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Messaggi del 16/02/2016

 

Rafi Pitts: "Pronti a morire per la green card" da cinecittànews

Post n°13014 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Cristiana Paternò16/02/2016
BERLINO - Arruolarsi nell'esercito americano, essere spediti in Iraq a rischiare la vita per ottenere la cittadinanza in base a quanto stabilisce il Dream Act. E' un green card soldier il protagonista del nuovo film di Rafi Pitts, cineasta anglo-iraniano per la terza volta in concorso a Berlino dopoIt's Winter The Hunter. Con Soy Nero porta la storia di un giovanissimo messicano, Nero Maldonado, che decide di combattere per quella che considera la sua patria, ma che a sua volta lo reputa un illegale. Nel film, interpretato da Johnny Ortiz (un ragazzo di periferia, che si è fatto anche due anni in prigione, prima di diventare attore), gli Stati Uniti sono dipinti come un paese ossessionato dalle frontiere e dai controlli, in preda a una paranoia che a tratti assume toni ridicoli, come nella tirata dell'uomo, padre di una bambina, che dà un passaggio in macchina a Nero e gli mostra subito la pistola che tiene nel cruscotto (ma poi sarà a sua volta fermato in malo modo da due poliziotti). E lo stesso regista, nato nel 1967 a Teheran, trasferitosi in Gran Bretagna prima e a Parigi poi, collaboratore negli anni '90 di autori come Léos Carax, Jacques Doillon e Jean-Luc Godard, si dice ossessionato dai confini e dalle persone che cercano di oltrepassarli. "Per me, iraniano di padre britannico, la questione dell'appartenenza è vitale e così mi ha subito appassionato la storia degli immigrati che si arruolano per la green card: ho pensato che fosse indispensabile fare un film su questo". Nello scrivere la sceneggiatura, insieme al romeno Razvan Radulescu (autore anche della Palma d'oro 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni di Cristian Mungiu) si è avvalso della consulenza di Daniel Torres, un vero soldato. Nato in Messico, è stato Marine in Iraq, a Fallujah. Si era arruolato con un certificato falso, ma quando tornò a casa, smarrì la sua carta d'identità. Doveva partire per l'Afghanistan ma venne deportato a Tijuana. "Essere respinto dal paese per cui ti sei battuto, rischiando la vita, è la cosa peggiore che ti possa capitare", racconta. E Pitts sottolinea che a volte questi militari muoiono in battaglia e il funerale viene celebrato con la famiglia dall'altro lato della recinzione, in Messico, anche se poi uno di loro riceverà la bandiera americana e la possibilità di ottenere la cittadinanza grazie al sacrificio del proprio congiunto.

Non ci sono cifre esatte, ma pare che più di 3.000 persone siano state deportate dopo aver combattuto nell'esercito Usa. Spiega Daniel: "Sono veterani che al primo errore vengono espulsi. Se sei cittadino americano, anche se commetti un reato, devi solo pagare il tuo debito con la giustizia, ma se sei un immigrato vieni immediatamente cacciato".

Prosegue Pitts: "Donald Trump è l'esempio più evidente e triste di questo odio per gli stranieri, ma le stesse cose accadono anche in Europa. La paura degli emigranti è ovunque. Io non penso che le persone vogliano lasciare la propria terra a cuor leggero, lo fanno solo se hanno dei motivi gravi e terribili. Oggi in Europa c'è chi parla di invasione, perciò è importante fare film su questo argomento. Spero che ci sia una presa di coscienza anche grazie al cinema".

Pitts cita tra i suoi modelli cinematografici Kubrick e Pasolini. "Ma più di tutti ammiro John Cassavetes, anche se non saprei mai fare cinema come lui. E' un mistero come riuscisse ad andare al di là della realtà restando realistico. In comune, tutti i miei registi preferiti, hanno una cosa: riescono comunque a restare se stessi, spero di farcela anch'io".

In ultimo una considerazione sul fatto che nel film si vede l'incontro tra due personaggi che si chiamano Jesus e Maometto. "Sì, voleva essere ironico, non dimenticate che sono iraniano. E poi è un modo per puntare il dito contro l'assurdità di tutte le guerre di religione".

