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Messaggi del 14/02/2014

 

Un maledetto imbroglio (1960)

Post n°11123 pubblicato il 14 Febbraio 2014 da Ladridicinema
 
Tag: STORIA

da filmtv.it

 


locandina di Un maledetto imbroglio

Il commissario Ingravallo indaga su un furto, ma presto si trova alle prese con un assassinio. I due crimini sono collegati e, dotato di umanità quanto di acume, risolve il caso a modo suo. Non facile e perciò ancora più apprezzabile, robusta trasposizione di uno dei maggiori romanzi del '900 italiano,Quer pasticciaccio brutto de Via Merulana, di Gadda. Al non-finale del libro Germi sostituisce una soluzione verosimile, trasformando il delirio metafisico in un semplice giallo. Ottimi i luoghi e le figure di contorno. Nel cast, la non ancora ventenne Claudia Cardinale. La canzone finale di Rustichelli, "Sinnò me moro", cantata da Alida Chelli (figlia del musicista) è un must. 

Incluso nelle taglist:
     
Il commissario della squadra mobile di Roma Ciccio Ingravallo (Pietro Germi) indaga su un furto di oggetti d'arte avvenuto in casa del commendator Anzeloni (Ildebrando Santafe). Qualche giorno dopo, nello stesso palazzo ma in un diverso appartamento, viene rinvenuto il cadavere della signora Liliana Banducci (Eleonora Rossi Drago). I due fatti criminosi sono legati o forse no, certo è che al dottor Ingravallo la coincidenza appare alquanto strana. Vengono interrogati Assuntina (Claudia Cardinale), la "servetta" dei Banducci, il fidanzato Diomede (Nino Castelnuovo), un elettricista che si scopre aver fatto dei lavori in casa della vittima, il cugino di Liliana, il "dottor" Valderana (Franco Fabrizi), e il marito Remo Banducci (Claudio Gora), i quali hanno avuto entrambi una relazione con Virginia (Cristina Gaioni), l'ex cameriera di casa. Accompagnano Ingravallo nell'indagine il maresciallo Saro (Saro Urzì) e il brigadiere Oreste (Silla Bettini). "Un maledetto imbroglio" di Pietro Germi è una rivisitazione in chiave cinematografica di "Quer pasticciaccio brutto di via merulana" di Carlo Emilio Gadda, ormai considerato uno dei grandi romanzi del novecento europeo. Il film ne accentua la connotazione poliziesca (prevedendo peraltro un finale risolutivo quando nel libro questo è tenuto volutamente in sospeso per sottolineare ulteriomente il carattere transitorio di ogni indagine particolare) ma ne depura, per esigenze evidentemente cinematografiche, sia la matrice filosofica che sostanzia lo spirito del romanzo, che la complessità linguistica derivante dall'uso di diverse inflessioni dialettali e dalle licenze idiomatiche in puro stile gaddiano. Ne esce fuori un opera di una solidità invidiabile, tale che rimane a tutt'oggi uno dei migliori risultati di genere prodotti dal cinema italiano, oltre a rappresentare una sorta di apripista ideale per la stagione prossima a venire della "commedia all'italiana" per l'attegiamento oscillante tra il serio e il faceto con cui si indaga nel suo insieme composito la società italiana. A mio avviso, l'intuizione più felice avuta da Pietro Germi, quella che più di ogni altra fa aderire il film allo spirito del romanzo, è l'aver mantenuto la fondamentale connotazione antropologica dell'opera scritta, che se nel romanzo si esprime innanzitutto attraverso l'intreccio continuo di diversi idiomi (soprattutto dell'Italia centromeridionale a cominciare col molisano Ciccio Ingravallo) e nel passaggio repentino da un dialetto impuro a un italiano aulico e forbito, qui si evidenzia nella varia umanità che di volta in volta passa in rassegna davanti allo sguardo indagatore del commissario. Ognuno di loro fornisce delle notizie e fa mostra della propria personalità, cose che possono aiutare o intralciare le indagini, portarle per percorsi lontani o accorciare la strada affidandosi alle umane sensazioni di partenza. Tutto dipente dal dove si vuole puntare maggiormente l'attenzione e sul come si intende proseguire la ricerca

 
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Orso americano? da cinematografo.it

