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Messaggi del 14/01/2014

 

Pierre Lescure succederà a Gilles Jacob da cineittànews

Post n°10939 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

ssr09/01/2014
Sarà Pierre Lescure, ex presidente di Canal +, a succedere a Gilles Jacob alla presidenza del Festival di Cannes dal 2015. E' quanto afferma oggi il settimanale 'Paris Match'. L'informazione, che non è stata confermata dagli organizzatori della kermesse (l'annuncio ufficiale è fissato per il 14 gennaio), è stata invece confermata all'agenzia France Presse dal "rivale" di Lescure all'ambito posto, Jerome Clement, ex presidente di Arte: "Sono stato informato prima di Natale che sarà Lescure. Per diventare presidente del festival bisogna essere membro del consiglio di amministrazione, e mi è stato riferito che il governo avrebbe proposto Lescure".

Jilles Jacob, 83 anni, regista e critico cinematografico, è stato delegato generale del Festival di Cannes dal 1977, prima di diventarne il presidente nel 2001. E' stato lui stesso, il maggio scorso, ad annunciare, in un'intervista al quotidiano locale 'Nice Matin', che avrebbe lasciato la presidenza del festival dopo l'edizione del 2014.

 
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Roberto Faenza, la provocazione: "Questo paese ignorante ha ucciso la memoria" da repubblica

Post n°10938 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Aggiornato il 11 gennaio 2014

Al cinema dal 16 gennaio "Anita B. Il coraggio della memoria" del regista torinese, ispirato a "Quanta stella c'è nel cielo" di Edith Bruck. Proteste per la pagina promozionale uscita su "Repubblica" con la foto di Eichmann e il riferimento alle risposte dei concorrenti di un quiz tv

ROMA - Una valanga di reazioni si è diffusa sui network in risposta alla pagina di promozione del film Anita B. dominata dalla fotografia di Adolf Eichmann e dalle parole: "A quale X-Factor partecipò Adolf Eichmann? Anche una domanda così, in un paese dove i concorrenti di L'eredità non sanno chi fosse Hitler, potrebbe finire in un quiz tv". Una provocazione, con un riferimento al programma di RaiUno in cui spesso i concorrenti dimostrano di non conoscere gli eventi della Storia e la loro cronologia. "In genere sono proteste, dicono che non tutti gli studenti sono come quei concorrenti che non avevano idea di chi fosse Hitler, due dei quali credo fossero universitari. Io sono un insegnante, non penso che tutti gli studenti siano così e mi fa piacere che protestino", dice Roberto Faenza, regista del film liberamente tratto dal romanzo di Edith Bruck sulla ragazza sopravvissuta ai lager nazisti Quanta stella c'è in cielo, sugli schermi italiani dal 16 gennaio.

FotoRoberto Faenza, la provocazione: "Questo paese ignorante ha ucciso la memoria"

La pagina promozionale del film apparsa ieri su "Repubblica"


Tratto dal romanzo "Quanta stella c'è nel cielo" di Edith Bruck, il nuovo film di Roberto Faenza sarà al cinema dal 16 gennaio. La storia di una ragazzina sopravvissuta ad Auschwitz e del suo tentativo di tornare a vivere. Senza dimenticare. Il regista: "Il ricordo è l'unico modo per affermare se stessa".


Perché ha pensato a una promozione così insolita?
"L'ho fatto alla luce dell'ignoranza spaventosa di questo paese che vuole dimenticare tutto, la memoria è un fastidio, il pensiero è un fastidio. Ci sono tanti giovani eccezionali ma la tendenza è di vivere a cento all'ora, attaccati a strumenti tecnologici, altrimenti si va in ansia. Mai un momento di meditazione. Non è così in altri paesi".

Si è chiesto perché?
"Secondo me il problema è la comunicazione. La scuola italiana era tra le migliori al mondo, oggi è una devastazione, ma non si può chiedere troppo a insegnanti che guadagno 1200 euro al mese. Manca la famiglia, i genitori non insegnano più nulla ai figli. I ragazzi non guardano la tv, l'informazione viene da internet e spesso è avariata, è come se vivessero in un mondo irreale. Con l'Università abbiamo fatto un concorso con le scuole di Napoli per un soggetto di film o di tv. Ne sono arrivati a migliaia, neanche uno su Napoli. Ho chiesto perché. "Perché dovrei parlare di una realtà che fa schifo quando è molto più bella la fantasia?", mi ha risposto qualcuno".

Anita B. è un film sulla memoria.
"Lo considero il mio film più controcorrente, anche più del pluricensurato Forza Italia!So che avrà problemi, alla parola Auschwitz gli esercenti chiudono la porta, inutile spiegare che non è sui campi, è una storia sul dopo. Stiamo facendo un lavoro con le scuole, contiamo di portare al cinema 100 mila studenti e so che il film, girato in inglese, andrà bene in America, dove uscirà in estate".

Cosa l'ha spinta a farlo?
"Ho letto il libro in aereo di ritorno da Tokyo, ho avuto una crisi di pianto come mai m'era successo nella vita, ho dovuto chiudermi in bagno. Dev'essere scattato qualcosa, ho pensato a quanto ci lamentiamo della crisi, anche noi cineasti, poi leggi storie di persone così forti, capaci di sopravvivere all'orrore e ti dici "sono un verme". Ho avuto voglia di raccontarla. Noi che facciamo comunicazione abbiamo l'impegno di non abbandonare il campo, di non darci soltanto all'evasione, al non-pensiero, pur avendo il dovere di emozionare. Proprio oggi che la gente non vuole ricordare, che c'è il delitto del ricordo".

Cos'ha Anita B. di particolare rispetto agli altri film sulla Shoah?
"Il dramma della protagonista è che al ritorno dal campo pensa che il mondo sia aperto con lei e non capisce come mai nessuno voglia parlare di quello che ha sofferto, dei genitori perduti. Le dicono "il passato è passato, dimentica". Eppure si trova nell'ambiente ebraico, il suo, non capisce come gli zii che l'hanno accolta vogliano esibire un albero di Natale per paura, vivono in Ungheria, sta arrivando il comunismo. Può parlare solo con un bimbo di un anno che l'ascolta senza capire, anche il ragazzo che l'ama vuole sentire i suoi ricordi. Altri film tendono a far dimenticare più che a ricordare".

