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Messaggi del 05/03/2014

 

Frasi d'autore

Post n°11262 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 
Tag: frasi

“È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura… Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile.”

 
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Pulce non c'è

Post n°11261 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Poster

Pulce ha nove anni, due occhioni accesi e ascolta solo il tango; comunica continuamente, anche se non parla. Mamma Anita da anni cerca di rendere la sua vita migliore. Papà Gualtiero è un medico dall'apparenza burbera, ma si inventa ricette a base di patate da raccontare come favole alla figlia per calmare il suo panico notturno. Un giorno come tanti, Pulce viene allontanata dalla famiglia senza troppe spiegazioni. Attraverso lo sguardo divagante e trasognato della sorella Giovanna entriamo nella quotidianità di una famiglia anormale, con il suo lessico pensato per chi può solo parlare per immagini, il suo caos pieno di emergenza e amore. E senza retorica e senza patetismi esploriamo lo scontro tra mondo adulto e infanzia, tra malattia e normalità, tra rigidità delle istituzioni e legami affettivi.

 
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La mossa del pinguino

Post n°11260 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Poster

E' il sogno olimpico di quattro uomini disagiati che scoprono per caso il gioco del curling e si convincono di poter partecipare alle Olimpiadi Invernali di Torino 2006 dove l'Italia, paese ospitante, avrà di diritto una squadra qualificata. S'ingegnano in allenamenti improbabili, trovano scappatoie alle regole, provocano gli avversari e finiscono per diventare campioni italiani, acquisendo così il diritto di partecipazione alle Olimpiadi. Per riuscirci dovranno però diventare uomini migliori. La loro è una storia di riscatto individuale e familiare, prima ancora che sociale.

  • PRODUZIONE: DAP Italy - De Angelis Group, con il contributo del MiBAC
  • DISTRIBUZIONE: Videa
  • PAESE: Italia
  • DURATA: 94 Min

 
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Il superstite

Post n°11259 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

For Those in Peril

Poster

Aaron, un giovane disadattato di una remota comunità scozzese, è l'unico sopravvissuto di uno strano incidente di pesca che è costato la vita a cinque uomini, tra cui suo fratello maggiore. Incitato dalla superstizione locale, il villaggio incolpa Aaron per questa tragedia, facendo di lui un emarginato tra la sua stessa gente. Rifiutando fermamente di credere che suo fratello è morto, e accecato da dolore, follia e magia, Aaron esce in mare per ritrovarlo.

 
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Felice chi è diverso

Post n°11258 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Poster

'Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune'! Questa poesia di Sandro Penna ci fa da guida in un'Italia segreta, mai svelata da una cinepresa che vuole indagare sulla realtà e non sulla finzione. E' l'Italia del mondo omosessuale così com'è stato vissuto nel Novecento, dai primi del secolo agli anni '80, quando si sono diffusi sulla scia di certi movimenti americani, i primi tentativi di "liberazione". Nel documentario ascoltiamo le testimonianze di chi ha vissuto sulla propria pelle il peso di essere un "diverso", quasi sempre ostacolato dalla sua stessa famiglia, deriso a scuola, escluso dalla società dei "normali".

  • DATA USCITA: 06 marzo 2014
  • GENERE: Documentario
  • ANNO: 2014
  • REGIAGianni Amelio
  • FOTOGRAFIALuan Amelio
  • MONTAGGIOCecilia Pagliarani
  • PRODUZIONE: Istituto Luce Cinecittà
  • DISTRIBUZIONE: Istituto Luce Cinecittà
  • PAESE: Italia
  • DURATA: 93 Min

 
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Allacciate le cinture

Post n°11257 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Poster

Gli amori e il tempo. Ma non sono amori qualunque. Quello di Elena (Kasia Smutniak) per Antonio (Francesco Arca) è una passione improvvisa, travolgente e corrisposta. Ma è una passione proibita: Elena sta con Giorgio (Francesco Scianna) mentre Antonio è il nuovo ragazzo della sua migliore amica Silvia (Carolina Crescentini), e in più tra i due sembra non esserci alcuna affinità, né tantomeno stima. Ma l’attrazione tra Elena e Antonio esplode ugualmente, irrazionale, bruciante e contro ogni regola anche a scapito di scompigliare le vite di tutti, amici e parenti. Sono trascorsi 13 anni, Elena è sposata con Antonio, ha due figli e nel frattempo insieme al suo migliore amico Fabio (Filippo Scicchitano) ha realizzato il suo sogno di aprire un locale di successo. Le vite di tutti sembrano realizzate e le antiche turbolenze scomparse. Il nuovo equilibrio subisce però una scossa...

 
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300 - L'alba di un Impero

Post n°11256 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

300: Rise of an Empire

Poster

Tratto dall'ultimo romanzo a fumetti di Frank Miller, Xerxes e raccontato nello stesso stile visivo di 300, questo nuovo capitolo della saga epica sposta l'azione su un nuovo campo di battaglia - il mare- dove il generale greco Temistocle tenta di unire tutto il suo popolo, alla testa di una carica che cambierà il corso della guerra. 300: L'Alba di un Impero vede il ritorno di Temistocle contro la massiccia invasione da parte delle forze Persiane, guidate dall'uomo trasformato in Dio, Serse e da Artemesia, vendicativa comandante della Marina persiana.

  • FOTOGRAFIASimon Duggan
  • MONTAGGIODavid BrennerWyatt Smith
  • MUSICHEJunkie XL
  • PRODUZIONE: Atmosphere Entertainment MM, Cruel & Unusual Films, Hollywood Gang Productions, Legendary Pictures, Warner Bros. Pictures
  • DISTRIBUZIONE: Warner Bros. Pictures Italia
  • PAESE: USA
  • DURATA: 102 Min
  • FORMATO: 2D e 3D

 
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Registe

Post n°11255 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Poster

Il film/documentario dipinge il panorama della regia italiana firmata al femminile, per far sapere che, con forza e determinazione, molte più donne di quanto si possa pensare hanno scelto uno dei tanti mestieri erroneamente considerati maschili.

