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Messaggi del 24/02/2015

 

Indipendenti formato da Oscar da il manifesto

Post n°12204 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da Ladridicinema
 

Academy awards. Trionfa «Birdman», nulla a «Boyhood», ignorato Eastwood. In un copione soporifero, l’unico colpo di scena arriva da Penn

Il regista Inarritu, sotto Julianne Moore

Un’infilata di numeri musi­cali che face­vano pen­sare più a Broad­way che a Hol­ly­wood, un con­dut­tore troppo friendly per fare cadere con l’efficacia giu­sta le poche bat­tute affi­late con­cesse a un copione sopo­ri­fero, nes­sun vero colpo di scena tra i premi, se si eccet­tua il fatto che Richard Lin­kla­ter e il suoBoy­hood, sor­pren­den­te­mente tra i favo­riti fino alla vigi­lia, alla fine non hanno por­tato a casa quasi niente; per­sino i pre­sen­ta­tori delle sta­tuette erano assor­ti­titi male. L’87esima edi­zione degli Aca­demy Awards si è con­clusa dome­nica sera, dopo una ceri­mo­nia infi­nita di 3 ore e 40 minuti, con il trionfo del cinema indi­pen­dente, ma solo se appog­giato dagli stu­dios.
Con uno sprint dell’ultimo minuto, dopo set­ti­mane di pro­no­stici che li davano fianco a fianco sulla dirit­tura d’arrivo, Bird­man ha trion­fato su Boy­hood, vin­cendo l’Oscar di miglior film, miglior regi­sta, miglior sce­neg­gia­tura non ori­gi­nale e quello di miglior foto­gra­fia (al grande mes­si­cano Ema­nuel Lubetzki, che l’anno scorso aveva già vinto per Gra­vity). Par­ti­co­lar­mente ingiu­sta, in que­sto en plein, sem­bra l’assenza del pro­ta­go­ni­sta del film di Ale­jan­dro Gon­za­lez Inar­ritu, Michael Kea­ton, che sarebbe stata una scelta più logica (insieme a Brad­ley Coo­per in Ame­ri­can Sni­per) per la sta­tuetta di migliore attore, andata invece a Eddie Red­mayne per lo stuc­che­vole, mani­po­la­to­rio, The Theory of Eve­ry­thing (La teo­ria del tutto).

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Ma, si sa, agli Oscar, l’allure della malat­tia incu­ra­bile batte qual­siasi valore este­tico, e così abbiamo dovuto accon­ten­tarci di vedere pre­miata come migliore attrice la magni­fica Julianne Moore, non per Map to the Stars di David Cro­nen­berg (ultimo gio­iello in una car­riera vis­suta spe­ri­co­la­ta­mente) ma pos­se­duta dall’Alzheimer nel quasi tele­vi­sivo Still Alice. Già anti­ci­pato, e dovuto, anche l’Oscar per la miglior attrice non pro­ta­go­ni­sta, a Patri­cia Arquette, dolce, deter­mi­na­tis­sima mamma sin­gle che sba­glia un uomo dopo l’altro in Boy­hood. Nel corso di un rin­gra­zia­mento emo­zio­nato e con­fuso, Arquette ha invi­tato il pub­blico a bat­tersi in nome «della puli­zia eco­lo­gica nei paesi in via di svi­luppo», di «qual­siasi donna abbia mai dato alla luce un bam­bino» e «dell’uguaglianza di diritti e di paga per le donne ame­ri­cane» — esor­ta­zione que­sta che ha visto scat­tare in piedi e applau­dire parec­chie star in pla­tea, a par­tire da Meryl Streep (nomi­nata come non pro­ta­go­ni­sta per il ruolo della strega in Into the Woods).

Nel fre­ne­tico chiac­chie­ric­cio media­tico dei giorni che hanno pre­ce­duto la ceri­mo­nia, qual­cuno (per esem­pio su Variety) aveva mani­fe­stato il timore che la serata avrebbe potuto essere «presa in ostag­gio dalla poli­tica». Come pre­ve­di­bile — ormai da molti anni cau­tela è la parola d’ordine agli Oscar, hanno ban­dito per­sino il kitsch — si trat­tava di un timore del tutto infon­dato: ogni con­tro­ver­sia degli scorsi mesi è rien­trata; Ame­ri­can Sni­per non ha avuto premi, eccet­tuato quello di miglior mon­tag­gio sonoro, e chi voleva pro­te­stare fuori dal Dolby Thea­tre per l’esclusione della regi­sta di Selma, Ava DuVer­nay, è stato con­vinto (pare dalla stessa regi­sta) a rima­nere a casa.