Tutto questo era nel libro di Edith Bruck?
"Sì, non è un caso che Edith, ungherese, non voglia andare in Ungheria e abbia scritto il libro due anni fa. Lo stesso è accaduto per Jona che visse nel ventre della balena, anche in quel caso Jona scrisse il libro a cinquant'anni di distanza. Entrambi, ragazzini quando hanno vissuto l'orrore, al ritorno hanno trovato un ostilità, come se fosse una vergogna essere sopravvissuti".
 
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Bologna, si ferma l'orchestra Mozart. Il gioiello creato da Abbado

Post n°10937 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Aggiornato il 11 gennaio 2014

Problemi economici e anche la preoccupazione per la salute del celebre direttore che gli impedisce di guidarla. Dieci anni di successi internazionali e sperimentazioni con i giovani

BOLOGNA - L'Orchestra Mozart diretta dal maestro Claudio Abbado sospende temporaneamente le attività dall'11 gennaio. Lo comunica la direzione dell'orchestra con una breve nota. Due le preoccupazioni per l'orchestra, una economica e l'altra per l'indisposizione del maestro Abbado che anche in dicembre ha costretto ad una sua sostituzione sul podio per più di un concerto. Lo staff dell'Accademia Filarmonica di Bologna da cui dipende la Mozart ha però escluso che ci sia un aggravamento nelle condizioni del maestro.

L'Orchestra Mozart nacque nel 2004 e scompaginò la vita musicale di Bologna, nonostante la città fosse già ricchissima di proposte: poteva  contare sulla presenza costante del più carismatico direttore d'orchestra, Claudio Abbado, che della Mozart è stato assieme a Carlo Maria Badini, l'ideatore e il fondatore. Il successo per il nuovo complesso sinfonico fu subito grande: all'orchestra hanno collaborato infatti moltissimi solisti di calibro internazionale, insieme a giovani strumentisti appositamente selezionati. A Claudio Abbado vengono affiancati direttori molto conosciuti come Claire Gibault, John Eliot Gardiner e Trevor Pinnok, prima di nominare Diego Matheuz direttore principale. La nascita dell'Orchestra Mozart rientrava nel più ampio progetto dell'European Mozart Way con sede a Salisburgo, l'organismo nato per celebrare nel 2006 il 250/o anniversario della nascita di Mozart.

Il repertorio affrontato è quello sinfonico, da Pergolesi e Bach fino a brani in prima esecuzione assoluta, appositamente commissionati, di Luis De Pablo e Karlheinz Stokhausen. Un vecchio amore giovanile di Claudio Abbado, i Concerti Brandeburghesi di Bach vengono portati in tournèe in 9 città italiane. Dopo i primi anni di attività la Mozart assume anche una valenza più internazionale con concerti e residenze stabile al Musikverein di Vienna, alla Salle Pleyel di Parigi, in Spagna, al Festival di Salisburrgo e al Lucerna Festival. Di particolare rilievo il concerto al Paladozza di Bologna a ottobre 2008 con Roberto Benigni nei panni del Pierino di Prokofiev e oltre 900 esecutori, tra i quali moltissimi bambini, per il Te Deum di Berlioz che alla Mozart affianca l'Orchestra Cherubini di Riccardo Muti e l'Orchestra Giovanile Italiana di Fiesole. E ancora il concerto romano al Parco della Musica alla presenza del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che successivamente nominerà Claudio Abbado senatore a vita.

Nell'ultimo appuntamento bolognese lo scorso dicembre Claudio Abbado, da qualche mese assente dal podio per motivi di salute, avrebbe dovuto dirigere il suo amico Maurizio Pollini nell'Imperatore di Beethoven: venne sostituito dall'olandese Bernard Haitink. In molti hanno la sensazione che per l'Orchestra Mozart di Bologna quello è l'ultimo appuntamento.

 
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Se Hitler è ancora un bestseller da il giornale

Post n°10936 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Sorpresa su ebook: il "Mein Kampf" del Führer trionfa nelle vendite

Quando un libro puzza di zolfo, o si porta dietro qualche censura morale, le vendite sono pressoché garantite.

Lo sapevano bene gli editori settecenteschi che nascondevano sotto titoli innocui (come Thérèse Philosophe) testi pornografici o politicamente sovversivi. Gli storici, a partire da Robert Darnton, ci hanno chiaramente dimostrato che questi libri vendevano più di Voltaire o Diderot. Non cambia molto nemmeno ai giorni nostri. Ieri i giornali inglesi erano in subbuglio perché qualcuno si è accorto che tra gli e-book che trionfano nelle vendite è spuntato il Mein Kampf di Adolf Hitler. Il delirante manifesto, concepito dal futuro Führer durante la reclusione nel carcere di Landsberg am Lech, è secondo tra i titoli di Political Science&Ideology del catalogo online di Amazon Uk, primo tra i titoli su fascismo e nazismo, primo tra i libri della categoria «Propaganda». Come ha spiegato il giornalista e blogger americano Chris Faraone, che per primo ha lanciato l'allarme: «Il Mein Kampf sta seguendo lo stesso percorso di certi libri erotici come Cinquanta sfumature di grigio... La gente si vergogna di averli in libreria ma è contenta di poterli leggere di nascosto nel proprio e-reader o tablet». Senza contare che invece le versioni gratuite del testo sono state scaricate (secondo Faraone) almeno 100mila volte.

Per carità, i numeri sono ovviamente più piccoli di quelli delle pornacchiose Sfumature: nella classifica generale dei libri a pagamento su Kindle il «mattone» (la definizione è di Benito Mussolini) vergato da Hitler è al 997º posto in Gran Bretagna e al 788º negli Stati Uniti. Però è vero che il titolo è in salita. La versione digitale americana è stampata dalla californiana Elite Minds (che vende il testo a 99 centesimi). Il presidente Michael Ford ha spiegato che le «vendite sono molto forti» e che esiste un «dilemma morale nel promuoverle». Ma, in effetti, di promozione non c'è bisogno il traino è tutto nel fatto che il libro sia tabù. Ed è davvero difficile pensare che qualcuno legga 800 e passa pagine piene di Lebensraum, superominismo d'accatto e citazioni delle panzane biologiche di Ernst Heinrich Haeckel.

