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Messaggi del 27/05/2016

 

Ken Loach,Palma d’oro a Cannes: “Non smetto di stare dalla parte dei più deboli” da left

Post n°13215 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Palma d’oro al festival di Cannes per Ken Loach, il grande regista inglese che – come ha detto lui  stesso in una recente intervista – non smette di stare dalla parte dei più deboli, dalla parte degli operai, dei disoccupati, dei precari senza rappresentanza. Il film, Daniel Blake è un duro ritratto dell’Inghilterra che, dopo anni di tatcherismo e blairismo, oggi vede file interminabili di disoccupati  davanti ai job centers, in cerca di un lavoro che non c’è; che vede molti inglesi ricorrere alle Food Banks (si parla di più di un milione di persone nell’ultimo anno). Nel film si parla anche di una Gran Bretannia che oggi non ha risposte per gli studenti universitari vessati dai debiti universitari, che non ha risposte – per stare alla trama del film – per le madri single, punite dai tagli ai benefits, costrette a cercare riparo negli ostelli.

Daniel Blake si svolge nel nord dell’’Inghilterra dei giorni nostri, stretta nella morsa dei tagli allo stato sociale. «La fame, oggi nel Regno Unito, è usata come un’arma, da un sistema burocratico punitivo e disumano», ha denunciato Ken Loach in una intervista al Guardian. Ed è il rischio di finire per strada quello che attanaglia Daniel protagonista del film interpretato da Dave Johns; è un falegname ultracinquantenne che ha lavorato per tutta la vita e che poi, come capita,  malaguratamente, si è ammalato. Vedendosi costretto  a cercare il sussidio di disoccupazione. La sua storia si intreccia con quella di Kate (Hayley Squires) una madre single, sfrattata, nonostante abbia due bambini. Atmosfere quasi dickensiane, per questo film di Ken Loach che tuttavia lavora su un registro di presa diretta davanti a un Job Center, con attori non professionisti (come è nel suo stile) che sono disoccupati e impiegati.
Il soggetto è di Paul Laverty, lo stesso autore di Jimmy’s Hall, film sull’Irlanda rivoluzionaria degli anni Trenta. Ma al di là delle risonanze storiche,  questo lavoro è un chiaro atto d’accusa contro il governo Cameron. L’ultimo j’accuse del grande regista inglese, stando alle sue dichiarazioni (ma noi speriamo che ci offra ancora suoi pensieri), cercando di dare una stura ai laburisti, dopo gli anni di acquiescienza  al blairismo che Loach definisce «una vera e propria ferita aperta nel corpo della società». Cercando di scuotere anche  il neo sindaco di Londra, perchè si schieri più decisamente  con Jeremy Corbyn, leader del partito laburista, con cui il maturo regista si è sempre detto consonante.

 
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CANNES 69: PALMA A LOACH. UN ALTRO CINEMA È POSSIBILE da welovecinema

Post n°13214 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

di Laura Delli Colli

Da Cannes con la vittoria di Ken Loach un messaggio di solidarietà ai nuovi poveri del mondo: è questo oltre la qualità del cinema il segno forte che lascia con la Palma d’Oro 2016 al suo I, Daniel Blake il Festival 69 che si è appena concluso. Loach nove anni fa aveva già vinto con Il vento che accarezza l’erba e per una Giuria che ha visto i film di un concorso interessante, nel quale non c’era però un ‘colpo di fulmine’ troppo prevedibile, è prevalsa sull’originalità e le provocazioni d’autore, la storia toccante di un uomo che conosce sulla sua pelle il tunnel di quella povertà inesorabile e improvvisa che attraversa oggi le società più civili del mondo

Ken Loach è un maestro nel raccontare il mondo del lavoro e la sofferenza delle classi povere. “Cannes è importante per il future del cinema” ha detto ritirando il premio ma è ai lavoratori, quelli del suo film innanzitutto, che ha voluto dedicare la Palma, andata al suo Daniel Blakeperché, come ha detto ringraziando la giuria, “E’ grazie a loro se siamo qui. Cercate di restare forti, per favore. Ci sono persone che faticano a trovare il cibo nel quinto paese più ricco del mondo. Ci sono milioni di persone ridotte alla fame, per la grottesca ricchezza di pochi. Il cinema serve anche a rappresentare questo, le persone che combattono contro i ricchi e i potenti. Diamo un messaggio di speranza, un altro mondo è possibile e necessario”.

