BERLINO - Fuocoammare, il docufilm di Gianfranco Rosi dopo Il sacro GRA - già premiato a Venezia - si aggiudica l'Orso d'oro al Festvial di Berlino. Si commuove Rosi e chiama sul palco della Berlinale il dottore Pietro Bartolo e l'aiuto regista del film premiato alla 66esima edizione, quest'anno dominata dal tema dell'immigrazione, dell'integrazione e con uno sguardo forte al Medio Oriente, all'Africa. Dice che "questo è un premio anche per i produttori". Parla in inglese, poi in italiano.
La presidente della giuria Meryl Streep, al fianco del direttore Dieter Kosslick, legge il verdetto: "Film eccitante e originale, la giuria è stata travolta dalla compassione. Un film che mette insieme arte e politica e tante sfumature. È esattamente quel che significa arte nel modo in cui lo intende la Berlinale. Un libero racconto e immagini di verità che ci racconta quello che succede oggi. Un film urgente, visionario, necessario". Sul palco, Rosi comincia il suo discorso: "Il mio pensiero più profondo va a tutti coloro che non sono mai arrivati a Lampedusa, a coloro che sono morti. Dedico questo lavoro ai lampedusani che mi hanno accolto e hanno accolto le persone che arrivavano. È un popolo di pescatori e i pescatori accolgono tutto ciò che arriva dal mare. Questa è una lezione che dobbiamo imparare". E ha continuato: "Per la prima volta l'Europa sta discutendo seriamente alcune regole da fissare, io non sono contento di ciò che stanno decidendo. Le barriere non hanno mai funzionato, specialmente quelle mentali. Spero che questo film aiuti ad abbattere queste barriere". Poi saluta con un bacio la figlia Emma: "Ho passato un anno e mezzo a Lampedusa e l'ho vista solo pochi giorni. Questo la renderà felice per molto tempo".
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Messaggi del 20/02/2016
Post n°13032 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da Ladridicinema
Premi della giuria internazionale della 66ma Berlinale Orso d'oro Fuocoammare di Gianfranco Rosi Orso d'argento Gran Premio della giuria Death in Sarajevo di Danis Tanovic (Bosnia Erzegovina, Francia) Orso d'argento Alfred-Bauer-Prize per il film che apre nuove prospettive A Lullaby for the Sorrowful Mistery di Lav Diaz (Filippine, Singapore) Orso d'argento per la migliore regia Mia Hansen-Love per L'avenir (Francia,Germania) Orso d'argento per la miglior interpretazione femminile Trine Dyrholm per The Common (Danimarca) Orso d'argento per la miglior interpretazione maschile Majd Mastoura per Hedi Orso d'argento per la miglior sceneggiatura United States of Love di Tomasz Wasilewski (Polonia, Svezia) Orso d'argento per il miglior contributo artistico Crosscurrent di Yang Chao (Repubblica Popolare Cinese) Premio al miglior esordiente (50.000 €) del GWFF Miglior opera prima delle sezioni Concorso, Panorama, Forum, Generation e Perspektive Deutsches Kino Hedi di Mohamed Ben Attia (Tunisia, Belgio, Francia) Premi della giuria internazionale del cortometraggio Orso d'oro del cortometraggio Balada de um batraquio di Leonor Teles (Portogallo) Orso d'argento Premio della giuria per il cortometraggio A Man Returned di Mahdi Fleifel (GB, Danimarca e Paesi Bassi) - nominato per gli European Film Awards Audi Short Film Award Jin zhi xiao mao di Chiang Wei Liang (Taiwan)
Post n°13031 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da Ladridicinema