Certo qualche brutto precedente c'è. Il libro divenne un bestseller in Turchia nel 2005 (si trattava di una edizione cartacea a basso costo). Come in molti Paesi arabi il successo era ed è segno di antisemitismo (difficile credere che a Teheran venga letto per motivi storici o per discettare del parere di Hitler sulla «negrizzazione della Francia»). Resta più spinosa la questione di come vengono utilizzati i proventi delle vendite. Per anni i diritti sono appartenuti alla Baviera (che ne vietò la pubblicazione in Germania), ma ora sono scaduti. L'inglese Random House che stampò su carta il titolo dopo che in Inghilterra venne a cadere il divieto di stampa (durato dal 1945 al 1969) ha sempre convertito i proventi in donazioni al German Welfar Council: una charity che aiutava le vittime dell'Olocausto. Una soluzione niente male, e infinitamente più utile della censura, per stroncare ogni polemica. Chissà se gli editori online saranno altrettanto filantropici.

 
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Tutti in classe con Mastandrea da il cinematografo

Post n°10935 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Lunedì 13 Gennaio 2014
Arriva nelle sale il "film non film" di Gaglianone con l'attore romano "maestro" di studenti extracomunitari: "Distribuzione totalmente indipendente, speriamo in lunga tenitura"
“Arriviamo nelle sale in maniera abbastanza originale, con una distribuzione totalmente indipendente affidata alla Pablo: un modo per provare ad uscire dai canoni del sistema distributivo classico, sperando in una lunga tenitura come accadde per esempio al film di Giorgio Diritti, Il vento fa il suo giro, che fu un vero e proprio caso al cinema Mexico di Milano”. Il “maestro” Valerio Mastandrea arriva dunque sugli schermi con La mia classe, il nuovo film di Daniele Gaglianone presentato all’ultima edizione delle Giornate degli Autori durante la 70° Mostra di Venezia. Sarà possibile vederlo proprio al cinema Mexico di Milano (dove è in programmazione già da sabato 11 gennaio), mentre a Roma sarà presentato mercoledì 15 gennaio al Nuovo Cinema Aquila dal regista e dall’attore alle 22.30, per poi uscire in altre sale italiane da giovedì 16 gennaio. Proprio il giorno in cui farà ritorno sugli schermi La grande bellezza di Paolo Sorrentino, fresco vincitore del Golden Globe e – ormai è quasi certo – in cinquina agli Oscar come miglior film straniero (dal 2011 chi ha vinto il Golden Globe si è poi aggiudicato la statuetta…): “Sono riconoscimenti che significano tanto – dice Mastandrea a proposito del film di Sorrentino – soprattutto in prospettiva nei rapporti con il pubblico. Significa in qualche modo poter contribuire a ‘rieducare’ lo spettatore, a fargli capire che si può, si dovrebbe andare al cinema anche più di dieci volte l’anno e, soprattutto, che vedere un film in sala è diverso che vederlo sullo schermo di un PC”. 
Spettatore che, proprio di fronte ad un’operazione come La mia classe, viene invitato ad un tipo di fruizione lontana dai canoni abituali: al centro del racconto un gruppo eterogeneo di extracomunitari, studenti che prendono lezioni di italiano dal maestro, interpretato come detto da Mastandrea. Provengono da ogni parte del mondo, unico comune denominatore il permesso di soggiorno. Fino a che non scade… “Il progetto è nato da un'idea di Claudia Russo e Gino Clemente, che per motivi anche personali hanno pensato di costruire una situazione in cui si raccontava di una classe formata da extracomunitari veri con un insegnante impersonato da un attore. L’unico a cui abbiamo pensato è stato Valerio, dotato di un dono particolare, quello di saper trasmettere dallo schermo una genuina autenticità”, racconta Gaglianone, che poi spiega: “A due settimane dall’inizio delle riprese, un aspetto della storia che noi avevamo solamente immaginato – problemi relativi ai documenti per uno degli studenti – si è verificato realmente. A quel punto ho pensato di abbandonare tutto, poi abbiamo deciso di proseguire in un altro modo, e quindi Valerio ha continuato a fare il professore pur ‘rimanendo’ Valerio, e noi – la troupe – abbiamo continuato ad essere noi stessi”. Sì, perché La mia classe è un film ma non è un film, non è un documentario, né docufiction o backstage: “Eravamo veri e finti allo stesso tempo, continua Gaglianone, e ai ragazzi raccontavo passo passo quello che avremmo fatto. In pratica ci trovavamo dentro a una contraddizione, una capriola iperbolica: non un film di noi che facciamo il cinema ma una metafora di com’è il nostro rapporto con la società, di come ci comportiamo di fronte a situazioni difficili, che possono metterci in crisi”.
E lo spettatore? “Lo spettatore deve smettere di chiedersi che cosa sta vedendo, perché racchiudere ogni volta una visione in un’etichetta è troppo rassicurante”, spiega il regista, che aggiunge: “La riflessione che facciamo sul cinema è un pretesto per fare una riflessione più ampia: noi diventiamo amici di questi ragazzi e quando ci raccontano le loro esperienze di vita non possiamo più rapportarci a loro solamente dal punto di vista lavorativo”.
Pensiero condiviso dallo stesso Mastandrea: “A me non bastano più i film con un messaggio, e parlo anche da spettatore. Di fronte a certe cose c'è l'urgenza che le cose cambino e che cambino anche in fretta”. Come attore, invece, “si può tornare a fare film ‘normali’, magari con un’altra consapevolezza: la domanda che ci poniamo è ‘A cosa serve fare i film?’, e metterla dentro ad un film è già un buon punto di partenza”, dice ancora Mastandrea. Che ha da poco terminato di girare il nuovo film di Michael Winterbottom, The Face of an Angel, liberamente tratto dal libro della giornalista americana Barbie Latza Nadeau, Angel Face: Sex, Murder and the Inside Story of Amanda Knox: “Del film posso dire poco, ma è stata un’esperienza molto importante per vari aspetti, non ultimo quello di aver interpretato il primo ruolo vero in lingua inglese. Poi la possibilità di lavorare con un regista come Michael, che ha un modo di girare davvero particolare, e con attori bravissimi come Daniel Brühl”, racconta l’attore, che infine rivela: “Tra un mese iniziano le riprese del nuovo film di Gianni Zanasi (Non pensarci, ndr), che dopo sette anni dirige finalmente un altro lungometraggio. Titolo La felicità è un sistema complesso, ma la trama è impossibile da raccontare”.

