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Messaggi del 29/05/2016

 

Auguri Peppuccio!Giuseppe Tornatore, 60 anni da Poeta del Cinema DA CAMERALOOK.IT

Post n°13223 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: news

BY  / 27 MAG 2016 / 0 COMMENTI

Umiltà e determinazione. Sono queste le caratteristiche deve aver un regista per Giuseppe Tornatore che oggi compie 60 anni. “Voglio vivere ogni film che faccio come se fosse la mia opera prima” ha spiegato nell’omonimo documentario che gli hanno dedicato Luciani Barcaroli e Gerardo Panichi nel 2013. E’ proprio qui che sta la grandezza di Peppuccio. Un uomo che ama il cinema in modo viscerale, chiave e mezzo per ricordare e per accendere la memoria. Un regista che crede nell’immagine e che ha alle sue spalle la sua Terra, la Sicilia. Profondo conoscitore dei sentimenti umani, Tornatore ha in sé tutta la sostanza del grande cinema italiano.

Franco Cristaldi e Giuseppe Tornatore con l'Oscar nel 1990

Franco Cristaldi e Giuseppe Tornatore con l’Oscar nel 1990

Oggi lo vogliamo festeggiare ricordando il suo film-manifesto, Nuovo Cinema Paradiso. Un capolavoro immortale che, dopo un esordio da incubo nelle sale italiane (in pochissimi lo andarono a vedere), vinse il Grand Prix Speciale della Giuria al Festival di Cannes del 1989 e l’Oscar per il Miglior Film Straniero l’anno successivo. Anche grazie alla caparbietà del produttore Franco Cristaldie alla dirompente colonna sonora di Ennio Morricone, fraterno amico del regista. Ma il merito maggiore è stato tutto suo, di quell’uomo che fin da ragazzino costruì un rapporto d’amore con la pellicola. Da adolescente fece il proiezionista per tanti anni (indimenticabile la sua esperienza nell’ormai abbandonato Cinema Delle Palme a Villabate). Si innamorò dei film. Iniziò a scattare fotografie e a girare documentari, ma ben presto capì che la vita non voleva “spiarla” ma raccontarla.

Nuovo Cinema Paradiso, ovvero la magia in celluloide. In una sala cinematografica si ritrova il popolo di un’intera piazza, che piange e gioisce davanti a ombre sfuggenti, parole toccanti e baci appassionati. Un film corale dove il primo protagonista è il cinema stesso, che diventa uno specchio di emozioni per gli abitanti di un paesino siciliano dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Alfredo e Totò

Alfredo e Totò

Il piccolo Totò (il bravo Salvatore Cascio) e il paterno Alfredo (un toccante Philippe Noiret) altro non sono che i suoi fedelissimi servitori, ammaliati dalla magia di celluloide: custodi della memoria di una intera nazione avviata verso la ricostruzione dopo la catastrofe bellica.

La loro amicizia, che dura una vita, è la coprotagonista del film, iniziata al cinema del paese gestito da Don Adelfio, che censura le scene dei baci prima della proiezione. Totò cerca di assistere di nascosto alle “prime” per vedere i fotogrammi rubati dal parroco; è così che incontra Alfredo, proiezionista analfabeta che, raccontandogli del cinema muto, di quando la voce si poteva solo immaginare, lo incanta, mentre lui, giorno dopo giorno, aspetta invano il ritorno del padre dal fronte.

Salvatore Cascio

Salvatore Cascio

Da qui, il film segue la crescita di Totò; le sue vicende sono raccordate dalle pellicole che mano mano vengono proiettate al Cinema Paradiso e che lui fa passare per la visione, diventato proiezionista dopo che Alfredo ha perso la vista in un incendio. Anche quando lascerà Giancaldo (l’immaginario paesino siciliano) si porterà dietro la capacità di sorprendere tipica del cinema, insieme ad un amore perduto. Tornerà a casa soltanto per la morte di Alfredo, che in eredità gli ha lasciato un filmato composto dal montaggio dei numerosi baci censurati dal prete tanti anni prima.