Col­lau­dato pre­sen­ta­tore di varie ceri­mo­nie di Tony e di Emmy, l’attore di Broad­way Neil Patrick Har­ris (Gone Girl) è quasi un outsi­der rispetto all’industria del cinema, ma gli manca il mor­dente pro­vo­ca­to­rio che hanno por­tato agli Aca­demy Awards con­dut­tori tele­vi­sivi come Jon Stewart o David Let­ter­man. Har­ris ha bal­lato e can­tato all’inizio, fatto un paio di pas­seg­giate tra il pub­blico e, evo­cando Michael Kea­ton in Bird­man (ma senza la pan­cetta flac­cida), si è pre­sen­tato sul palco in mutande bian­che. La sua è stata una per­for­mance da peso piuma.

Per­ché le acque si incre­spas­sero un poco, poli­ti­ca­mente par­lando, si è dovuta aspet­tare la fine della serata quando Sean Penn — con un sor­riso da Gatto Sil­ve­stro e assa­po­rando la suspense — prima di annun­ciare che Bird­man aveva vinto per miglior film ha detto: «Ma chi gli ha dato la carta verde a que­sto figlio di put­tana?». Pare che la bat­tuta abbia offeso parec­chi, su Twit­ter. In sala però ha dato a Inar­ritu (che aveva lavo­rato con Sean Penn in 21 Grams) l’opportunità di spez­zare una lan­cia a favore della riforma dell’immigrazione di Obama (a rischio da qual­che giorno, causa un giu­dice del Texas) «per­ché agli immi­grati mes­si­cani di que­sta gene­ra­zione siano dati gli stessi diritti e la stessa dignità riser­vati a quelli che sono venuti prima di loro in que­sta grande nazione di immigranti».

Più solenne dell’exploit di Penn, e di rigore, ma sen­ti­tis­sima (spe­cial­mente dopo la per­for­mance della can­zone che avrebbe vinto l’Oscar, Glory, dal film Selma),l’esortazione di John Legend e Com­mon a bat­tersi per il diritto di voto in una nazione «in cui ci sono più uomini afroa­me­ri­cani in pri­gione di quanti ce ne fos­sero in schia­vitù nel 1850». In sala David Oye­lowo era in lacrime e, come lui ma molto più ina­spet­ta­ta­mente, anche Chris Pine.

Paral­le­la­mente al cre­scendo pro­gres­sivo di Bird­man, gli altri due grandi vin­ci­tori della serata sono stati Whi­plash di Damien Cha­zelle (miglior attore non pro­ta­go­ni­sta a J.K. Sim­mons, miglior mon­tag­gio e miglior mixag­gio sonoro) e The Grand Buda­pest Hotel, di Wes Ander­son, che non ha vinto — come ci si aspet­tava invece — il pre­mio di miglior sce­neg­gia­tura non ori­gi­nale, ma ha por­tato a casa Oscar per la migliore colonna sonora (Ale­xan­dre Desplat, che era nomi­nato anche per Imi­ta­tion Game), per i miglior costumi (Milena Cano­nero), la miglior sce­no­gra­fia (Adam Stoc­khau­sen e Anna Pin­nock) e per il make up (Fran­ces Han­non e Mark Coui­lier).
Data quasi per scon­tata, la vit­to­ria di Citi­zien­four nella cate­go­ria del docu­men­ta­rio ha por­tato in mon­do­vi­sione il pro­blema della sor­ve­glianza segreta dei governi e sul palco la regista/giornalista Laura Poi­tras e il colum­nist Glenn Gree­n­wald, che sem­brava addi­rit­tura inti­mi­dito. Con­tro tutti i pro­no­stici, che davano per vin­centeTrain Your Dra­gon 2, la Disney si è assi­cu­rata non uno ma due Oscar per l’animazione: per il molto las­se­te­riano Big Hero 6 e per il bel corto che lo accom­pa­gna, Feast.