 
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Il vero orrore di Alfred Hitchcock da internazionale.it

Post n°10934 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

  • 13 gennaio 2014
  •  


La versione incompleta del documentario, recuperata e trasmessa nel 1984.

Entro il 2014 sarà diffusa la versione integrale del documentario sulla liberazione dei campi di concentramento nazisti curato da Alfred Hitchcock.

Le immagini furono girate nel 1945 dalle unità cinematografiche dell’esercito britannico e russo dopo la liberazione di alcuni campi di concentramento, tra cui Bergen-Belsen. Viste le terribili immagini dei morti e delle condizioni dei sopravvissuti, la pellicola fu poi accantonata per non ostacolare la riappacificazione europea dopo la fine della seconda guerra mondiale. Parzialmente recuperato nel 1980, il film fu proposto in una versione incompleta al festival di Berlino del 1984 con il titolo Memory of the camps e trasmesso dalla tv statunitense Pbs.

Secondo l’Independent, Hitchcock cominciò a lavorare sul materiale girato dai militari su richiesta dell’amico produttore Sidney Bernstein. Le immagini, però, lo turbarono al punto che fu costretto ad allontanarsi dal progetto per una settimana.

Ora l’Imperial war museum sta lavorando al restauro della pellicola, includendo anche il materiale non utilizzato negli anni ottanta.

 
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George R.R. Martin parla di J.R.R. Tolkien da jrrtolkien.it

Post n°10933 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

George R.R. Martin11.11.11. Una data emblematica che segna il debutto televisivo su Sky Cinema di una delle serie TV più attese della stagione, Il Trono di Spade(Game of Thrones), adattamento targato HBO della saga best seller di George R.R. Martin Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, pubblicata in Italia da Mondadori e tra le più popolari mitologie letterarie degli ultimi anni. Le rendiamo omaggio proponendo una lunghissima intervista allo scrittore americano tutta dedicata al suo rapporto con J.R.R. Tolkien e Il Signore degli Anelli. Attenzione agli spoiler, naturalmente (li contengono i punti 6 e soprattutto 7), ma per correttezza diciamo che non siamo volati negli Usa per incontrarlo, ma abbiamo selezionato da una cinquantina di quotidiani anglosassoni (Usa e Gb) tra i più autorevoli tutte quelle risposte in cui Martin parlava di Tolkien. Ne risulta così una sorta di antologia, cui abbiamo aggiunto solo le domande per renderla coerente. Tutte le parole delle risposte sono però rigorosamente di Martin!

1. Le sue opere hanno un debito con J.R.R. Tolkien?
«Sono un fan accanito di Tolkien. Ho letto i suoi libri da ragazzo, mentre frequentavo la scuola media e poi le superiori. Le sue opere hanno avuto un’influenza profonda su di me. Avevo letto altra letteratura fantasy prima e ne ho letta anche dopo. Ma non ho amato nessun altro romanzo come quelli di Tolkien. Certo, non ero il solo. Il successo dei libri di Tolkien ha ridefinito la Fantasy moderna. In quegli anni, Tolkien era visto come una sorta di alieno. La sua era considerata una di quelle rare opere che appaiono una volta ogni tanto e hanno un successo enorme per ragioni che nessuno comprende. Nessuno si sognava però di pubblicare altri libri di questo genere. Solo negli anni ’70 furono pubblicati Le Cronache di Thomas Covenant di Stephen R. Donaldson e de La spada di Shannara di Terry Brooks, che sono stati i primi tentativi reali di seguire le orme di Tolkien… entrambi con successo. E che aprirono la strada a molti altri “imitatori di Tolkien”».

Locandina "Games of Thrones"2. Scrivere Il Trono di Spade è stata la sua reazione al Signore degli Anelli?
«Non è esattamente così. Ogni scrittore dialoga con tutti gli altri scrittori, e chi si occupa di Fantasy dialoga con gli altri scrittori del genere. Da appassionato di Tolkien, ho preso molto spunto da lui. Ha avuto un’influenza enorme su di me e Il Signore degli Anelli è una montagna che si staglia su ogni altra opera di Fantasy scritta prima e dopo. Ha modellato tutta la Fantasy moderna. Ci sono alcune sue scelte che ormai fanno parte del canone Fantasy: tutto il concetto dell’Oscuro Signore, la battaglia tra Bene e Male, l’influenza penetrante di quest’ultimo a tutti i livelli. Sono tutti elementi che Tolkien ha gestito brillantemente, ma che nelle mani dei suoi innumerevoli imitatori hanno prodotto una sorta di cartone animato! Non c’è più bisogno di un Oscuro Signore, né di altri elementi così radicali. Ho veramente odiato alcune delle opere scritte dopo Tolkien. Mi sembra che alcuni imitatori abbiano copiato l’autore inglese senza capirlo, prendendo le cose peggiori di lui. Mi spiego, amo Tolkien, ma non penso che sia perfetto. Così volevo scrivere qualcosa che fosse una risposta a quel poco di Tolkien che non mi piaceva, ma sopratutto ai suoi imitatori, che si sono ispirati proprio a quel poco».