Tornatore in questa sua seconda prova da regista (dopo l’esordio di 30 anni fa con Il Camorrista) non abbandona, ma anzi aumenta, il linguaggio popolare trovando una sintesi tra la realtà autobiografica e la finzione. I singolari personaggi che affollano Giancaldo, tra tutti Ignazino interpretato da un intenso Leo Gullotta, formano quel pubblico che ha trovato, e trova, nel cinema una dimensione preziosa e reale; e che in John Wayne, Jane Russel, Stanlio e Ollio, Chaplin e così via, intravede, più che una possibilità di fuga, una espressione dei propri sentimenti.

 

Emblematica la scena finale: rientrato a Giancaldo dopo alcuni decenni, Totò assiste ammutolito, insieme a tutto il paese, alla demolizione del Nuovo Cinema Paradiso, che era ormai abbandonato da anni. Mentre le fondamenta crollano, nei volti degli abitanti si legge la fine di un’epoca, quella in cui il cinema era il punto di non ritorno verso se stessi: quando i titoli di testa erano l’alba e la dissolvenza a nero il tramonto.

Giacomo Aricò e Tommaso Montagna

 
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X-Men: Apocalisse

Post n°13222 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Sabah Nur, detto Apocalisse e venerato come un dio, mentre sta per compiere il rito di trasferimento della sua anima nel corpo di un mutante che ha il potere di rigenerare le proprie ferite, ottenendo così l'immortalità, viene tradito e sconfitto. Nel 1983 un gruppo di fanatici risveglia Apocalisse, che decide di portare a termine il suo precedente piano e dominare il mondo.

Nuovo capitolo degli x-men che tradisce le attese forse per le troppe aspettative o i troppi intrecci, o forse per la battaglia epica tra i due schieramenti. Detto ciò però il film di Singer non convince anche perchè non crea alcuna tensione e non riesce a mantenere una coesione generale pur spiegando nuove cose sui mutanti. Lo stesso mutante immortale, En Sabah Nur; non convince come villain rispetto al solito Magneto o alle macchine dell'ultimo film.

Il personaggio interpretato da Oscar Isaac non fa altro che farfugliare sentenze su un mondo a lui sconosciuto e alieno con pochi spunti interessanti. Per non parlare della stessa trama che risulta sciatta e irrilevante. Non sembra nemmeno di vedere un film di Singer, vista l'assenza dei toni posati; dei conflitti politici ed etici tipici degli altri film sulla saga.

Il film sembra invece convincere in parte nel tentativo di trovare un gancio con la realtà o con altri media, soprattutto esaltando in maniera furbesca il personaggio di Raven, interpretato da Jennifer Lawrence, per attirare nuovo pubblico o comunque un determinato pubblico; agganciandosi ai vecchi personaggi: McAvoy e Fassbender. Interessante la nascita del personagigo di Jean interpretato da Sophie Turner, così come Nightcrawler interpretato da Kodi Smit-McPhee.

Voto finale: 2/5

X-Men - Apocalisse

(X-Men - Apocalypse)

Poster

Nel nuovo capitolo della saga, X-Men: Apocalisse, gli X-Men affrontano il primo e più potente mutante: Apocalisse. Anno 1983, l'invincibile e immortale Apocalisse viene liberato da un millenario sepolcro. Quando si rende conto che la sua razza non è più considerata divina, furioso, raduna una squadra di potenti mutanti, fra cui un sofferente Magneto, per distruggere l'umanità e creare un nuovo ordine mondiale su cui regnare. Per fermare le sue mire di distruzione globale, Raven e Professor X guidano una squadra di giovani X-Men in un epico scontro contro un nemico apparentemente invincibile. Mentre Apocalisse raduna i propri Cavalieri, Charles provvede all'insegnamento e all'addestramento dei suoi giovani alunni. Quando si scatena la furia di Apocalisse, questi giovani supereroi sono chiamati a crescere rapidamente.