 
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Film nelle sale da domani

Post n°11254 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

 

 
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La Bella e la Bestia in vetta

Post n°11253 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Box Office Italia
Nella giornata degli Oscar, il box office italiano vede in vetta, decisamente a sorpresa, La Bella e la Bestia, che incassa quasi 2 milioni di euro con un'ottima media per sala. L'altra new entry a salire sul podio è Una donna per amica, che raccoglie circa un milione e mezzo di euro. Verdone perde il trono ma resta anche questa settimana sopra al milione di euro, con un totale di 9 milioni. Il vincitore del premio Oscar come miglior film, 12 anni schiavo, raccoglie quasi 1 milione di euro e porta il suo totale a 2.3. Scendono di poco, ma ottengono ancora incassi interessanti, The Lego Movie (che però sta andando peggio rispetto al boom americano) e Pompei (che invece negli States è un disastro). Da segnalare in coda l'ottima performance di Snowpiercer, che raccoglie quasi mezzo milione di euro con appena 188 schermi a disposizione. La prossima settimana arrivano il sequel di 300, il nuovoOzpetek Allacciate le cintureTarzan 3D e La mossa del pinguino

Box Office Usa
In America termina il dominio dei Lego (si fa per dire, visto che aggiungono altri 21 milioni ad un totale di ben 209 milioni di dollari negli States e 300 in tutto il mondo), visto che in testa vanno le due new entry settimanali. La spunta l'action Non-stop, che supera il "cristiano" Son of God, per 30 milioni a 26. A stupire è invece la voragine che separa i primi tre film in classifica dagli altri: a Monuments Men bastano per dire appena 5 milioni per portarsi al quarto posto in classifica. Da segnalare la scarsa performance di Si alza il vento che incassa appena 1.6 milioni di dollari (e ci può stare) ma con una media per sala nemmeno particolarmente brillante. Sul fronte animato, come avevamo previsto la settimana scorsa, questo weekend segna l'ingresso di Frozen nel club dei titoli miliardari: davvero un successo clamoroso ed insperato per questo nuovo classico della Disney. La prossima settimana il motore del box office inizia a girare a pieno regime: arrivano infatti 300 - L'alba di un impero e Mr.Peabody & Sherman, per un marzo che si preannuncia scoppiettante con i vari Need for Speed, il nuovo film coi Muppets eNoah in arrivo questo mese. 

 
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“La grande bellezza”: il vero capolavoro di Paolo Sorrentino da http://onestoespietato.wordpress.com/

Post n°11252 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

la grande bellezza

“È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura… Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile.”
Pochi versi per una sorta di poesia crepuscolare che impasta e addensa, con marcate allitterazioni, concetti sferzanti e vaghi, che alludono al vuoto e al pieno della vita, di qualsiasi vita. Le parole che chiudono La grande bellezzainquadrano perfettamente l’aura che avvolge il capolavoro di Paolo Sorrentino, perché stavolta, sì stavolta, dopo il deludente e slavato This must be the place, possiamo davvero parlare di capolavoro. La grande bellezza: nomen omen. Perché il sesto lungometraggio del regista napoletano è un’opera che custodisce in sé la (quint)essenza del Cinema, tutto quel “bello del cinema” che prende forma nella capacità, tramite immagini di sublime ricercatezza estetica, di raccontare il nulla e farlo sembrare il tutto. Un nulla che assume un duplice significato: da un lato il parlare, come il monologo finale inequivocabilmente afferma, di grandi temi universali quali la morte e la vita, la riscoperta delle radici e la nostalgia del tempo che fu, l’amore e la vanagloria, insomma l’alfa e l’omega; dall’altro la fuffa che satura ogni momento dell’esistenza del mondano, di chi vive di vibrazioni e sensazioni a (fior di) pelle, e confina nella festa e nella movida tutto se stesso, fino all’ultimo respiro, fino a perdersi e non andare da nessuna parte proprio come i magnifici trenini di casa Gambardella.

la-grande-bellezza-toni-servillo

Parole, parole, parole. Con fare bukowskiano, Sorrentino riesce laddove il più volte citato Flaubert non è mai riuscito: scrivere un romanzo con protagonista il nulla. Sorrentino ce la fa nel suo film più maturo e strabiliante, dove è superbo imbonitore, sommo ciarliero, blablatore capace di farci letteralmente pendere dalle labbra di Jep Gambardella e amici.
Va in scena un affresco pregevole, in toni e umori, di un’umanità in declino, sull’orlo di una crisi di nervi e disperazione, alla continua (non) ricerca di sé, che dedica al sonno due ore a notte. Ma se il vortice della “vita” ti travolge ante tempore (Jep entra nella più orrida mondanità romana a soli 26 anni), rischi di perdere di vista la grande bellezza della (beata) gioventù, che su uno scoglio, nella purezza di una Venere terrena e (im)pudica, in silenzio, fa commuovere.

Sorrentino è contemporaneamente pittore impressionista e rinascimentale, manierista e post-moderno. Tocca la tela con pennellate inavvertibili e incisive, consegnandoci un quadro che via via si fa sempre più nitido e bello, proprio come quel telone (cinematografico?) preso a secchiate da una enfant prodige in totale e scioccante trance artistica. La macchina da presa danza senza requie, si avvicina e si allontana, piega la testa e struscia sulle pareti, procede simmetrica e ortogonale fino a sorprenderci con travelling mozzafiato.

Toni-Servillo

Il risultato è dei più belli e rari anche grazie a un Toni Servillo, attore feticcio per Sorrentino dai tempi de L’uomo in più, che, valicando un’asticella già molto alta dopo Il Divo e Viva la libertà, ci regala senza dubbio la prova più alta e intensa della sua carriera. Lo circonda uno zoo antropomorfo capeggiato da una straordinaria Sabrina Ferilli, che impersona con popolanità verace ed elegante uno dei personaggi più tragici, perché, come Jep, destinata alla sensibilità. In merito a Carlo Verdone, è apprezzabile l’impegno, ma la parte drammatica non gli calza proprio addosso, nonostante quei baffettini da intellettual-decadente che cercano di camuffare le usurate smorfie esilaranti a cui ci ha abituato negli anni. Carlo Buccirosso, dopo essere stato Cirino Pomicino, convince ancora.

Complice una colonna sonora lirica e angelica che richiama alla mente The Tree of Life di Terrence Malick, Sorrentino ci regala il suo film più seducente, sinfonia in crescendo e più movimenti sull’horror vacui imperante nel sacro come nel profano. Con La grande bellezza il cinema italiano torna così sull’Olimpo della settima arte e ad una maturità artistica (e non solo cinematografica) che è pensiero strutturato prima che racconto.

 
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Film da Odissea in greco antico e latino da ansa

Post n°11251 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Girato tra Sardegna e Gb, sarà sottotitolato in tutte le lingue05 marzo, 19:29
Film da Odissea in greco antico e latino(ANSA) - SASSARI, 5 MAR - In autunno la spiaggia della Pelosa a Stintino diventerà la location di un film che verrà girato tra la Sardegna e la Gran Bretagna, "Da Itaca con amore-L'Odissea", adattamento in chiave contemporanea dell'opera omerica. Sarà girato in greco antico e latino e sottotitolato tramite "crowd sourcing" globale in tutte le lingue. La pellicola, presentata a Sassari, è del regista Malachi Bogdanov, inglese di origini russe che da anni vive tra la Sardegna e l'Inghilterra.