3. Partiamo dalle somiglianze. Quali elementi del Signore degli Anelli ha voluto riprendere?
«Non è facile dirlo. Ci sono cose delle opere di Tolkien che mi erano presenti anche a livello inconscio mentre scrivevo. Quando iniziai, nel 1994, volevo scrivere una trilogia e i diritti furono venduti come una trilogia. Ma, come scrive Tolkien a proposito del Signore degli Anelli, “la storia è cresciuta mentre la narravo”. Quello schema è finito fuori dalla finestra prima che avessi completato il primo libro: avevo scritto già 1300 pagine e la conclusione era ancora lontana! La storia è così cresciuta a cinque libri pubblicati e altri due in programma: sette in tutto. Sicuramente, poi, Westeros somiglia molto alla Quarta Era di Tolkien, l’Era degli Uomini descritta alla fine del Signore degli Anelli. Dopo la partenza degli Elfi, la Terra-di-mezzo rimane in mano agli Uomini, con tutti i limiti che questo comporta. L’autore tentò anche un seguito, The New Shadow, che poi abbandonò, ma in cui sono delineati tutti gli elementi dei miei libri: intrigo, violenza, politica, complotti…
Tolkien lo scrive in maniera esplicita nel romanzo: gli Elfi stanno scomparendo e andando via. Anche nei miei libri ci sono Razze Antiche, ma sono molto meno visibili rispetto agli Elfi e ai Nani di Tolkien. Se ne vedono pochi. Gli elementi fantastici vengono fuori lentamente. Nel Trono di Spade c’è pochissima fantasy. Nei libri successivi aumenta sempre più, perché la magia sta tornando nel mondo. Ma anche al suo massimo, quando arriverò al settimo volume e la magia sarà un elemento determinante, non sarà mai così potente come la si può trovare all’inizio dei libri di questo genere, con tutta una serie di oggetti magici a disposizione. È un elemento essenziale del genere, ma bisogna saper dosare la magia. È come il sale nella minestra: un pizzico le dà un buon sapore, ma troppo sale la rovina».

Scaffale Libri4. La magia può essere un buono spunto per parlare delle differenze con Tolkien?
«Anche in Tolkien c’è pochissima magia, mentre nei suoi imitatori abbonda. Questa è veramente una grande differenza tra me e chi ha voluto prendere la “parte peggiore” dell’autore inglese. Per me è fondamentale il realismo. La mia è una Fantasy con un basso contenuto di magia. In questo senso, ho seguito le orme di Tolkien perché, se si legge bene Il Signore degli Anelli come feci io quando stavo scrivendo i miei libri, si vede benissimo che la Terra-di-mezzo è un mondo magico nel senso che è un mondo pieno di meraviglie, ma in realtà c’è pochissima magia. Non si vede mai Gandalf lanciare un incantesimo o sparare una palla di fuoco! Se c’è un combattimento, lo stregone tira fuori la spada… Certo, crea fuochi d’artificio e il suo bastone brilla nel buio. Ma si tratta di cose minime. Anche gli anelli magici, anche il potentissimo Unico Anello: tutto quel che vediamo è che rende le persone invisibili. Si suppone che l’Unico Anello abbia un grande potere di dominio, ma quando Frodo se lo infila non può dare ordini ai Nazgul che lo circondano. Non è così semplice. È un potere sconosciuto, un potere pericoloso. È questo tipo di magia che va descritta. Un errore grave che ho visto fare da un’enormità di imitatori di Tolkien è proprio l’abuso di magia, la creazione di mondi ad alto contenuto di magia. Ci sono mondi in cui maghi, streghe e stregoni possono distruggere interi eserciti, ma appunto in cui esistono ancora eserciti! È un controsenso: se qualcuno può dire “abracadabra” e distruggere un esercito di diecimila guerrieri, perché c’è bisogno ancora di radunare un esercito? Questi scrittori non si curano del realismo: se esistono dei maghi così potenti come possono esistere ancora re e signori? Perché non sono i maghi che dominano quel mondo?».

5. A proposito di realismo, anche Tolkien ha scritto storie realistiche?
«Normalmente sì, ma ci sono alcuni filoni meno realistici nel Signore degli AnelliAragorn, ad esempio, giunge a reclamare il regno di Gondor, in cui l’ultimo re risaliva a ben mille anni prima. Alla fine del romanzo, il Sovrintendente ne riconosce la legittimità. Questo perché onore e lealtà sono alla base dei miti anglosassoni, finnici, celtici e scandinavi che ispirarono Tolkien nella scrittura del romanzo. Ma la realtà è veramente infima. Se Tolkien fosse stato più realistico, i Sovrintendenti si sarebbero autoproclamati Re molto tempo prima della Guerra dell’Anello. E se Aragorn avesse reclamato il trono, il re in carica avrebbe subito organizzato una sbrigativa e poco onorevole esecuzione per l’ultimo “Erede legittimo” e i suoi seguaci. Nei miei libri, è re il poco raccomandabileRobert Baratheon: è grasso, ubriaco e si annoia troppo facilmente per governare effettivamente! Sono anche un appassionato di romanzi storici. E il contrasto tra questo genere e moltissima Fantasy è drammatico. Molti imitatori di Tolkien hanno ambientato le loro storie in mondi semi-medievali, ma il loro è un Medioevo più simile a Disneyland! Ci sono alcuni tasselli, ci sono i regni e le guerre, ma non sono minimamente verosimili. Sembrano mondi fatti di cartone. I limiti del genere storico è che i lettori sanno già come va a finire la storia. Se si legge un romanzo sulla Guerra delle Due Rose e si vedono i piccoli principi di una casata entrare nella Torre di Londra, si sa già che non ne usciranno vivi… Il Fantasy permette ancora l’incertezza. Volevo unire gli elementi migliori di questi due generi: il realismo dei romanzi storici con il fascino, la magia e la meraviglia del Fantasy. Volevo che il lettore si chiedesse sempre: “Cosa accadrà ora? Il mio personaggio preferito morirà?”. Volevo questo tipo di suspence».

6. Il ritorno dalla morte di Gandalf è un elemento che trova realistico?
«Penso che Gandalf doveva restare morto! Se si fa resuscitare un personaggio, se lo si fa tornare dalla morte, penso che debba essere un’esperienza radicale. Per quanto ammiri Tolkien, penso sempre più che Gandalf non sarebbe dovuto tornare. È incredibile la sequenza dellaCompagnia dell’Anello, in cui lo stregone affronta il Balrog sul ponte di Khazad-dûm e cade nell’abisso, dicendo la frase: “Fuggite, sciocchi!”. Una scena incredibile, che mi ha affascinato con la sua potenza evocativa. Poi, torna indietro dalla morte come Gandalf il Bianco e come se fosse cresciuto, come un’evoluzione dovuta a quell’esperienza. Beh, non ho mai amato Gandalf il Bianco quanto invece amo Gandalf il Grigio, e non mi è mai piaciuto il fatto che fosse tornato. Penso che la storia sarebbe stata ancor più forte se Tolkien l’avesse lasciato morire definitivamente a Moria. I miei personaggi che ritornano dalla morte sono peggiorati dall’esperienza. In un certo senso, non sono nemmeno più gli stessi personaggi. Il corpo può essere in movimento, ma qualche aspetto del loro animo è cambiato o trasformato, e hanno perso qualcosa. Uno dei personaggi che più volte è tornato dalla morte è Beric Dondarrion della Fratellanza Senza Vessilli. Ogni volta che rivive ha perso qualcosa in più di se stesso. Fu inviato in missione prima della sua prima morte. Fu inviato in missione per far qualcosa ed è come se fosse aggrappato a quest’ultima. Ha dimenticato le altre cose, ha dimenticato chi fosse o dove vivesse. Ha dimenticato la donna con cui avrebbe dovuto sposarsi. Porzioni della sua umanità si perdono ogni volta che torna dalla morte. Ricorda solo la missione. La sua carne sta cadendo, ma questa cosa, questo scopo che aveva è parte di ciò che lo anima e che lo ha riportato indietro dalla morte. Penso che questa perdita, questa trasformazione, si veda bene anche in alcuni dettagli degli altri personaggi che sono tornati dalla morte».