 
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Il libro, il più potente oggetto multimediale del mondo da l'espresso

Post n°13221 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 
Tag: libri, news

Stamattina ero in classe. Una comunissima classe di prima media, piena di ragazzini adorabili e intelligenti. Che però odiano leggere. Odiano è una parola forte, siamo più precisi: considerano la lettura un esercizio un po' noioso e limitato, in confronto a tutto ciò che hanno in alternativa: i film, i giochi in 3D, la musica.

Voi non avete idea di quanto sia difficile per un insegnante motivarli a leggere, perché per loro il libro è una cosa morta, polverosa e noiosa, che sta ferma lì e non fa nulla, mentre tutto il resto che usano è in movimento, è pieno di tutto.

Quando hai davanti una classettina di undicenni non puoi cavartela con la solita filippica che la lettura è bella e bisogna leggere per se stessi e per farsi una cultura. Perché a quell'età, giustamente, se ne fregano del "farsi una cultura", e se gli dici che la lettura è bella ma non glielo fai toccare con mano, ciao, li hai persi.

E allora ho fatto quello che spesso faccio in questi casi, perché con i ragazzini a quell'età non devi parlare, devi mostrare cosa vuol dire leggere. Leggere davvero. Perché non lo sanno.

Così li ho guardati, ho preso in mano una bella descrizione tratta da un Harry Potter (il primo che si scandalizza perché leggo Harry Potter può terminare qua la lettura del post e andarsi a leggere Proust nell'altra sala, anche perché sono certa che a undici anni già leggesse Proust, ovviamente, ed in francese), e ho detto: «Adesso chiudete gli occhi e ascoltate!»

E ho letto. Nel silenzio più assoluto, perché in classe non volava una mosca. Quando ho finito, ho detto:«Riaprite gli occhi. E ditemi cosa avete visto.»

Li hanno riaperti. Stupiti da una cosa che ad alcuni non era mai capitata prima. Avevano visto. Guidati dalle parole, lontani dagli stimoli di altro genere, nel loro cervello le parole avevano esercitato quella meravigliosa magia che hanno in sé: creano mondi. Avevano visto immagini, e sentito rumori e odori, e percepito colori, suoni. E ci erano finiti dentro, come mai prima gli era capitato, perché la realtà 3D in confronto alla fantasia è sempre limitata come l'ombra rispetto al vero.

«Ecco, vedete? quando voi parlate di oggetti multimediali come il tablet ed in pc, non vi rendete conto che il libro è il più potente di tutti. Gli altri aprono link e proiettano immagini sul vostro schermo, il libro direttamente dentro al vostro cervello. Ci cadete dentro, alle storie scritte, come nessun aggeggio tecnologico riesce ancora a farvi cadere. Perché le immagini evocate dalle parole vi avvolgono, come quelle dei sogni, non c'è distanza, non c'è filtro, siete lì, in mezzo all'azione.Le parole sono incantesimi, più potenti di quelle di Harry Potter, più potenti di qualsiasi processore. Le leggete e le cose compaiono non davanti a voi ma dentro di voi, e non avete bisogno di elettricità, e di tecnologia, solo della vostra mente e di un libro scritto.»

Mi hanno guardato. Qualcuno avrà pensato che sono semplicemente pazza. Ma qualche altro no. Ci sono momenti in classe in cui ti accorgi che hai fatto breccia e se lo ricorderanno. Non tutti, non sempre, ma qualcuno sì, e quel qualcuno che convinci è il motivo per cui facciamo il nostro mestiere.

