di cinema che si nutre dei casi della vita, delle pagine dei libri letti e dei film visti (quelli di Rohmer, quelli di Bresson), restituendo all'amore l'immediatezza dei corpi. Libera dalle gabbie narrative imposte molto (e troppo) spesso dalle produzioni, l'autrice si prende tutto il tempo e i silenzi del mondo mettendo a punto una relazione dove a dire è il linguaggio fisico e materico del corpo e degli sguardi. Eppure qualcosa non va. Dentro un film che pratica con indubbio stile i topoi dell'amore in guerra e prende luce dalla freschezza e dal talento imbronciato di Lola Créton, non c'è nessuna sensibilità da incendiare, nessuna immagine da visualizzare. Il bello stile diventa maniera e la regista manca l'appuntamento con quell'età della vita che presenta in sé una natura drammatica. 
Il tempo dell'adolescenza di Camille non diventa simbolo di una ‘condizione umana' generale, di una dimensione che è insieme anagrafica ed esistenziale. Incapace di autodeterminarsi e di affrancarsi da un primo amore fallimentare, l'irritante e cocciuta protagonista della Créton governa il film fino a esasperarlo, fino a non riuscire a parlare d'altro, fino a non dire niente altro. Mai inserita in un quadro più ampio di osservazione del paesaggio umano che la circonda, delle figure che incontra e delle loro relazioni, Camille insegue testarda un ‘cappello' e una deriva abilitata a promuovere esclusivamente la sconfitta e la negazione della maturità.

 
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Detachment - Il distacco

Post n°8349 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Ladridicinema
 

primo piano
Un film che coglie le falle del sistema di istruzione americano con lucido pessimismo e malinconica poesia
Annalice Furfari     * * * * -
Locandina Detachment - Il distacco

Henry Barthes è un uomo solitario e introverso che insegna letteratura alle scuole superiori. Quando un nuovo incarico lo conduce in un degradato istituto pubblico della periferia americana, il supplente deve fare i conti con una realtà opprimente: giovani senza ambizioni e speranze per il futuro, genitori disinteressati e assenti, professori disillusi e demotivati. La diversità di Henry è evidente sin dal primo impatto con questo universo allo sbando. Il distacco e l’assenza di coinvolgimento emotivo gli consentono di conquistare il rispetto e la partecipazione di ragazzi difficili, che ben presto sconvolgeranno il mondo apparentemente controllato del docente. 
È un’autentica missione quella che vede impegnati gli insegnanti, a tutte le latitudini. Ancora di più lo è se il contesto sociale è caratterizzato dal degrado e dalla mancanza di prospettive. Ma laddove la scuola è l’unico punto di riferimento nei microcosmi di adolescenti che affrontano il faticoso cammino della crescita, questa missione rischia di infrangersi al cospetto dei fallimenti quotidiani. Allora il senso di impotenza e frustrazione polverizza ogni traccia dei primi entusiasmi e idealismi, giungendo a infettare anche vite private in lenta e inesorabile dissoluzione. Così, il desiderio di fare la differenza diventa vana velleità e lascia il posto alla resa. 
Forse è per questo che il protagonista del film sceglie di continuare a fare il supplente, tentando, nel poco tempo di cui dispone, di impartire insegnamenti significativi agli studenti. Eppure, la passione che lo accende per la penna dei poeti sembra non riuscire a scalfire la sua vita. Il distacco emotivo, in cui Henry ha deciso di trincerarsi e farsi scudo dal mondo, cela un’antica ferita che torna a galla nel contatto con una prostituta-bambina scappata di casa e un’allieva sensibile e dotata di talento artistico, ma castrata da un padre oppressivo e ferita dall’arroganza dei compagni. Mentre afferra queste isole alla deriva, Henry salva se stesso e la propria anima. Ma l’impatto tra pianeti arrabbiati e fragili genera deflagrazioni irreversibili, ben rappresentate dall’immagine dell’aula vuota e sfasciata. 
È intriso di profondo pessimismo e malinconica poesia questo film diretto dall’eclettico artista britannico Tony Kaye. La consapevolezza lucida e amara di un destino ancorato al dolore è scandita dalle parole immortali di scrittori con cui il supplente spiega la vita ai ragazzi e incarnata nello sguardo triste e lontano di un Adrien Brody sempre superbo. L’intero cast è all’altezza di una sfida impegnativa: cogliere le falle del sistema di istruzione americano e le tragiche conseguenze che si riverberano sulle vite di insegnanti e alunni. Il regista le ritrae in maniera non convenzionale, percorrendo la strada di uno stile personale e riconoscibile, con un avvio da documentario – con inserti di interviste video a docenti che imprimono un effetto di realismo – e uno svolgimento via via più drammatico. Notevoli anche le soluzioni visive, con il contrasto tra il bianco e nero degli inserti iniziali e una fotografia dai toni caldi. Quando poi le immagini parlano all’unisono con la musica, la magia del cinema è compiuta e arriva dritta al cuore.