 
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Bouli Lanners, tra il western ed Ettore Scola

Post n°13013 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Michela Greco15/02/2016
Il cineasta belga rende omaggio all'autore italiano: "Ho rivisto recentemente alcuni film di Ettore Scola, sono magnifici. Brutti, sporchi e cattivi, ma soprattutto Una giornata particolare"
BERLINO - Mentre si avvicina la fine del mondo, due ragazzi ritardati sono in fuga tra paesaggi sconfinati percorsi da Cochise e Gilou (Albert Dupontel e Bouli Lanners) alla ricerca di un telefono rubato, da un signore che dice di chiamarsi Gesù, da un vecchietto debole ma paterno (Michael Lonsdale) e da un prete distinto (Max Von Sydow). È il mondo sognante e surreale del belga Bouli Lanners, che ha portato al Panorama della Berlinale il suo The first, the last, road movie sul senso della vita che mescola western, noir e commedia. 

I due protagonisti sono i più deboli e i più perseguitati... Questo è anche un film politico? 

Anche se ho eliminato ogni aspetto sociale, visto che il film è ambientato in un luogo indefinito, The first the last racconta la società attraverso i due protagonisti: persone in migrazione permanente, che cercano di arrivare da qualche parte ma vengono sistematicamente respinti. Ho riportato una visione della società che basa tutti i suoi rapporti sulla paura ed elimina le relazioni umane. 

È stata proprio la paura il punto di partenza? 

Siamo passati dalla società della malinconia a quella della paura. Oggi c'è una sensazione molto forte di fine del mondo alimentata dall'attualità politica, da Daesh, dal terrorismo, dalle banche in crisi, dallo stato del pianeta e dall'allarme ambientalista, dalle scadenze pressanti: ci dicono che se non cambiamo stile di vita, tra non molto il mondo collasserà. Per la prima volta da secoli non abbiamo uno sguardo fiducioso verso il futuro. Il futuro ci fa paura.  

Una paura universale, ma anche personale... 
C'è un parallelismo tra il personaggio di Gilou, che ha paura di morire e sente la sua scadenza avvicinarsi perché è malato, e la paura della fine del mondo. Volevo fare questo film prima che gli avvenimenti politici alimentassero questa intenzione. È importante parlare della paura e dire che finché l'uomo è al centro, le cose sono possibili. Bisogna esprimere l'amore e pensare che, anche se c'è una scadenza, bisogna vivere a fondo con più umanità possibile. 

Ci sono molti parallelismi con Dio esiste e vie a Bruxelles del suo collega Van Dormael. 

È strano che io e Van Dormael abbiamo scritto due film così vicini nello stesso periodo. La sua però è una favola, mentre nel mio il misticismo è reale perché sono credente. Trovavo importante inserire questa dimensione, senza parlare di Dio ma mettendolo in scena in modo divertente, come presenza spirituale che fa parte di una ricerca filosofica molto forte nel mio percorso personale. 

Il film racchiude molti generi, lei come lo definirebbe? 

Per me è un western contemporaneo metafisico-esistenziale con un finale felice, che ingloba un road movie e un noir. È uno strano incrocio tra tutti i generi che amo, in una storia che mi ha permesso di mescolarli tutti.

Lo considera il suo film più personale? 
Assolutamente sì, a un certo punto sono diventato il personaggio di Gilou perché avevo la sua stessa patologia cardiaca e sono stato operato. Mi sono davvero messo a nudo. Ciò che dico nel film l'ho applicato a me stesso: Vivere non è solo respirare. Lo considero un film che chiude un ciclo e sono contento che sia a Berlino, dove tutto è cominciato 11 anni fa col mio primo film. 

Perché ha voluto attori come Max Von Sydow e Michale Lonsdale? 

Nel caso di Lonsdale serviva un personaggio molto anziano con i capelli lunghi, sapevo che è molto credente e che poteva funzionare nella mia dinamica di ricerca di un padre spirituale. Una volta che lui ha accettato serviva un attore del suo stesso livello e ho pensato a Max Von Sydow, che si porta dietro una serie di fantasmi legati al Settimo sigillo e a L'esorcista

Nel cinema italiano c'è qualcosa che ama particolarmente? 
Ho rivisto recentemente alcuni film di Ettore Scola, sono magnifici. Brutti, sporchi e cattivi mi aveva traumatizzato quando ero piccolo perché non vedevo la favola, ma mi sembrava tutto reale e mi sentivo in empatia con i personaggi. Quando l'ho rivisto da grande ho ritrovato le stesse sensazioni forti. Ma il film più bello di Scola è Una giornata particolare. Lui diceva una cosa molto bella e molto vera: che il teatro è fermo, ma il cinema si muove, e ogni film si rinnova e si trasforma a seconda delle persone che se ne appropriano.