Post n°11122 pubblicato il 14 Febbraio 2014 da Ladridicinema
 


Venerdì 14 Febbraio 2014
Berlino 64 al rush finale: in fuga per la vittoria Boyhood di Richard Linklater. Attenzione anche al tedescoKreuzweg e al cinese Black Coal, Thin Ice
La Berlinale è un festival con cui è difficile fare i conti. Soprattutto per le vittorie annunciate o le prognosi accreditate. L’Orso D’Oro ha le sue peculiarità, nella forza e nelle debolezze. In concorso a Berlino non c’è mai il jolly, il film che spazza ogni dubbio. Certo, è la prima volta che contemporaneamente quattro pellicole rappresentano la Germania. E un fim tedesco ha sicuramente ottime chance di vincere: Kreuzweg, la Via Crucis della giovane Maria (la bravissima Lea van Acken) raccontata dal bavarese Dietrich Brüggeman. Kreuzweg è un ottimo film tedesco. Duro, va a fondo, ma senza scivolare nella didascalia. Un film senza indugi negli ornamenti e compatto. Un film di protestante serietà.
Dall’altra parte c’è il suo opposto, la sensazione di Richard Linklater Boyhood. Ecco cinque ragioni perchéBoyhood domani ha le migliori chance di vincere l’Orso. 1. È un ritratto familiare che tocca il cuore, ma con precisione. Sentimentale? Un po’. Ma, e questo è il suo merito, la storia della famiglia che si dissolve per poi ritrovarsi con una forma nuova Linklater la racconta in forma di uno studio intelligente. Questo sì, un approccio che piace a Berlino. 2. Richard Linklater è un regista importante che qui però si è superato. Boyhood lo ha cominciato a girare nel 2002. 39 giorni di riprese in 12 anni. 39 giorni per affrontare compiutamente i temi dell’infanzia/adolescenza/matrimonio/separazione/paura del futuro. 3. Gli attori fanno sognare. Ellar Coltrane - il protagonista bambino – inizia a recitare a sette anni ed è cresciuto davanti alla camera. Una responsabilità non da poco. La sorella è la figlia di Linklater, Lorelei: talento familiare confermato. Ma qui è cresciuto anche il padre Ethan Hawke, il ruolo migliore della sua carriera. Lo stesso vale per Patricia Arquette. 4. È l’unico film tra i 17 del concorso ad aver unito la critica in modo univoco. In sala è stata un’ovazione. Due critici nordamericani influenti hanno twittato: "un regalo“ e "non tornerò più a Berlino se Boyhood non vince l’Orso D’Oro". 5. Anche se la premiere del film è stata qui a Berlino, Boyhood al Sundance Festival era già stato mostrato il 19 gennaio. La critica americana lo ha portato in trionfo: "Epos della normalità“.
Ma, come spesso accade, la Berlinale potrebbe riservare sorprese. Che quest’anno potrebbe chiamarsi Black Coal, Thin Ice, il bellissimo noir cinese in concorso. Nel film rivive lo spirito di Raymond Chandler e James M. Cain. Un thriller che, come tutti i migliori noir, non ha eroi né cattivi, ma solo vari gradi di compromesso. Un ibrido perfetto e originale tra genere e art film. Il regista Diao Yinan merita un riconoscimento.

 
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Una nuova Apple TV in arrivo in primavera? da youtech.it

Post n°11121 pubblicato il 14 Febbraio 2014 da Ladridicinema
 

Ancora speculazioni sul futuro di Apple, questa volta relative al suo media player

Ultimamente (ultimamente?) non si parla d'altro che diApple. Dopo le notizie – tutte da confermare – relative al possibile design del nuovo iPhone 6, nonché quelle, molto positive per l'azienda, relative ai dati di vendita del 2013, arrivano dall'America mormorii relativi a una potenziale nuova versione di Apple TV, che dovrebbe venire annunciata ad aprile 2014.

Si tratterebbe della quarta generazione di Apple TV, ilmedia center pensato per riprodurre in televisione o attraverso lo stereo, grazie al sistema AirPlay, i contenuti multimediali dei computer, laptop, smartphone e tablet targati Apple. Questa volta, però, come riportaEngadget, potrebbe esserci una novità: pare che la casa di Cupertino stia stringendo accordi con Time Warner, la televisione via cavo di Warner Bros., allo scopo di integrare nuovi contenuti video nell'oggettino. Ovviamente, visto anche il successo molto relativo delle prime tre generazioni, Apple punta anche a una reinvenzione totale del prodotto, dal design all'interfaccia. Attendiamo pazientemente aprile per vedere se Apple mostrerà le sue carte o se siamo di fronte a una bufala.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 
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Innerhofer, medaglia bis in supercombinata Bronzo all’azzurro che ora punta al SuperG