A Laurent Lafitte, che ha condotto la cerimonia finale, è toccato il compito di annunciare I premi tra emozioni e sorprese. L’emozione per esempio del pianto dirotto di Xavier Dolan, il ragazzo prodigio che aveva vinto con Mommy solo due anni fa ed è oggi di nuovo vincitore del Grand Prix con il suo Juste la fin du monde (che in realtà non era stato accolto dalla stampa con un successo unanime) il quale, tra le lacrime, non dimentica di ringraziare la famiglia. Una famiglia, dice, con cui “mi trovo molto meglio rispetto a quanto fa il mio protagonista con la sua”.

Hanno un po’ sorpreso alcuni premi, altri sono andati forse nel segno di un compromesso al quale- giudicando i rumors con I quali era stato accolto proprio il suo film- Personal shopper – hanno senza dubbio gratificato non solo Olivier Assayas ma certamente I ‘padroni di casa’. Tra le scelte meno scontate Houda Benyamina ha vinto la Camera d’or con Divines e ha salutato il Premio e la giuria molto femminile con un linguaggio a dir poco …libero

Emozione al massimo in sala quando una standing ovation e un lungo applauso ha salutato Jean Pierre Leaud, Palma d’onore di questa 69.ma edizione così anche nel segno di Truffaut “Sono nato qui” dice “quando Truffaut ha presentato I 400 colpi. Ora sono di nuovo qui con La mort de Louis XIV (il film spagnolo di Albert Serra in cui Léaud interpreta re di Francia). Ma mi chiedo ancora cos’è il cinema e ancora non so rispondermi, anche se forse aveva ragione Cocteau quando diceva che ‘è la sola arte che cattura la morte al lavoro’.

Il miglior attore è Shabab Hosseini, per Forushande di Asghar Farhadi e dice sul palco “Questo premio lo devo al mio popolo e glielo dedico col cuore” (allo stesso film che raccontal l’Iran tra tradizione e modernità anche il premio per la sceneggiatura).

La giuria presieduta dal regista di Mad Max George Miller, nella quale ha ‘militato’ anche la ‘nostra’ Valeria Golino, ha scelto come migliore attrice invece Jaclyn Jose, protagonista del filippino Ma’ Rosa di Brillante Mendoza. Premio alla regia a pari merito a Cristian Mungiu e Olivier Assayas, un compromesso tra il film rumeno, per molti favorito senza dubbio quello firmato da Assayas, regista–manifesto del cinema francese d’autore, molto amato dal Presidente del festival, un grande industriale e produttore del cinema francese come Pierre Lescure.

Il resto è nella lista del palmarès. E forse nelle dichiarazioni dei giurati, poche come sempre, dopo la premiazione: filtra l’unanimità dai pochi commenti ‘a caldo’  (Valeria Golino non lo ha nascosto, sia pure con una battuta ‘al volo’). Ma a quanto pare neanche la furia di Mad Max stavolta  avrebbe potuto fare una rivoluzione contro la tentazione di qualche  eccesso di diplomazia…

 

TUTTI I PREMI:

Il premio per il miglior attore del Festival di Cannes è andato a Shahab Hosseini per Le Client di Asghar Farhadi.

Il premio per la miglior attrice del Festival di Cannes e’ andato a Jaclyn Jose per Ma’ Rosa di Brillante Mendoza.

Il premio per la miglior sceneggiatura a Ashgar Farhadi per Le Client.

Il premio per il miglior regista del Festival di Cannes e’ andato ex aequo a Olivier Assayas per Personal Shopper e Cristian Mungiu per Bacalaureat.