 
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Virzì al Tribeca Film Festival da cinecittà news

Post n°11250 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 
Tag: eventi, news

ssr05/03/2014
Il cinema italiano continua ad essere in primo piano negli Stati Uniti. È di oggi la notizia dell'invito in concorso alTribeca Film Festival (16-27 aprile) de Il capitale umanodi Paolo Virzì. Dopo la fortunata uscita italiana, Virzì volerà quindi a New York per iniziare ufficialmente il percorso internazionale del film dalla kermesse ideata da Robert De Niro e Jane Rosenthal all'indomani dell'11 settembre, oggi diretta da Frederic Boyer e giunta alla 14ma edizione. Con un continuo aumento di popolarità, pubblico e glamour. 

E in attesa di nuovi annunci nei prossimi giorni, l'attenzione dedicata alla nostra cinematografia non si esaurisce, con l'evento newyorkese dedicato interamente al cinema italiano: Open Roads: New Italian Cinema, che compie ben 14 anni e si svolgerà come di consueto al Lincoln Center di New York dal 5 al 12 giugno.
Come per le precedenti edizioni, la partecipazione italiana al Tribeca Film Festival è organizzata in collaborazione con Luce Cinecittà.

 
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Luciana Castellina, comunista

Post n°11249 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Cr. P.05/03/2014
“Raccontare Luciana Castellina non è stato facile. La ricchezza della storia, della cultura e dei ricordi di Luciana sono stati per me un nutrimento straordinario e fondamentale per testimoniare una vita importante ed esemplare nella sua complessità e passione”, spiegaDaniele Segre, che dal 10 marzo porta in libreria con Fandango Libri il suo documentario Luciana Castellina, comunista accompagnato da un libro di Luciana (A proposito della Fiat, un inedito colloquio tra Luciana Castellina e Giorgio Airaudo, a lungo segretario della Fiom di Torino). 

“Nonna, ma davvero tu sei comunista?” Inizia con un aneddoto il film, un piccolo squarcio di vita privata con il nipote Vito, un episodio da cui trapela tutta la sua ironia. Militante, giornalista, esponente politica, parlamentare italiana ed europea, scrittrice: Daniele Segre dedica a Luciana Castellina il suo nuovo ritratto d’autore, catturandola tra gli echi del mare della casa all’Argentario e le tante fotografie della sua abitazione di Roma. A partire da questo incipit, il regista compie insieme alla sua protagonista il percorso di una vita: dalle scuole con Anna Maria Mussolini ai tempi del fascismo al risveglio della coscienza politica, con la militanza nelle fila del PCI e la cruciale esperienza de il Manifesto, di cui è stata protagonista per decenni. E le numerose esperienze nel mondo, le lotte pacifiste, gli incontri e la sua “tribù” – come lei definisce la sua famiglia – con gli amici di una vita. Il film traccia il ritratto di un personaggio politico nel senso più ampio, più appassionato e più nobile, nella cui esistenza s’intrecciano vicende personali e un mondo in continua mutazione. La politica coincide con la scoperta del mondo, la speranza nella giustizia sociale, l’esperienza formativa di realtà diverse dalla propria, la fatica, il viaggio, la guerra, i comizi, il cinema, gli intellettuali francesi e gli operai della Fiat, la diplomazia internazionale, l’amicizia. 

Nel cofanetto anche il libro A proposito della Fiat Un inedito colloquio fra Luciana Castellina e Giorgio Airaudo. Airaudo, accompagnato da un breve scritto di Maurizio Landini, segretario nazionale Fiom. A completare il libro due scritti “d’epoca” di Luciana Castellina: Rapporto sulla Fiat (1969); Un metalmeccanico italiano non accetterebbe mai di vivere come il suo collega di Detroit (1973).   

Mercoledì 12 marzo ore 18 il cofanetto sarà presentato alla Libreria Feltrinelli in Via de’ Cerretani 30/32 a Firenze dall'autrice e da Tommaso Fattori e Pancho Pardi; giovedì 13 marzo alle ore 18 alla Libreria Feltrinelli di Piazza Ravegnana 1 a Bologna interverranno insieme all’autrice Stefano Bonaga, Francesco Garibaldo e Giancarlo Vitali; lunedì 24 marzo alle ore 18.30 alla Libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte 2 a Milano interviene insieme all’autrice Daniele Segre; domenica 30 marzo alle ore 10.30 il film sarà proiettato al Cinema Massimo in Via Verdi 18 a Torino a ingresso libero. Saranno presenti in sala Daniele Segre, Luciana Castellina e Giorgio Airaudo. 

 
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Claudio Amendola e il sogno olimpico di quattro pinguini

Post n°11248 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

Stefano Stefanutto Rosa29/11/2013
L’attore romano debutta nella regia con 'La mossa del pinguino' presentato al Torino Film Festival, nella sezione Festa mobile/Europop, e dal 6 marzo in sala distribuito da Videa
TORINO. “I toni sono quelli della classica commedia italiana. La mossa del pinguino è una tragicomica avventura che vede il percorso di riscatto di quattro personaggi maschili: uomini abbattuti dalla vita ma che hanno ancora voglia di vincere e sognare. Uomini di età diverse alle prese con gli stessi problemi: la casa, il lavoro, il futuro, i sentimenti e gli affetti”. Claudio Amendola presenta il suo debutto dietro la macchina da presa nella sezione Festa mobile/Europop in attesa che il film, con Edoardo Leo, Ricky Memphis e Francesca Inaudi, arrivi in sala il 6 marzo in 200 copie distribuite da Videa.
Nel frattempo incassa i complimenti  di altri due interpreti: di Antonello Fassari - “non sembrava che fosse al suo primo film vista la sicurezza con cui ci ha diretto” - e di Ennio Fantastichini - “preciso e attento sul set, Claudio ha il grandangolo nella testa”. 