 
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Chef

Post n°8348 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Ladridicinema
 

primo piano
Commedia gastronomica “da asporto” dal gusto semplice e ordinario
Edoardo Becattini     * * 1/2 - -
Locandina Chef

Jacky è un cuoco dai gusti raffinatissimi costretto a misurarsi con taverne e bistrot parigini dove i clienti consumano solo cibo mordi e fuggi. Licenziato dall'ennesimo ristorante, trova un impiego come imbianchino in una casa di riposo per riuscire a sostenere le esigenze della compagna, incinta e prossima al parto. La sua attitudine per la nouvelle cuisine lo porta tuttavia a intromettersi continuamente nella cucina e nelle ricette per gli anziani, tanto da attirare l'attenzione di Alexandre Lagarde, famosissimo chef in crisi di ispirazione. Oppresso da un giovane imprenditore che minaccia di portargli via il suo ristorante, Lagarde offre a Jacky l'opportunità di lavorare al suo fianco per continuare a far brillare le stelle del suo gourmet.
Come si cucina una commedia europea non troppo speziata e adatta ai palati di tutto il mondo? Si prende un protagonista geniale e incompreso, gli si affianca un mentore in crisi di ispirazione e li si serve su un letto di valori positivi come amore, famiglia e difesa della tradizione. Et voilà, ecco la ricetta del perfetto prodotto da esportazione: abbinabile con ogni tipo di salsa e idealmente declinabile in un'infinità di remake, proprio perché basata sui piaceri primari della gastronomia contro ogni forma di vacua sofisticazione. 
Per Chef andare contro il sofisticato significa prima di tutto impastare una sceneggiatura semplice e appetibile e farla lievitare grazie alla popolarità trasversale di Jean Reno e alla notorietà televisiva di Michaël Youn. I due attori funzionano piuttosto bene come abbinamento finché il film si attiene alle portate principali (l'amicizia maschile, la sfida a mantenere il prestigio culinario), ma tendono a farsi incolore negli elementi di contorno (dissidi romantici; siparietti farseschi). 
Tipica rappresentazione di un cinema “da asporto”, facile e veloce da consumarsi, Chef, al contrario di quanto racconta, preferisce i gusti semplici agli accostamenti arditi, i sapori edulcorati a quelli veraci. E si accompagna rigorosamente con un bicchiere d'acqua fresca.

 
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Rock of Ages

Post n°8347 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Ladridicinema
 

primo piano
Un piccolo grande revival anni '80 che si lascia seguire con piacere e sa intrattenere
Adriano Ercolani     * * * * -
Locandina Rock of Ages

