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Messaggi del 18/02/2016

 

Attacca pure Morales: il Fatto Quotidiano, il peggior giornale oggi in Italia da lantidiplomatico.it

Post n°13026 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Attacca pure Morales: il Fatto Quotidiano, il peggior giornale oggi in Italia
 

di Alessandro Bianchi
 
Il Fatto Quotidiano, il peggior giornale oggi in Italia. Un'affermazione troppo forte? Pensando alla capacità di mistificazione raggiunta da Repubblica, Corriere della Sera, sembrerebbe. Ma rispetto al quotidiano diretto da Marco Travaglio, i giornali proprietà del gruppo De Benedetti e RCS (Fiat, Mediobanca, Finsoe, Pirelli tra gli altri) hanno il vantaggio della linea editoriale, che è chiara e non nasconde di servire gli interessi interni ed internazionali del regime neo-liberale.
 
E il Fatto Quotidiano? Ha cercato di vivere nell'ambiguità per un po' ma ha ormai gettato la maschera. Oggi il quotidiano titola: "Bolivia, scandalo Morales: “Ebbe figlio da una 18enne, oggi dirigente di azienda che prende appalti pubblici milionari”. 
 
Senza nessuna prova e lucrando su vicende squisitamente personali di oltre 11 anni fa, il Fatto Quotidiano si fa il portavoce italiano delle destre boliviane, finanziate dagli Stati Uniti, in vista del prossimo referendum. Quelle destre che vorrebbero far tornare il paese una colonia del regime neo-liberale.

La Bolivia di Evo Morales ha raggiunto questi obiettivi, tra gli altri: dal 2005 al 2015, la povertà assoluta è stata ridotta dal 38,2% al 17,8% (e continua a scendere); la disuguaglianza sociale è stata abbattuta del 300% (è prevista un'altra riduzione del 25% entro il 2020); la disoccupazione è passata dall'8% al 3,2%; il Pil si è quadruplicato; il salario minimo quadruplicato, la spesa pubblica per le questioni sociali dieci volte superiori. Mai una riga su il Fatto Quotidiano di tutto questo. Delle conquiste sociali, mai una riga. Quando si tratta di lucrare di vicende personali per gettare fango e fare un favore alle destre neo-liberali subito in prima fila.
 
Ma qual è, quindi, la linea politica de il Fatto Quotidiano? In politica interna, il quotidiano diretto da Marco Travaglio ripete all'ossessione il mantra che siamo un popolo di corrotti (e quindi dobbiamo continuare a essere governati dall'esterno); il giornale si è voluto trasformare nel primo grado di giudizio del nostro paese con i resoconti dei Pm come sentenze di condanna e le intercettazioni telefoniche offerte al pubblico divertimento. Per il resto tanta inutilità che non chiarisce mai quali siano le posizioni di politica economica, industriale, energetica che si vogliano portare avanti.
 
Ma è in politica estera, come dimostra l'articolo sul presidente della Bolivia Morales, che il quotidiano fornisce sempre il peggio di sé. Esce una menzogna del famigerato Osservatorio siriano dei diritti umani sulla Siria, il Fatto Quotidiano anticipa tutti nella pubblicazione. Esce una menzogna del New York Times, il totem delle falsificazioni mondiali, e il Quotidiano di Travaglio gareggia con il resto del circo mediatico su chi riesce a venerarlo prima. Guerra economica globale contro il Venezuela e il Fatto Quotidiano sempre in prima linea, ma per attaccare il “regime” di Maduro, che ha la colpa di continuare la via sovrana e indipendente iniziata da Chavez. Guerra mediatica contro la Russia ogni giorno e il Fatto Quotidiano sempre tra i primi del circo mediatico ad amplificare la "minaccia" della Russia.
 
Il Fatto Quotidiano è, in poche parole, l'estrema rappresentazione del politicamente corretto, che utilizza il mantra dei "diritti umani" per farsi da portavoce della campagna (dis)informativa di regime, che ha ormai raggiunto vette vergognose. E, in questo modo, il Fatto è il porta-bandiere ormai in Italia delle famigerate "organizzazioni a tutela dei diritti umani". Organizzazioni spesso con sede negli Stati Uniti, che non si accorgono che la polizia del regime di Washington uccide una persona ogni 6,5 ore; tralasciano come dato importante che 46 milioni di nord-americani si rivolgono alla banca alimentare ogni anno; non considerano rilevante mai, infine, che nel paese è detenuta il 25% della popolazione carceraria del mondo. Non se ne accorgono le organizzazioni dei "diritti umani", figuriamoci il Fatto Quotidiano.
 