Il Grand Prix della giuria del Festival di Cannes e’ andato a Xavier Dolan per Juste la fin du monde.

Il premio Camera d’Or per la migliore opera prima a Divines di Houda Benyamina. 

La Palma d’oro del cortometraggio va a TimeCode del regista spagnolo Juanjo Giménez.

 
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Il libro della vita

Post n°13213 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 


Un gruppetto di ragazzini si annoia alla sola idea di mettere piede in un museo. Li prende in carico, però, una guida speciale, che ha in serbo qualcosa per loro. Con voce suadente, la donna li conduce dentro la storia dei festeggiamenti messicani legati al giorno dei morti, in un viaggio attraverso tre regni sovrapposti. Protagonista della storia nella storia è Manolo Sanchez, ultimo erede di una famiglia di toreri che desidera però fare il musicista ed è innamorato dall'infanzia della bella Maria, figlia del generale Posada di San Angel. Anche il prode Joaquin è innamorato di Maria, e la loro amichevole rivalità diventa oggetto niente meno che di una scommessa tra la Morte e il suo oscuro consorte, Xibalba. 
Se per La Sposa Cadavere Tim Burton si era ispirato ad un racconto del folklore ebreo-russo, per Il Libro della vita l'idea è radicata nel culto precolombiano degli antenati defunti da compiacere, nella credenza che l'alternanza tra vita e morte funga da garanzia dell'ordine cosmico e dunque nella facilità di immaginazione di un canale di comunicazione costantemente aperto tra le due sponde. Perpetuare il ricordo dei morti, e la loro protezione, dal Messico precristiano ad oggi, non significa affatto piangerli, ma al contrario festeggiarli con danze e banchetti, costumi carnevaleschi e candele che illuminano il cammino. Una festa per gli occhi è dunque, con ogni evidenza, anche la promessa estetica del film di Gutierrez, prodotto, tra gli altri, da Guillermo Del Toro. Promessa mantenuta, con l'offerta inesauribile di un immaginario caleidoscopico e barocco, di maschere e colori. 
Sul fronte narrativo, dove vige un altrettanto tacita promessa di fuga rocambolesca nella matrioska di sfondi e avventure, il film corre pericolosamente sull'orlo del precipizio, rischiando ad ogni occasione di sgonfiarsi sul più bello, ma riuscendo miracolosamente a rialzarsi ogni volta, con l'aiuto di non poche suggestioni prese in prestito da precedenti animazioni, ma pur sempre usate a proposito. Soccorrono la storia anche una buona dose di richiami letterari e cinematografici: dal citato Tim Burton all'Iliade, con Maria al posto di Elena e lo zampino di Xibalba in luogo di Afrodite, e poi Romeo e Giulietta, Dragontrainer (Manolo non vuole uccidere i tori, come Ichab non voleva cacciare i draghi, e per questo perdono entrambi la stima del padre), InkheartLe 5 leggende (il fabbricante di candele sembra uscito direttamente dal film DreamWorks). Un pastiche cui si aggiunge una colonna sonora sullo stesso stile, che va dall'Ave Maria al tradizionale Cielito Lindo, dal pop dei Radiohead alle canzoni originali di Gustavo Santaolalla. Troppo? Forse. Ma, in fondo, è un giorno di "ricreazione".