BERLINO - “L’Orso d’oro a Gianfranco Rosi - ha dichiaratoPaolo Del Brocco, amministratore delegato di Rai Cinema - ci riempie di gioia e di orgoglio, è la conferma del suo grande talento e della forza del suo sguardo sulla realtà così personale. Rosi vince ancora una volta con un film documentario il confronto con i più grandi registi di tutto il mondo, questa è una vittoria dell’Italia in campo internazionale. Per Rai Cinema, che ha coprodotto il film insieme a Donatella Palermo e a Istituto Luce Cinecittà, e che da anni segue e sostiene il talento creativo di Rosi,Fuocoammare rappresenta in modo esemplare la nostra visione di servizio pubblico nel cinema. Perché è un film di grande qualità artistica che entra con una straordinaria puntualità nel vivo di una riflessione sociale e politica globale sui nuovi fenomeni migratori. Affronta temi di forte attualità sui quali tutte le politiche nazionali ed europee oggi si interrogano, e lo fa con i mezzi di un artista che non propone né suggerisce soluzioni, ma racconta la complessità di vicende umane e sociali che si confrontano drammaticamente nel piccolo territorio di Lampedusa. In questo senso l’isola di Lampedusa diventa un confine geografico e simbolico cruciale, e portare a Berlino, nel cuore dell’Europa politica ed economica, le piccole storie degli abitanti dell’isola e le grandi tragedie dei migranti sbarcati o salvati dal mare, significa mostrare in tutta la sua dimensione la difficoltà e la complessità del dramma migratorio che stiamo vivendo. Fuocoammare, frutto di un’ottima collaborazione tra risorse e istituzioni pubbliche (Rai Cinema, Istituto Luce-Cinecittà, MIBACT), racconta una storia che tocca ogni coscienza, che riguarda tutti noi. E’ il tempo, questo, della responsabilità nel quale tutti siamo chiamati a fare la nostra parte, anche il cinema”. “Questo premio, meritatissimo - aggiunge Nicola Claudio, presidente di Rai Cinema - darà ancora più forza alle voci deboli e alle storie mute dei protagonisti dell’immenso dramma umano che si sta consumando sotto i nostri occhi”. "Il successo di Fuocoammare ci riempie di gioia per il fatto di essere parte di un progetto in cui il talento di un grande regista italiano fa e farà riflettere tutta l'Europa sul delicato tema del rapporto con i flussi migratori". E' il commento del dg Rai Antonio Campo Dall'Orto, che condivide con la presidente della Rai Monica Maggioni la soddisfazione per l'Orso d'Oro. E aggiunge: "Gianfranco Rosi è riuscito con grande sensibilità e senza retorica a indagare dentro i sentimenti umani con inedita profondità e a lasciarci un'opera che dà un contributo fondamentale rispetto al tema che più di tutti sta oggi definendo il rapporto con la contemporaneità". Campo dall'Orto ringrazia "il lavoro prezioso di Rai Cinema che ha creduto nel progetto fin dall'inizio, dimostrando cosa significhi oggi per noi essere Servizio Pubblico, supportando la creatività del nostro Paese, a maggior ragione quando affronta sfide ambiziose come quella del racconto di Gianfranco Rosi".
Post n°13030 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da Ladridicinema
"Il trionfo berlinese del film di Gianfranco Rosi è frutto di un equilibrio fatto del talento e della generosità dell'autore, della sensibilità del cinema pubblico (Mibact, Istituto Luce Cinecittà, Rai Cinema), della forza della produzione indipendente (21Uno Film, Stemal Entertainment), dell'appeal internazionale (coproduzione con i francesi Les Films d'Ici e ARTE). Decine di paesi hanno già acquistato il film. E questo avviene dopo significative affermazioni anche internazionali di numerosi altri titoli. La nuova legge per il Cinema mette a disposizione più fondi. Facciamo tesoro di queste esperienze perché vengano impiegati sempre meglio nella convinzione che il cinema e l'audiovisivo italiano sono una ricchezza non effimera per il paese". Così l'amministratore delegato e presidente di Luce Cinecittà Roberto Cicutto nel commentare l'Orso d'oro vinto da Fuocoammare di Gianfranco Rosi alla 66ma Berlinale. Il film è coprodotto e distribuito da Luce Cinecittà con 01.