Tyrion7. Un’altra differenza con le opere di Tolkien?
«Tyrion Lannister è un buon esempio di quel che intendo per realismo. Tyrion non è umorale, battagliero, ossessionato dall’oro come i Nani in Tolkien. Non è nemmeno Gimli. Tyrion è realmente un nano, affetto da acondroplasia (forma di nanismo che colpisce solo braccia e gambe), uno scherzo per i passanti e un imbarazzo per la sua famiglia (anche il resto dei Lannister è “deforme”, ma nell’animo!). Tyrion è in fuga perché alla fine diTempesta di Spade ha colpito a morte il padre di Lord Tywin col dardo di una balestra mentre era seduto sul gabinetto. Raggiungiamo poi Tyrion all’inizio di Una danza con i Draghi oltre il Mar Stretto ancora in uno stato di choc per le sue azioni».

8. La lotta tra Bene e Male è presente nei suoi libri?
«Questo è un altro punto importante. La battaglia tra Bene e male è un tema fondamentale del genere Fantasy. Credo, però, che sia perlopiù interiore al singolo individuo, nelle decisioni che deve prendere. I malvagi non devono essere vestiti di nero ed essere per forza brutti. È una delle cose che Tolkien ha fatto: sono elementi che nei suoi scritti funzionano meravigliosamente, ma nelle mani dei suoi imitatori sono divenuti troppo, troppo stereotipati. Quelle creature orchesche sempre vestite di nero… sempre brutte e con deformità nel corpo o nel volto… Si può dire subito se un personaggio sia malvagio se è brutto. Poi, gli eroi di Tolkien sono tutti personaggi molto attraenti, e questo elemento, ovviamente, è divenuto un cliché nelle mani degli imitatori di Tolkien. Non mi fraintenda, amo Tolkien. Voglio puntualizzare questo fatto perché non sembri che lo stia denigrando. La mia è una reazione ai suoi scritti».

9. È un punto importante, si spieghi meglio.
«La mia è un’epica per un’epoca più profana, disillusa e ambivalente rispetto a quella in cui visse Tolkien. Lui era un veterano della Somme, un soldato della Prima Guerra Mondiale e Il Signore degli Anelli è stato in parte scritto durante la Seconda Guerra Mondiale (e pubblicato nel 1954-55). Tolkien scrisse in un’epoca in cui veramente sembrava che la guerra fosse il destino della civiltà. Tutto questo si riflette sulla stessa Terra-di-mezzo. Guardiamo la mappa: il mondo è diviso in due parti in lotta. Hobbit, Nani, Elfi e Uomini si alleano per combattere l’Oscuro Signore Sauron. Il continente di Westeros è invece un’unica nazione che riunisce i Sette Regni: non due, ma sette. Westeros è nel caos, basta che una pedina cada per far saltare tutto il banco. “Molti uomini buoni sono stati pessimi re”, dice uno dei personaggi, “e alcuni uomini malvagi sono stati ottimi regnanti”. Neanche Dio decide cosa sia giusto o sbagliato. Ognuno ha il suo Dio: ce ne sono sette».

Riprese Sean Bean10. È per questo che nelle sue opere ci sono moltissimi personaggi ambigui, che non sono né bianchi né neri, diciamo “grigi”, a diversi livelli?
«Sì, amo i personaggi grigi e in Tolkien ce ne sono molti. Non è vero che ci siano solo bianchi o neri. Uno dei miei preferiti nelSignore degli Anelli è Boromir. Per molti aspetti incarna l’eroe tradizionale. È il principe, l’erede designato al trono di un regno antico e potente di cui va fiero; è un grande e valoroso guerriero. Alla fine soccombe alla tentazione dell’Anello. Ma, si riscatta e muore eroicamente per proteggere degli innocenti. C’è uno straordinario senso di grandezza intorno alla sua figura. Anche nella scelta di prendere l’Anello, c’è l’idea di fare il bene del suo regno. Questo tema mi ha sempre interessato. Un altro personaggio interessantissimo èSaruman: lo Stregone Bianco che è stato dalla parte del Bene letteralmente per centinaia, se non migliaia di anni. Gli stregoni non sono, infatti, uomini, ma Maiar, creature dalla vita lunghissima. Eppure, alla fine anche Saruman soccombe e fa una fine patetica. Ecco due esempi magnifici di personaggio grigio! Del resto, in tutti noi c’è una parte malvagia e una buona, ci sono rarissimi casi di perfezione e ci sono rarissimi casi di veri e propri orchi. L’antagonista [villain] dell’eroe è in realtà un eroe per la fazione avversa e l’eroe stesso è un nemico malvagio per chi gli si oppone. Ecco, io puntavo a rendere questa idea».