 
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Monicelli, la vedova: “No al premio a Verdone, non rappresenta il cinema di Mario. Era meglio Pif” da il fatto quotidiano

Post n°12203 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da Ladridicinema
 
Tag: news

Chiara Rapaccini contro il riconoscimento della Fondazione Grosseto Cultura al regista romano: "Rispetto la sua professionalità, ma non c'entra se non in piccola parte". E lo stesso vale, dice, per i personaggi celebrati negli scorsi anni: Brizzi, Scamarcio e Veronesi. Il regista fiorentino: "Sono pronto a restituirlo"

“Il premio Monicelli a Carlo Verdone? Rispetto la sua professionalità ma a Grosseto in nome di Mario hanno creato una rassegna troppo nazionalpopolare da cui mi dissocio”. E’Chiara Rapaccini, la vedova del grande maestro scomparso cinque anni fa, a spiegarlo a ilfattoquotidiano.it dopo una sua lunga lettera pubblicata dal Tirreno. Qui la Rapaccini prende le distanze dalle motivazioni con cui la Fondazione Grosseto Culturaconsegnerà il 7 marzo a Verdone il premio dedicato a Monicelli “Leggo che a Grosseto verrà festeggiato il mio compagno di una vita, Mario Monicelli, e il suo centenario, con una cerimonia in cui sarà premiato Carlo Verdone. Salvo il rispetto e l’ammirazione per l’opera di Verdone, vorrei tornare a sottolineare come Fausto Brizzi (vincitore della prima edizione del premio Monicelli, ndr),Riccardo ScamarcioGiovanni Veronesi (vincitore della seconda edizione, ndr) e Carlo Verdone non rappresentino se non in piccola parte, il pensiero e soprattutto il cinema di Mario, sempre al confine tra commedia umana, società e politica sofferta”.

Al fatto.it la Rapaccini racconta: “Da Grosseto sono tre anni che mi chiedono suggerimentida dare al direttore della manifestazione Mario Sesti. E pur premettendo con non ho nessun diritto legale in merito, ogni mia idea rimane sempre inascoltata“. Il punto, dice la compagna di trent’anni di Monicelli, è che “Mario non era un autore di commedie tout court. I suoi film avevano untaglio politico-filosofico su quello che accadeva storicamente in Italia, su quello che succedeva politicamente contro il potere costituito, nello scontro tra classi lavoratrici e classi dirigenti. Si pensi, tra i tanti titoli, a La Grande Guerra o a Un Borghese piccolo piccolo“. E un’idea Chiara Rapaccini ce l’ha: “Io rispetto tantissimo i soliti noti a cui hanno assegnato il premio l’anno scorso e quest’anno, sono dei grandissimi professionisti, ma avevo chiesto dicambiare direzione. Di premiare giovani talenti locali oppure un autore come Pif che con La mafia uccide solo d’estate ha vinto premi importanti in Europa grazie a un film sulla mafia”. Ma ciò che ha fatto arrabbiare la Rapaccini è soprattutto la dimensione forzatamente nazionalpopolare: “Ci rendiamo conto che gli organizzatori parlano di red carpet? Ma se fra un po’ colorano di verde perfino la passerella di Venezia e Cannes! Mario non avrebbe mai apprezzato. In questi festival si vuole fare audience mostrando cose che comprendono tutti, quando si può avere successo anche con qualcosa di diverso dal normale. Continuo a ricordare che Mario da anziano ha girato documentari sul G8 a Genova, inPalestina sotto le bombe, tra i terremotati de L’Aquiladormendo all’addiaccio tanto che pensavamo che tirasse le cuoia. Era uno spirito rivoluzionario e combattivo, fino alla fine. Pensate che mi redarguì perfino quando vinse Obama. ‘Non farà quello che promette’, disse dopo la sua elezione. Lo mandai a quel paese”.