Non si accorgono di nulla all'interno, dicevamo, e, figuriamoci del “terrorismo” per usare un'espressione di Noam Chomsky, all'esterno, della campagna droni in Pakistan e Yemen, o dello sterminio di civili in Iraq, per fare solo due delle decine di esempi che potremmo fare sul regime più sanguinario dell'epoca recente. Per un misterioso incantesimo, tuttavia, e perché i finanziatori di questi guardiani della democrazia e dei diritti umani coincidono spesso con quelli delle corporazioni della stampa, i loro rapporti liberi, indipendenti, trasparenti e tutti gli aggettivi che finiscono in -enti che si auto-attribuiscono, forniscono a Wasghington sempre il pretesto per invadere il paese successivo. La linea de il Fatto Quotidiano persegue proprio questi obiettivi.
 
Lasciando spazio ad alcuni blogger interessanti, ma solo per la versione on-line, il Fatto, che purtroppo condiziona anche le scelte politiche di alcuni, crede di aprire il "dibattito". In realtà fa solo qualche clic per la pubblicità. E' la linea editoriale che conta. Del resto, il suo direttore, Marco Travaglio, negli anni non ha mai scritto una singola parola su interessi e tangenti delle lobby militari negli Usa; mai una parola sugli interessi e la corruzione delle lobby dell'Unione Europea o della Bce; mai una lettera su TTIP, NATO, FMI, sistema euro. Di tutto ciò che realmente conta per il futuro del mondo, mai un articolo. O vogliamo davvero credere che i destini del mondo dipendano da Mediaset?
 
E' possibile accettare che il direttore di un giornale non si esprima su queste tematiche? Nel silenzio-assenso, la linea editoriale è divenuta ora chiara: attaccare chi cerca una via indipendente e sovrana dal regime neo-liberale come la Bolivia. Tra un nemico dichiarato (Repubblica e Corriere) e un finto imparziale, sempre meglio il primo. Per questo oggi, il Fatto Quotidiano, è indiscutibilmente il peggior giornale oggi in circolazione.

Questo il link del Fatto:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02/18/bolivia-scandalo-morales-ebbe-figlio-da-una-18enne-oggi-dirigente-di-azienda-che-prende-appalti-pubblici-milionari/2473153/

 
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Il caso Spotlight

Post n°13025 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Il caso Spotlight

Post n°13024 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Titolo originale: Spotlight

Poster

Il caso Spotlight racconta la storia del team di giornalisti investigativi del Boston Globe soprannominato Spotlight, che nel 2002 ha sconvolto la città con le sue rivelazioni sulla copertura sistematica da parte della Chiesa Cattolica degli abusi sessuali commessi su minori da oltre 70 sacerdoti locali, in un'inchiesta premiata col Premio Pulitzer. Quando il neodirettore Marty Baron arriva da Miami per dirigere il Globe nell'estate del 2001, per prima cosa incarica il team Spotlight di indagare sulla notizia di cronaca di un prete locale accusato di aver abusato sessualmente di decine di giovani parrocchiani nel corso di trent’anni. Consapevoli dei rischi cui vanno incontro mettendosi contro un'istituzione com la Chiesa Cattolica a Boston, il caporedattore del team Spotlight, Walter "Robby" Robinson, i cronisti Sacha Pfeiffer e Michael Rezendes e lo specialista in ricerche informatiche Matt Carroll cominciano a indagare sul caso. Via via che i giornalisti del team di Robinson parlano con l'avvocato delle vittime, Mitchell Garabedian, intervistano adulti molestati da piccoli e cercano di accedere agli atti giudiziari secretati, emerge con sempre maggiore evidenza che l'insabbiamento dei casi di abuso è sistematico e che il fenomeno è molto più grave ed esteso di quanto si potesse immaginare.

NOTE:

Presentato Fuori Concorso al Festival di Venezia 2015.
Candidato a 6 Premi Oscar (2016).