 
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Alone in Berlin: storia di resistenza universale, ispirata a Scola

Post n°13012 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino15/02/2016
BERLINO –  1940. La capitale tedesca è paralizzata dalla paura. Otto e Anna Quangel sono una coppia proletaria, che vive in un umile appartamento cercando di stare fuori dai guai provocati dal governo nazista. Ma quando il loro unico figlio viene ucciso al fronte, la loro perdite li porta a uno straordinario atto di resistenza. Cominciano a distribuire cartoline anonime per tutta la città, attaccando Hitler e il suo regime. Essere scoperti significherebbe esecuzione certa. Presto la campagna arriva all’attenzione di un ispettore della Gestapo e inizia un gioco di caccia del gatto con il topo. Ma la volontà di Otto e Anna è inarrestabile, e l’amore dell’uno verso l’altra si rafforza ancora di più. Presto la loro unione diventa un silenzioso ma potente centro di resistenza. 

Il film Alone in Berlin, in concorso alla 66ma Berlinale, è diretto da Vincent Perez, interpretato, tra gli altri, da Emma Thompson, Brendan Gleeson e Daniel Brühl e tratto dal romanzo di Hans Fallada (intitolato in Italia ‘Ognuno muore solo’), bestseller mondiale basato su una storia vera. Il cast è internazionale, e il film è girato in inglese, pur ambientandosi in Germania e pur essendo Brühl un madrelingua tedesco: “Volevo che il linguaggio fosse universale – dice il regista Perez, che è anche un attore piuttosto noto ma non compare sullo schermo in questa pellicola – è una storia scritta non solo per i tedeschi ma per tutti, francesi, spagnoli, americani. Quello che mi interessava era mantenere lo spirito del romanzo. Fallada è nel film, lo attraversa tutto, volevo che le atmosfere fossero fedeli e tangibili. Ho dovuto sacrificare alcuni personaggi, ci siamo concentrati su questa coppia e questa storia d’amore, la necessità di ricostruire una relazione dopo la perdita di un figlio, è un microcosmo estremamente interessante. Non è un film politico, sono le emozioni che mi interessano. Mi hanno ispirato molto anche l'estetica e poetica del neorealismo italiano, ma anche i film tedeschi degli anni ’20”. Ma il principale spunto è stato Ettore Scola con Una giornata particolare. Prima di girare lo abbiamo rivisto con il cast e la crew”. 
 
Al cast viene richiesta una dichiarazione per quanto riguarda l’emergenza europea sui rifugiati, che la Thompson rifugge con ironia: “Andiamo bene! Una domanda che non c’entra assolutamente nulla con il nostro film!”. Risponde invece Brühl, che afferma: “Il film tratta un tema ancora rilevante e attuale, ossia il dilagare degli estremismi di destra, che sono come un morbo dal quale dobbiamo sempre tentare di renderci immuni. Soprattutto non dobbiamo lasciare che questo morbo si espanda. Ed è questo che il film mostra. Il mio personaggio – spiega  l'attore - rappresenta in qualche modo la storia del paese. Non tutti erano nazisti ma alla fine venivano intimoriti, forgiati e convertiti. Molti hanno sperimentato questo processo sulla propria pelle. E poi c’era gente coraggiosa che non aveva paura e cercava di fare la differenza, rischiando tutto per cambiare”. 

A Emma Thompson viene richiesta anche una riflessione sul suo trovarsi spesso a lavorare con registi che sono anche attori, come in questo caso e in quello di Branagh: “Non ci trovo nulla di così particolare – dice l’attrice – non necessariamente un regista che è anche attore dirige meglio. Quello che è difficile è quando si recita e si dirige insieme. Ma l'esperienza con Vincent è stata straordinaria. Aveva una sorta di barometro interno, capiva subito tutto senza bisogno che ci dicessimo una parola, e forse questo dipende dal fatto che è anche un'attore".