Post n°11120 pubblicato il 14 Febbraio 2014 da Ladridicinema

da il corriere della seraSoltanto ottavo nella «sua» prova in discesa, rimonta in uno slalom reso imprevedibile dalle condizioni della pistA

 

Una capriola per festeggiare il bronzo: Innerhofer sale sul podio della supercombinata (UsaToday)Una capriola per festeggiare il bronzo: Innerhofer sale sul podio della supercombinata (UsaToday)

 

SOCHI - E due: dopo l’argento nella discesa, il bronzo nella combinata. Chi l’ha detto che salire sul podio olimpico rilassa e fa perdere concentrazione? Non è il caso di Christof Innerhofer, che dà un altro scossone al bilancio azzurro di Sochi (siamo alla quarta medaglia), anche se l’oro per ora non c’è. Ma c’è, in compenso, la solidità di un atleta che va oltre le aspettative, dopo una manche iniziale, al mattino in discesa, che non è stata certo memorabile. Ebbene, sul podio Inner c’è salito grazie allo slalom del pomeriggio, domando una pista-trappola che ha falcidiato atleti e che ha mandato al fosso teste coronate e potenziali nuovi protagonisti, dallo statunitense Bode Miller, primo nel 2010, al connazionale Ted Ligety campione del mondo in carica, al francese Pinturault, al polivalente per definizione, quello Svindal che però, ultimamente, nello slalom non è più sciolto.

     

    ORO SVIZZERO - Alla fine di una vera e propria roulette, nella quale una figura minore quale lo slovacco Zampa ha covato a lungo il personale sogno di gloria, è emerso Sandro Viletta, altro volto di una Svizzera che si sta abbuffando di onori. Con un passato da discreto slalomista, Viletta ha messo però le basi dell’impresa grazie a una insospettabile prestazione nella discesa, un dettaglio che lo accomuna a Ivica Kostelic - allenato nelle prove veloci dall’ex azzurro Kristian Ghedina -, risultato meno efficace tra i paletti stretti nonostante fossero la sua specialità e nonostante gli offrissero pure il vantaggio, nella circostanza, della tracciatura effettuata dal padre Ante. Per il croato è un argento un po’ crudele: è il quarto ai Giochi e, visti età e acciacchi, a meno di altri exploit qui in Russia, all’Olimpiade non riuscirà a raggiungere il vertice come invece ha fatto la sorella Janica, pluriolimpionica ormai ritirata. Abbiamo temuto che Innerhofer risultasse a sua volta beffato, rimediando magari la quinta “medaglia di legno” della spedizione azzurra.

    Il podio: da sinistra Kostelic, Viletta e Innerhofer (Ap)Il podio: da sinistra Kostelic, Viletta e Innerhofer (Ap)SLALOM ROULETTE - La possibilità esisteva, perché dopo che Christof non era riuscito a scalzare Viletta dal primo posto, Kostelic aveva retrocesso l’azzurro al terzo posto. E tra i sei che dovevano ancora scendere, c’era di sicuro chi avrebbe potuto sopravanzarlo. E’ andata bene, soprattutto perché il trio norvegese formato dal 22enne Kilde, dal campionissimo Svindal e dal solido Jansrud si è rovinato con le proprie mani: il primo è caduto, il secondo ha sciato impacciato e il terzo - diventato ormai un velocista: suo il miglior tempo al mattino - non è riuscito a trovare il guizzo necessario per scollinare tra i paletti ed evitare il quarto posto. Sinceramente fa un po’ specie vedere Viletta, sciatore che in questi anni si era perso nell’anonimato, succedere a Bode Miller. Ma lo sci è spesso imprevedibile e comunque va bene così, pur di salutare Inner ancora sul podio.

    La gioia di Innerhofer all’arrivo (Afp)La gioia di Innerhofer all’arrivo (Afp)SUPER G - Christof, che ha incredibilmente ottenuto il terzo tempo assoluto nello slalom, alla pari con Kostelic, magari tra un po’ rimpiangerà la prova veloce conclusa sotto tono (solo ottavo). Ma intanto si sta avviando a ripetere il trittico oro-argento-bronzo del Mondiale 2011: l’argento e il bronzo se li è presi, all’oro dà appuntamento nel superG. Come tre anni fa a Garmisch.