 
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Onda su onda

Post n°13023 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Ruggero (Alessandro Gassmann) è un cuoco solitario e Gegè (Rocco Papaleo) un esuberante cantante che deve raggiungere Montevideo per un concerto, occasione imperdibile per il suo rilancio. All'inizio tra i due non corre buon sangue, ma un evento inaspettato li costringerà ad una amicizia forzata. Nella capitale uruguagia li accoglierà una donna, Gilda Mandarino (Luz Cipriota), l'organizzatrice dell'evento. Ma non tutto andrà come previsto...

 

NOTE:

Canzoni di: Rocco Papaleo, Arturo Valiante e Francesco Montefiore

 
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Fuocoammare

Post n°13022 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Poster
Nel suo viaggio intorno al mondo per raccontare persone e luoghi invisibili ai più, dopo l'India dei barcaioli (Boatman), il deserto americano dei drop-out (Below Sea Level), il Messico dei killer del narcotraffico (El Sicario - Room 164), la Roma del Grande Raccordo Anulare (Sacro Gra), Gianfranco Rosi è andato a Lampedusa, nell'epicentro del clamore mediatico, per cercare, laddove sembrerebbe non esserci più, l'invisibile e le sue storie. Seguendo il suo metodo di totale immersione, Rosi si è trasferito per più di un anno sull'isola facendo esperienza di cosa vuol dire vivere sul confine più simbolico d'Europa raccontando i diversi destini di chi sull'isola ci abita da sempre, i lampedusani, e chi ci arriva per andare altrove, i migranti. Da questa immersione è nato Fuocoammare. Racconta di Samuele che ha 12 anni, va a scuola, ama tirare con la fionda e andare a caccia. Gli piacciono i giochi di terra, anche se tutto intorno a lui parla del mare e di uomini, donne e bambini che cercano di attraversarlo per raggiungere la sua isola. Ma non è un'isola come le altre, è Lampedusa, approdo negli ultimi 20 anni di migliaia di migranti in cerca di libertà. Samuele e i lampedusani sono i testimoni a volte inconsapevoli, a volte muti, a volte partecipi, di una tra le più grandi tragedie umane dei nostri tempi.
  • SCENEGGIATURAGianfranco Rosi
  • FOTOGRAFIAGianfranco Rosi
  • MONTAGGIOJacopo Quadri
  • PRODUZIONE: Stemal Entertainment, 21 Unofilm, Cinecittà Luce
  • DISTRIBUZIONE: Istituto Luce Cinecittà
  • PAESE: Italia, Francia
  • DURATA: 108 Min

 
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The danish girl

Post n°13021 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Copenhagen, primi anni 20. L'artista danese Gerda Wegener dipinge un ritratto del marito Einar vestito da donna. Il dipinto raggiunge grande popolarità e Einar inizia a mantenere in modo permanente un’apparenza femminile, mutando il suo nome in Lili Elbe. Spinto da ideali femministi e supportato dalla moglie, Elbe tenta di effettuare il primo intervento per cambio di sesso da uomo a donna. L’intervento avrà grosse ripercussioni sul suo matrimonio e sulla sua identità.

 

NOTE:

Presentato in Concorso al Festival di Venezia 2015.

 
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Joy

Post n°13020 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

David O. Russell si muove in un mondo perfettamente disegnato dalla sua percezione dell’American Way of Life. Alla sostanza delle storie che ci ha raccontato ha applicato la sua personalissima lente d’ingrandimento con costante efficacia. E nella forma in cui vede le cose, rientra anche la sua squadra di stelle, il cui nucleo resta invariato per il terzo film consecutivo.

Joy è la storia di una famiglia sull’orlo di un vorticoso ed eterno fallimento che si avvia al culmine, fino a quando la disperazione diventa così forte da generare la speranza. Ingegnosa inventrice di soluzioni domestiche sin da bambina, Joy (Jennifer Lawrence) è un’adulta che stenta a mantenere se stessa, i figli, la madre soap-opera dipendente e un ex marito che continua a vivere sotto il suo stesso tetto.Joy posterCostretta ad affrontare il mondo reale, mentre le persone che la circondano hanno preferito rifugiarsi nel proprio, troverà nelle sua vocazione la forza per costruire un impero dal duraturo successo, che inizierà con l’invenzione del rivoluzionario Miracle Mop (mocio).