 
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Nastro speciale a "Fuocoammare"

Post n°13011 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Car. Di16/02/2016
"Grande cinema, con un effetto di denuncia potente che richiama i governi del mondo a responsabilità colpevoli e ormai indilazionabili”. Con questa motivazione, che sottolinea la qualità artistica ma anche la straordinaria capacità di incidere nell’attualità di una vergognosa pagina internazionale, i giornalisti cinematografici italiani hanno assegnato un Nastro d’Argento speciale per il documentario a Gianfranco Rosi

"Con Fuocoammare, appena presentato con grande successo alla Berlinale, in concorso per l’Italia, Rosi è autore di un film – dice il SNGCI - che rappresenta un caso due volte speciale: per l'alta qualità narrativa, non c'è dubbio, ma soprattutto per il modo in cui mette il cinema al servizio di una denuncia d'attualità, sul tema delle migrazioni, mai tanto determinata. Con questo film, che affida la sua forza non solo narrativa alla rappresentazione più diretta della realtà, senza nessuna concessione retorica, Rosi riesce a mostrare agli spettatori, rendendoli partecipi di una tragedia mondiale, quello che l'occhio pigro del mondo continua a non vedere, lasciando all'Italia e ad un lembo di terra abitato da gente speciale come i lampedusani, la responsabilità di gestire il dramma di un Olocausto contemporaneo senza precedenti".  

I giornalisti cinematografici hanno deciso di anticipare la notizia del premio che attende Rosi la sera del 25 febbraio prossimo alla Casa del Cinema di Roma, perché anche il Nastro, che il regista riceve per la seconda volta dopo il premio andato a Sacro GRA, possa rappresentare un invito in più ad andare a vedere il film per confrontarsi con un’opera, da dopodomani nelle sale, che ci consegna una pagina di grande cinema civile nel segno della solidarietà, oltre l’indifferenza che, sulla tragedia dei migranti, neanche il più militante giornalismo d’inchiesta è riuscito ancora a sconfiggere. 

Gianfranco Rosi, appena rientrato dalla Germania, definisce ''spiazzante'' lo straordinario favore avuto dal suo film girato in un anno e mezzo nell'isola di Lampedusa dove il regista si è trasferito per raccontare la vita sospesa di quella scheggia di terra più vicina all'Africa che all'Italia diventata negli ultimi anni centrale per le rotte dei rifugiati. ''E' un film politico - ha sottolineato Rosi - e a Berlino è emerso questo elemento in tutta la sua chiarezza, forse per questo ha avuto un così forte impatto. Mette in luce la necessità di una politica europea seria e univoca sul tema dell'accoglienza altrimenti questa ecatombe resterà un problema e come già comincia ad accadere oggi quei disastri in mare non ci faranno più effetto''.

E proprio la documentazione di un naufragio è stato l'evento scioccante per il regista che a quel punto, era nel settembre scorso e le riprese erano in corso da mesi, ha deciso di chiudere il film e montarlo non potendo più sopportare altre scene come quelle che gli si erano presentate davanti: la stiva di un barcone piena di cadaveri. ''Filmare la morte - ha detto il documentarista - è orribile, ero paralizzato. Avevo filmato tanti arrivi a Lampedusa, tante persone malate e moribonde per le difficoltà della navigazione ma una scena come quella, che mi ricordava le pile di cadaveri delle camere a gas, non si poteva descrivere. E' stato il comandante della nave militare italiana su cui ero imbarcato per le riprese a convincermi, a quel punto ho trovato la forza, ho sentito come un dovere filmare e sono sceso giù a riprendere. In quel momento il film per me è finito''.

''Sono felicissimo che la stampa italiana sia così compatta nel sostenere un film che al di là di me e del mio lavoro sta suscitando reazioni molto forti in Italia e nella stampa internazionale. Reazioni che mi fanno capire come questa realtà vada ancora guardata per arrivare a una consapevolezza su una delle più grandi tragedie dei nostri tempi'', ha concluso Rosi commentando il nastro speciale del Sngci.