 
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Hungry hearts

Post n°13212 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 


Mina e Jude si incontrano per la prima volta in un'angusta toilette di un ristorante cinese. Da lì nasce una relazione che darà alla luce un bambino e li porterà al matrimonio. Dal colloquio con una veggente a pagamento Mina si convince che il suo sarà un figlio speciale che andrà protetto da ogni impurità. Inizia a coltivare ortaggi sul terrazzo di casa e per mesi non lo fa uscire imponendo regole alimentari che ne impediscono la regolare crescita. Jude decide di opporsi a queste scelte portando di nascosto il figlio da un medico che mette in evidenza la gravità della situazione. Mina però cede solo apparentemente alle richieste del coniuge e il conflitto si fa più acuto.
Il disagio, il malessere esistenziale sono da sempre al centro del cinema di Saverio Costanzo. Che si tratti dei palestinesi di Private, dei seminaristi di In memoria di me o dei giovani de La solitudine dei numeri primila sua macchina da presa inquadra situazioni che sono al contempo estreme e quotidiane. È quanto accade anche in questo film che trae ispirazione dal romanzo "Il bambino indaco" di Marco Franzoso in cui Costanzo mette a frutto la propria profonda conoscenza delle dinamiche del thriller per porla al servizio di una riflessione profonda sulla genitorialità al tempo degli OGM ma non solo. 
Il filosofo e sociologo Zygmund Bauman ci ricorda che: "La nostra è un'epoca nella quale i figli sono, prima di ogni altra cosa e più di ogni altra cosa, oggetti di consumo emotivo. Gli oggetti di consumo soddisfano i bisogni, desideri o capricci del consumatore e altrettanto fanno i figli. I figli sono desiderati per la gioia dei piaceri genitoriali che si spera arrecheranno il tipo di gioie che nessun altro oggetto di consumo, per quanto ingegnoso e sofisticato, può offrire". È questo tipo di consumo che Mina (precocissima orfana di madre e con un padre con cui non ha più contatti) sta cercando, anche se vorrebbe evitarne inizialmente, l'avveramento. Costanzo non vuole fare il fustigatore di teorie e/o credenze più o meno diffuse (osservanza vegana compresa) perché di fatto spinge il suo sguardo decisamente molto più in là. 
Mina non è una Rosemary polanskiana più o meno consapevolmente gravida di demoni interiori. È una donna che dimentica di essere tale (quindi annullando anche la propria sessualità che era in precedenza vitale e solare) in funzione di una 'proprietà', quella del figlio, che diviene totalizzante. Il punto di non ritorno è quando utilizza l'aggettivo possessivo più improprio ("mio") nei confronti del neonato. Da quel momento Jude viene estromesso (con sentenza passata in giudicato nella mente della compagna) dalla condivisione che è propria dell'essere genitori. Per far ciò non è necessario essere vittime di ossessioni nutrizionistiche. È sufficiente ritenere di essere gli unici depositari del sapere 'cosa è bene' per l'essere umano in formazione rifiutando qualsiasi confronto. Il cordone ombelicale non è solo un elemento fisiologico. È fatto di sensibilità, di cultura, di influssi sociali tra i quali è sempre più difficile discernere. I cuori affamati del titolo sempre più spesso rischiano di divorare, con la pretesa dell'amore, ciò che dovrebbe costituire il senso del loro stesso pulsare. Costanzo sa come descrivere questo processo.

 
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Julieta

Post n°13211 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Julieta

Post n°13210 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster
Julieta, una professoressa di cinquantacinque anni, cerca di spiegare, scrivendo, a sua figlia Antia tutto ciò che ha messo a tacere nel corso degli ultimi trent'anni, dal momento cioè del suo concepimento. Al termine della scrittura non sa però dove inviare la sua confessione. Sua figlia l'ha lasciata appena diciottenne, e negli ultimi dodici anni Julieta non ha più avuto sue notizie. L'ha cercata con tutti i mezzi in suo potere, ma la ricerca conferma che Antia è ormai una perfetta sconosciuta.

 

NOTE:

Presentato in concorso al Festival di Cannes 2016.

 
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Fräulein - una fiaba d'inverno

Post n°13209 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster
La più grande tempesta solare che l'uomo ricordi si abbatte sulla Terra provocando sbalzi di corrente e blackout. Una ben più profonda tempesta si scatena nell'animo di Regina, scontrosa e solitaria zitella da tutti chiamata Fräulein, dopo che un misterioso turista sui sessanta, uomo smarrito e infantile, oltrepassa il cancello del suo albergo chiuso da anni. Quello che doveva essere il fugace "scontro" di una notte, si trasformerà ben presto in una tempestosa e sorprendente convivenza.