Ai fondamentali fatti reali ai quali si ispira il film, O. Russell sovrappone una struttura di tipo teatrale nella gestione degli spazi e dei corpi degli attori. L’intero peso materiale del film è affidato alla sua eroina ed è in questo ordine di idee che è costruita non solo la sceneggiatura, ma anche la scenografia. Joy attrae l’occhio dello spettatore con un’architettura che si basa su una meccanica di incastro, coerente con laforma mentis del personaggio di cui si narra. L’eroina è sola, così come l’attrice che ne veste i panni: sulle spalle di Jennifer Lawrence c’è tutta la struttura drammaturgica del film. Un peso che l’attrice regge bene – le è valso anche un Golden Globe – ma che non riesce a convincere fino in fondo.

Il risultato è un film che si fa ricordare soprattutto per la consueta atmosfera grottesca, doppiamente messa in risalto dalla spassosa soap opera che apre il film e ne intervalla gli atti. Un espediente interessante, che non riesce però a sviluppare fino in fondo la sua carica comica e richiama alla memoria la lynchiana Invito all’amore, riflettendo una volta di più la forma rovesciata dell’American Dream messo in scena dal regista. Impossibile, mentre ci si muove tra le mura della casa di Joy, non pensare alla stramba famiglia Ward (The Fighter). Un’analogia che fa suonare il campanello dall’allarme della ripetitività dell’autore su formule collaudate, ma che non può non far pensare a una precisa scelta di poetica, sull’America dell’ultimo ventennio che, se da una parte contribuisce alla celebrazione del successo capitalistico, dall’altra ne svela l’elemento disturbante e disturbato, con personaggi che sembrano essere stati creati in serie.

 
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L'abbiamo fatta grossa

Post n°13019 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

È da Io, loro e Lara che Carlo Verdone ha cambiato punto di vista. Per decenni ha interpretato personaggi benestanti, per decenni il denaro non è stato un problema fondamentale dei suoi film e i suoi caratteri erano derelitti più che altro per problemi personali e di approccio alla vita. Dal film del 2009 invece ha deciso di raccontare la miseria umana che si accompagna alla miseria economica e i suoi protagonisti sono diventati tutte vittime di difficoltà economiche. Non si tratta di persone che poco abbienti lo sono da sempre ma di “nuovi poveri”, senza prospettive di guadagno vero e il cui unico obiettivo è fare 4 soldi. Per questo forse questi film ricordano la comica miseria e il semplicismo di molta commedia italiana anni ‘50, in cui le aspirazioni minime dei protagonisti si traducevano in piccole truffe, vite di espedienti e una piccineria comica esilarante.

 

C’è dunque il denaro anche al centro di L’Abbiamo Fatta Grossa, è un MacGuffin, un espediente come un altro per scatenare il movimento, l’azione, le gag e l’intreccio. I soldi arrivano dentro ad una valigetta che muove la storia. A recuperarla per errore è un investigatore privato da nulla (che vive in casa con la zia per non pagare l’affitto), indagando su un caso d’infedeltà per conto di un attore squattrinato. I due hanno un grande bisogno di denaro, proprio quello che la valigetta contiene a colpi di biglietti da 500 euro. Com’è facile immaginare quei soldi appartengono a qualcuno di pericoloso, qualcuno che si farà avanti per riaverli proprio quando i due per errore sembrano averli persi. L’intreccio non ha nulla di creativo ma il film invece sì.

Forse proprio per questa leggerezza colpisce la maniera in cui intorno ai due protagonisti il film riesca a raccontare un mondo allo sfascio

Dopo Sotto una Buona Stella, girato, illuminato, montato e confezionato con una sciatteria unica, un livello infimo che aveva sorpreso moltissimo, considerati gli standard sempre equilibrati di Carlo Verdone, qualcosa deve essere successo. Stavolta infatti c’è Arnaldo Catinari alla fotografia (un’eccellenza) e sembra sia stata impiegata una cura molto superiore alla media nel confezionare il film, un rigore nello scegliere gli scenari, scenografarli e illuminarli che non può che fare piacere.