 
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Il genio dietro al genio: l’arte dell’editing

Post n°13010 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Andrea Guglielmino16/02/2016
BERLINO – Colin Firth e Jude Law sono le star della giornata, giunti alla Berlinale per presentare il film Genius, basato sul rapporto di amicizia e lavoro dello scrittore Thomas Wolfe (Law) e dell’editor Max Perkins (Firth), già scopritore del talento di  Ernest Hemingway e F. Scott Fitzgerald. Wolfe emerge come un fiume in piena, capace di inviare manoscritti di oltre 1.000 pagine, ma con intuizioni talmente entusiasmanti che Perkins non può evitare di restarne affascinato, convincendosi – a ragione – di trovarsi di fronte a un genio della letteratura. Purtroppo, il carattere di Wolfe è difficile, scostante e tendente agli eccessi, e solo con la guida di un mentore razionale e concentrato come Perkins può sperare di rendere la sua arte fruibile e raggiungere il successo. Il cast, coadiuvato anche da una Nicole Kidman estremamente intensa nel ruolo della moglie di Wolfe, recita con potenza e ritmo, seguendo una sceneggiatura che riporta tutta la velocità, la precisione e la musicalità del lavoro di editing: “Per fortuna – racconta il regista Michael Grandage – avevamo accesso a molto materiale d’archivio, e questo ha permesso molto bene di rendere l’idea e la complessità di questo lavoro. Pochi sanno di cosa si occupano veramente gli editori, ed è invece una occupazione interessante e difficilissima. Alla base poi c’era una bellissima biografia, scritta da Scott Berg,‘Max Perkins: Editor of Genius’, adattata da John Logan”. 

“Grazie a questo film ho letto tutto quello che non avevo letto di Hamingway e ho riscoperto Scott Fitzgerald, che da ragazzo avevo trascurato. Perkins e Wolfe sono due punti di partenza ideali per riscoprire questa meravigliosa letteratura. Quello che mi ha interessato di Perkins come personaggio – approfondisce Firth –  è la sua volontà di mantenersi assolutamente fedele allo stile e alla sintassi dell’autore. Non vuole riscrivere i romanzi, vuole solo accorciarli e renderli leggibili per il pubblico. E nessuno sapeva in realtà quale fosse il suo lavoro. Ha mantenuto la sua integrità di giudizio, ha lavorato con autori quali Hemingway e Fitzgerald, e non lo ha fatto per cercare la celebrità, anzi voleva rimanere invisibile, non cercava gli autografi dei suoi scrittori preferiti, ma basta confrontare le edizioni dei primi testi di Wolfe con quelli curati da lui per capire quanto la sua parte fosse importante. Non si tratta solo di correggere gli errori di ortografia e pulire i testi. Nell’editing c’è molta più creatività di quanto si possa pensare. A quell’epoca non c’erano certo gli strumenti che abbiamo oggi per metterci in mostra e condividere le nostre esperienze, facebook, instagram e via dicendo, anche con una certa dose di esibizionismo. L’ho interpretato con un personaggio in costume, con questo cappello calcato costantemente in testa, ed è incredibilmente stimolante recitare un personaggio così, perché devi fare un gran lavoro di sottrazione, e si può fare in un’infinità di varianti”. 

“Il tratto distintivo di Wolfe – prosegue invece Law – è il suo tentativo costante di scuotere le cose, trovare una nuova voce, un nuovo punto di vista, e mettersi in una nuova direzione. Aveva capacità inredibili, lasciava fluire totalmente la creatività, tanto che ha prodotto una gran quantità di materiale nel corso di una vita molto breve. Ma se non fosse stato per Perkins nessuno avrebbe mai letto le sue opere. Ho dovuto chiaramente adattare il mio accento, lavorando sulla fonetica, ma questo aspetto non mi ha creato troppi problemi, ho fatto cose più difficili. Fin dal principio mi è stato subito chiaro, con Colin, che noi dovessimo sviluppare una specie di 'staccato'. Abbiamo provato all'infinito". 