Ma chi sono i quattro romani disperati e un po’ svitati che s’inventano, dall’oggi al domani, una squadra di curling con la quale partecipare alle Olimpiadi invernali di Torino del 2006?
Bruno/Edoardo Leo non è diventato adulto nonostante una moglie e un figlio; uno spiantato, un sognatore pronto ad imbarcarsi in qualunque impresa, quasi sempre fallimentare. Ha una grandissima passione per lo sport, ed è lui a progettare una squadra di curling, con l’obiettivo di sponsor e guadagni. Salvatore/Ricky Memphis, con il padre affetto da una malattia degenerativa, è il migliore amico di Bruno; si è sempre fatto coinvolgere nelle sue follie, anche in questo strano progetto.
Neno/Antonello Fassari vive di espedienti e del passato, quando faceva paura nel quartiere, ora non più. Non sìarrende al tempo, ma resta un campione di biliardo. Ottavio/Ennio Fantastichini è un vigile urbano in pensione, un uomo solitario e spigoloso e soprattutto un abile giocatore di bocce.
Arriveranno a giocarsi la difficile impresa della qualificazione nel palazzetto del ghiaccio di Pinerolo e lì scopriranno la mossa che il pinguino fa quando, stanco di camminare nella neve, si lascia andare di pancia scivolando sul ghiaccio.

Amendola è da tempo che pensava di passare alla regia?
Sì, ho provato a scrivere tante storie, ma questa era la sceneggiatura giusta per un esordio, non si è arenata come le altre. Merito di Edoardo Leo, che ha proposto questa storia che ho sentito da subito mia, che in parte mi rappresenta.

E’ una film nel solco della grande tradizione della commedia all’italiana.
Un film pulito perché non è mai volgare, e semplice, con la pretesa di raccontare solo quella storia e nient’altro.

Come è venuta l’idea di uno sport sconosciuto come il curling?
Il soggetto non è nostro, l'abbiamo acquistato e poi io e Edoardo l'abbiamo stravolto in fase di sceneggiatura. Lo spunto è un fatto vero: nel 2005 alcuni ragazzi hanno creato una squadra di curling ma si sono fermati ben prima di partecipare alla qualificazione delle Olimpiadi. Il curling è un divertente pretesto per raccontare queste vicende di riscatto e di sogno.



Non si è diretto in questo film?

Edoardo Leo lo ha già fatto, per me sarebbe difficile perché ho bisogno di qualcuno che sul set mi dica se va bene o no la mia interpretazione. La soluzione ideale è quella di alternare i due ruoli. Insomma un nuovo film lo dirigerei, anche se il lavoro di attore mi dà soddisfazioni e sicurezza.

Titolo azzeccato “La mossa del pinguino”, che sarebbe?
La capacità di adattarsi, di prendere quello che viene. Come accade al protagonista è il colpo di reni imprevisto, l’ultimo appiglio dopo che si è scivolati sulla buccia di banana.

A lei questa mossa è mai capitata?
Una o due volte avviene a tutti. Nel mio caso, essendo più fortunato di altri, è probabile che la mossa l’abbia fatta spesso mio padre. Quanto ai nostri quattro protagonisti, loro sì sono cresciuti come tanti ragazzi d’oggi che la mossa se la devono inventare tutti i giorni.

Questi quattro disperati mettono anima e corpo nella loro impossibile impresa sportiva.
Io e Edoardo abbiamo avuto esperienza di questo agonismo maschile che appare incomprensibile e che spinge a fare cose assurde, ma che in fondo fanno parte di noi. Accade ad esempio, con disappunto delle nostre mogli, che ci alziamo all’alba per giocare una partita di calcetto a cento chilometri di distanza. Niente di più simile al curling dei nostri simpatici eroi.

Come avete lavorato sui personaggi?
In fase di sceneggiatura plasmandoli sugli attori scelti. A cominciare da Antonello Fassari che ormai è come un fratello: da dieci anni lavoriamo insieme per la fiction, stiamo girando I Cesaroni 6. Il suo personaggio è quello più border line, che chiede più trasformismo e maschera.

Che cosa ha contato sul set?
Il rapporto d’amicizia che si è creato ha facilitato il mio lavoro di regista. Non c’è stata la gara a chi avesse una risata in più o un’inquadratura particolare. Tutto questo puntando a una recitazione sottotono, minimalistica.

 
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Se Atene piange…

Post n°11247 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino05/03/2014
Se Atene piange, Sparta non ride. La proverbiale espressione dev’essere servita parecchio di ispirazione agli sceneggiatori di 300 – L’alba di un impero, ‘sidequel’ del300 originale, tratto da una graphic novel di Frank Miller ispirata al massacro delle Termopili, che ottenne al botteghino, nel 2007, un successo stratosferico. 

Stratosferico e inaspettato, tanto che a Hollywood si pose un imbarazzante problema (per certi versi simile a quello imposto da Il Gladiatore di Ridley Scott): come realizzare il seguito, commercialmente opportuno, di un film dove alla fine il protagonista e tutti i suoi amici ci lasciano le penne? Inizialmente si era pensato a un prequel, dato che anche Miller si era impegnato a scrivere e disegnare Xerses, capitolo incentrato sull’ascesa del re persiano principale antagonista del primo episodio. Solo che Miller, autore anarchico e totalmente indipendente da ogni forma di obbligo contrattuale, si è fermato. 

E allora ecco la risposta: se 300 era la visione spartana della seconda guerra persiana, questa ne è la controparte ateniese, da Maratona a Salamina. Gli eventi si svolgono ‘in parallelo’ con quelli narrati nel primo film, da cui vengono recuperate significative citazioni a mo’ di flashback o cameo. Torna la regina Gorgo (Lena Headey), moglie del Leonida (Gerard Butler) perito nel primo episodio, di cui, di tanto in tanto, compare comunque l’ombra. Ma il protagonista della nuova storia è l’ateniese Temistocle (Sullivan Stapleton), impegnato a combattere non tanto contro Serse (ancora interpretato dall’ambiguo e maestosoRodrigo Santoro), quanto contro la sua pericolosa alleata Artemisia (una sexy e spietata Eva Green). Siamo dunque più dalle parti di uno spin-off. Il mondo è lo stesso: l'appartenenza è evidenziata dalle scelte che avevano caratterizzato l’estetica di Zack Snyder, regista del predecessore, oggi solo produttore, e qui perfettamente replicate dell’onesto Noam Murro, dai ralenti esasperati alle luci sparate. Ma i personaggi sono diversi. 

Molto diversi, come è normale che sia. “Questa è Sparta!”, gridava Leonida con fierezza gettando in un pozzo con un calcio ambasciatori persiani poco graditi. Questa, invece, è Atene: dove c'erano guerrieri, ci sono filosofi. Dove c'erano passione e ardore, c'è strategia. Gente pronta sì a combattere, ma nelle cui vene non scorre il richiamo alla battaglia, bensì quello alla libertà e alla Ragione. E il re-dio Serse, visto con gli occhi della Ragione, non appare più così spaventoso come in passato. 