Tutto è ben accoppiato ad un’aria da commedia poliziesca che dona al film il ritmo migliore, anche grazie alla collaborazione con Antonio Albanese. L’affiancamento a questo coprotagonista e di fatto cosceneggiatore crea un’alchimia potente, un umorismo molto più fresco del solito di cui beneficiaVerdone in primis. Eppure, come sempre gli capita nei suoi film migliori, è nello sfondo che Carlo Verdone trova la risorsa migliore. L’Abbiamo Fatta Grossa non ha la seriosità e le pretese audaci dei suoi film migliori, tuttavia forse proprio per questa leggerezza colpisce la maniera in cui intorno ai due protagonisti il film riesca a raccontare un mondo allo sfascio, uno fatto di anziane con le visioni e le pulsioni insoddisfatte che vengono a bussare nel sonno, di persone che non hanno mai visto una banconota da 500 euro (è la gag ricorrente del film che si presenta ogni qualvolta i due vogliano spendere il denaro in questione) e di cantanti che in realtà lavorano in bar squallidissimi.
Muovendosi in un territorio per lui inusuale Verdone ha trovato una felicità realizzativa confortante.

 
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L'abbiamo fatta grossa

Post n°13018 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

È da Io, loro e Lara che Carlo Verdone ha cambiato punto di vista. Per decenni ha interpretato personaggi benestanti, per decenni il denaro non è stato un problema fondamentale dei suoi film e i suoi caratteri erano derelitti più che altro per problemi personali e di approccio alla vita. Dal film del 2009 invece ha deciso di raccontare la miseria umana che si accompagna alla miseria economica e i suoi protagonisti sono diventati tutte vittime di difficoltà economiche. Non si tratta di persone che poco abbienti lo sono da sempre ma di “nuovi poveri”, senza prospettive di guadagno vero e il cui unico obiettivo è fare 4 soldi. Per questo forse questi film ricordano la comica miseria e il semplicismo di molta commedia italiana anni ‘50, in cui le aspirazioni minime dei protagonisti si traducevano in piccole truffe, vite di espedienti e una piccineria comica esilarante.

 

C’è dunque il denaro anche al centro di L’Abbiamo Fatta Grossa, è un MacGuffin, un espediente come un altro per scatenare il movimento, l’azione, le gag e l’intreccio. I soldi arrivano dentro ad una valigetta che muove la storia. A recuperarla per errore è un investigatore privato da nulla (che vive in casa con la zia per non pagare l’affitto), indagando su un caso d’infedeltà per conto di un attore squattrinato. I due hanno un grande bisogno di denaro, proprio quello che la valigetta contiene a colpi di biglietti da 500 euro. Com’è facile immaginare quei soldi appartengono a qualcuno di pericoloso, qualcuno che si farà avanti per riaverli proprio quando i due per errore sembrano averli persi. L’intreccio non ha nulla di creativo ma il film invece sì.

Forse proprio per questa leggerezza colpisce la maniera in cui intorno ai due protagonisti il film riesca a raccontare un mondo allo sfascio

Dopo Sotto una Buona Stella, girato, illuminato, montato e confezionato con una sciatteria unica, un livello infimo che aveva sorpreso moltissimo, considerati gli standard sempre equilibrati di Carlo Verdone, qualcosa deve essere successo. Stavolta infatti c’è Arnaldo Catinari alla fotografia (un’eccellenza) e sembra sia stata impiegata una cura molto superiore alla media nel confezionare il film, un rigore nello scegliere gli scenari, scenografarli e illuminarli che non può che fare piacere.

Tutto è ben accoppiato ad un’aria da commedia poliziesca che dona al film il ritmo migliore, anche grazie alla collaborazione con Antonio Albanese. L’affiancamento a questo coprotagonista e di fatto cosceneggiatore crea un’alchimia potente, un umorismo molto più fresco del solito di cui beneficiaVerdone in primis. Eppure, come sempre gli capita nei suoi film migliori, è nello sfondo che Carlo Verdone trova la risorsa migliore. L’Abbiamo Fatta Grossa non ha la seriosità e le pretese audaci dei suoi film migliori, tuttavia forse proprio per questa leggerezza colpisce la maniera in cui intorno ai due protagonisti il film riesca a raccontare un mondo allo sfascio, uno fatto di anziane con le visioni e le pulsioni insoddisfatte che vengono a bussare nel sonno, di persone che non hanno mai visto una banconota da 500 euro (è la gag ricorrente del film che si presenta ogni qualvolta i due vogliano spendere il denaro in questione) e di cantanti che in realtà lavorano in bar squallidissimi.
Muovendosi in un territorio per lui inusuale Verdone ha trovato una felicità realizzativa confortante.