Nel 1987 a Los Angeles il Bourbon Club è il centro della scena musicale rock della città. In questo mitico locale s'incontrano Sherry, ragazza di provincia appena arrivata per cercare fortuna come cantante, e Drew, che con lei condivide la passione per la musica. Tra i due è amore a prima vista. Intorno a loro ruoteranno le vicende di una serie di personaggi leggendari come Stacee Jaxx, icona del rock che sembra aver perso la sua anima realmente ribelle in favore del successo economico.
Il rock degli anni '80, che favolosa incognita. Si trattava davvero di musica sincera, viscerale, di controcultura schierata contro lo yuppismo di quel periodo? Oppure era soltanto la versione patinata e ormai sterile di quanto di veramente eversivo aveva prodotto il decennio precedente?
Adam Shankman, che già si era distinto con un musical piuttosto frizzante come Hairspray, ci racconta quel momento musicale e le sue contraddizioni portando al cinema la trasposizione del successo di Broadway Rock of Ages. 
La lucidità con cui il cineasta ha confezionato questo piccolo grande revival è palese. Non soltanto nei costumi, nelle scenografie e ovviamente nella colonna sonora il film è una riproposizione degli anni '80. Ciò che sorprende è che pure il tono della fotografia sfavillante di Bojan Bazelli e soprattutto il montaggio prodigo di dissolvenze incrociate sono organizzate come esplicito riferimento agli stilemi cinematografici del passato. 
Ma prima ancora della componente tecnica del film, è l'adattamento ad essere concepito secondo le regole narrative delle teen-comedies o dei drammi giovanili di trent'anni fa. La storia principale, quella dei due giovani aspiranti cantanti che si ritrovano al centro della scena musicale losangelina, è sviluppata secondo le più riconoscibili coordinate dell'epoca, riproposte con sapienza anche nei loro snodi più telefonati o retorici. Guardando Rock of Ages non ci ritroviamo dunque di fronte a un omaggio semplicistico e superficiale, ma al contrario assistiamo a una riproposizione che riesce a ricreare un modo lontano di fare sia cinema che musica. 
La bontà e la riuscita del prodotto è poi garantita da un cast d'attori davvero encomiabile. I due giovani protagonisti sono abbastanza in parte, Alec Baldwin e Russell Brand sono una coppia comica frizzante, Catherine Zeta-Jones è tornata in forma smagliante, Bryan Cranston e Paul Giamatti si dimostrano come sempre due caratteristi capaci di impreziosire qualsiasi ruolo recitino. Ma la grande, vera icona di Rock of Ages non poteva che essere Tom Cruise nei panni della leggenda rock Stacee Jaxx: l'attore riempie il ruolo con una fisicità e una presenza scenica strabordanti, e non per questo mancanti di una sanissima dose di autoironia. Basta guardare la scena dell'intervista girata con Malik Akerman per capire come l'attore strizzi l'occhio cinefilo a quella storica recitata inMagnolia di Paul Thomas Anderson. Sembra quasi che nei panni della rockstar l'interprete voglia fare in qualche modo i conti con il suo mito cinematografico, nato proprio negli anni '80. 
Anche senza essere un fan del rock melodico degli anni '80, Rock of Ages è un musical che si lascia seguire con piacere e sa intrattenere. Rispetto alla moda di adesso che trova nel revival di quel decennio sfogo in alcuni casi molto superficiale, il film di Adam Shankman adopera l'arma dell'autoironia, sempre preziosa per questo tipo di operazioni.

 
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Chernobyl Diaries - La mutazione DA MYMOVIES

Post n°8346 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Ladridicinema
 

La solita storia horror raccontata con l'originalità e la freschezza di ripresa di un esordiente
Giancarlo Zappoli     * * 1/2 - -
Locandina Chernobyl Diaries - La mutazione

Un gruppo di giovani turisti amanti del pericolo (Chris, Paul, Amanda, Natalie, Michael e Zoe) decide di regalarsi una vacanza a Pripjat la città ucraina divenuta fantasma dopo l'esplosione del reattore della centrale atomica di Chernobyl che nel 1986 terrorizzò il mondo. Accompagnati su un vecchio autobus da un agente del posto, Uri, iniziano ad esplorare gli edifici abbandonati constatando la presenza di animali pericolosi. Quando però il mezzo non sarà più in grado di ripartire altre presenze si manifesteranno in modo minaccioso.
Le vicende di gruppi di persone variamente assortite (ma possibilmente di giovane età) che si ritrovano a dover affrontare esseri mostruosi non sono certo una novità al cinema. Solitamente gli sventurati cominciano a morire uno ad uno e anche se qualcuno sopravvive il film finisce con il lasciarci il dubbio se sia stato o meno contaminato dal Male. Spesso un sequel è già in pre-produzione. 
Tutto ciò non era certo ignoto ad Oren Peli, produttore di questo film così come del blockbuster Paranormal Activity e delle sue successive elaborazioni. Come fare allora per ridare linfa vitale (anche se questo termine suona un po' abnorme in un simile contesto) a questo luogo comune? Innanzitutto scegliendo una location che tutti hanno sentito nominare e che porta con sé già di default una sensazione di paura profonda. Chi poi avesse anche visto i documentari che sono stati girati sulle conseguenze delle radiazioni sui bambini nati dopo la fuga radioattiva (uno di essi ha vinto l'Oscar) sa come abbiano in diversi casi originato orribili deformità. Affidare la regia a Parker alla sua prima opera ha poi garantito al film una freschezza di ripresa (Parker ha lavorato a lungo su altri set per gli effetti visivi) che ne costituisce la forza. Perché se lo spettatore esperto in materia si aspetta una struttura narrativa nota bisogna offrirgli una variante. Che è data da una prima parte luminosa in cui anche il viaggio assume una sua importanza con l'attraversamento di una natura dai colori tenui (anche se nasconde già forme animali mutanti). Per la paura c'è tempo ma quando giungerà l'ora non ci saranno quasi più pause e a dominare sarà il buio solcato dalle torce elettriche.
Finalmente siamo di fronte a un film in cui è l'ignoto a dominare sullo schermo e a rimanere quasi del tutto inviolato. Sia i protagonisti che lo spettatore ‘percepiscono' le presenze ma non le vedono praticamente mai nitidamente. Questo, insieme ai palazzi che una morte reale ha svuotato nel passato (anche se il film è stato girato altrove), contribuisce a creare un clima, nonostante le premesse, di attesa e di tensione.