    14 febbraio 2014

     
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    Dieci anni fa moriva Marco Pantani, il Pirata è sempre in rosa

    Post n°11119 pubblicato il 14 Febbraio 2014 da Ladridicinema

    Il Pirata è sempre in rosa - SPECIALE13 febbraio, 19:02
    Dieci anni fa moriva Marco Pantani, il Pirata è sempre in rosa

    di Adolfo Fantaccini

     I tifosi hanno nostalgia del campione, del ciclista, a lei manca il figlio. Il 14 febbraio saranno passati 10 anni da quando il suo "piccolo" Marco chiuse per sempre le ali e lei, Tonina Pantani, aspetta ancora risposte concrete, certe. "Marco non tornerà mai, ma io aspetto ancora la verità, su Rimini (dove il 'Pirata' venne trovato morto, ndr) come su Madonna di Campiglio", dice all'ANSA. Mamma Tonina ha chiesto più volte che l'inchiesta sulla morte del vincitore di Giro e Tour 1998 venga riaperta, perché restano ancora tanti punti da chiarire. "Ho letto i faldoni - osserva - Marco non era da solo, quella sera del 14 febbraio 2004, nel residence di Rimini dove è stato trovato morto con lui potevano esserci più persone. Chiamò i carabinieri, parlando di persone che gli davano fastidio e, dopo un'ora, fu trovato morto". C'è anche la strana storia dei giubbotti "lasciati a Milano e ritrovati nel residence 'Le Rose', dove si era recato senza bagaglio". Chi li ha portati a Rimini? Questo, assieme a molti altri indizi, resta un mistero. "Il mio dubbio più grande è che Marco possa essere stato ucciso", ammette Tonina Pantani, attualmente assistita dall'avvocato Antonio De Rensis. Dopo 10 anni, le domande restano le stesse e vanno di pari passo con i sentimenti, i ricordi, il dolore, con il quale Tonina ha imparato a convivere. E' affranta, delusa, amareggiata e prova un po' di sollievo solo quando parla del suo Marco, delle sue imprese, dei trionfi, delle scalate. Andava più forte in salita, "perché così abbrevio la mia sofferenza", amava ripetere. "Era il numero 1, è stato un atleta irripetibile, un ragazzo buono, coraggioso - ricorda Tonina -: avrebbe dovuto mandare a quel paese tutti quanti, soprattutto chi gli diceva di non vincere. Il doping? E' sempre esistito, però Marco non lo ha mai preso. E poi, sai che soddisfazione: vincere sapendo di avere barato. Non era da Marco. Lui, per il ciclismo e per lo sport in generale, ha rappresentato tantissimo. Tutt'ora tanti bambini vanno a salutarlo al cimitero, lasciano disegnini per lui, lo ritraggono mentre pedala fra due ali di folla, in mezzo alle cime innevate. Questo è già di per sè bellissimo".

    C'è una data nella vita di Marco che non può essere cancellata: il 5 giugno 1999, mentre si apprestava a vincere il suo secondo Giro d'Italia consecutivo, venne fermato a Madonna di Campiglio, perché il livello del suo ematocrito aveva toccato 51.9, oltre il massimo consentito di 50. Secondo mamma Pantani, in quel rilevamento dell'Unione ciclistica internazionale, ci sarebbe stato un vizio di forma. Tonina ha parlato di un "controllo fuori controllo". Se Rimini è stata l'ultima tappa di una vita breve ma intensissima, Campiglio è stata la prima di un calvario costellato da troppi lati oscuri. "Su quel giorno mi sono rimasti dentro tanti dubbi - è il pensiero di Tonina Pantani -: giorni prima, in maglia rosa, a Marco era stato rilevato un tasso di ematocrito pari a 46.0. Come ha fatto in pochi giorni a salire? E' tutto molto poco chiaro. Strano. Il mio Marco è sempre stato dolce, sereno, allegro, andava pazzo per i bambini. Ha sempre rispettato le regole. Mi diceva: 'Fai la brava che io devo badare a te quando sarai vecchia'. Invece... Se n'è andato". Le recenti dichiarazioni di Danilo Di Luca ("per arrivare fra i primi 10, al Giro devi per forza assumere l'Epo...") hanno lasciato il segno nell'anima della mite Tonina e fatto breccia nel suo cuore di mamma ferita. "Sono molto arrabbiata con lui, non mi piace la gente che spara nel mucchio - afferma -. Faccia i nomi davanti ai magistrati, se sa qualcosa. Per questo voglio incontrarlo, parlargli". Mamma Pantani non si dà pace, perché "prima di morire" vuole dimostrare la verità, tuttavia ribadisce che il suo "Marco si è battuto contro il doping". "Cosa gli direi se potessi incontrarlo? Io gli parlo ogni giorno, avverto sempre la sua presenza al mio fianco", conclude. Ma solo a parole, perché il 'Pirata' è volato via. Il capitolo della morte di uno dei campioni più controversi e amati della storia resta come un romanzo senza epilogo, i cui capitoli più interessanti devono ancora essere scritti. O forse no.