 
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Renato Zero a Sanremo: cosa ha detto il cantante all’Ariston da corriere

Post n°13017 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Il cantautore romano e le sue parole dopo le canzoni che hanno emozionato Sanremo

di Valentina Baldisserri

Renato Zero acclamato dall’Ariston che gli ha riservato anche una standing ovation. Ma a colpire, prima il pubblico televisivo poi il popolo dei social, sono state anche le sue risposte alle domande di Carlo Conti. Ma vediamo cosa ha detto, parola per parola, il cantautore romano.

Pianerottolo e condominio

Quando il conduttore di Sanremo gli ha chiesto dell’album in uscita in aprile Renato Zero ha spiegato che si intitola «Alt»: «Perché è il momento di fermarsi un attimo a riflettersi, a guardarsi intorno. Significa dare un’occhiata al pianerottolo, al nostro condominio, perché se la guerra sta lì sta dappertutto..quindi dovremmo cercare un po’ di far pace con questi sorpassi.. perché se riusciamo a guadagnarci la macchina che è davanti a noi non abbiamo sicuramente risolto nulla della nostra vita...perché i sorpassi bisogna farli con i sacrifici, con le rinunce ..».

La famiglia

Pianerottolo, condominio, macchina, sorpassi. Cosa voleva dire veramente Renato Zero? Lo spiega alla sua maniera, arrivando poi al punto più chiaro, cioè la famiglia: «Io mi aspetto che questo disco ci consenta tutti (anche a me che l’ho scritto, che l’ho prodotto), che ci consenta di fermare un po’ le macchine, di guardare un po’ anche a questa nostra piccola vita privata, a questa famiglia. Che ottenga finalmente quel significato, quel valore che i nostri genitori, perlomeno i miei, mi avevano così felicemente inculcato. La famiglia è importante, se ne parla adesso come fosse una novità..da quella famosa capanna dove faceva molto freddo e il Signore era lontano quella notte, abbiamo imparato molto...abbiamo imparato che la convivenza deve essere esercitata fra le quattro pareti di casa e poi casomai avere l’ambizione che questo nostro pensiero si affermi anche altrove».

Renato Zero «Io alieno»

Le parole non finiscono qui. Perché Renato Zero, travolgente e coinvolgente con il medley dei più grandi successi («Più su», «Amico», «Il cielo», «I migliori anni», solo per citare i più noti) , spedisce alla platea un ringraziamento tutto suo: «Ringrazio spesso la diffidenza di molti di voi, in tanti pensavano che gli alieni venissero da fuori e invece sono in mezzo a noi e io li rappresento modestamente tutti». Il cantautore sorride e si congeda dall’Ariston con il saluto più classico, conosciuto e bersagliato (dalla satira) ai suoi sorcini: «Non dimenticatemi, eh!».

 
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Renato Zero, Alt: l'album esce l'8 aprile 2016 da soundsblog.it

Post n°13016 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Alt, il nuovo album di Renato Zero: informazioni, data di uscita, tracklist e copertina. 

 

Renato Zero sta tornando con un album nuovo di zerro che arriva a quasi tre anni di distanza dall'ultimo lavoro. Il disco adesso ha anche una data di uscita ed un titolo: Alt uscirà, infatti, l'8 aprile 2016. Il disco è già stato anticipato dal singolo Gli anni miei raccontano, un brano autobiografico che vuol essere un inno rivolto ai più deboli, scritto dallo stesso Zero con Danilo Madonia. Il 4 marzo, invece, l'airplay radiofonico accoglierà il brano Chiedi.

 

"Mi auguro che questo disco ci consenta di fermare un po' le macchine e guardare un po' la nostra vita privata. Renato Zero si è fatto da parte lasciando spazio a Renato Fiacchini e questo giova anche all'artista. Renato Zero sa bene che deve rispetto a Renato Fiacchini", ha dichiarato l'artista romano sul palco del Festival di Sanremo 2016 dove ha presentato un medley dei suoi più grandi successi.

 
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Renato Zero ti prego: torna quello di una volta da linkiesta

Post n°13015 pubblicato il 18 Febbraio 2016 da Ladridicinema
 

Di Renato Zero penso due cose. La prima: è un artista immenso. Un quarto dei brani che ha scritto ed interpretato permetterebbero ad un qualsiasi cantautore di entrare a testa alta nella Storia della musica e della poesia italiana. La seconda: il Renato Zero di questo secolo non è all'altezza di quello del secolo scorso.