È suonata la campanella, sono andati a casa. Alcuni continueranno a trovare i libri noiosi. Però li guarderanno magari con un occhio un po' diverso. Forse cominceranno a pensare che leggere non è compitare lettere e parole, ma sognare e vedere con la mente, aprire link direttamente dentro al cervello, e un libro è una miniera di pop up che si squaderna davanti a loro e attorno.

Non ditegli di leggere, mostrategli come si fa.

Alla fine, qualcuno, finirà per capire che un libro è un oggetto molto più potente di un telefonino.

 
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IL TRONO DI SPADE RECAP: UN EPISODIO DI PASSAGGIO CON UN FINALE TOCCANTE d bestmovie

Post n°13220 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Arya riceve una seconda chance, Bran incontra il suo destino, Theon è costretto ancora una volta alla fuga. Game of Thrones procede a ritmo forsennato
Il Trono di Spade
HBO

 

23.05.2016 - Autore: Marco Triolo (Nexta)
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6
Il finale del quinto episodio de Il Trono di Spade lascerà molti a bocca aperta. Una scena che si ricollega al passato di Westeros e degli Stark, spiegando un dettaglio che non credevamo avesse bisogno di spiegazioni, e facendolo in un modo sorprendente e toccante. Per il resto, c'è da notare come, ancora una volta, le cose si stiano muovendo con una rapidità finora estranea alla serie che, arrivata a metà della sesta stagione, è sempre più determinata a muovere tutte le pedine in previsione delle ultime due.



DA QUI IN POI SPOILER SULL'EPISODIO 6x05.

In questa puntata, dal titolo “The Door”, Bran incontra il Re della Notte, Arya riceve un nuovo incarico, Sansa si libera di Petyr Baelish eppure finisce per ascoltare un suo consiglio, mentre giura fedeltà al fratellastro Jon Snow ma in realtà gli nasconde dei segreti. Alle Isole di Ferro, Euron Greyjoy viene acclamato re dopo che ha promesso al suo popolo un'alleanza con Daenerys per conquistare il mondo, costringendo così Theon e la sorella Yara alla fuga. E a proposito di Daenerys: finalmente Jorah si è dichiarato e le ha rivelato di essere malato terminale, spingendo lei a ordinargli di trovare una cura in ogni modo possibile.

Il gran finale è tutto per Bran: toccato dal Re della Notte nel corso di una visione, ha involontariamente segnalato all'esercito degli Estranei la sua posizione, causando un attacco di questi ultimi. Il Corvo con Tre Occhi di Max Von Sydow già ci saluta, ucciso dal Re, mentre Hodor si è sacrificato per salvare il padroncino, tenendo ferma la porta del rifugio mentre Bran scappava. Negli ultimi, concitati secondi abbiamo anche scoperto perché Wylis sia stato ribattezzato Hodor: da giovane aveva avvertito la presenza di Bran captando una richiesta dal futuro: “Blocca la porta”, ovvero “Hold the door”, da cui “Ho-dor”. Al di là della dipartita di un personaggio amato, si resta a bocca aperta per la lungimiranza di George R.R. Martin e ci si dispiace per quanti avrebbero preferito scoprire questo piccolo ma succoso dettaglio nei romanzi.



“The Door” è un episodio di passaggio in cui il segmento di Bran, per una volta, è l'unico vero avanzamento importante. Dopo quattro stagioni di sviluppo lento e una di totale assenza, per la prima volta la storyline di Bran è uno dei motori della serie. Siamo davvero molto curiosi di scoprire ulteriori segreti nel passato degli Stark e di Westeros, che sicuramente arriveranno nelle prossime puntate.

 
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La profezia su Hodor arriva (ancora una volta) dai fan da bestserial.it

Post n°13219 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

di Marica Lancellotti - 24-05-2016
Nel 2008 l'utente di un forum aveva già spiegato il suo segreto...

[L'articolo che segue contiene spoiler sull'episodio 6x05]

La pratica con Il Trono di Spade (siamo pur sempre alla stagione 6) ha forse convinto tutti di essere diventati ormai piuttosto bravi, quando non addirittura infallibili, nello speculare sullo show più visto al mondo.