Se in 300 abbondavano spettacolari battaglie su terra per esaltare la tecnica della falange oplitica, gli ateniesi, esperti conoscitori del mare, combattono epocali scontri navali. E i toni virano al blu, dove in passato le dominanti che caratterizzavano il mondo spartano erano colori caldi, come il rosso del sangue e il giallo del sole cocente. “Se Leonida governa Sparta con uno stile molto autoritario e militaresco – commenta con pertinenza l’interprete Stapleton – Temistocle è tenuto a essere un grande oratore per radunare l’intero popolo greco a combattere unito contro un nemico comune. Sa da subito che contro i Persiani non c’è partita, ma ama il suo paese e crede in questa nuova idea di democrazia”. 

Forzatura commerciale, ma fatta bene e curata, il film mantiene l’impatto spettacolare che ci si aspetta dal genere, anche se sembra di essere veramente a casa solo nelle sequenze finali, quando gli opliti tornano in campo più forti che mai e vien voglia di celebrare il sacrificio di Leonida con il suo grido di battaglia: “Questa - finalmente - è Sparta!”

 
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LA GRANDE BELLEZZA IN TV - Il film più visto degli ultimi 10 anni

Post n°11246 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 
Tag: news

da cinemaitaliano.info

 

LA GRANDE BELLEZZA IN TV - Il film più visto degli ultimi 10 anni
Con 8.861.000 telespettatori e una share commerciale del 39.72%, "La Grande Bellezza" di Paolo Sorrentino con Toni Servillo è il film più visto in TV degli ultimi 10 anni.

Il film, fresco vincitore del premio Oscar come miglior film in lingua straniera, è andato in onda in prima serata su Canale 5 martedì 4 marzo 2014.

05/03/2014, 12:07

 
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La grande bellezza. Perché è un capolavoro da http://titolidicoda.com.unita.it/

Post n°11245 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

su Titoli di coda
Autore: Raffaele Ariano
 
Data:2014-03-02

[In occasione della Notte degli Oscar, che vede La grande bellezza candidato come Miglior film straniero, ripubblico una mia analisi uscita per la prima volta col titolo Il cinema di Paolo Sorrentino sul numero 30 (Luglio-Agosto 2013) della rivista 451 via della letteratura della scienza e dell’arte]

 

 

 

La frivolezza è quindi l’antidoto più efficace al male di essere ciò che si è: grazie a essa noi inganniamo la gente e dissimuliamo la sconvenienza delle nostre profondità. Senza i suoi artifici, come non vergognarsi di avere un’anima?

Emil Cioran, Sommario di decomposizione

Con l’approdo nelle sale del suo sesto lungometraggio, La grande bellezza, i tempi sembrano maturi per aprire una riflessione complessiva sull’opera di Paolo Sorrentino, sulla sua poetica e sui motivi della sua rilevanza per la cinematografia italiana. Da un lato, infatti, il regista napoletano ha dimostrato, lungo l’intero arco della sua produzione, di avere una voce fortemente coesa e originale, tanto dal punto di vista dello stile cinematografico, della mise-en-scène, quanto da quello della costruzione dei personaggi e della narrazione; due aspetti che, insieme, lo rendono a tutti gli effetti un autore, e uno dei più rilevanti, se non il più rilevante, del cinema italiano recente. Dall’altro, non si può trascurare che, anche dal punto di vista del riconoscimento di pubblico e critica, Sorrentino costituisca oramai un piccolo caso. Film i cui protagonisti non hanno mai meno di cinquant’anni e sono intrisi di un forte senso di decadimento, nostalgia, fallimento, sono apprezzati da molti in Italia, ma autenticamente idolatrati proprio dal pubblico giovane, quello under 30, che vi si riconosce pur non essendovi stato direttamente messo in scena; e ancora, storie le cui psicologie e i cui contesti sociali sono fortemente italiani – eccezion fatta, come ovvio, per This Must Be The Place – vengono comprese e apprezzate dalle giurie e dalla critica straniere talvolta di più che da quelle italiane, pur essendo esattamente l’opposto di facili “cartoline” sul Belpaese. Una rapida scorsa alle recensioni estere a La grande bellezza ne dà chiara conferma. Un primo bilancio sull’autore Sorrentino può essere insomma condotto analizzando in dettaglio questa sua ultima fatica, che è a tutti gli effetti una summa dei temi estetici e filosofici che ricorrono sin dalla sua opera prima, L’uomo in più (e che tornano, con le differenze dovute al cambio di medium, anche nei suoi lavori letterari, il piacevole romanzo Hanno tutti ragione e la più sbiadita raccolta di racconti Tony Pagoda e i suoi amici).

Le due sequenze d’apertura de La grande bellezzaracchiudono come un prisma i temi della narrazione che verrà. Sulle note eteree di I Lie del compositore californiano David Lang vediamo dispiegarsi il panorama romano del colle del Gianicolo e, in alternanza, un coro femminile che, in un felice spiazzamento della separazione tra diegetico ed extradiegetico, canta il brano di sottofondo affacciandosi dalle finestre della Fontana dell’Acqua Paola. Movimenti di macchina molto marcati, quasi eccessivi, con l’utilizzo dei tipici dolly e crane che sono uno dei marchi di fabbrica di Sorrentino, evidenziano al contempo la maestà e l’inebetente rapimento connessi alla visione di Roma, alla bellezza terribile dei suoi monumenti. Il lirismo di questa sequenza è però subito punteggiato dall’irruzione del volgare: un nugolo di turisti che fotografano compulsivamente, l’esclamazione in romanesco «Mi hai proprio rotto il cazzo» di una comparsa che parla al cellulare, un obeso in canottiera che si terge il sudore con l’acqua della Fontana, come fosse in un bagno pubblico. Sono solo brevi sprazzi, che squarciano per un istante l’armonia di musica e immagini. La sequenza successiva rovescia tutto questo. Un repentino stacco di montaggio, uno sguaiato grido femminile, e dal silenzio solenne della cima del colle romano si è catapultati su un rooftop del centro, in mezzo alla bolgia decadente di una festa di compleanno. Una folla di volti deformati dall’alcol, dal ballo e dal desiderio, giovani corpi di modelle mischiati a quelli di sessantenni liftati e con le camicie sbottonate, balli di gruppo, nani, mariachi che sfilano suonando grottescamente in mezzo alla folla incurante. In colonna sonora, Far L’Amore di Bob Sinclar, remix del brano di Raffaella Carrà. La città eterna si rivela nell’altro suo volto, quello di una Babilonia volgare e insensata. Anche in questo caso, brevi istanti di ribaltamento: la Carrà cede per un attimo la scena agli ovattati suoni elettronici di More Than Scarletdei Decoder Ring, mentre poche inquadrature si soffermano su un’elegante e sinuosa ballerina diburlesque, che, dall’altro lato di un vetro insonorizzato, danza a beneficio degli invitati, immersa nel perfetto silenzio. Dall’intangibilità ieratica della sua figura emana una sorta di mistero, quella bellezza sommessa che balena per un istante, secondo uno degli stilemi ricorrenti della poetica visiva di Sorrentino. Nella prima sequenza, il grottesco si sprigionava dalle fratture di una bellezza che si vorrebbe perfetta, eterna, intangibile; e di contro, nella seconda, spiragli di bellezza riescono a filtrare nonostante la prosaicità della vita, tra le sue pieghe.