Post n°13029 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da Ladridicinema
BERLINO – "Noi siamo pescatori e accogliamo tutto quello che viene dal mare". Lo spiega Pietro Bartolo, un medico che da 25 anni si occupa di immigrazione a Lampedusa e che ora è diventato protagonista della pellicolaFuocoammare di Gianfranco Rosi che ha conquistato il premio più importante della kermesse. Alle sue commoventi parole il regista ha lasciato ampio spazio anche durante la conferenza stampa di chiusura, permettendogli di esprimere un punto di vista vicino a quello dei lampedusani, ma anche a quello dei migranti, di cui il film si occupa. Bartolo soccorre, censisce, divide, smista, ha perfino il terribile compito di dover archiviare i cadaveri. Lo fa da volontario, facendo anche le veci dell'Usmaf, la sanità frontaliera. Sposato con un altro medico dell'isola, è reperibile 24 ore su 24. “Spero che il film di Rosi – dice - girare, possa colpire le sensibilità della gente, e di chi può davvero fare qualcosa per mettere fine a questa tragedia dell'umanità. Ovvero i politici. Abbiamo svegliato l’orso dal letargo, speriamo ora di svegliare anche loro. C’è uno sbarco proprio in questo momento, alle 23.40, arriverà un carico di persone che scappano dalla sofferenza, dalla guerra, è gente che non vorrebbe andarsene dal proprio paese. Nessuno lo vuole, se non è costretto. Noi siamo stati accettati quando siamo dovuti andare in Tunisia, ora dobbiamo ricambiare. Ricordo ancora il primo sbarco, erano le tre del pomeriggio, e poi nel 2011 dopo la primavera araba. Noi siamo cinquemila e ne erano arrivati oltre settemila. Eppure i lampedusani non si sono tirati indietro: hanno offerto cibo, coperte, le loro case, un panificio dopo le sette panificava gratuitamente solo per dare a queste persone una vita un po’ più dignitosa. Se tutti noi contribuissimo a creare le condizioni per farli vivere decentemente nel loro paese saremmo tutti più contenti: noi, loro, perfino quelli che non li vogliono. Io, Rosi, voi giornalisti, insieme facciamo tante voci. E tante voci fanno un mare. Il mare è vita, deve essere vita, e non può diventare un cimitero”. Naturalmente non sono mancati i commenti dello stesso Rosi: “E’ un grande onore e una grande responsabilità - ha detto il regista in merito al premio - Continuo a dire di non aver fatto un film politico, o comunque senza uno statement. E’ un film che in un certo senso parla d’amore. Ma spera anche di creare una consapevolezza. Non riesco a staccarmi da Lampedusa, ho ancora casa lì. Chiaramente voglio che i lampedusani vedano il film. Non sarà facile. Non ci sono sale se non una piccolissima di Rai Cinema. Bisognerà aspettare il bel tempo per proiezioni all’aperto”. Dopo il Leone d’oro a Venezia, questo è per Rosi il secondo premio importante in un festival internazionale, ottenuto con un documentario: “Penso che i documentaristi italiani siano molto bravi, io faccio il mio percorso, cercando di rompere la barriera tra realtà e finzione, senza che l’una sconfini nell’altra. Significa invece cercare la verità attraverso la potenza delle immagini, ed è lì che la differenza tra vero e falso emerge. Sono cittadino del mondo e quelle facce, su quella barca, sono anche le facce della mia storia. Non ci possiamo girare dall’altra parte. E’ un crimine, succede davanti a noi ed è un autentico massacro”.