Nel  cast anche Guy Pearce, nel ruolo di F. Scott Fitzgerald, in una scena particolarmente intensa “ispirata alla realtà dei fatti – dice l’attore – Wolfe andò veramente a visitarlo mentre lui stava scrivendo delle sceneggiature e si confrontarono su Perkins, come nel nostro film. Non ho preferenze tra una grande o una piccola produzione. Io scelgo solo in base al personaggio, se mi ci posso relazionare o meno. E anche a seconda dell’originalità della storia, e se considero il regista qualcuno con cui posso relazionarmi bene…insomma le mie decisioni toccano più un livello emozionale che altro". 

 
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Film nelle sale da giovedi

Post n°13009 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 


Il sentiero della felicità
Awake: The Life of Yogananda
  • DATA USCITA: 16/02/2016
  • GENERE: Documentario
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2014
  • REGIA: Lisa Leeman, Paola Florio
  • CAST:

Locandina: Cinquanta sbavature di Nero
Cinquanta sbavature di Nero
Fifty Shades of Black
  • DATA USCITA: 18/02/2016
  • GENERE: Comico, Parodia
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Michael Tiddes
  • CAST: Marlon Wayans, Kali Hawk, Mike Epps

Locandina: Deadpool
Deadpool
Deadpool
  • DATA USCITA: 18/02/2016
  • GENERE: Azione, Commedia, Fantasy
  • NAZIONALITA': USA, Canada
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Tim Miller
  • CAST: Ryan Reynolds, Morena Baccarin, T.J. Miller

Locandina: Fuocoammare
Fuocoammare
Fuocoammare
  • DATA USCITA: 18/02/2016
  • GENERE: Documentario
  • NAZIONALITA': Italia, Francia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Gianfranco Rosi
  • CAST:

Locandina: Il caso Spotlight
Il caso Spotlight
Spotlight
  • DATA USCITA: 18/02/2016
  • GENERE: Drammatico
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Thomas McCarthy
  • CAST: Rachel McAdams, Mark Ruffalo, Michael Keaton

Locandina: _nda su _nda
Onda su Onda
Onda su Onda
  • DATA USCITA: 18/02/2016
  • GENERE: Commedia
  • NAZIONALITA': Italia
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Rocco Papaleo
  • CAST: Rocco Papaleo, Alessandro Gassmann, Massimiliano Gallo

Locandina: The Danish Girl
The Danish Girl
The Danish Girl
  • DATA USCITA: 18/02/2016
  • GENERE: Drammatico, Biografico
  • NAZIONALITA': Gran Bretagna, USA
  • ANNO: 2015
  • REGIA: Tom Hooper
  • CAST: Eddie Redmayne, Alicia Vikander, Amber Heard

Locandina: Zootropolis
Zootropolis
Zootopia

  • DATA USCITA: 18/02/2016
  • GENERE: Animazione, Azione, Avventura, Commedia, Family
  • NAZIONALITA': USA
  • ANNO: 2016
  • REGIA: Byron Howard, Rich Moore
  • CAST: Ginnifer Goodwin, Jason Bateman, Paolo Ruffini

 
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Box Office, "Perfetti sconosciuti" sbanca i botteghini e spodesta Tarantino

Post n°13008 pubblicato il 16 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

“Perfetti sconosciuti” sbanca i botteghini: la nuova commedia di Paolo Genovese con il suo cast all star e i 3.326.037 euro realizzati nel primo week end salta in cima alla hit parade degli incassi. Segue, al secondo posto, il western di Tarantino “The Hateful Eight”, con 6.554.590. Si piazza al terzo la commedia demenziale sul mondo della moda “Zoolander 2” (1.203.272), al quarto un’altra commedia americana, “Single ma non troppo” (955.321), al quinto Verdone e Albanese mattatori di “L’abbiamo fatta grossa” (7.207.609).

In sesta posizione troviamo il cartoon “Il viaggio di Norman” (1.140.097), seguito da “Revenant – Redivivo” che, forte del grande protagonista Di Caprio e delle 12 candidature all’Oscar, totalizza 13.081.822. Ottavo in classifica è il (discutibile) remake di “Point Break” (3.255.254), nono “Joy” (2.480.091). Resta nei magnifici 10, all’ultimo posto, il film dei record “Quo vado?” di Checco Zalone: ancora presente in 114 sale, ha totalizzato 65.070.630. E continua, continua sia pure al di fuori della hit parade, la marcia trionfale di “il ponte delle spie” di Spielberg: è arrivato a 10.767.745.

 
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