 

Facciamo presto conoscenza di Jep Gambardella, il protagonista di questa storia, interpretato ancora una volta da un Toni Servillo nel proverbiale “stato di grazia”. Più che un vero plot, lo svolgimento del film seguirà l’evoluzione interiore del suo personaggio, in una serie di episodi relativamente slegati tra loro. Come accadeva ne Le conseguenze dell’amore, ne L’amico di famiglia e ne Il divo, ai monologhi invoice over saranno affidate l’esplorazione dell’autocoscienza del personaggio e la sua evoluzione; un espediente che a taluni è potuto apparire facile o didascalico, ma che Sorrentino, in ragione della sua caratura di sceneggiatore, padroneggia con efficacia.

È il compleanno di Jep, la festa è sua. Ha sessantacinque anni e lavora alla pagina culturale di un prestigioso giornale, ma la sua vera occupazione, da quando – quarant’anni prima – si è trasferito a Roma, è la mondanità. Dandy impeccabilmente vestito, vive di notte, beve molti drink (ma, come afferma verso la fine del film, «non tanti da diventare molesto») e ha battuta pronta, capacità di analisi psicologica e un sarcasmo devastante. La raffinatezza del suo eloquio e la padronanza delle convenzioni sociali, di cui fa sfoggio con ostentazione, gli permettono di essere un autentico mattatore nelle serate dell’alta società romana. Nel suo attico con vista del Colosseo, lo vediamo ospitare nobili decaduti, ricchi commercianti, intellettuali di partito, ereditiere, poeti, cardinali, persino una missionaria in odore di santità. L’insincera superficialità di questa vita sociale lo fa sentire a suo agio come nel suo elemento naturale. Eppure, quarant’anni prima, Jep Gambardella era stato uno scrittore. Autore di un unico romanzo, L’apparato umano, descritto come un’autentica opera d’arte, addirittura come un testo rilevante per la storia della letteratura italiana. Un libro che, si dice a un certo punto, può esser stato scritto solo da un uomo molto innamorato. Dopo quel libro Jep si trasferì a Roma, cominciò con la mondanità e non scrisse mai più una sola riga.

 

Quando, a ventisei anni, giunse a Roma, apprendiamo da uno dei monologhi in voce fuori campo, Jep era deciso a «diventare il re dei mondani». Non voleva solo partecipare alle feste. Voleva, come afferma, «avere il potere di farle fallire». Un sentimento di potenza, di dominio, di espansione indefinita dell’ego è all’opera nel modo in cui si dà alla vita secolare, a questo «mondo degli uomini» fatto di superfici riflettenti e drammi esistenziali nascosti sotto la patina della buona riuscita sociale. E al contempo vi è in lui un senso tragico di auto-abbrutimento consapevole, di caduta, di volontario inabissamento. Lo sguardo di Jep, nel tracciare il perimetro della decadenza propria e dei suoi simili, è preciso, cinicamente chirurgico. A caratterizzarlo è una sorta di lucida e amara flânerie – amara, nonostante alla grande interpretazione di Toni Servillo riesca di metterla in scena con un sorriso sornione sempre stampato sulle labbra. Osserva questo assurdo parco umano a cui appartiene, Jep Gambardella, con quel suo fasullo nomignolo da italoamericano. Nella sequenza in cui una coppia lo coinvolge in un gioco sessuale a sfondo voyeuristico, lui si adagia sulla poltrona e guarda, curioso; lascia che il mondo gli sfili davanti, con sguardo disincantato, ma anche, in fondo, privo di giudizio. Guardando uno dei “trenini” che concludono tipicamente le feste del suo entourage, afferma sconsolato che i loro trenini sono i migliori, perché «non vanno da nessuna parte»; e, pochi minuti dopo, indicando i suoi invitati, dirà alla sua domestica sudamericana (uno dei pochi personaggi con cui abbia un rapporto di autenticità umana): «Questa è la mia vita, e non è niente». Jep ha insomma un rapporto ambivalente col suo essere mondano. Lo vediamo spesso smarrito, in preda al disprezzo di sé, al punto da cercare – a un certo punto – persino il conforto di un prete.

Le battute e le feste non sono però tutta la sua vita. Lo vediamo, talvolta, ritagliare per sé degli spazi di bellezza vera e di autenticità. Le passeggiate per le vie di Roma la mattina presto, immerso nella bellezza dei suoi monumenti e della sua vita sonnolenta; l’opera di quei rari veri artisti, che si trova a intervistare per la sua rubrica (per questo lo vediamo demolire ferocemente, all’inizio del film, la falsa artista concettuale che dà «le capate nel muro», ispirata probabilmente alla figura di Marina Abramović); soprattutto, le amicizie. L’amicizia con Dadina (Giovanna Vignola), la direttrice – affetta da nanismo – del suo giornale, anch’ella invischiata nello stesso ambiente di Jep, ma donna forte, saggia, a tratti materna; quella con Romano (Carlo Verdone), scrittore fallito, un idealista sincero e imbranato a cui Jep cerca di insegnare la leggerezza e l’arte di trattare le donne; infine con Ramona (Sabrina Ferilli), una spogliarellista agée semplice, un po’ ignorante, ma vera e dotata di umanità, resa melanconica dal pesante fardello di una malattia incurabile.