 
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Contraband, con Mark Wahlberg il "film da ombrellone" da Panorama.it

Post n°8345 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Ladridicinema
 

Frenetico e rombante, pur senza grande originalità è ideale per l'estate: piacevole senza impegnare troppo la testa, ritmo e godibilità

27-07-201220:25

di Simona Santoni

È forse l'estate il periodo di uscita migliore per Contraband, che infatti è in sala dal 25 luglio. Piacevole senza impegnare troppo la testa, non particolarmente originale ma godibile quanto basta per non aver la sensazione di aver buttato via qualche ora di caldo a baratto di stimabile aria condizionata.

Mark Wahlberg il merito di bucare lo schermo e portare tutto il film sulle sue nerborute spalle: è l'uomo ideale. Tuo fratello combina qualche casino? Ci pensa lui a risolverlo. Le cose vanno sempre peggio e ci si ritrova in mezzo al covo di un losco trafficante e poi in mezzo a una sparatoria da cui nessuno (o quasi) esce vivo? Nessun problema, Wahlberg ti trova il modo di scampare anche da lì. Sei spacciata e a un passo dall'essere inghiottita da una colata di cemento. Mark, eccolo, e pure con una certa flemma, e tutto va per il meglio. Mi piacerebbe averlo accanto quando il mio computer si impalla e va alla malora il testo non salvato.

Il buon Wahlberg interpreta Chris Farraday, ex contrabbandiere, il migliore, che ha abbandonato la vita criminale e ha scelto una quotidianità ben più tranquilla, con due figlioletti e sua moglie Kate (Kate Beckinsale, molto più affascinante come vampira guerriera Selene di Underworld che come donna di casa, franca ma indifesa).

Quando suo cognato Andy (Caleb Landry Jones) fa saltare un affare ordito dal suo infido boss, Tim Briggs (Giovanni Ribisi), Chris è costretto a tornare a fare ciò che sa fare meglio di chiunque altro, il contrabbando, per saldare il debito di Andy. Ad aiutarlo - più o meno - c'è il suo amico Sebastian (Ben Foster). L'obiettivo è salire a bordo di una nave che traghetta container a Panama e da lì tornare con milioni in banconote false. La situazione però si deteriora rapidamente, gli imprevisti pullulano e sembrano sempre più devastanti e incontrollabili. Ma, appunto, con Wahlberg si può stare tranquilli: "alla fine si sistemerà tutto, perciò se non è tutto sistemato significa che non è ancora arrivata la fine", come dice il detto indiano citato nel film Marigold Hotel.

Il ritmo e le complicazioni salgono, il rischio anche. Frenetico e rombante, Contraband ha abbastanza di già visto e famigliare, e non solo perché è un remake del film scandinavo Reykjavik-Rotterdam(2008) di Óskar Jónasson. Ma riesce a mantenere l'interesse dello spettatore sempre ben saldo, senza cali di tensione e noia, e infancerdo le quasi due ore di film di tanta azione. Divertente la musica di Clinton Shorter, come pure la piccola chicca del finale.

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Contraband (Universal Pictures)

 
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IL PARADOSSO GIORNALISTICO da tuttojuve

Post n°8344 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Ladridicinema
 

29.07.2012 00:01 di Massimo Pavan
© foto di www.imagephotoagency.it

In questi giorni riceviamo tantissime mail e messaggi di tifosi arrabbiati contro Palazzi, contro la giustizia contro il sistema, contro Carobbio. Insomma tante proteste. Il paradosso che in molti ci evidenziano riguardano come ormai tutti sanno la situazione Mezzaroma con Carobbio credibile a comando in primis, oltre alla situazione deferimenti con la banda della squadra che non sentiva non deferita, ma soprattuto la posizione giornalistica per cui Conte dovrebbe patteggiare. Com'è possibile che i giornalisti e tutta l'opinione pubblica possa accettare che Conte, uomo innocente debba dichiararsi "patteggiante" per accettare supinamente una giustizia sbagliata. Sembra essere l'Italia del compromesso che va bene a tutti. A noi non piace, se un uomo innocente deve accettare questo, vuol dire che siamo un Paese totalmente senza regole (ma forse e' cosi... Basta vedere il tema prescrizione in tutti i sensi). Se un pentito che si vendeva tutto per soldi riesce a far squalificare per un risentimento una persona limpida, pura, esempio per milioni di persone, allora il sistema va a rotoli, se tutti accettiamo questo senza protestare allora e' giusto che si venga schiacciati da tutto. Dalle piccole cose si nota il senso e la voglia del paese di cambiare e questa potrebbe essere il primo passo. Ma purtroppo non sarà così... ( ringrazio il tifoso Tiziano che ha suggerito l'argomento).