11. Se Il Signore degli Anelli è stato un modello iniziale per la sua saga, ne ha seguito anche la struttura?
«Sì, anche questo è un punto comune. Nella costruzione generale, proprio il capolavoro di Tolkien è stato il mio modello. L’autore inglese inizia da un particolare, da una scena quasi familiare, la festa di compleanno di Bilbo nella Contea, un piccolo angolo dimenticato della Terra-di-mezzo. Da lì, i personaggi si aggiungono lentamente e la scena si allarga sempre più. All’inizio ci sono Frodo e Sam, poi vengono Merry e Pipino, poi a Brea si aggiunge Aragorn e a Gran Burrone si unisce il resto della Compagnia. In seguito, avviene il contrario: da un certo punto, si perdono pezzi. Prima Gandalf, poi Boromir muoiono, poi Frodo e Sam attraversano da soli il fiume, mentre Merry e Pipino sono portati via dagli Orchi e quel che rimane della Compagnia li insegue. Si ha la sensazione che mentre il gruppo cerca di riunirsi il mondo diventi sempre più grande. L’ottica si allarga sempre più per seguire tutti i differenti percorsi. Il mio schema è stato molto simile. Si inizia a Winterfell e tutti eccetto Daenerys si trovano lì. Anche personaggi che non vi appartengono come Tyrion. Partono tutti insieme e lentamente iniziano a dividersi. In un certo senso la mia saga è più grande delSignore degli Anelli perché i personaggi da seguire sono moltissimi e ci sono molte separazioni. È sempre stato il mio intento, come avviene nel Signore degli Anelli: i protagonisti si separano tutti per poi tornare a riunirsi di nuovo tutti insieme. Forse, però, mi sono attardato un po’ troppo. Avrei dovuto iniziare questa seconda fase due libri fa!».

12. È una bella sfida, allora. Anche il finale della saga sarà ispirato a Tolkien?
«Sono rimasto molto soddisfatto da come finisce Il Signore degli Anelli, lasciatemelo dire. Non è prevedibile: mentre lo leggevo anche da ragazzo avevo la sensazione che l’Anello sarebbe finito nel vulcano. I protagonisti non stavano andando a consegnare a Sauron il dominio della Terra-di-mezzo. Ma sono rimasto veramente sorpreso dal fatto che Frodo non ce l’abbia fatta. Portandosi dietro Gollum, il modo in cui è avvenuta la distruzione dell’Anello è una parte stupefacente della fine del romanzo. E poi c’è la devastazione della Contea. Quando ho letto il libro a 13 anni, non capivo perché c’era questo capitolo. I protagonisti hanno vinto, perché c’erano ancora queste pagine di racconto? Ma rileggevo il libro ogni due anni e ogni volta, apprezzavo sempre più quel che Tolkien aveva deciso di fare. È una sorta di triste elegia sul prezzo della vittoria. Ora penso che la devastazione della Contea sia uno dei punti fondamentali della narrazione di Tolkien: gli dà ancor più spessore e profondità. Spero di essere in grado di scrivere un finale così profondo e acuto. Insomma, una fine della saga simile a questa!».

 
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Serie Tv, torna Game of Thrones Dal 6 aprile la quarta stagione da unità

Post n°10932 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

game of thrones trono spade
La quarta, attesissima stagione di Game of Thrones, la serie fantasy prodotta dal canale americano HBO debutterà sui piccoli schermi Usa il 6 aprile alle ore 21.00. Nelle scorse ore è stato anche annunciato che il primo trailer di queste nuove puntate sarà trasmesso domenica prossima. 

La quarta stagione di Game of Thrones ripartirà dalla seconda metà del terzo libro di George R.R. Martin della serie “A Song of Ice and Fire, A Storm of Swords”. Nel cast ritroveremo Peter Dinklage, Lena Headey, Emilia Clarke, Nikolaj Coster-Waldau, Kit Harington, Natalie Dormer, Maisie Williams e Sophie Turner. E poi Struan Rodger, Joel Fry, Michiel Huisman, Roger Ashton-Griffiths, Pedro Pascal, Indira Varma e Mark Gatiss e perfino la band islandese Sigur Rós apparirà in un cameo.


LA SIGLA


L'universo fantastico di Martin, definito «il Tolkien americano», è ricco di personaggi scolpiti ad arte, trame intrecciate alla perfezione e ambienti dipinti con rara accuratezza. La sua opera monumentale, venduta in milioni di copie in tutto il mondo, è stata tradotta in più di 20 lingue. La trasposizione televisiva di HBO si basa, per questa prima stagione, sui primi due libri della saga: «Il Trono di Spade» e «Il grande inverno» (ma che all'estero sono un unico volume). 

LA TRAMA 
La saga si svolge nei Sette Regni di Westeros, una terra misteriosa dove «le estati possono durare decenni e gli inverni un'intera vita». Qui, dall'intrigante sud al selvaggio oriente, fino alle lande ghiacciate del nord, impazza una lotta senza esclusione di colpi, in cui re e regine, cavalieri e ribelli, uomini leali e feroci traditori, si affrontano per la conquista del potere in un «gioco di troni» tra le principali dinastie. Il conflitto oppone in particolare le casate Stark, Lannister e Targaryen, che si affrontano senza pietà per il Trono di Spade. 

Il tratto distintivo della serie è che gli eroi destinati a salvare le sorti del mondo qui non esistono. Ci sono uomini e donne che, con le scelte, l’istinto, l’onore, le alleanze, l’odio e l’amore, tessono la sorte dei vari regni. Tutto è epico, denso di luoghi, regni immaginari e infinite diramazioni genealogiche. Naturalmente è presente l’elemento magico senza mai però prevaricare il racconto, l’ambientazione è immaginaria ma l’intreccio, al di là di qualsiasi suggestione visiva, appare sempre assolutamente contemporaneo. La sceneggiatura è stratificata e complessa, eppure convincente e mai intricata. Del resto, la stessa saga di Martin è estremamente vasta e ogni suo romanzo è lungo come i tre volumi de “Il Signore degli Anelli”. 

Anche lo stesso Martin, ha contribuito alla scrittura della mini-serie tv, dicendosi estremamente soddisfatto del risultato ottenuto e del superlativo cast di attori coinvolti. Tra questi, nel ruolo del nobile Eddard Stark, c'è Sean Bean la cui immagine, per gli appassionati di fantasy è legata a doppio filo a quella di Boromir de 'Il Signore degli Anelli'. Lo stesso scrittore americano appare in un cameo. 