 

Non faccio fatica a definirmi sorcino, anzi. Vado piuttosto fiero di questo titolo. Vista la qualità e la quantità di emozioni che mi ha regalato Renato (noi fan lo chiamiamo così) sarei disposto a darmi anche della pantegana. Ma da sorcino non posso tacere quel che penso e sento. E quel che penso e sento è che mi manca il Renato Zero che ascoltavo da piccolo. Mi manca il realismo e la fantasia di chi sapeva leggere e raccontare la realtà con parole e musiche tanto fresche, oneste e chiare.

 

Inventi (1974), Mi Vendo (1977), Morire Qui (1977), Il Cielo (1977), Triangolo (1978), Il Carrozzone (1978), Baratto (1979), Amico (1980), Potrebbe essere Dio(1980), Spiagge (1983), Spalle al Muro (1991), Nei giardini che nessuno sa (1994), I migliori anni della nostra vita (1995), Cercami (1998), La pace sia con te (1998), Figaro (1998), sono solo alcuni dei brani più noti e più belli scritti da Renato Zero prima del 2000. E poi, silenzi. Forse silenzi no, ma negli album dopo il 2000 di quella poesia in musica così accessibile e così popolare se ne è vista poca.

 

E' vero: la stampa, per lunghissimo tempo, non è stata particolarmente generosa con l'artista romano. Gli onori riservati a cantautori come De Gregori e Guccini - come d'altronde ricordava lo stesso Zero in un'intervista del '91 - a Renato Zero non son stati mai riservati. Forse, ma questa è una mia riflessione, non gli si è mai perdonata la capacità di essere tanto accessibile a tutti, tanto popolare.

 

Oggi, però, al di là di tutto questo, vorrei il Renato del secolo scorso. Vorrei quell'artista capace di incidere e interpretare brani che ti si attaccano dentro. Vorrei che il poeta in grado di parlare a tutti e con tutti ritorni.

 

L'8 aprile uscirà il nuovo disco di Renato Zero, Alt.

Perché Alt? Perché - parole di Renato Zero in risposta a Carlo Conti - è il momento di fermarsi un attimo a riflettersi, a guardarsi intorno. Significa anche dare un'occhiata al pianerottolo, al nostro condominio, perché se la guerra sta lì sta dappertutto. Quindi dovremmo cercare di far pace con questi sorpassi, perché se riusciamo a guadagnare la macchina che è davanti a noi non abbiamo sicuramente risolto nulla della nostra vita. Perché i sorpassi bisogna farli con sacrifici, con rinunce, con una grande prova di tenuta. Quindi io mi aspetto che questo disco ci consenta a tutti, anche a me che l'ho scritto, di fermare un po' le macchine, di guardare anche a questa nostra piccola vita privata, a questa famiglia. Che ottenga finalmente quel significato e quel valore che i nostri genitori, perlomeno i miei, mi avevano così felicemente inculcato. La famiglia è importante, se ne parla adesso come se fosse una novità. Da quella famosa capanna dove faceva molto freddo - e il signore era lontano quella notte - abbiamo imparato molto, abbiamo imparato che la convivenza deve essere esercitata tra le quattro pareti di casa. E poi avere casomai l'ambizione che questo nostro pensiero si affermi anche altrove. Grazie di esistere a tutti.

 

Questo Renato, quello che ho sentito sul palco dell'Ariston, mi è sembrato un po' demoralizzato. Già nel 1991, sempre a Sanremo, annunciò il desiderio di prendersi una pausa. Fu una pausa breve ma feconda quella. Una pausa dopo la quale scrisse canzoni come Nei giardini che nessuno sa I migliori anni della nostra vita. Spero che questo Alt,che per fortuna non è uno stop!, possa essere ancora più fecondo. Spero che tutto il caos testimoniato dalle parole pronunciate sabato scorso generi qualcosa di bello e nuovo.

 

Sono fiducioso. Il singolo presentato sul palco dell'Ariston non mi ha particolarmente stupito, ma voglio augurarmi che con l'album in uscita il prossimo 8 aprile vengano alla luce nuove piccole perle di bellezza in grado di lasciare un segno nella musica e dentro di noi.

 

Caro Renato, mentre aspetto il tuo ritorno, conto: 5, 4, 3, 2, 1...

 
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