Se continuate la lettura significa, invece, che siete pronti a ricredervi.

É noto, ormai, (sì, seguono spoiler: è l'ultimo avvertimento) cosa si nasconda dietro il nome del buon Hodor, o dovremmo chiamarlo Willys... in fondo "Hodor" è solo una parola, l'unica che lui pronunci, ottenuta dalla contrazione della frase «Hold the door» che Meera gli urla e lui ripete durante quel momento di "possessione" avvenuto nel passatto, che avrà le sue ripercussioni in un futuro divenuto presente.

Ebbene: nel 2008 l'utente Myrddin (mai nome più giusto) propose, su un forum dedicato ai romanzi di Martin, una teoria secondo cui il povero gigante chiedeva solo a qualcuno di aiutarlo a tenere la porta ("Hold the door"), e dalla storpiatura di quella frase era nato il nomignolo: Hodor.

Non è tutto: nel 2014 lo scrittore Michael Ventrella raccontava sul suo blog di aver incontrato George R.R. Martin in una convention e di esserselo ritrovato come vicino di stanza. Di mattina l'aveva sentito scherzare sul proposito di diventare un addetto agli ascensori, anzichè uno scrittore. Proprio questa battuta fu illuminante per Ventrella che, poco dopo, lo avvicinò per chiedergli se il nome di Hodor non potesse venir proprio da "Hold the door". Il commento di Martin fu: «non sai quanto ti sei avvicinato alla verità».

La storia di Hodor era stata già da tempo accennata nei romanzi, senza, tuttavia, essere mai risolta: i lettori delleCronache del Ghiaccio e del Fuoco devono essere davvero la categoria più attenta e scrupolosa del pianeta!

L'altra ipotesi è che George Martin, nel presente, sia andato indietro, nel passato, ad influenzare la predizione dei fan. Ma questa è un'altra storia.

 
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Mio papà

Post n°13218 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Mio Papà

Lorenzo ha 35 anni e lavora come sommozzatore su una piattaforma petrolifera. Lavoro duro, di quelli da uomini tutti d'un pezzo. E nel suo mestiere Lorenzo è uno dei migliori. Alla sera, quando ne ha voglia, scende a terra. Lorenzo con le donne ci sa fare ma ha una regola, una notte e poi sparisce. Non si ferma a dormire, mai. È un leit-motiv che si ripete, perché così è più facile e non ci si prende troppo sul serio. E continua fino a quando incontra Claudia e la passione lo travolge. Claudia è diversa e Lorenzo lo scopre quella notte, quando sulla porta della camera accanto incontra Matteo. Ha sei anni ed è il figlio di Claudia. E si apre un vortice in cui non esistono compromessi. Impossibile amare lei e dimenticare il figlio in un angolo. È un tutto o niente, un prendere o lasciare. Un unico tuffo nel vuoto.
Giulio Base ha maturato esperienza al servizio del piccolo schermo e l'ereditarietà della fiction televisiva traspare nel linguaggio che qui ha scelto. Eppure, con Mio papà ha realizzato un film dal gusto agrodolce e leggero, in equilibrio tra le emozioni, grazie ai diversivi comici creati da Ninetto Davoli e Fabio Troiano. Un dramma familiare attuale e contemporaneo, immerso nell'aperta discussione legale, fatta di difficoltà e limiti burocratici. 
Mio papà ha il suo fulcro nell'affrontare un'opportunità d'amore. Il padre è chi cresce o chi ha dato la vita. E crescere non è forse donare la vita. Amare i figli degli altri, essere padre, dunque. Essere un uomo vero, presente. In antitesi con quello naturale, completamente assente. ?Crescere, camminare insieme, condurre per mano un bimbo dall'incondizionato bisogno d'amore. Un bimbo che da grande vuole aggiustare il mare, proprio come Lorenzo.
Il piccolo Matteo ha il volto dell'eccezionale Niccolò Calvagna (classe 2006), intenso e mai in difficoltà accanto a professionisti ben più adulti. E grazie alla sua interpretazione è più facile provare empatia per Mio papà, film dalla lacrima suggerita, moderno spaccato familiare di un Italia di provincia, sincera e così lontana dal paese idealizzato che troppo spesso vediamo nelle fiction televisive.