Tra queste “due vite” di Jep Gambardella non vi è, ad ogni modo, una completa antitesi. Esse comunicano da qualche parte, nelle profondità del personaggio e della sua visione delle cose. Col suo inseguimento del superficiale, Jep sembra voler infatti testimoniare una qualche verità profonda su se stesso e sull’esistenza. Cominciamo a scorgerlo nel modo in cui umilia pubblicamente una sua invitata, Stefania (Galatea Ranzi), colpevole di essersi per l’ennesima volta vantata del suo impegno civile e del modo eroico in cui ha cercato di essere, come si dice, donna e madre al contempo. Di questo malsicuro misto di superbia e moralismo Jep sente il bisogno di svelare la menzogna nella maniera più brutale: ricordandole che la sua passione civile è cresciuta all’ombra di un amante segretario di partito, che suo marito è segretamente omosessuale, che i suoi figli sono costantemente affidati a babysitter, autisti e istitutrici private. Jep dice a Stefania che anche la sua, come quella di loro tutti, è una vita disperante e devastata. Ma mentre loro sono consapevoli della propria meschinità, e hanno quindi la bontà di stringersi gli uni agli altri, di farsi compagnia, di passare il tempo a parlare di vacuità, lei sente il bisogno di riempirsi la bocca di cose serie, di gonfiare il petto coi valori più alti. Questa forma di insincerità inconsapevole e inautentica è per Jep assolutamente deprecabile. Al contrario, l’insincerità consapevole, che è il pane quotidiano del mondano, Jep la concepisce, in fondo, come segno di una sincerità più radicale, come testimonianza lucida della pochezza della condizione umana. Potremmo dire, come un atto di verità. Insomma, la frivolezza è l’abito con cui vengono travestite le profondità di pessimismo e distacco scettico cui solo uno spirito dotato di una sensibilità troppo dolorosamente sviluppata sa giungere.

 

Jep Gambardella è un uomo esistenzialmente bloccato, come del resto lo sono tutti i protagonisti del cinema di Sorrentino. Si tratta di individui in cui il trauma di una troppo acuta sensibilità verso un qualche aspetto della vita ha determinato uno scacco, un inaridimento del rapporto con il mondo esterno e con il prossimo. È il caso del Titta Di Girolamo de Le conseguenze dell’amore, che vive una vita sterilizzata, priva di rapporti umani, completamente dedita all’autodifesa e al controllo minuzioso di ogni variabile quotidiana, perché sa fino in fondo quanto profondamente e pericolosamente ci mettano in gioco gli affetti veri, siano essi d’amicizia o d’amore; e infatti, innamorarsi e trovare la morte saranno, per lui, parte di una medesima scelta, di un medesimo azzardo. È anche il caso di Giulio Andreotti (Il divo), troppo profondamente consapevole della «mostruosa inconfessabile contraddizione» del potere, ovvero della necessità di «perpetuare il male per garantire il bene», per non trasformarsi in un uomo freddo, cinico, privo di qualsiasi pietà umana e indecifrabile persino per sua moglie, che ama con sincera devozione. E ancora, è il caso della troppo acuta sensibilità di Tony Pisapia (L’uomo in più) per il sentimento di una libertà che può esprimersi solo come tracotante volontà di vita, di Geremia De Geremei (L’amico di famiglia) per la propria abiezione estetica e morale, infine quella dell’ex-rocker Cheyenne (This Must Be The Place) per la serietà terribile connessa all’assunzione della responsabilità, sensibilità che lo spinge, ancora a cinquant’anni, a vestirsi come un adolescente, a odiare la figura del padre, da cui si sente rifiutato, e a far visita ogni settimana alle tombe di due giovani fan della cui morte si ritiene causa.

Lo scacco di Jep Gambardella sta nell’aver vissuto tutta la vita nella nostalgia per la grande bellezza perduta. Quando scrisse L’apparato umano, la sua unica opera letteraria, Jep era permeato dal lirismo dell’unico grande amore della sua vita, quello per Elisa De Santis, la donna che conobbe quando aveva diciotto anni, amò intensamente e poi perse all’improvviso, lasciato senza mai sapere il motivo. Quando, nel giorno del suo sessantacinquesimo compleanno, gli si presenta Alfredo (Luciano Virgilio), il marito di Elisa, per comunicagli di aver letto nel diario della moglie appena defunta che l’unico uomo che lei avesse mai amato è proprio Gambardella, Jep comincia a prendere consapevolezza della propria situazione. A rendersi conto che la sua disperata mondanità, la pessimistica ricerca del grottesco, la sua incapacità di produrre letteratura sono parte di un ininterrotto canto elegiaco per quella pienezza d’amore che non c’è più. Si rende conto di aver sempre vissuto nel sentimento di una biblica caduta dal paradiso, di aver regolato su di esso l’intera sua esistenza. Parlando della sua giovinezza, a un certo punto Jep afferma: «Ero destinato alla sensibilità, ero destinato a diventare uno scrittore, ero destinato a diventare Jep Gambardella». Dobbiamo prendere questa successione come una sequenza causale: la sua grande sensibilità fu tanto ciò che ne fece, dapprincipio, uno scrittore, quanto ciò che lo indusse, in seguito, a diventare il suo opposto, un mondano cinico e disincantato. Eroe tragico, uomo troppo sensibile per avere una vita come tutte le altre, quarant’anni dopo Jep vive ancora nell’ombra gettata da quell’amore giovanile; mentre Alfredo, brav’uomo, ma di statura certamente non eroica, capisce che, se vuole sopravvivere, deve, più modestamente, dimenticare e voltare pagina. A pochi mesi dalla morte della moglie lo vedremo felicemente risposato con Polina, una polacca di qualche anno più giovane di lui, rassicurante e con pochi grilli per la testa.

L’episodio finale di questa presa di coscienza è dato dall’incontro di Jep con la santa africana. A lei Gambardella risponde – per una volta – sinceramente, alla domanda sul perché non abbia mai più scritto un libro: «Cercavo la grande bellezza, ma non l’ho trovata». Nella purezza della santa Jep si riconosce. Ma vede forse anche ciò che non vuole essere più. La santa cerca in Dio la grande bellezza, e per questo si macera, vive nell’ascesi, a oltre cent’anni mangia radici, dorme per terra e assiste i poveri. Jep capisce che, dalla brama per l’assoluto, l’uomo, che è un essere finito e manchevole, non può che restare schiacciato. L’unica bellezza che ci è davvero data in questa vita è infatti quella che balena per un istante e poi svanisce, quella che è frammista alla bruttura, allo squallore, alla caducità. Capisce anche, forse, che in questa sua esistenza in bilico tra sincerità e insincerità, tra ricerca del bello e inabissamento nel grottesco, vi è stata una qualche forma di saggezza. Che la ricerca dell’assoluto è altrettanto votata allo scacco, e perciò alla menzogna, della sua completa dimenticanza. L’unica vita possibile sta nel mezzo, nella contemplazione di una bellezza impura, nell’accettazione del suo limite e fallimento. L’unica vita possibile è quella di chi ha capito che l’uomo non ha le forze per occuparsi dell’Altrove. Solo comprendendo tutto questo Jep Gambardella può tornare alla scrittura.

 

Recita il monologo finale:

Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c’è stata la vita. Nascosta sotto il bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L’emozione e la paura. Gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell’imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Altrove, c’è l’altrove. Io non mi occupo dell’altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Si, è solo un trucco.