Post n°13028 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da Ladridicinema
BERLINO - Lo farebbe vedere a tutti i nostri politici, "in Parlamento, in Senato e specialmente ai più tosti come Salvini". Così Gianfranco Rosi, protagonista di questa serata memorabile per il cinema italiano, che torna a vincere il massimo premio a quattro anni dall'Orso a Cesare deve morire dei Fratelli Taviani. Fuocoammare ha appena trionfato alla 66ma Berlinale, un'edizione che ha dato la scena al tema delle migrazioni, con raccolte di fondi e un'attenzione speciale dei media a questa tragedia dei nostri tempi, a questo Olocausto del mare come abbiamo scritto parlando del bellissimo documentario di Rosi, già nelle sale con Istituto Luce Cinecittà, che ha contribuito a produrlo, e 01. Da stasera, grazie a questo premio, crescono le opportunità che Fire at Seasia visto ovunque, in tutti i paesi d'Europa e anche fuori. E che magari influenzi l'agenda di chi prende decisioni sulla pelle di altri esseri umani. Quasi superfluo chiederlo. A a chi dedica questo Orso d'oro? Il mio pensiero è andato subito a tutti quelli che non arrivano mai a Lampedusa in questo viaggio della speranza, e voglio dedicare il premio alla gente di Lampedusa che da sempre apre il cuore agli altri. Quando ho chiesto al dottor Pietro Bartolo cosa fa di Lampedusa un paese così generoso, mi ha risposto: siamo pescatori e accettiamo qualsiasi cosa venga dal mare. L'Europa sta considerando le sue politiche, io spero che sia chiaro che la gente non può morire in mare mentre fugge da terribili tragedie Come nasce il suo metodo di lavoro così peculiare: la lunga permanenza sul campo, la capacità di parlare una lingua universale con le sue immagini? Conta la mia formazione di apolide. Mi sono formato come cineasta in America, sul campo, e ho da subito avuto l'esigenza di lavorare da solo e in modo indipendente. Ho sempre pensato che ci volesse del tempo per fare le cose e andando con una troupe, anche con un solo cameraman, non avrei potuto. Poi ho bisogno di creare intimità con le storie e i personaggi. I tempi dei miei film sono dettati da loro e non posso capirli dall'inizio. So da dove parto ma non so dove arrivo e la scrittura viene sempre dagli incontri, dall'intimità dei personaggi. Tutto nasce dalla loro verità. Nel film ci sono due piani che scorrono paralleli e non si incontrano: la vita degli isolani e le migrazioni. All'inizio volevo raccontare l'identità dell'isola e volevo che non fosse semplicemente un contenitore da riempire con storie legate all'immigrazione. E' vero che non c'è mai un incontro tra le due realtà perché dagli ultimi tre anni con Triton e Mare Nostrum il confine si è spostato in mare aperto. Lampedusa non è più un luogo dove la gente arrivava e si fermava, ora tutto è istituzionalizzato. I migranti vengono raccolti in mare dalla guardia costiera, portati al controllo medico, quindi un autobus li trasporta nel centro di accoglienza e dopo tre giorni già partono per altre destinazioni. Solo con il gruppo dei nigeriani che cantano il rap sono riuscito a trascorrere qualche giorno e creare un rapporto più profondo. Cinque anni fa avrei fatto un altro film: durante la primavera araba c'erano sull'isola 4.000 migranti con 3.000 abitanti e ci sono stati anche degli scontri. L'Europa si accorge ora della tragedia. Berlino ha accolto quest'anno 80mila migranti. Lampedusa è da sempre terra di confine e in questi venti anni sono passate 400mila persone, ma era una cosa che l'Italia si doveva risolvere da sola. Quest'estate l'Europa si è finalmente accorta che ci sono masse di persone che si stanno muovendo e ha iniziato a discutere di migrazione e reagire, purtroppo non molto bene. È vergognoso quello che sta succedendo adesso in Austria. Stabilire un tetto agli ingressi avrà come unico effetto di spostare il flusso sulla Grecia. È una cosa folle. Se l'Europa non riesce a fare i conti con una politica europea e non nazionale sarà la fine di tutto. La cosa che fa più paura non sono tanto i confini fisici, ma i confini mentali. A Berlino, qualche giorno, fa c'è stato un pullman assediato dai passanti perché si sono