 
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Child 44

Post n°13217 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 

Locandina Child 44 - Il bambino n. 44

Nella Russia sovietica non esiste il crimine e l'ordine è mantenuto dalla MGB, polizia segreta e paranoica che sospetta tutti e arresta soltanto innocenti. Leo Demidov è un ufficiale efficiente agli ordini del Maggiore Kuzmin che ha deciso di archiviare come incidente la morte di un ragazzino violato e strangolato da uno psicopatico. Perplesso ma adempiente, Leo esegue il suo dovere e il volere del suo superiore. Ma un secondo caso lo convince presto a indagare, trasformandolo da predatore in preda. Le cose a casa non vanno meglio, Raïssa, moglie e insegnante, lo ha sposato per paura e lo disprezza per i suoi metodi. In un clima di terrore crescente, in cui indisturbato agisce un omicida seriale di bambini, Leo e Raïssa scopriranno le falle del Sistema e troveranno un nuovo equilibrio sentimentale.
Trasposizione del romanzo omonimo di Tom Rob Smith, Child 44 è un thriller paranoico che combina con efficacia storia e cronaca. Da una parte la Russia socialista a un passo dalla morte di Stalin, dall'esecuzione di Bérija, capo della polizia segreta sovietica, e dall'investitura di Nikita Chrušcëv, dall'altra, dislocati negli anni Cinquanta, gli efferati delitti del "mostro di Rostov", che tra il 1978 e il 1992 assassinò cinquantadue persone. 
Duro e realistico, Child 44 fiuta le tracce, esplora le correlazioni, 'unisce i puntini' e frequenta i bassi fondi del regime totalitario sovietico, impegnato in superficie a dare una bella immagine di sé, un'immagine rassicurante. Interdetto sugli schermi russi per "alterazione dei fatti storici", Child 44 condivide con lo spettatore il terrore di un popolo governato da un sistema retto sulla menzogna e sulla mistificazione ideologica. Delazione, arresti arbitrari, torture, esecuzioni sommarie, propaganda antioccidentale, spionaggio, non manca davvero nulla nel film di Daniel Espinosa, che elegge a protagonista un ufficiale compromesso con la dittatura stalinista per risolvere un intrigo che è insieme criminale e politico. A ragione di questo il film non apre sul rinvenimento di un corpo o su uno degli elementi dell'inchiesta ma ripercorre la scalata al potere di Leo Demidov, personaggio cruciale che lega differenti archi narrativi: il contesto socio-politico, l'investigazione poliziesca e la biografia dell'eroe. Il film è svolto lungo un percorso lineare, ma mai prevedibile, che mescola e converge nell'epilogo 'infangato' i tre soggetti. 
Senza digressioni, il treno di Espinosa procede rapido, producendo una suspense implacabile da cui è possibile scampare solo saltando in corsa alla maniera di Tom Hardy e Noomi Rapace. Affiancati da Vincent Cassel, Jason Clarke e Gary Oldman, che nell'esilio del suo ufficiale crea ancora una volta un personaggio che si fa ricordare per come è abile nel non farsi notare, Tom Hardy e Noomi Rapace confermano la faccia di cuoio, la potenza fisica e le cicatrici interiori. Improntate le rispettive carriere sul gesto virile, lo gratificano attraverso l'azione e lo innescano dentro un mondo dominato dal sospetto e dal complotto, dove ogni sguardo cela una minaccia e ogni sorriso un'insidia. Un mondo manicheo, ma in apparenza, perché poi scopriamo che i buoni lavorano per i cattivi e viceversa che qualche cattivo finisce per collaborare coi buoni. Non ci si può fidare di nessuno, mai. E in questa atmosfera fredda e opprimente, in questa società a fiducia zero, opaca e piena di angoli bui, si muovono un killer seriale e la sua nemesi, pieni di soprassalti, dubbi, sussulti. Come se per l'uno fosse l'unica possibile, come se per l'altro non fosse più possibile.