Queste parole si ricollegano alla citazione di Viaggio al termine della notte di Céline che compare all’inizio del film, secondo la quale il vero viaggio che è concesso agli uomini è un viaggio «interamente immaginario», «un romanzo, nient’altro che una storia fittizia». In questo finale, Sorrentino sta fornendo forse un’indicazione consapevole sulla sua poetica e sulla sua concezione dell’arte cinematografica, anzi, della narrazione in generale. Il regista napoletano sembra attratto da figure di fallimento esistenziale, da caratteri che la vita ha immeschinito o, ancor più, che hanno scelto risolutamente di essere meschini per seguire fino in fondo una parte di sé. Nella loro miseria c’è quindi anche una forma di grandezza; una grandezza a tratti eroica, ma per lo più essa stessa limitata, ridicola, parziale. Non è un caso che i film di Sorrentino, che indubitabilmente appartengono al genere drammatico, stiano accogliendo in sé un sempre più spiccato tratto di commedia; al punto che, ne La grande bellezza, così com’era stato in This Must Be The Place, si ride molto, e inaspettatamente. Tutto ciò mette capo a quella che potremmo definire un’estetica dello squallore, nella quale non si tratta di commiserare, con larvato senso di soddisfazione, la miseria di questi tristi personaggi – faccendieri della mafia, usurai, politici corrotti, cantanti in pensione, mondani all’ultimo stadio –, bensì di cogliere, in quel loro irripetibile impasto di miseria e grandezza, qualcosa di profondamente umano. Lo squallore e il fallimento, nell’unicità con cui colgono ciascuno di noi, ci individualizzano, ci rendono davvero, irrepetibilmente, ciò che siamo. Si è felici, forti, belli, di successo, tutti nello stesso modo. Ma si è sconfitti dalla vita ciascuno in una maniera peculiare. Lo squallore è insomma, nel cinema di Sorrentino, una figura dell’autentico. L’arte narrativa deve mostrare questa bellezza del brutto, questa sincerità nella sconfitta, questa grandezza dello scacco. Può farlo proprio perché è un trucco, perché, pur essendo fittizia, essa dice la verità.

 
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L’America ha capito “La grande bellezza”, gli italiani no da vita.it

Post n°11244 pubblicato il 05 Marzo 2014 da Ladridicinema
 

di Francesco MattanaIl capolavoro di Sorrentino conquista l’Oscar come miglior film straniero. Quindici anni dopo La vita è bella, l’Italia ritorna sul podio più alto

L’ultima volta che l’Italia conquistò una statuetta per il migliore film straniero correva l’anno 1999: La vita è bella stracciò la concorrenza; l’incontenibile Benigni, che saltellava giulivo da una poltroncina all’altra, era una bellezza. Una grande bellezza. Quindici anni dopo, il capolavoro di Sorrentino ha travolto l’America. In Italia c’è chi non lo ha apprezzato quando uscì nelle sale, ed è più che legittimo. La  cosa grave è un’altra: molti critici, pur avendo capito che era una spanna superiore rispetto alla media cinematografica nazionale, hanno fatto finta di niente, pensando che accodarsi alla fila dei detrattori significasse fare più bella figura. È stato detto ad esempio –con molta malafede- che Sorrentino avrebbe imbastito un’operazione “paracula”: parlar male della Città Eterna allo scopo di fare molti incassi. La verità l’ha spiegata l’autore in molte occasioni, ma il più chiaro di tutti è statoCarlo Verdone, co-protagonista del film, in un’intervista a Francesco Merlo su Repubblica: «Roma è una città tutta sbagliata, biglietto da visita di un Paese tutto sbagliato. Sorrentino è stato bravo perché ha rimosso tutti i segni del fallimento mostrando che sotto c’è sepolta la grande bellezza». La giuria degli Academy Awards concorda al 100% col pensiero dell’attore romano: oltre ad aver notato la qualità complessiva della pellicola, questi signori hanno compreso l’onestà intellettuale del regista vomerese
Aggiungiamo poi che Hollywood da sempre è innamorata di Federico Fellini e La grande bellezza –Sorrentino lo ha dichiarato pubblicamente, anche ieri sera mentre imbracciava la statuetta- si ispira alla lezione del Maestro riminese. Sotto diversi aspetti: la comune sensibilità onirica e allucinata; il racconto di una Capitale decadente, in un momento di passaggio epocale.  
Ammettere l’influenza di un collega del passato non significa però considerarsi il suo erede. Su questo il vincitore vuole essere chiaro:  da un lato perché il paragone con una tale sommità artistica gli pare improponibile; dall’altro perché, effettivamente, stiamo parlando di epoche diverse. Vero è che la città da lui raccontata è indolente e spaesata come lo era ai tempi de La dolce vita; altrettanto veritiero che entrambi i film si distinguano per una critica molto lucida della mondanità pacchiana nei salotti. Detto ciò, si tratta di due opere distinte e differenti.  
È un film, quello premiato ieri al Dolby Theatre, con cui avverti subito da spettatore un’affinità elettiva; ti accorgi che l’autore ha espresso col linguaggio delle immagini quel che tu avevi già maturato da tempo. Milioni di persone hanno imparato a conoscere, e ad affezionarsi, allo stile di questo talentuoso artigiano della macchina da presa: nelle due ore e passa de La grande bellezza c’è pane per i denti degliaficionados di Sorrentino. Il quale, non pago di regalare al pubblico un’esperienza visiva indimenticabile, potenzia il tutto con pillole di alta letteratura (non a caso, è pure un romanziere di successo) che non annoiano mai, anzi arricchiscono l’uditorio. Poi la direzione magistrale degli interpreti: Toni Servillo è il miglior interprete italiano in circolazione (a questo punto possiamo dirlo, anche uno tra i migliori al mondo) ma nelle mani del “suo” regista supera davvero se stesso.
Così bravo che mette in ombra tutto il resto del cast: Carlo Verdone è sempre Carlo Verdone, ma da protagonista delle storie dirette da sé medesimo è molto meglio; Sabrina Ferilli è professionale come al solito, ma non era una presenza fondamentale in questo contesto. C’è però chi, come Roberto Herlitzka, non si lascia sorpassare nemmeno da Servillo: due vecchi leoni del teatro, che sanno come tenere la scena senza fregarsi l’un l’altro.
La grande bellezza, una sinfonia senza steccature. Una lezione di regia -specie nel finale, con le inquadrature di Roma che albeggia. Tanti giovani coltivano il sogno di diventare videomaker: certamente, guardare e riguardare con attenzione quei superlativi movimenti di macchina è già un buon punto di partenza. 
 

 
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