accorti che c'erano dei migranti all'interno. Dieter Kosslick ha detto 'me ne vergogno, mi riporta alla Germania di 70 anni fa che hanno vissuto i miei genitori'. Il suo film è un film politico? Io non do un messaggio politico, ma quasi un grido di disperazione. Bisogna creare la consapevolezza che le persone non possono morire in mare scappando da una tragedia. Io non credo che il cinema cambi la politica però creare una consapevolezza è già tantissimo, vedere che queste persone non sono numeri, ma individui. Non ho voluto fare un film politico né un'inchiesta né dare giudizi o trovare una soluzione. Sono partito dall'eco della tragedia del 3 ottobre e poi c'è stato un percorso molto lungo finché un'altra tragedia mi si è palesata davanti e non ho potuto distogliere lo sguardo. Naturalmente si è interrogato sull'eticità della scelta di rappresentare la morte. Certo. Mi sono trovato davanti questa tragedia che ha determinato la fine del film. Dopo le immagini che ho girato nella stiva del barcone non sono più riuscito a girare un solo fotogramma, c'è stata una rottura emotiva. Non avrei mai voluto raccontare la morte, ma le immagini non sono gratuite. La grande sfida del film è stata quella di non voltarsi, di non censurare. Sarei stato ipocrita a non usarle. Quello che succede nella stiva ci riporta alle camere a gas: persone che muoiono asfissiate. Era mio dovere filmare e far vedere che si muore durante un viaggio di appena cinque ore dalla Libia chiusi dentro uno spazio angusto (mostra le immagini sul suo iPhone, ndr). Ce ne sono centinaia di questi casi, ma non fanno notizia. Rispetto ai filmati dei lager, questi sono in contemporanea con gli eventi. Per la prima volta viviamo una tragedia e ne siamo testimoni. Quindi siamo tutti responsabili di questa mattanza. Le immagini dell'Olocausto ci sono state fornite dopo. Adesso vediamo morire i bambini e nessuno fa nulla. Si aspettava di vedere qualcosa del genere? Nessuno è preparato a quelle cose. La morte mi è arrivata addosso e ho dovuto decidere se filmarla. Altri cadaveri non li ho filmati ma in quel momento era inevitabile. Quando montavo con Jacopo Quadri non sapevo se fosse un punto di partenza o di arrivo, poi ho deciso che il pubblico dovesse essere portato a quel momento, attraverso i discorsi del dottor Bartolo e il mondo interiore di Samuele, e che poi potesse uscirne senza sentirsi insultato o manipolato. Tutto è stato fatto in maniera consapevole. Toglierebbe quell'immagine dal film? No, perché, come ho detto, il film è costruito per arrivare lì e uscirne con una forza, forse anche con una speranza: Samuele ci porta con la torcia dentro al bosco, come in una fiaba, e trova un uccellino che gli racconta un segreto. E' un momento di libertà totale per il pubblico, ognuno può mettere in quel dialogo ciò che vuole. Ci sono altri cineasti italiani che sente vicini per il tipo di ricerca estetica sul documentario? Ci sono registi fantastici che fanno il lavoro che faccio io, dove la realtà si trasforma in qualcos'altro e che usano il linguaggio del cinema: Roberto Minervini, Pietro Marcello. Io cerco un rigore assoluto. Non credo che la camera a mano dia più verità, anzi crea più distanza perché ti rendi conto che c'è un cameraman. Pensa che sia il momento di dare la macchina da presa ai rifugiati? Non c'è bisogno di dargliela, tutti hanno dei telefonini e girano immagini del viaggio. Bisogna solo avere la buona volontà di assemblare queste immagini e ne viene fuori qualcosa di molto forte, però non era il lavoro che volevo fare io.
Post n°13027 pubblicato il 20 Febbraio 2016 da Ladridicinema
DA LA REPUBBLICA L'unico film italiano in corsa alla 66esima edizione del Festival di Berlino si è aggiudicato il massimo premio. Il documentario, che racconta il flusso dei migranti verso il nostro Paese, è stato girato da Rosi nell'isola di Lampedusa nel corso di un anno
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Inviato da: Mr.Loto
il 28/03/2022 alle 11:57
Inviato da: Mr.Loto
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Inviato da: surfinia60
il 11/07/2019 alle 16:27
Inviato da: Enrico Giammarco
il 02/04/2019 alle 14:45