 
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Youth

Post n°13216 pubblicato il 29 Maggio 2016 da Ladridicinema
 


Fred e Mick sono due amici da moltissimo tempo e ora, ottantenni, stanno trascorrendo un periodo di vacanza in un hotel nelle Alpi svizzere. Fred, compositore e direttore d'orchestra famoso, non ha alcuna intenzione di tornare a dirigere un'orchestra anche se a chiederglielo fosse la regina Elisabetta d'Inghilterra. Mick, regista di altrettanta notorietà e fama, sta invece lavorando al suo nuovo e presumibilmente ultimo film per il quale vuole come protagonista la vecchia amica e star internazionale Brenda Morel. Entrambi hanno una forte consapevolezza del tempo che sta passando in modo inesorabile.
Paolo Sorrentino era atteso al varco con questo film che arriva dopo l'Oscar de La grande bellezza e la sua estetica così personale tanto da aver diviso critica e pubblico in estimatori e detrattori molto decisi. Per di più il regista tornava in competizione a Cannes dove solo due anni fa la giuria non aveva degnato del benché minimo riconoscimento il film ricoperto successivamente da molteplici allori. Il rischio maggiore però, che era più che lecito paventare da parte di chi amava il suo cinema ma non era impazzito di gioia dinanzi al suo ultimo lavoro, era quello di ritrovare un Sorrentino ormai divenuto manierista di se stesso. Il trailer del film seminava più di un indizio in tal senso ma, fortunatamente, i trailer non sono i film. Perché il Sorrentino regista è tornato a confrontarsi con il Sorrentino sceneggiatore. Se entrambi avevano deciso di convivere senza intralciare il lavoro dell'altro dando così luogo a ridondanze e compiacimenti oltremisura, in questa occasione l'uno non ha concesso all'altro (e viceversa) più di quanto fosse giusto concedergli. Ne è nato così un film compatto a cui non nuocciono neppure le molteplici sottolineature del finale. Perché questa volta il modello di Sorrentino torna ad essere se stesso, senza più o meno consci confronti con i maestri che, anche quando citati, vengono metabolizzati nel suo universo creativo. Non mancano anche qui personaggi più o meno misteriosi che appaiono e scompaiono e a cui ora è comunque lo spettatore a poter assegnare la valenza simbolica che preferisce. Perché Fred e Mick sono persone che sono state personaggi nella loro vita ma che su questo schermo tornano a presentarsi come persone. Con le loro angosce, con le loro attese, con i loro segreti e, soprattutto, con la consapevolezza di una memoria destinata a perdersi nel tempo come le lacrime del Roy Batty bladerunneriano. 
Sorrentino non ne fa due vecchie glorie più o meno coscienti delle proprie attuali forze fisiche e intellettuali ma offre loro anche i ruoli di genitori che conoscono luci ed ombre di un'arte altrettanto difficile: quella che i figli pretendono che venga esercitata nei loro confronti, non importa in quale età essi si trovino. In tutto ciò, ci si può chiedere, che ruolo viene assegnato alla giovinezza del titolo? Quello di specchio riflettente (e deformante al contempo) di passioni, desideri, fragilità. Su tutto questo e su molto altro ancora Sorrentino torna a trovare la profondità, la leggerezza ma anche la concentrazione che permettono al film di levitare. Chi lo vedrà capirà il senso del verbo.

 
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