 
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Lo Hobbit si fa in tre! da Primissima

Post n°8343 pubblicato il 31 Luglio 2012 da Ladridicinema
 

31/07/2012

Per parecchie settimane è stato solo un rumor insistente che oggi diventa realtà: Lo Hobbit sarà una trilogia. Il tanto desiderato adattamento del romanzo omonimo di Tolkien firmato ovviamente da Peter Jackson, doveva inizialmente essere diviso in due sole parti: la prima An Unexpected Journey, in arrivo il 14 Dicembre 2012, la seconda There and back again, prevista per il 13 Dicembre 2013. E' lo stesso regista a confermare attraverso il suo profilo Facebook la decisione condivisa con i produttori Fran Walsh e Philippa Boyens di dare vita ad un terzo capitolo. "E' solo alla fine delle riprese che hai la possibilità di sederti e vedere che film hai fatto - ha scritto - Fran, Philippa ed io lo abbiamo fatto di recente, quando abbiamo visto una buona porzione del primo e del secondo. Eravamo soddisfatti dal modo in cui avevamo realizzato la storia, in particolar modo dai personaggi e dal cast che gli ha dato vita. Tutto questo ha fatto nascere una domanda: dobbiamo cogliere l'occasione per raccontare di più? La risposta da registi e da fan è stata sì".

Il terzo film che non ha ancora un titolo, sarà nelle sale nell'estate 2014. A confermarlo tramite comunicato stampa ufficiale è proprio la Warner Bros in accordo con New Line Cinema e Metro-Goldwyn-Mayer Studios.

Tutti e tre i film saranno distribuiti in 3D e 2D nei migliori cinema e sale IMAX.

A breve dunque inizieranno delle riprese aggiuntive presso gli Stone Street Studios a Wellington, e in altre location in Nuova Zelanda. Le nuove scene insieme al materiale in eccesso, andranno a comporre il terzo capitolo della nuova saga. A quanto pare Jackson si baserà anche sulle 125 pagine raccolte nelle appendici de Il Signore degli Anelli nelle quale vengono esplorate in maniera più approfondita alcuni eventi de Lo Hobbit che non vengono trattati nel romanzo, come, ad esempio, il misterioso viaggio di Gandalf e la sua battaglia contro Sauron.

Lo Hobbit può essere considerato l’antesignano di tutta l’opera narrativa sulla Terra di Mezzo; in esso hanno principio o spunto, anche se in forma di abbozzo rispetto a quanto sarà il corpus finale dell'opera, gli altri libri. L’Unico Anello sarà il tema centrale di Il Signore degli Anelli, mentre le antiche spade elfiche di Gondolin riportano alle storie narrate nel Silmarillion, opus maximum dell’autore, lasciato incompiuto e pubblicato postumo dal figlio. Il tema dell’eroismo è centrale nell’opera, che è stata vista come una parabola della Prima guerra mondiale dove contadini o persone della campagna in genere sono costrette a compiere atti di eroismo. Gli eventi narrati avvengono ben sessant'anni prima di quelli narrati nella trilogia de Il Signore degli anelli, quando Bilbo Baggins, zio di Frodo, incontra Gandalf che gli propone di partire per un viaggio 'inaspettato', insieme al gruppo di nani guidati da Thorin Scudodiquercia.

Jackson si è preso alcune 'licenze poetiche', inserendo il personaggio dell'elfa Tauriel e lo stesso Frodo, che appare in un cammeo.

Nel cast Cate Blanchett, Orlando Bloom, Martin Freeman, Richard Armitage, Aidan Turner, Rob Kazinsky, Graham McTavish, Ian McKellen, Dean O' Gorman, Aidan Turner, Elijah Wood, Evangeline Lilly, Stephen Fry e Lee Pace.

Fonte: Meshpress

Scritto da Manuela Blonna

 
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