IL CAST 
Sean Bean (Il Signore degli Anelli) è Eddard Stark, Mark Addy (The Full Monty) è Re Robert Baratheon, Peter Dinklage (The Station Agent) interpreta Tyrion Lannister, Lena Headey (Terminator: The Sarah Conner Chronicles) è Cersei Lannister, Michelle Fairley (Harry Potter and the Deathly Hallows) è Catelyn Tully; Kit Harington (Greys Inbetween) è Jon Snow, Nikolaj Coster-Waldau (New Amsterdam) è Jaime Lannister, Emilia Clarke (Triassic Attack) è Daenerys Targaryen, Harry Lloyd (Robin Hood) è Viserys Targaryen, Iain Glenn (Kingdom of Heaven) è Jorah Mormont. E ancora Richard Madden (Hope Springs), Alfie Owen-Allen (Atonement), Rory McCann (Alexander), Ron Donachie (Comfort and Joy), Jason Momoa (Conan), Jack Gleeson (Batman Begins).


LE CIFRE DELLA PRODUZIONE
Ecco di seguito i numeri di produzione della fiction prodotta dal Hbo e tratta dalle cronache del Ghiaccio e del fuoco:

•    50-60 milioni di dollari: il costo stimato della prima stagione. 
•    4.5 milioni circa: i libri delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco in stampa nel Nord America. (Una volta pubblicato il quinto volume della serie, A dance with Dragons, la cui uscita è prevista per il 12 luglio, il numero salirà a 5 milioni). 
•    2.5 milioni circa: il guadagno medio di un episodio venduto all’estero. 
•    3.188: il numero di pagine dell’edizione americana dei primi 4 libri delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. 
•    1.800: il numero delle parole che costituiscono la lingua Dothraki. 
•    583: il numero di persone che fanno parte della crew della serie. 
•    294: le settimane che saranno trascorse tra la pubblicazione del quarto e del quinto libro delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. 
•    250: il numero approssimativo di comparse nel giorno più affollato di produzione. 
•    170: i giorni di produzione. 
•    162: il totale dei personaggi che pronunciano almeno una battuta nella prima stagione. (I membri del cast che compaiono nella sigla sono 17). 
•    150: i set di armi creati per la serie. 
•    130: gli elmi creati. 
•    10: il numero di giorni in cui alcuni camion hanno distribuito cibo ispirato alla serie nelle città di New York e Los Angeles. 
•    7: i libri previsti per la saga. 
•    6: il numero di alberi genealogici inclusi nel press kit della serie. 
•    5: il numero di donne che compare a seno scoperto nel pilot. 
•    4: il numero di decapitazioni nel pilot. 
•    3: il numero di volte che viene ripetuto il motto “l’inverno sta arrivando” nel pilot. 
•    2: le scene di sesso nel pilot. 
•    2: i personaggi per cui si è dovuto effettuare un secondo casting (Lady Catelyn Stark e la Principessa Daenerys Targaryen).

 
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Il San Carlo a rischio commissariamento da rainews24

Post n°10931 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Si è dimesso l'ultimo consigliere d'amministrazione, Andrea Patroni Griffi. L'ombra del commissariamento si allunga sempre più sul futuro del teatro di Napoli. Il sindaco De Magistris: "Pericoloso l'atto di dimissioni"
Teatro San CarloNapoli10 gennaio 2014Di sicuro si sa solo che le prove del 'Barbiere di Siviglia', prima opera lirica dell'anno, continuano regolarmente, e che martedì 14 gennaio il sipario del San Carlo si dovrebbe alzare sul capolavoro rossiniano. Ma con le dimissioni dell'ultimo consigliere d'amministrazione, Andrea Patroni Griffi, e l'azzeramento del Cda, l'ombra del commissariamento si allunga sempre più sul futuro del teatro napoletano. Nella notte di ieri il teatro aveva perso già quattro soci fondatori favorevoli all'ingresso nella legge 'Valore cultura', e appare sempre più chiaro l'isolamento del presidente e sindaco Luigi de Magistris.

De Magistris: "Dimissioni pericolose"
"Trovo pericoloso - replica de Magistris - l'atto di dimissioni di istituzioni così importanti perché non si possono defilare. Non ci si dimette, non si scappa. Li invito a rientrare da questa decisione. Il San Carlo deve attuare un piano di rilancio, rinnovamento e ristrutturazione che punti sulle risorse interne". Illustra poi la linea che vorrebbe seguire, dopo la ricapitalizzazione della Fondazione con beni immobili del Comune, come proposto ieri al Cda. "La legge - spiega il sindaco - prevede che nel momento dell'adesione i lavoratori automaticamente perdano il contratto integrativo e il
35 per cento dello stipendio. Mi batterò da presidente della Fondazione affinché ci sia una svolta nel teatro: propongo un azzeramento dei livelli dirigenziali e verticistici".

L'ipotesi di nuovi rappresentanti del Cda
Ci sarebbe l'ipotesi di una riconvocazione del Cda che esprima nuovi rappresentanti delle Istituzioni, ma quella più probabile, statuto alla mano, sarebbe la nomina ministeriale di un commissario ad acta con l'inserimento 'd'ufficio' del San Carlo nel regime della legge 'Valore cultura'. "Addolorata" si dice la sovrintendente Rosanna Purchia, ma fiduciosa perché "le istituzioni trovino le strade più idonee per il futuro di questo glorioso teatro e dei suoi lavoratori". 

- See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/teatro-San-Carlo-rischio-commissariamento-777fe893-a603-49ac-982c-332eadaf926d.html?refresh_ce#sthash.38gJS83y.dpuf

 
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Un boss in salotto in testa a box office da Ansa

Post n°10930 pubblicato il 14 Gennaio 2014 da Ladridicinema
 

Virzì 2/o, Peppa Pig 3/a. Dopo abbuffata feste, botteghino -30%13 gennaio, 10:31
Un boss in salotto in testa a box office(ANSA) - ROMA, 13 GEN - Un boss in salotto, la commedia con Paola Cortellesi, Rocco Papaleo e Luca Argentero, si conferma in testa alla classifica Cinetel dei film più visti nel week end con oltre 2,1 milioni di incasso (9,2 in totale). Debutta al 2/o posto Il capitale umano di Virzì con 1,6 mln e poi Peppa Pig: Vacanze al sole e altre storie che in 2 soli giorni ha totalizzato 1,3 milioni. Quarto The Butler (1 mln), seguito da Sapore di te (991 mila). Dopo l'abbuffata natalizia botteghino in calo del 30% con 13 mln.

 
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