    di Sandro Verginelli

    Domò l'Alpe d'Huez, il Galibier, il Mortirolo e tutte le montagne degli Dei con le sue gambe d'acciaio, l'agilità del felino e un cuore grande così. In salita sognava e fece sognare. A dieci anni dalla scomparsa, di Marco Pantani non resta solo il ricordo di campione genuino, carismatico, coraggioso, appassionato. Resta il Mito, la storia di un eroe tragico, di un campione irripetibile per tutte le emozioni che è riuscito a trasmettere nel Paese di Coppi e Bartali, di un uomo passato dalla gloria al fango, che ha scalato ogni vetta e conosciuto anche il baratro. Il 'Pirata' se n'è andato il giorno di San Valentino di 10 anni fa, paradosso della Storia per chi ha fatto innamorare di sé tutta l'Italia, che lo vedrà e immaginerà per sempre con la maglia rosa addosso. Marco Pantani "e' morto perchè era incredibilmente forte e incredibilmente fragile", scrisse Gianni Mura ed è la sintesi migliore per ricordarlo.

    Di miti è ricca la storia sportiva e non solo. Ciascuno a modo suo. Coppi è un mito, Bartali è un mito e anche Marco Pantani è uno di loro, eroe indiscusso di un ciclismo che non esiste più, dell'entusiasmo popolare. Uno che correva da solo contro tutti, capace di far battere forte il cuore, di far piangere e sorridere insieme. Per questo i suoi tifosi lo hanno sempre amato, nonostante tutto, nonostante le accuse di doping, la cocaina, i dubbi e le polemiche. Nonostante quel modo di andarsene. Il 14 febbraio 2004 lo trovarono morto in una fredda stanza di un residence di Rimini. Aveva solo 34 anni e un carico grande così di disperazione: Marco Pantani, uno dei più grandi ciclisti italiani di sempre, tra i migliori scalatori della storia. Iniziò a correre con la vecchia bici di mamma Tonina, i giovani del Gruppo ciclistico di Cesenatico non avevano mai visto quel ragazzino mingherlino che però al primo allenamento staccò tutti in salita. Quando firmò il primo contratto da professionista Davide Boifava gli disse: 'Ricordati che ti ho fatto un bell'accordo', e lui di tutta risposta: 'Guarda che l'affare l'hai fatto tu, perché un giorno vincerò Giro e Tour'.

    IL PIRATA IN 20 SCATTI - FOTO

    Marco mantenne la parola. L'inizio per la verità fu difficile perchè una lunga serie di infortuni si mise di traverso. Nel '95 fu travolto da un'auto e saltò la corsa rosa. Puntò tutto sul Tour de France e sull'Alpe d'Huez inanellò la prima perla della sua leggendaria carriera. Nell'ottobre di quell'anno, dopo essere arrivato terzo al Mondiale, un altro incidente lo costrinse a una lunga degenza. Ma la sfortuna non lo molla e al Giro del'97 un gatto gli taglia la strada e lo fa cadere, costringendolo ad abbandonare la corsa. Ancora una volta è il Tour il salvagente, con un'altra magnifica vittoria sull' Alpe d'Huez e il podio finale dietro a Ulrich e Virenque. L'anno d'oro è il 1998, quando il 'Pirata' irrompe definitivamente nell'Olimpo dei più grandi di sempre, conquistando sia il Giro che Tour, con le memorabili tappe di Montacampione, del Galibier e di Les Deux Alpes. Il 1999, dopo altre grandi imprese in salita (Gran Sasso, Oropa, Pampeago), segna l'inizio della discesa: il 5 giugno, dopo la tappa di Campiglio, i controlli fanno emergere un ematocrito oltre i margini di tolleranza. Non è doping ma tanto basta per sospenderlo dalla corsa. Marco è stordito, spaventato: "Mi sono rialzato, dopo tanti infortuni, e sono tornato a correre. Questa volta, però, rialzarsi sarà per me molto difficile".