 
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Il traduttore

Post n°13208 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Andrei Bina è uno studente rumeno che grazie a una borsa di studio frequenta un corso di specializzazione in lingue straniere all'Università. Dato che i soldi della borsa sono pochi, di sera lavora in una pizzeria e di giorno saltuariamente in questura, dove traduce gli interrogatori e le intercettazioni di suoi connazionali. Andrei - che oltre al romeno e all'italiano, parla perfettamente diverse lingue, tra cui il tedesco - viene messo in contatto dalla sua tutor con una sua amica antiquaria, Anna Ritter, che vuole far tradurre il diario del marito tedesco, scomparso da poco in circostanze misteriose. Andrei viene catapultato in un mondo che fino a quel momento non aveva neppure osato sognare.

 
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Una nobile causa

Post n°13207 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Una nobile causa racconta la vicenda parallela di Gloria, una giocatrice incallita reduce da una folgorante vittoria di un milione di euro alle slot machine, e della sua famiglia, terrorizzata che sperperi il bottino miracolosamente vinto; e del Marchesino Alvise Fantin, a sua volta malato di gioco, piccolo truffatore, condannato a risarcire con il proprio lavoro due delle sue vittime, due pescivendoli, padre e figlia. Dopo essersi perdutamente innamorato della giovane Tania, Alvise pare redimersi, ma non tutto è come sembra. A raccordo di entrambi la saggia figura del Dottor Aloisi, psicologo specializzato nella cura del gioco di azzardo a cui Gloria e la sua famiglia si affidano per un percorso di terapia. In una escalation di colpi di scena, un fattore mette in comune tutti i protagonisti della vicenda e diventa fondamentale strumento di comicità: l'intelligenza perversa ed acuta, la furbizia di chi, in nome di un'ossessione quale quella del gioco, si condanna alla piccola e alla grande truffa per poter alimentare la propria malattia.

  • PRODUZIONE: Prodotto da Rebecca e Tarcisio Basso
  • DISTRIBUZIONE: Moovioole Distribuzione
  • PAESE: Italia

 
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Alice attraverso lo specchio

Post n°13206 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: trailer

 
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Alice attraverso lo specchio

Post n°13205 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

Alice Kingsleigh (Mia Wasikowska) ha trascorso gli ultimi anni seguendo le impronte paterne e navigando per il mare aperto. Al suo rientro a Londra, si ritrova ad attraversare uno specchio magico che la riporta nel Sottomondo dove incontra nuovamente i suoi amici il Bianconiglio, il Brucaliffo, lo Stregatto e il Cappellaio Matto (Johnny Depp) che sembra non essere più in sé. Il Cappellaio ha perso la sua Moltezza, così Mirana (Anne Hathaway) manda Alice alla ricerca della Chronosphere, un oggetto metallico dalla forma sferica custodito nella stanza del Grand Clock che regola il trascorrere del tempo. Tornando indietro nel tempo, incontra amici - e nemici - in diversi momenti della loro vita e inizia una pericolosa corsa per salvare il Cappellaio prima dello scadere del tempo.

 
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Era d'estate

Post n°13204 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Poster

L'Asinara, 1985. In una notte come tante sbarcano sull'isola Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con le proprie famiglie. Il trasferimento è improvviso e la minaccia, intercettata dai Carabinieri dell'Ucciardone, è grave: un attentato contro i due giudici e i loro familiari partito dai vertici di Cosa Nostra. E' un'estate calda, e nella piccola foresteria di Cala D'oliva, i due magistrati e le loro famiglie vivono isolati dalla piccola comunità di civili dell'Asinara, controllati a vista dalle guardie penitenziare. Una condizione che non tutti riescono a sopportare.