Mario Sesti replica spiegando di non aver ricevuto le segnalazioni della vedova Monicelli: “Se le riserve di Chiara Rapaccini le avessimo conosciute in tempo invece che a mezzo stampa sia io cheLoriano Valentini (presidente della fondazione, ndr) le avremmo volentieri discusse, come facciamo con chiunque. Per risponderle prendo a prestito una dichiarazione di Monicelli degli anni Ottanta: ‘Verdone è un personaggio ormai collaudato. Ha grosse qualità di osservazione, sa cogliere aspetti tipici dell’attore della commedia all’italiana. Se riuscirà a prendere le distanze da un certo romanismo che ne fa l’epigono di Sordi, diventerà certamente un grande. Credo lo possa fare perché è intelligente e preparato culturalmente’. Questo premio nasce dall’idea di costruire un premio per tutti quegli autori che siccome sono diventati grandi con un genere apparentemente minore come la commedia vengono regolarmente sottovalutati dai festival o dalle istituzioni”.

Non se la prende troppo Giovanni Veronesi, uno dei “nominati” da parte di Chiara Rapaccini. Anzi. “I premi ti vengono assegnati e non li decidi tu”, spiega a ilfattoquotidiano.it il regista di Manuale d’amore. “Ho sempre dichiarato che Monicelli era una mia fonte d’ispirazione come Fellini – afferma – Lo è stato per altri. Abbiamo poi fatto un cinema un po’ diverso, questo sì, ma chi vince, che so, il premio Moravia mica deve avere le stesse identiche caratteristiche di Moravia. Monicelli e i grandi della commedia all’italiana del Dopoguerra sono venuti su, per loro fortuna, in un contesto di valori e ideali ben diverso dal marasma culturale che ci tocca vivere oggi. Mario, che ho conosciuto, una volta mi disse: ‘Noi siamo una categoria che viene rivalutata quando siamo vecchi e quando ti daranno il premio alla carriera dovrai avere la forza di salire sul palco, prenderlo e poi tirarlo dietro a chi te l’ha consegnato’. Tanto che per mantenere alto il nome del maestro sono disposto a ridare indietro il premio vinto l’anno scorso”.

 
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In Ucraina si spara ancora? La sporca guerra delle foto da il giornale

Post n°12202 pubblicato il 24 Febbraio 2015 da Ladridicinema
 

La guerra ormai è fatta di immagini. Vere o false non importano. Sono loro che determinano l'esito delle battaglie, come sta accadendo in Ucraina

È sempre più difficile comprendere cosa stia accadendo in Ucraina. La posta in gioco è alta.

Gli interessi politici e economici altissimi.

I filorussi hanno conquistatoDebaltsevo, lanciando nelle ore antecedenti il cessate il fuoco un'offensiva clamorosa. Non si sa ancora quanti uomini dell'esercito ucraino siano sopravvissuti all'attacco. Poroshenko parla dell'80%, ma questa percentuale non è verificabile, dato che non si sa quanti siano realmente i soldati impiegati in quella città.

Come scrive il New York Times - raccogliendo le parole di un soldato che vuole rimanere anonimo ma che dice di essere un sergente e di chiamarsi Volodomyr - nella battaglia di Debaltsevo l'esercito ucraino è sempre stato in difficoltà: "Sono mancati molti mezzi, e solo pochi sono arrivati".

Il New York Times fa giustamente notare come non si riesca a comprendere perché Poroshenko abbia ordinato ai soldati ucraini di combattere fino alla fine e di rifiutarsi di cedere la città nonostante la sorte di Debaltsevo fosse ormai decisa. Samuel Charap, professore a Washington, si è chiesto: "A cosa diavolo sta pensando Poroshenko?".

Come spesso accade in queste cose, non è dato saperlo. Certo è che in Ucraina si sta cercando di far salire il più possibile la tensione. Un esempio: lo scorso dicembre ilsenatore americano James Inhofe ha mostrato una foto di soldati russi nei carriarmati. Bandiere russe e montagne sullo sfondo. Una prova inequivocabile: i russi starebbero realmente combattendo in Ucraina. Sarebbe stata, questa, la prova regina contro Putin. La prova che avrebbe permesso l'intervento Nato. Ma la foto portata dal senatore americano ha un "piccolo" problema: è stata scattata in Georgia. Nel 2008.

Nel frattempo, l'Unione europea ha promesso che invierà blindati e fornirà immagini satellitari per monitorare il cessate il fuoco in Ucraina.

 
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