    L'ACCOPPIATA GIRO-TOUR - FOTO

    E' l'inizio dell'oblio e della depressione e quando Pantani torna in gara nel 1999, del campione è rimasta un'ombra sbiadita. Nel 2003 sceglie di ritirarsi per curarsi dalla depressione e dalla dipendenza dalla cocaina. Il resto sono cronaca e una data: 14 febbraio 2004, quando Marco viene trovato morto stroncato da un'overdose di cocaina, l'ultima salita che forse immaginava potesse essere la sua più grande vittoria. Aveva attaccato Tonkov, demolito Berzin, Jalabert, distrutto Ullrich, ma non era riuscito a sopravvivere a sé stesso. Marco non aveva mai avuto paura di nessuno, è vero, ma solo in bicicletta. La vita è stata per lui un'altra cosa. Dieci anni dopo, di quell'uomo speciale che ha elettrizzato e infiammato milioni di appassionati il ricordo non è sbiadito e il mito lo ha preso in custodia. Il suo posto nella storia del ciclismo è lì, ci è entrato per merito, col passo svelto dell'uomo di mare che ama le montagne, se l'è ritagliato, guadagnato con imprese epiche, emozionanti. Altri campioni hanno vinto molto e tanto più di lui ma di Marco si può ripetere quello che si disse per Coppi e del suo eterno rivale: è vero, Bartali ha vinto di più, ma Coppi e' stato un'altra cosa.

     
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    Verdone: l'Italia è uno Stato feudale, non una repubblica da globalist

    Post n°11118 pubblicato il 14 Febbraio 2014 da Ladridicinema
     

    «Questo non è un Paese per giovani». L'attore invoca l'azzeramento della classe politica e rivendica la centralità Beni Culturali, «sempre sfanculati».

    mercoledì 12 febbraio 2014 12:35
    Il manifesto dell'ultimo film di Verdone,

    Il manifesto dell'ultimo film di Verdone, "Sotto una buona stella", che ha come coprotagonista Paola Cortellesi.

    di Franco Fracassi

    «Ho la speranza che i giovani tornino dall'estero più preparati, e che facciano saltare questo Stato feudale in cui viviamo. Perché l'Italia non è una repubblica». Carlo Verdone non usa mezze misure. Il suo è un giudizio sferzante su quella che è l'Italia di oggi. «Sono un osservatore della realtà, e racconto il tempo che stiamo vivendo. C'è una richiesta di affetto e protezione da parte dei giovani. È un momento di grande solitudine».

    «Questo non è un Paese per giovani. Non c'è ricambio. I giovani se ne vanno dal nostro Paese. Vedere questa fuga mi addolora. Questo è il risultato della crisi dell'Europa. Si deve fare qualcosa. Qui in Italia è rimasto il venti per cento che non ha opportunità», spiega l'attore, che non è mai stato così sferzante nella sua analisi della società: «Va azzerato l'apparato politico, non la nostra generosità. Siamo diventati un popolo centrato sull'edonismo. Non c'è più tempo da perdere».

    Infine, quando Aurelio De Laurentis sostiene (nel corso della conferenza stampa) che «il ministero più importante dell'Italia è quello dei Beni Culturali, ed è proprio il ministero che è stato sempre sfanculato», Verdone annuisce.

     
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    De Sica, a 5 anni entrai a Cinecittà da ANsa

    Post n°11117 pubblicato il 14 Febbraio 2014 da Ladridicinema
     
    Tag: news, teatro

    Ricordi, storie,personaggi,canzoni in varietà in giro per Italia10 febbraio, 19:17
    De Sica, a 5 anni entrai a Cinecittà(ANSA) - ROMA, 10 FEB - "La prima volta che andai a Cinecittà avevo 5 anni e non lo dimenticherò mai", dice Christian De Sica che oggi alla nostra città del cinema dedica il gran varietà Cinecittà, che sta girando con successo l'Italia e dopo Milano sarà a Napoli (13-16 febbraio), Catanzaro, Bari, Ancona, Bologna, Torino, Roma. Con Daniela Terreri, Daniele Antolini e Alessio Schiavo, Giampiero Solari regista, 8 ballerini guidati da Franco Miseria, la Universal orchestra, lo show mescola ricordi, personaggi, canzoni.

     
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