 
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Il settimo figlio

Post n°13203 pubblicato il 27 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

 
Locandina Il settimo figlio

Malkin, potente strega regina a lungo imprigionata in un antro buio dal maestro Gregory, cacciatore di streghe, riesce ad evadere in corrispondenza dell'inizio del periodo di Luna rossa. Il suo desiderio è soggiogare quanta più terra è possibile ma subito si scontra con l'uomo che anni prima l'aveva imprigionata e ne uccide l'apprendista. Inizia così per il maestro Gregory la ricerca di un nuovo discepolo che trova in Tom Ward, settimo figlio di un settimo figlio, come l'ordine cui dovrà entrare richiede. Tom viene sbrigativamente introdotto al mestiere del cacciatore di streghe e poi gettato subito nell'azione, non c'è tempo da perdere. Sulle loro tracce però arriva una strega apparentemente meno potente e meno convinta che stringe un legame con Tom. Lei appartiene al clan di Malkin (è figlia della sorella) e benchè odi gli uomini ma non vuole combattere quello di cui è innamorata e ricambiata. Nel grande scontro i due cercano una terza via scoprendo che anche il maestro Gregory, decenni prima, aveva avuto una storia d'amore finita male con Malkin, dalla quale è nata gran parte della sua malvagità.
È ancora una serie di libri di successo a fornire l'ispirazione per un film hollywoodiano ad alto budget con speranze di sequel. Si tratta di "The spook's apprentice" di Joseph Delaney, pesantemente rielaborato nella sceneggiatura per lo schermo ideata da Matt Greenberg e scritta da Charles Leavitt con Steve Knight. 
La formazione del giovane apprendista alle arti magiche e guerriere della stirpe di cacciatori di streghe è poco formativa e molto oppositiva. Invece che ricalcare la struttura da Harry Potter (nel libro Tom ha 12 anni e alla fine dell'avventura riprende il suo apprendistato) viene scelto il modello di "Romeo e Giulietta", ovvero avere due fazioni in lotta i cui ultimi rappresentanti vogliono mettere da parte le proprie differenze in nome dell'amore, con somma ira dei mentori. Sergey Bodrov, già regista di Mongol, ha però una mano molto pesante e una fantasia molto più piegata sull'azione che sul sentimento, esegue il compito ma sembra non avere il minimo interesse nei momenti che potrebbero rendere sensata la sceneggiatura affidatagli.
Al film piace il personaggio di John Gregory, il vecchio stregone indurito dalla vita, ineffabile, infallibile, ubriacone e di poche parole (ma grande amicizia) mentre la sceneggiatura vorrebbe farne una figura a suo modo tragica. Alla stessa maniera, mentre al film piace molto portare il protagonista in avventure nelle quali la sua vita sia a rischio a causa di un addestramento incompleto (come Luke Skywalker), la sceneggiatura preferirebbe soffermarsi sulle motivazioni che i due amanti hanno per tradire le rispettive famiglie e come si pongano nei loro confronti le persone più vicine. Il risultato è che ovviamente nessuno dei due partiti è accontentato.
Ci sono molti spunti lasciati per strada (le madri dei due amanti sono personaggi molto più complessi di quel che non sembri inizialmente ma lo possiamo solo intuire) e il buono di avere una grande serie di libri dietro di sè, ovvero poter far intuire un mondo più grande di un film solo che possa mettere l'acquolina in bocca e ampli la portata della storia, è totalmente perduto. Il settimo figlioinsegue più il cinema di serie B, cioè vorrebbe essere più un film di rapido consumo, asciutto e senza fronzoli (con tutta la nobiltà che queste caratteristiche si portano appresso) che un'opera desiderosa di meritare dei sequel accreditata dai volti più importanti di Hollywood (addirittura un premio Oscar).
Sarebbe allora bastato almeno che Il settimo figlio assolvesse con proprietà di linguaggio al suo compito più immediato, regalare un po' d'azione, o che avesse saputo calcare l'ottimo lavoro in materia fatto da Il trono di spade (da cui mutua anche Kit Harington), ma Bodrov fin da Mongol insegue un cinema che aspira ad avvincere senza riuscire mai a tramutare il suo sguardo particolare in sete di visione nello spettatore.

 
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